autoregolamentazione
Qualsiasi meccanismo di azione rispondente all’esclusiva volontà del soggetto agente e non al vincolo derivante da un soggetto esterno. In questa prospettiva, la nozione può essere riferita a qualsiasi standard di comportamento che l’individuo o un ente collettivo applichi a sé stesso. Nel linguaggio giuridico il termine a. indica qualsiasi forma di disciplina collettiva, diversa da quella unilateralmente imposta dallo Stato, diretta a perseguire fini e obiettivi non raggiungibili mediante spontanei comportamenti di mercato. L’a. implica di solito un sistema stabile e organizzato di produzione di regole, la cui vigenza è socialmente riconoscibile a prescindere dalla forma assunta.
Molti studi di analisi economica del diritto hanno evidenziato i pregi dell’a. rispetto a ipotesi di intromissione della normazione pubblica, soprattutto in termini di migliore conoscenza tecnica dei problemi da affrontare e di maggiore flessibilità e capacità di adattamento al mutare delle esigenze. L’a. può risultare preziosa anche quando si tratta di trovare soluzioni concordate fra attori sociali portatori di interessi contrapposti che necessitano di una mediazione. Se i costi di transazione sono ridotti, i soggetti interessati potranno addivenire a una soluzione negoziale più vantaggiosa di quella che deriverebbe dall’intervento pubblico autoritativo. In tutti questi casi, l’a. può costituire anche una forma di coordinamento spontaneo fra gli attori sociali, senza alcuna forma di imposizione da parte dei pubblici poteri. Ciò avviene ogni qual volta una comunità, sperimentati i risultati subottimali descritti nel dilemma del prigioniero (➔ prigioniero, dilemma del), scopre i vantaggi derivanti da condotte cooperative. Spesso, peraltro, l’a. avviene sotto gli auspici di un potere pubblico che ne supervisiona lo svolgimento. In questi casi, l’a. costituisce, da un lato, una tecnica per disciplinare una data materia prevenendo l’intervento eteronomo, mentre, dall’altro, rappresenta una forma di normazione delegata dallo stesso legislatore. Sono molti i casi in cui l’a. si svolge su richiesta e con il riconoscimento dei pubblici poteri, per es., a livello nazionale e mondiale, per gli standard tecnici dei prodotti o per le norme contabili. A partire dalla fine del 20° sec., l’assunzione volontaria di impegni in ordine ai livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni, da parte degli operatori sotto il controllo delle autorità di regolazione settoriale, ha assunto notevole rilievo nei servizi di pubblica utilità.
La soluzione dell’a. non può sempre essere perseguita in modo efficiente e socialmente ottimale. Il rischio, infatti, è che prevalgano comportamenti opportunistici dovuti alla diversa struttura degli incentivi, alla divergenza di fini fra soggetti privati ed enti pubblici, alla dominanza degli interessi dell’industria e delle grandi imprese rispetto a quelli dei lavoratori, dei consumatori e delle piccole imprese. L’a. da parte dei privati, allora, può avere come risultato esiziale l’introduzione di barriere all’entrata (➔ barriera) o l’imposizione di regole che vietino la concorrenza nel settore. Spesso può diventare difficile per il potere pubblico modificare o respingere gli standard privati, anche quando sarebbe opportuno farlo. Da un lato, infatti, l’esternalizzazione induce l’amministrazione a privarsi delle competenze necessarie alla redazione e alla verifica degli standard di quelli; dall’altro, può risultare anche politicamente difficile impegnarsi in un’ampia e complessiva riscrittura degli standard fissati dagli operatori privati.
L’a., nelle sue diverse varianti, ha conosciuto un notevole sviluppo nell’ambito delle politiche di liberalizzazione e di deregolamentazione introdotte in molti mercati, a cominciare da quelli finanziari, sia negli Stati Uniti sia in Europa, alla fine del 20° secolo. La crisi finanziaria del 2008, tuttavia, ha evidenziato i limiti dei meccanismi di a. o di light touch regulation. Per questa ragione, la risposta degli Stati e delle istituzioni sovranazionali alla crisi ha condotto ovunque a un rafforzamento dei poteri di regolazione e di vigilanza delle autorità pubbliche, in un contesto generale segnato dalla rinnovata sfiducia nella capacità dei mercati di autoregolarsi in modo efficiente.
Un’alternativa all’intervento unilaterale dei pubblici poteri e al rischio di un’a. opportunistica dei privati è costituita dalla definizione consensuale di regole e di standard fra poteri pubblici e soggetti privati. La negoziazione regolatoria postula il coinvolgimento e la partecipazione di tutti gli interessi toccati dalla decisione, traducendosi in una tecnica di regolazione consensuale in cui vengono definiti in anticipo gli obiettivi perseguiti e i parametri cui essa deve attenersi. La negoziazione regolatoria trova talora un preciso inquadramento istituzionale, come avvenuto negli Stati Uniti con la novella del 1990 alla legge sul procedimento amministativo.