Autopsia
Autopsia (dal greco ἀυτός, "stesso" e ὄψις, "vista) designa le operazioni di ispezione esterna e di sezione del corpo, eseguite sul cadavere dell'uomo o dell'animale impiegando appositi strumenti e avvalendosi di adeguate tecniche, allo scopo di distinguere gli aspetti normali da quelli patologici e di stabilire, attraverso questi ultimi, le cause della morte e le correlazioni patogenetiche che hanno connotato il decorso morboso. Essa consente contestualmente di prelevare gli organi interi o loro frammenti per ulteriori studi istopatologici (microscopia ottica), ultrastrutturali (microscopia elettronica), di natura biochimica e tossicologica. Non si considera autopsia in senso stretto la sezione del cadavere limitata a una determinata regione del corpo e finalizzata all'espianto di un organo a scopo di trapianto. In passato l'autopsia è stata largamente praticata per conoscere la struttura anatomica dell'uomo e degli animali, e tuttora è eseguita nei corsi di laurea in medicina e in veterinaria ai fini dell'insegnamento dell'anatomia normale.
Il significato della parola autopsia è profondamente cambiato attraverso i secoli. Il 'vedere con i propri occhi' della medicina antica era l'indagine compiuta dopo l'anamnesi, l'equivalente della visita del medico di oggi, cioè dell'esame obiettivo del malato. Una dissezione, se e quando avveniva, poteva svolgersi, nell'uomo o in animali (quali le scimmie di Galeno), per conoscere la struttura delle ossa, dei muscoli, dei vasi, dei visceri (v. anatomia); ovvero, come già nel Medioevo, si apriva un cadavere (si 'incideva', si 'sparava' un morto) per ricercare tracce di possibili avvelenamenti o di altre cause non naturali di decesso in esponenti dell'aristocrazia o comunque in personaggi illustri (tali autopsie sono oggi di pertinenza della medicina legale). Da ricordare anche le occasionali autopsie in tempo di peste, da quelle di Procopio di Cesarea a Costantinopoli nel 6° secolo a quelle eseguite a Cremona o a Siena nel 1348. Sono peraltro rari o eccezionali i documenti scritti su una pratica autoptica volta a cogliere lesioni di organi. Le prime esperienze furono quelle della scuola ellenistica di Erofilo ed Erasistrato ad Alessandria, che nel 3° secolo a.C., per un periodo di circa cinquant'anni, superò il divieto della violazione anatomica del cadavere umano e giunse addirittura a praticare la vivisezione sul corpo di criminali condannati a morte. Tra queste e le esperienze del fiorentino A. Benivieni, precursore dell'anatomia patologica e autore del De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis (1507), a parte quelle eseguite in epoca medievale riportate in varie rassegne, si colloca, singolare eccezione, alla fine del 2° secolo d.C., il De causis et signis di Areteo di Cappadocia, un testo noto nella traduzione latina di G.P. Crasso (Venezia 1552). Areteo, anche se non parla esplicitamente di autopsie, descrive con mirabile efficacia l'uropatia ostruttiva in tutta la sua esplicazione fino all'idropionefrosi, le varie forme di dissenteria rapportate anche ai caratteri delle feci e altri quadri morbosi, il cui profilo morfologico era possibile raccogliere, a quei tempi, soltanto nell'autopsia. Per molti secoli l'anatomia patologica rimane avvolta, con i suoi reperti 'nascosti', nel più vasto termine di 'anatomia', finché tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento su di essa converge un grande interesse. L'ansia di vedere dentro, di conoscere nella sua struttura il corpo umano, si arricchisce infatti, via via, di annotazioni anatomopatologiche: così, a parte l'opera di Benivieni, si trova in Leonardo da Vinci la descrizione del fegato di un vecchio 'simile a crusca bagnata', o in Paracelso la menzione delle concrezioni e dei calcoli della 'malattia tartarica'. Quest'ultimo sentenziò pertanto che il medico non deve soltanto conoscere 'l'anatomia degli organi', ma 'l'anatomia delle malattie'.
Sulla stessa linea si muovono vari medici cinquecenteschi: Berengario da Carpi auspicava la possibilità di studiare i corpi dei morti per malattia e non solo quelli dei giustiziati, e metteva in evidenza in una pubblica dissezione (1521) due reni fusi in uno solo; a P.A. Mattioli si deve il crudo 'multos [...] obtruncavimus' ("abbiamo fatto a pezzi molti") detto dei morti di sifilide; a R. Colombo risale la prima raccolta di reperti di anatomia patologica con il titolo De iis, quae raro in Anatome reperiuntur (in De re anatomica, libro 15°), distinti da quelli anatomici e descritti separatamente (si tratta di lesioni ossee e articolari, malformazioni renali, splenomegalie, peritoniti, pleuriti, pericarditi, calcolosi, nonché di interi organismi malformati, come 'mostri doppi', ermafroditi ecc.); J. Fernel, medico di Enrico II e di Caterina de' Medici alla corte di Francia, introduce nel titolo stesso della sua opera, pubblicata nel 1568, il termine patologia; pressappoco in quegli anni, con B. Eustachio, che descrive i 'reni grinzi' di apoplettici dalla loro autopsia, inizia l'anatomia patologica a Roma.
A metà Seicento, W. Harvey voleva raccogliere (come del resto pare volesse fare, nel Cinquecento, A. Vesalio) i suoi reperti patologici in un libro. G.B. Morgagni, nell'opera monumentale De sedibus et causis morborum (1761), precisa il metodo d'indagine da lui usato con le parole, per anatomen indagatis, che integrano il titolo. Egli doveva conoscere l'uso moderno della parola autopsia, come è documentato dal titolo Autopsiae in medicina utilitas attribuito nell'elenco autografo dei suoi libri a un opuscolo di F.P. Conrad (1753), e tuttavia chiama Epistolae anatomo-medicae le settanta epistole di cui si compone la sua opera. In quei secoli, per una disciplina che si andava allora costruendo, prevaleva un'altra terminologia ed era raro che i reperti anatomopatologici venissero di per sé descritti per esteso. Così, per es., M. Malpighi non si curò di pubblicare le sue autopsie, raccolte in un quadernetto da lui intitolato Anatomica, casualmente scoperto tra i suoi manoscritti da G. Atti nel 1832. Molte autopsie, per es. quelle sull'apoplessia di A.M. Valsava, lo studioso dell'anatomia dell'orecchio, allievo di Malpighi e maestro a Bologna del giovane Morgagni, ci sono note solo perché quest'ultimo le menziona nel De sedibus. E, ancora, J.C. Peyer, nel 1678, intitola Methodus historiarum anatomico-medicarum un breve libro sull'autopsia, quasi un manuale di tecnica necroscopica, mentre A. Cocchi chiama Adversaria anatomica il quaderno in cui annota le sue autopsie degli anni 1735-36.
Soltanto nell'Ottocento l'anatomia patologica si enuclea decisamente come tale dall'anatomia e dalla medicina clinica e si caratterizza soprattutto come morfopatologia, una disciplina il cui atto fondamentale consiste nella necroscopia, detta anche autopsia anatomoclinica.
Tra coloro che contribuirono a consolidare il nuovo corso si ricordano J. Cruveilhier a Parigi, K. von Rokitanski a Vienna, R. Virchow a Berlino e, nella prima metà del 20° secolo, soprattutto L. Aschoff e R. Roessle.
Il posto occupato dalla pratica dell'autopsia e il suo costituirsi come campo epistemologico distinto sono stati indagati in modo penetrante da M. Foucault (1963), muovendo da uno studio dell'opera di M.-F.-X. Bichat, che nell'ultimo decennio del Settecento aveva inaugurato in Francia una anatomopatologia diversa da quella descritta da Morgagni nel De sedibus e che si potrebbe definire 'sistematica'. L'analisi di Foucault mette in luce come il cadavere aperto sul tavolo settorio rappresenti la 'verità della malattia' e la 'profondità dispiegata' del rapporto che lega medico e paziente. La morte è la 'sottile linea verticale' che congiunge la serie dei sintomi e quella delle lesioni. Grazie all'autopsia, essa diviene la 'grande analista' che è in grado di evidenziare le 'meraviglie' della genesi dal 'rigore' di un cadavere in decomposizione. A partire da Bichat il fenomeno patologico viene visto sullo sfondo della 'vita', da cui la malattia attinge 'le ordinate risorse dei suoi disordini'. Si può conoscere e indagare la vita solo nel suo opposto, nella morte, non più vista come oscurità ma come luce che fa chiarezza.
Oggi noi intendiamo l'autopsia come una serie sistematica di operazioni eseguite sul cadavere, per rilevare le alterazioni che i processi morbosi hanno determinato nei tessuti e che consentono di individuare la causa lontana o prossima della morte. Il termine autopsia, che mantiene un significato più generale, ha come sinonimi necroscopia e sezione cadaverica. Le autopsie sono di due specie: a scopo clinico e a scopo medico-legale. Dal punto di vista dell'indagine autoptica, questa distinzione è però arbitraria; il fine è sempre quello di individuare il succedersi degli stati morbosi, e di stabilire, in base ai fatti osservati, la causa della morte. L'autopsia clinica rileva le alterazioni nei vari visceri, riconducendole ai sintomi osservati durante la vita, tanto più quanto più si compie secondo un ordine prestabilito, sulla base di un metodo esatto di ricerca volto a esaminare ogni parte (de Vecchi 1928).
In Italia, l'attuale legge sul 'riscontro diagnostico' circoscrive la necroscopia a particolari quesiti e a settori dell'organismo che richiamino in modo speciale l'attenzione del medico curante.
È dall'incontro al tavolo settorio dell'anatomopatologo con il clinico che scaturisce una risposta alle domande della medicina sulla base dei reperti osservati; l'esame esterno e interno del cadavere, e i reperti anatomici e clinici si coordinano nel ragionamento detto epicrisi. In molti paesi sono in uso periodici incontri anatomoclinici per fare il punto sui casi che vengono via via raccolti; incontri che si arricchiscono oggi degli esami microscopici dei tessuti (istopatologia e citopatologia ottica ed elettronica, immunoistochimica ecc.), dei contributi della radiologia, dell'ecografia, della tomografia assiale computerizzata, della risonanza magnetica ecc. Le nuove metodiche consentono in maniera via via più precisa di 'vedere' dentro l'organismo vivente le strutture normali e le modificazioni morfologiche indotte dalla malattia; esse così sottraggono in qualche modo all'autopsia clinica molta parte della sua novità, della sorpresa delle sue rivelazioni.
Il termine autopsia, il 'veder da sé', con gli strumenti attuali sembra quasi recuperare il significato che aveva nell'antichità.
L'autopsia anatomopatologica - definita riscontro diagnostico dal regolamento di Polizia mortuaria - costituisce lo strumento con cui verificare l'esattezza delle diagnosi cliniche poste in vita, ovvero di chiarire le morti di cui non è stata individuata la causa. L'art. 37 dell'attuale regolamento di Polizia mortuaria (d.p.r. 10 sett. 1990, nr. 285) stabilisce infatti che, fatti salvi i poteri dell'autorità giudiziaria, e in base alla l. 15 febbr. 1961, nr. 83, sono sottoposti a riscontro diagnostico autoptico i cadaveri trasportati a un ospedale, o a un deposito di osservazione o a un obitorio, e i cadaveri delle persone decedute negli ospedali, nelle cliniche universitarie e negli istituti di cura privati, quando i rispettivi direttori, primari o medici curanti, lo dispongano "per il controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti clinico-scientifici". Il riscontro diagnostico autoptico può essere anche richiesto per persone decedute a domicilio "quando la morte sia dovuta a malattie infettive e diffusive o sospette di esserlo o a richiesta del medico curante quando sussiste dubbio sulle cause di morte" (art. 37, comma 2). Grazie a tale pratica, si possono individuare quadri macroscopici, e ancor più frequentemente microscopici, non sospettati in vita sulla base dei sintomi clinici presentati dal paziente: in tal modo è possibile talvolta chiarire definitivamente la causa di morte.
Allo stesso modo può darsi anche che alcuni reperti anatomici nettamente patologici, pur dimostrando l'esistenza di una grave compromissione d'organo, non giustifichino di per sé la morte, spesso dovuta ad alterazioni funzionali prive di vera e propria espressione morfologica e, quindi, di tracce obiettivabili.
In Italia, il regolamento di Polizia mortuaria proibisce l'esecuzione dell'autopsia prima che siano trascorse 24 ore dalla morte (art. 8) "salvo i casi di decapitazione e salvo quelli nei quali il medico avrà accertato la morte anche mediante l'ausilio di elettrocardiografo, la cui registrazione deve avere la durata non inferiore a 20 minuti primi". L'art. 9 prevede inoltre che "nei casi di morte improvvisa ed in quelli in cui si abbiano dubbi di morte apparente, l'osservazione deve essere protratta fino a 48 ore, salvo che il medico necroscopo non accerti la morte nei modi previsti dall'art. 8". La tecnica di esecuzione dell'autopsia è relativamente standardizzata anche se le varie scuole si avvalgono di varianti tecniche minori. Dopo un'ispezione esterna del cadavere, che già in questa fase può mostrare reperti patologici, si eseguono sezioni a livello del capo, del collo, del torace e dell'addome. Al capo, una sezione trasversale del cuoio capelluto consente di scoprire le ossa del cranio e, asportandone la calotta, di esaminare la cavità cranica con il suo contenuto - meningi, cervello, cervelletto, tronco dell'encefalo ‒ nonché la base cranica. L'apertura del collo e delle cavità toracica e addominale avviene mediante una sezione mediana seguita, a livello del torace, dall'asportazione dello sterno e dall'esame del cuore e degli organi mediastinici, delle pleure e dei polmoni. La sezione dell'addome dà accesso al cavo peritoneale con gli organi che vi sono contenuti, i quali vengono in progressione asportati per essere esaminati singolarmente.
Meno frequentemente si effettuano sezioni degli arti e della colonna vertebrale con il midollo spinale. Per ciascun organo oggetto d'indagine vengono prelevati uno o più frammenti destinati agli esami istologici e ad altra eventuale analisi di laboratorio. È anche possibile conservare interi organi mediante fissazione fisica (in congelatore) o chimica (in liquido di fissazione o per plastinazione) per più scopi: effettuare ulteriori esami macroscopici, preservare un quadro patologico inusuale oppure, in sede giudiziale, serbare un elemento di prova.
L'autopsia giudiziaria o medico-legale è consentita, dall'attuale codice di procedura penale del 1988, entrato in vigore nel 1989, come accertamento tecnico nell'ambito della fase investigativa preprocessuale dell'indagine preliminare disposta dal pubblico ministero (artt. 359 e 360 c.p.p.) oppure, ma più raramente, nell'ambito dell'incidente probatorio disposto dal giudice su istanza delle parti (art. 392 c.p.p.). I motivi per i quali l'autorità giudiziaria decide l'esame autoptico sono per lo più connessi a una segnalazione di delitto procedibile d'ufficio da parte di chi esercita una professione sanitaria (referto medico, come da art. 365 c.p.), oppure a un esposto, a una denuncia e comunque in seguito al sospetto di una responsabilità di terzi. Le cause di morte di rilevanza giuridica non sono solo quelle cosiddette violente, in quanto dovute a tipici mezzi offensivi come armi da fuoco, armi bianche, strumenti contundenti, veleni ecc., che costituiscono un importante capitolo della patologia forense, ma riguardano anche morti apparentemente non violente che possono assumere rilevanza giuridica qualora si prospetti il concorso di una condotta illecita di terzi, come per es. dei medici curanti.
Risale al 30 giugno 1910 la circolare nr. 1665 ("Istruzioni sulla tecnica medico legale delle autopsie giudiziarie" nota anche come circolare Fani) con la quale venne introdotto per la prima volta uno schema operativo di indagine necroscopica, ancora attuale.
La tecnica prevista è in linea di massima simile a quella impiegata in ambito anatomopatologico ma, in ragione degli specifici obiettivi forensi che si prefigge, rivolge particolare attenzione all'ispezione esterna del cadavere con la quale si possono evidenziare alcuni segni patologici tipici come il solco d'impiccamento, il foro di entrata di un proiettile, la morfologia di lesioni contusive. È inoltre più frequente, rispetto all'autopsia anatomopatologica, che si rendano necessari accertamenti di laboratorio particolari oltre a quelli usuali istopatologici: esami chimicotossicologici mirati alla ricerca di tossici responsabili della morte o di stati psicofisici della persona, causati, per es., dall'azione di alcol, da sostanze stupefacenti o psicotrope ecc., che possano aver avuto un ruolo nella condotta e nel determinismo dell'evento; esami biochimici e di biologia molecolare a fini identificativi.
L'autopsia può essere disposta anche a fini civilistici, quando, per es., sia necessario stabilire la causa della morte per decidere sul diritto a una prestazione assicurativa privata o anche sociale. In quest'ultimo ambito devono essere considerate le disposizioni degli artt. 63 e 232 del Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.p.r. 30 giugno 1965, nr. 1224. In ambito giudiziario, in caso di dubbi tardivi circa le cause della morte di un individuo, ovvero sull'identità di un cadavere già inumato, è talora disposta l'autopsia dopo l'esumazione dello stesso. Le trasformazioni cadaveriche (v. cadavere), che incidono in modo rilevante sulla morfologia del cadavere e dei processi patologici, limitano peraltro le possibilità di una diagnosi necroscopica medico-legale esaustiva ai casi di cadaveri esumati poco dopo la morte.
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