Autoriciclaggio
L’introduzione del delitto di autoriciclaggio ha indubbiamente rappresentato un momento di rottura rispetto alla nostra tradizione di non punire l’autore o il concorrente nel delitto presupposto. La formulazione normativa dell’art. 648 ter.1, c.p. ha subito sollevato numerose e delicate questioni interpretative: dalla definizione del perimetro della fattispecie; al ruolo della clausola di non punibilità di cui al quarto comma della disposizione; ai rapporti tra riciclaggio e autoriciclaggio, per citarne solo alcuni. L’obiettivo del presente lavoro è quello di affrontare, muovendo da un’analisi degli elementi costitutivi del delitto in esame, tali nodi interpretativi, cercando di prospettare delle soluzioni in linea con il nuovo assetto di disciplina prefigurato dal legislatore.
L’art. 3 l. 15.12.2014, n. 186, recante «Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio», ha introdotto nel nostro ordinamento, all’art. 648 ter.1 c.p., il delitto di autoriciclaggio e, attraverso un’interpolazione dell’art. 25 octies d.lgs. 8.6.2001, n. 231, ha incluso tale figura nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti.
L’introduzione del delitto di autoriciclaggio se, per un verso, rappresenta un’indubbia rottura rispetto alla nostra tradizione di costruire il riciclaggio sulla falsariga dei delitti di ricettazione e favoreggiamento reale, per altro verso, costituisce una novità in qualche misura preparata da un processo normativo di lento ma inesorabile distacco del delitto di riciclaggio dal delitto presupposto, nonché il riflesso del dibattito circa gli effetti “benefici” del delitto di autoriciclaggio in punto di contrasto alla criminalità d’impresa.
Emblematici del resto sono la sede in cui ha trovato ingresso la fattispecie in questione, nell’ambito cioè di un provvedimento che si propone tra gli obiettivi la lotta all’evasione fiscale, nonché i risultati dei lavori delle più recenti Commissioni di studio in materia volti ad evidenziare i “costi” che il mantenimento del cd. privilegio dell’autoriciclaggio comportava, e pertanto tutti orientati a superare l’assetto allora vigente, nel senso di introdurre la punibilità dell’autoriciclaggio1.
Sul versante dell’evoluzione della disciplina interna di contrasto del fenomeno in questione è indubbio che la continua opera di (ri)modellamento della fattispecie compiuta dal legislatore aveva condotto ad un mutamento della fisionomia del riciclaggio, facendone un delitto sempre meno “ancillare” rispetto a quello presupposto. Non è certo possibile qui ripercorrere la oramai pluriventennale storia del riciclaggio ma, da questo punto di vista, la stessa dicitura adottata dal legislatore è significativa. Si parte, come noto, da una figura di reato fortemente proiettata verso il delitto presupposto e, non a caso, rubricata come «Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione»2, pensata come fattore di ulteriore deterrenza rispetto alla commissione dei delitti “a monte” e ispirata dunque ad una logica di complementarietà, quanto a punizione, rispetto ad essi; si arriva alla conquista dell’etichetta “riciclaggio” nel primo intervento compiuto negli anni novanta, unitamente ad un ampliamento dei delitti nominati presupposto e alla previsione altresì della figura del reimpiego: per infine giungere al quadro di disciplina esistente sino a pochi mesi addietro, caratterizzato dallo sganciamento del riciclaggio (e del reimpiego nel frattempo introdotto) da delitti specifici, nonché dal progressivo ampliamento dei contorni della condotta incriminata3.
Sul versante sovranazionale si è sempre registrata una particolare attenzione al riciclaggio: del resto, l’esperienza dell’ordinamento italiano è largamente tributaria degli input di tutela provenienti da fonti europee e internazionali, se è vero che gli interventi sopra menzionati sono stati il frutto per l’appunto dell’attuazione nel nostro sistema di convenzioni ratificate dall’Italia, il cui obiettivo era il contrasto del riciclaggio nel quadro di iniziative dirette a fronteggiare gravi forme di criminalità, quale quella organizzata o il terrorismo, o ancora il traffico di sostanze stupefacenti. A tali ambiti va aggiunto quello della lotta alla corruzione, in relazione alla quale ci si imbatte altresì in richieste di penalizzare le condotte di riciclaggio4. E senza qui potersi soffermare sull’importante ruolo di impulso svolto nel tempo da strumenti di soft law, quali le Raccomandazioni del GAFI5.
L’evoluzione qui appena tratteggiata ha rappresentato la premessa per l’introduzione del delitto di autoriciclaggio.
L’estensione dei confini normativi del delitto di riciclaggio in una con l’opera di dilatazione cui gli elementi costitutivi della fattispecie sono andati incontro nella prassi applicativa, hanno fatto di esso una figura criminosa in grado di spaziare dal “taroccamento dei motorini” – sottraendo così spazio al delitto di ricettazione nella misura in cui si fosse in presenza di un ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa dei beni – all’investimento nel mercato finanziario di ingenti capitali illeciti, per la parte in cui il riciclaggio occupa, in virtù della clausola di riserva “a suo favore” prevista nell’art. 648 ter c.p., lo spazio proprio dell’ipotesi di reimpiego6.
Insomma, un’idra che non a caso nella manualistica e tra i commentatori7 si merita presto il riconoscimento di reato plurioffensivo, posto a tutela di beni tanto eterogenei quanto l’amministrazione della giustizia e l’ordine economico (nelle sue articolazioni della tutela del libero mercato e della concorrenza). Bene giuridico, quest’ultimo, che non caso è ritenuto invece rappresentare il baricentro della tutela nella fattispecie di reimpiego di cui all’art. 648 ter c.p., atteso che il reinvestimento finale dei proventi delittuosi «è carico di pericolo per la collettività dei risparmiatori onesti»8. Ed è innestandosi su tali considerazioni che si sono iniziate ad affacciare, in anni relativamente recenti, voci inclini a evidenziare l’opportunità, almeno rispetto a tali condotte, di abbandonare la clausola di esclusione della responsabilità per riciclaggio dell’autore o concorrente nel delitto presupposto, così da ratificare anche sul piano normativo la “separazione” tra riciclaggio e delitto presupposto9.
La punibilità dell’autoriciclaggio non è neppure sconosciuta nel panorama degli strumenti normativi sovranazionali, sebbene già nei meno recenti di essi – la cui attuazione, come si è detto, è stata alla base delle modifiche normative sopra richiamate – non si mancasse di specificare che gli Stati parte avrebbero potuto non penalizzare le condotte ivi descritte, se commesse dall’autore del predicate crime10, laddove ciò contrastasse con principi fondamentali dell’ordinamento interno. La situazione è andata in parte mutando sia per effetto delle indicazioni provenienti dalla normativa di soft law – sempre più nella direzione del superamento del cd. privilegio di self laundering11 – sia a seguito della Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011, i cui contenuti sono stati tenuti fermi dalla successiva Risoluzione del 23 ottobre 2013 «sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro: raccomandazioni in merito ad azioni e iniziative da intraprendere», che ha affermato a chiare lettere l’invito a punire l’autoriciclaggio12. Si tratta peraltro, nel suo complesso, di un percorso ancora in corso di svolgimento atteso che la quarta direttiva in materia di riciclaggio13, di recente emanazione, non si pronuncia espressamente sul punto, nel quadro tuttavia di un intervento mirato sul versante delle misure a carattere preventivo.
In questo scenario, pare utile dedicare da ultimo un cenno alla posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, pur a fronte di alcuni tentativi recenti di forzare un dato letterale difficilmente superabile, quale quello sino a pochi mesi addietro rappresentato dall’inciso inziale di cui all’art. 648 bis c.p., ha sempre riaffermato il principio della non punibilità dell’autore o concorrente nel delitto presupposto. Al riguardo è netta la posizione assunta dalle Sezioni Unite a proposito del riciclaggio posto in essere dall’appartenente all’associazione di stampo mafioso: se esso ha oggetto i proventi direttamente derivanti dal fatto associativo, costui non potrà rispondere di riciclaggio o reimpiego, in considerazione del chiaro tenore degli artt. 648 bis e ter c.p., sottolineandosi ancora che unica ipotesi di autoriciclaggio (allora) esistente nel nostro ordinamento fosse quella di cui all’art. 12 quinquies d.l. 8.6.1992, n. 30614.
In poche parole, e volendo tirare le fila della cursoria ricostruzione sin qui compiuta dello stato del dibattito in materia, si erano andate sicuramente aprendo delle crepe rispetto alla non punibilità dell’autore o concorrente nel delitto presupposto; e rilievi critici si erano mossi alla logica sottostante a tale scelta, o quanto meno all’idea che si fosse sempre inpresenza di un postfatto non penalmente rilevante. È peraltro vero che la dottrina assolutamente prevalente rimaneva contraria all’introduzione dell’autoriciclaggio15; ma ciò era anche il frutto di una ‘sfiducia’ verso l’attuale delitto di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. e di una critica nei confronti di una disposizione che col tempo si era dimostrata ‘onnivora’. In qualche misura dunque, la censura, almeno da parte di taluni, si indirizzava in primo luogo verso una possibile modifica che si limitasse a una secca eliminazione della clausola di riserva, senza farsi carico del ripensamento di un settore di disciplina che nel tempo era andato perdendo di linearità.
La preoccupazione era in definitiva quella che l’autoriciclaggio si rivelasse un formidabile strumento di duplicazione sanzionatoria16 avuto riguardo a fatti anche di non particolare impatto lesivo e comunque estranei all’humus criminologico del riciclaggio, quale percepibile anche dalle fonti sovranazionali.
La scelta del legislatore è stata quella di identificare condotte che, a suo giudizio, sono espressive di un disvalore aggiuntivo rispetto al delitto presupposto: non si è così proceduto nella direzione di una “grezza” eliminazione della clausola di riserva di cui all’art. 648 bis c.p., ma si è deciso di lavorare sulla condotta di reimpiego, ritenendo però di dover apportare dei correttivi una volta riferita all’autore o concorrente nel delitto presupposto. L’altra opzione tecnica di fondo è stata quella di non intervenire, come invece suggerito dai lavori e dalle soluzioni elaborate dalle più recenti commissioni di studio17, sul corpo dell’art. 648 bis ma di prevedere una nuova ipotesi delittuosa.
Fa così il suo esordio nel codice penale l’art. 648 ter.1 che punisce, con la reclusione da due a otto anni e la multa da 5.000 a 25.000 euro, chi, «avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».
Al secondo comma si stabilisce una cornice edittale di gran lunga più tenue – reclusione da uno a quattro anni e multa da 2.500 a 12.500 euro – se il delitto non colposo presupposto è punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni, mentre tornano ad applicarsi le più severe pene di cui al primo comma se si tratta di delitto commesso con le condizioni e modalità di cui all’art. 7 del d.l. 13.5.1991, n. 152, che prevede l’aggravante del fine e metodo dell’agevolazione mafiosa.
Al quarto comma si contempla poi una causa di non punibilità in relazione alle condotte «per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale».
La disposizione si chiude con la previsione di una circostanza aggravante a effetto comune allorché i fatti siano commessi nell’esercizio di attività bancaria o finanziaria o altra attività professionale e con una diminuzione rilevante di pena – fino alla metà – nel caso l’autore «si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro o delle altre utilità provenienti dal delitto».
La norma ha subito ricevuto più critiche che plausi18: prima tuttavia di soffermarci sui nodi interpretativi di fondo, pare utile far precedere l’analisi di dettaglio da alcune considerazioni più di carattere generale sul tipo di soluzione escogitata dal legislatore.
L’impressione è che il legislatore nell’imboccare la via della punibilità dell’autoriciclaggio si sia fermato a metà strada: si è infatti ritenuto di individuare nel reimpiego la condotta tale da giustificare un surplus di protezione e conseguentemente di punizione – con ciò dimostrandosi consapevoli del dibattito che in essa ravvisava un pericolo per l’ordine economico – ma non si è tagliato il cordone con il delitto presupposto. Da un lato, l’estremo dell’ostacolo concreto all’identificazione della provenienza delittuosa, nel riportare in luce la tutela dell’amministrazione della giustizia, opera di fatto un collegamento con il predicate crime; dall’altro, il più tenue trattamento sanzionatorio rispetto all’ipotesi di riciclaggio e reimpiego ex art. 648 bis e ter, nonché soprattutto la rilevante diminuzione prevista in relazione alla gravità astratta del delitto presupposto19, svelano chiaramente come il legislatore, nel penalizzare l’autoriciclaggio, abbia continuato a guardare al delitto “a monte” e non si sia dimostrato fino in fondo convinto che l’autore di esso meritasse una punizione “piena” per la condotta posta in essere20.
Siamo così alle prese con una fattispecie che è, come giustamente osservato, un ibrido di riciclaggio e reimpiego21 – che della prima figura mutua la decettività della condotta mentre della seconda la condotta di impiego –, e che si preoccupa tuttora di assicurare un trattamento “privilegiato” all’autore del delitto presupposto.
2.1 La struttura oggettiva della fattispecie
La condotta punita dall’art. 648 ter. 1 c.p. è, come detto, quella di impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei proventi delittuosi.
Anche qui ricorre la tentazione a combinare le due figure – riciclaggio e reimpiego – tenuto conto che, piuttosto che riprendere la lineare formulazione di cui all’art. 648 ter c.p. (ove si parla solo di impiego), si è anche fatto riferimento alle condotte di sostituzione e trasferimento, proprie del riciclaggio.
Posto che si è sicuramente in presenza di modalità alternative di condotta, si tratta di verificare il rapporto delle diverse condotte con la destinazione a una delle attività in questione.
Due le possibili letture della norma: una è quella volta ad autonomizzare sostituzione e trasferimento rispetto all’impiego, riferendo solo quest’ultimo alle attività nominate22; l’altra è invece di ritenere sussistente tale legame rispetto a ciascuna delle condotte indicate. Sembra quest’ultima la soluzione da preferire, in quanto maggiormente in linea con la ratio dell’autoriciclaggio che è appunto quella di evitare inquinamenti dell’economia legale, con l’effetto peraltro che sostituzione e trasferimento finiranno con il confondersi all’interno della prima condotta, non presentandosi che quali forme di impiego. In questa prospettiva si coglie anche la ragione dell’eliminazione del richiamo “ad altre operazioni”, atteso che lo spettro di tipicità del fatto è delimitato dalla destinazione dei proventi a una delle attività indicate (economiche etc.); sicché l’impiego finisce con l’assorbire la gamma di condotte rilevanti (come del resto avviene nella fattispecie di cui all’art. 648 ter c.p.).
Non risulta felice neppure la formulazione adottata per indicare il punto di incidenza dell’impiego. Anche qui il legislatore avrebbe potuto dare prova della stessa capacità di sintesi mostrata sempre nell’ipotesi di cui all’art. 648 bis c.p. e limitarsi a menzionare le attività economiche e finanziarie, senza che la portata della norma avesse a soffrirne.
A chiarire il precetto concorre la causa di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648 ter, co. 1, che, in definitiva, assolve alla funzione di definire in negativo i contorni della fattispecie: da un lato, l’area della rilevanza penale segnata dall’impiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriale o speculative; dall’altro lato, quella della non punibilità nel caso di mero utilizzo o godimento personale. Si tratta, come è stato subito rilevato23, di clausola elastica, la cui lettura ha già impegnato – e impegnerà – gli interpreti: cosa accadrà ad esempio nel caso di godimento non solo personale? O quando si potrà dire che l’utilizzo sia da ritenersi “mero”?
Un filtro selettivo all’operatività dell’autoriciclaggio è stato individuato nell’idoneità della condotta a frapporre un ostacolo concreto all’identificazione della provenienza delittuosa: l’aggettivo “concreto” è stato probabilmente inserito per contrastare la lettura “riduttiva” della corrispondente clausola del delitto di riciclaggio – che adesso rischierà di uscirne rafforzata: la sua logica dovrebbe essere quella di ricomprendere nel tipo le sole condotte dotate di una particolare capacità decettiva, tale per cui gli operatori del settore, pur compiendo con la dovuta diligenza le verifiche del caso, non siano in grado di ricostruire il percorso dei proventi delittuosi.
Una funzione di restrizione del tipo criminoso dovrebbe essere assolta anche qui dall’estremo della provenienza delittuosa dei beni, del denaro o dell’altra utilità. È questo l’elemento che nella sua primigenia formulazione ha di fatto paralizzato l’applicazione dell’art. 648 bis, attesa la difficoltà di provare l’origine dei proventi da uno dei delitti nominati, e che anche nella successiva formulazione ha rappresentato probabilmente il tallone d’Achille della disposizione, dovendosi comunque provare la provenienza da un delitto non colposo, e non la semplice, generica matrice illecita dei beni24. Senonché, nel caso dell’autoriciclaggio, questa capacità selettiva viene meno: è presumibile infatti ritenere che, una volta provata la commissione di un delitto da parte del soggetto attivo del reato e accertato il fatto dell’impiego in attività economiche ecc., si ribalti in capo all’agente l’onere di provare che invece l’investimento è stato realizzato con denaro “pulito” e che non provenga dal delitto presupposto. Un alleggerimento probatorio non da poco in capo all’accusa che potrebbe, nella prassi, condurre a forme di presunzione in grado di riecheggiare modalità di inversione dell’onere della prova già censurate dalla nostra Consulta25 o comunque favorire presunzioni di provenienza illecita secondo cadenze non dissimili da quelle che sono state paventate rispetto al delitto di associazione di stampo mafioso26.
2.2 L’elemento soggettivo
Il delitto di autoriciclaggio è costruito come ipotesi punibile solo a titolo di dolo: su questo aspetto il legislatore non ha ceduto all’idea di prevedere anche una rilevanza colposa, seguendo l’esperienza di altri ordinamenti27.
In questo caso, peraltro, si stempera il problema dell’accertamento del dolo in capo all’agente rispetto all’estremo della provenienza delittuosa dei beni, del denaro o altra utilità oggetto delle attività di impiego, sostituzione e trasferimento previsti dalla norma qui in esame, in quanto, essendo autore dell’autoriciclaggio colui che ha realizzato o partecipato al delitto presupposto, costui sarà di regola consapevole dell’origine illecita delle utilità in questione.
La questione riemergerà per contro, secondo le medesime cadenze del riciclaggio e del reimpiego ex artt. 648 bis e ter c.p., rispetto al concorrente estraneo28 – colui cioè che non abbia preso parte al delittopresupposto. È noto peraltro come la giurisprudenza anche sul versante del riciclaggio non esiti ad ammettere il dolo eventuale e che gioca oggi certamente un ruolo la nota presa di posizione delle Sezioni Unite sulla ricettazione, nel senso della punibilità di quest’ultimo delitto a tale titolo29.
2.3 Il sistema delle circostanze
Il legislatore ha altresì previsto nell’art. 648 ter 1 c.p. un articolato sistema di circostanze aggravanti e attenuanti.
Sul primo versante si è al quinto comma stabilito un aumento di pena quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o altra attività professionale. Una circostanza ad effetto comune di tal fatta non è certo una novità, essendo prevista altresì in relazione ai delitti di riciclaggio o reimpiego ex artt. 648 bis e ter c.p. Anzi, in quella sede è sicuramente più felice la formulazione adoperata, facendosi riferimento alla sola attività professionale, espressione in grado di dare copertura anche alle altre due, come del resto testimoniato dalla stessa dicitura adoperata dal legislatore nell’art. 648 ter.1 c.p. – che evidenzia come le prime due attività, quella bancaria o finanziaria, siano species del genus «attività professionale». Ciò dunque rivela la funzione più che altro simbolica della previsione normativa.
Sul secondo versante si è anzitutto prevista al secondo comma una sostanziale diminuzione di pena – come si è già ricordato, reclusione da uno a quattro anni e multa da 2.500 a 12.500 – avuto riguardo alla gravità astratta del delitto presupposto – deve trattarsi di delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Pare infatti preferibile ravvisare nel caso di specie una circostanza attenuante cd. indipendente e non una figura autonoma di reato. In questa direzione depone del resto la perfetta sovrapponibilità – salvo che per il quantum di diminuzione previsto – con l’omologa previsione di cui all’art. 648 bis c.p., pacificamente ritenuta una circostanza30. Né ci pare che in tal caso debba escludersi la natura circostanziale della figura, in quanto mancherebbe un rapporto di genere a specie rispetto alla ipotesi base31, atteso che essa presenta tutti gli elementi della fattispecie base con in più il requisito attinente alla cornice di pena prevista per il delitto non colposo presupposto. Tale circostanza attenuante è peraltro sterilizzata allorché ricorra l’aggravante del cd. fine e metodo dell’agevolazione mafiosa: anche qui l’intendimento è soprattutto di tipo espressivosimbolico – si vuol lanciare il messaggio che la diminuzione di pena non riguarderà mai reati attinenti all’agire della criminalità mafiosa –, tenuto conto che difficilmente si sarà in presenza, in tali casi, di delitti rientranti nello spettro di applicazione dell’attenuante di cui al secondo comma32.
Infine, si prevede una consistente diminuzione di pena – sino alla metà – come premio per la collaborazione processuale, sulla falsariga di quanto da tempo previsto in relazione al sequestro di persona a scopo di estorsione e di recente contemplato avuto riguardo ai delitti di corruzione.
La norma sull’autoriciclaggio appena entrata in vigore ha subito posto dinanzi a una serie di questioni interpretative.
Soffermeremo qui l’attenzione su tre nuclei problematici:
1) il primo riguarda il tema del concorso nell’autoriciclaggio e investe, in ultima istanza, i rapporti tra riciclaggio e autoriciclaggio;
2) il secondo concerne il perimetro di estensione della responsabilità per l’ente da autoriciclaggio;
3) il terzo, infine, tocca profili di diritto intertemporale.
Procedendo con ordine, il primo quesito cui dare risposta è come risolvere i casi, che saranno frequenti nella prassi, di realizzazione plurisoggettiva dell’autoriciclaggio.
Consideriamo una prima ipotesi: il terzo estraneo istiga l’autore o concorrente nel delitto presupposto a porre in essere la condotta di impiego.
Qui la soluzione pare obbligata: concorso del terzo in autoriciclaggio. La condotta del terzo non è tipica ai sensi dell’art. 648 bis o ter c.p., mentre risulta tale in base all’art. 648 ter.1 c.p. quella dell’autore del predicate crime: essa sola potrà fungere da polo di attrazione di condotte atipiche. L’esito è pertanto che oggi il terzo risponderà di una pena ben più mite che in passato, essendo punito prima, almeno per coloro che qualificavano la clausola di riserva di cui all’art. 648 bis c.p. come causa personale di esclusione della pena33, a titolo di riciclaggio: approdo sinceramente irragionevole.
Prendiamo adesso in esame una seconda ipotesi: la condotta di impiego è realizzata dal terzo su incarico dell’autore del delitto presupposto.
In questo caso, se riteniamo il reato di cui all’art. 648 ter.1 c.p. come proprio e reputiamo altresì necessaria la realizzazione nelle fattispecie proprie della condotta principale da parte dell’intraneo34, abbiamo un concorso in riciclaggio: il terzo sarà punibile ex art. 648 bis c.p., ma la punibilità non potrà estendersi all’autore del delitto presupposto attesa la clausola di riserva ivi prevista, frustrandosi però così quello che era l’intendimento del legislatore.
Se invece si aderisce all’impostazione secondo cui, in caso di realizzazione plurisoggettiva, è, salvo i reati c.d. di mano propria, indifferente la ripartizione dei ruoli tra intraneo ed estraneo35, dovremmo per contro affermare il concorso nell’autoriciclaggio del terzo che, anche qui in modo del tutto irragionevole, lucrerebbe una punizione più blanda.
L’alternativa è – limitatamente peraltro alla seconda ipotesi formulata – di ritenere che l’autore del delitto presupposto che affidi i proventi delittuosi a un terzo per l’ulteriore attività di impiego, realizzi a sua volta la condotta tipica ex art. 648 ter.1 c.p. La disposizione sul concorso di persone nel reato non assolverebbe in siffatta evenienza ad alcuna funzione di estensione dell’area di incriminazione, ponendo in essere i due soggetti – l’autore del delitto presupposto e il terzo estraneo – condotte entrambe tipiche ai sensi delle rispettive fattispecie monosoggettive di parte speciale: il terzo risponderebbe di riciclaggio ai sensi dell’art. 648 bis, l’autore del delitto presupposto di autoriciclaggio ex art. 648 ter.1 c.p. Tutto ciò però a costo di una dilatazione della condotta tipica e, in definitiva, di una forzatura del dato normativo: l’autore o concorrente nel delitto presupposto che affida al terzo i beni o il denaro derivanti da delitto perché siano investiti, non impiega lui stesso i proventi ma pone in essere una condotta prodromica all’impiego da parte del terzo – condotta, questa, che non può che risultare atipica rispetto all’art. 648 ter.1 c.p. Diversamente ragionando, sarebbe come dire che la madre che consegna il bambino appena nato a un parente affinché lo uccida, abbia in tal modo realizzato la condotta del cagionare la morte e non abbia invece semplicemente concorso a cagionare la morte. Tanto è vero, tornando all’autoriclaggio, che se il terzo poi decide di non impiegare i proventi delittuosi, non si potrebbe certo affermare che l’autore del delitto presupposto che glieli abbia affidati debba rispondere a titolo di tentato autoriciclaggio.
Simili problemi sarebbero stati evitati se solo il legislatore avesse seguito le indicazioni provenienti dalle diverse Commissioni di studio e fosse intervenuto sul delitto di riciclaggio, eliminando la clausola di riserva e, una volta tipizzata la condotta di autoriciclaggio, si fosse al più limitato a differenziare la pena prevista nei confronti dell’autore o concorrente nel predicate crime. Lo schema da seguire, come suggerito dai lavori di riforma, e di recente ribadito in dottrina, avrebbe dovuto essere quello utilizzato dalla norma sull’infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale (art. 578 c.p.), in cui si diversifica, quanto a pena, la posizione della madre da quella dei terzi concorrenti nel delitto36. In poche parole, non si sarebbe dovuta percorrere la strada della costruzione di una poco convincente figura di reato proprio37, bensì quella della differenziazione del trattamento sanzionatorio.
La seconda questione è legata all’inclusione del delitto di autoriciclaggio tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ex art. 25 octies d.lgs. 231/2001. In particolare, è stata prima prospettata da parte dei primi commentari, e poi riaffermata in un documento di analisi della nuova normativa elaborato da un’importante associazione di categoria38, l’esigenza che, ai fini della responsabilità dell’ente, l’autoriciclaggio rilevi solo laddove il delitto presupposto faccia a sua volta parte del catalogo previsto dal d.lgs. 231/2001. Tale soluzione è stata avanzata facendo leva, nel documento appena richiamato, sul precedente rappresentato dagli artt. 416 e 416 bis, il cui ambito di operatività è stato circoscritto dalla Cassazione ai soli casi in cui l’associazione abbia a oggetto reati presupposto ex d.lgs. 231/200139. Un diverso esito interpretativo – si è rilevato – comporterebbe in sostanza un’elusione del principio di tassatività previsto nel decreto 231, in quanto richiederebbe all’ente di apprestare presidi rispetto a qualunque fattispecie di reato.
Tale conclusione non pare tuttavia condivisibile. Al di là del fatto che anche in materia di associazione criminale si tratta pur sempre di una singola pronuncia intervenuta sul punto, è il parallelo a non convincere. Nel caso dei reati associativi siamo in presenza di una norma che per definizione si appoggia e trae alimento dai delitti fine: ricorre qui una fattispecie plurisoggettiva che, seppur non eventuale, ha anch’essa come baricentro i delitti scopo. È difficile immaginare in questo caso che l’ente possa progettare meccanismi di prevenzione del fatto associativo in sé; esso sarà chiamato piuttosto a elaborare presidi volti in definitiva a evitare la realizzazione dei delitti oggetto di un possibile programma criminoso “seriale”.
Diversa appare la situazione dell’autoriciclaggio: l’ente non dovrà qui preoccuparsi dell’area di rischio penale a monte di tale reato, ma piuttosto rafforzare gli strumenti per contrastare il rischio che il soggetto intraneo possa investire in attività economiche, finanziarie etc. dei proventi delittuosi. Insomma il precedente più vicino è quello del riciclaggio e non invece quello rappresentato dal caso, invero particolare, del delitto associativo.
L’ultima questione cui dedicheremo, nei limiti di spazio concessi dal presente lavoro, qualche riflessione concerne un peculiare profilo di diritto intertemporale: l’applicazione della nuova norma a fatti di autoriciclaggio aventi a oggetto proventi di delitti commessi prima della sua entrata in vigore.
Si è infatti sostenuto che l’art. 648 ter.1 c.p. non possa applicarsi all’autoriciclaggio per reati pregressi40. La premessa logica è che il delitto non colposo generatore dei proventi investiti dal suo autore o dal concorrente nello stesso vada classificato come vero e proprio elemento del fatto e dunque partecipi delle garanzie apprestate dall’art. 25, co. 2, Cost. L’argomento a supporto di tale tesi è che vi sarebbe sempre uno stretto rapporto sotto il profilo logicostrutturale tra reato “a monte” e successivo impiego dei proventi: «la messa a reddito dei proventi è il verosimile e frequente risultato avuto di mira con la commissione del reato “a monte”»41. Sarebbe stato lo stesso legislatore con l’autoriciclaggio a cristallizzare il rapporto, a prendere in considerazione il legame strumentale tra la commissione del reato produttivo di utilità economicamente rilevanti e la condotta di impiego di tali risorse. Il delitto di autoriciclaggio determinerebbe in ultima istanza anche una più approfondita tutela dei beni a cui mira la previsione del reato presupposto42.
L’argomento di fondo che sembra trasparire da questa analisi è che la norma sull’autoriciclaggio finirebbe con l’incriminare di più anche il comportamento vietato dal “reato a monte”, che parteciperebbe appieno del disvalore del nuovo delitto. Non ci pare però che le cose stiano così. Intanto l’autoriciclaggio non si traduce in un’automatica duplicazione sanzionatoria: la norma non punisce ogni utilizzo dei proventi ma solo le condotte di impiego in una delle attività indicate. Permane invero, come abbiamo prima evidenziato, un problematico residuo legame con il delitto presupposto; ma non pare che tale legame possa ritenersi così decisivo nel disvalore complessivo del fatto: l’unico comportamento non vietato prima della modifica normativa era quello dell’impiego da parte dell’autore del delitto presupposto dei relativi proventi; l’altro comportamento, quello integrante il delitto presupposto, era già qualificato come reato dalla legge preesistente, sicché rispetto a esso il soggetto aveva tutte le possibilità di orientare conseguentemente il proprio comportamento, nonché di prevedere la possibilità di applicazione di una pena. Non ci sembra, dunque, che l’agente possa reclamare una sorta di aspettativa a non essere perseguito dall’ordinamento per successive condotte di sfruttamento dei proventi del delitto commesso.
1 V. Relazione e proposte normative avanzate rispettivamente: dal Gruppo di Studio sull’autoriciclaggio, istituito con d.m. del 23.4.2013 dal Ministro della giustizia Severino e presieduto dal dott. Francesco Greco (v. www.giustizia.it); dalla Commissione per l’elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità organizzata, istituita con decreto del 7.6.2013 dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta e presieduta dal dott. Roberto Garofoli (v. www.governo.it); dalla Commissione ministeriale incaricata di elaborare una proposta di interventi in materia di criminalità organizzata, istituita con d.m. del 10.6.2013 dal Ministro della giustizia Cancellieri e presieduta dal Prof. Giovanni Fiandaca.
2 Su cui v., per tutti, Pecorella, G., Denaro (Sostituzione di), in Dig. pen., III, Torino, 1989, 366 ss.
3 Per una ricostruzione dell’evoluzione normativa del riciclaggio si rinvia, tra i tanti, a Zanchetti, M., Riciclaggio, in Dig. pen., XII, Torino, 1997, 204 s.; Angelini, M., Riciclaggio, in Dig. pen., Aggiornamento, II, NZ, Torino, 2006, 1392 ss.; Manes, V., Riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, in Diz. dir. pubbl. Cassese, vol. V, Milano, 2006, 5229 s.
4 Il riferimento è alla Convenzione del Consiglio d’Europa di Strasburgo del 1999 e a quella ONU di Merida del 2003.
5 Su cui v., oltre agli autori citati nella nota precedente, Arnone, M., Programmi internazionali antiriciclaggio: supervisione globale e situazione italiana, in Riciclaggio e imprese,a cura di M. Arnone e S. Giavazzi, Milano, 2011, 19 ss.
6 Un’efficace sottolineatura di questo aspetto in Giunta, F., Elementi costitutivi del riciclaggio. I rapporti con il D.Lgs. 231/07. Le prospettive di riforma, in Riciclaggio e imprese, cit., 85.
7 Nella vasta letteratura sul punto si vedano Pagliaro, A., Principi di diritto penale, pt. spec., vol. III, Delitti contro il patrimonio, Milano, 2003, 501; Mantovani, F., Diritto penale, pt. spec., vol. II, Delitti contro il patrimonio, IV ed., Padova, 2012, 273. Riconoscono il carattere plurioffensivo del reato ma ravvisando nel riciclaggio una rilevanza in primo piano dell’amministrazione della giustizia, tra gli altri, Zanchetti, M., Riciclaggio, cit., 205; Manes, V., Il riciclaggio dei proventi illeciti: teoria e prassi dell’intervento penale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 59. Di «un’ampia gamma di beni giuridici, che convergono nel massimo comun denominatore dell’amministrazione della giustizia» parlano Castaldo, A. Naddeo, M., Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Padova, 2010, 79. Individua il bene dell’amministrazione della giustizia quale bene strumentale, in una logica di “seriazione dei beni”, rispetto ai beni finali, ordine economico e ordine pubblico, Manna, A., Il bene giuridico tutelato nei delitti di riciclaggio e reimpiego: dal patrimonio, all’amministrazione della giustizia, sino all’ordine pubblico ed all’ordine economico, in Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione mobiliare, a cura di A. Manna, Torino, 2000, 59. Pone maggiormente l’accento, quali oggetti di tutela, sui beni dell’ordine pubblico e dell’ordine economico Flick, G., Riciclaggio, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 2. Per una riaffermazione invece della dimensione patrimoniale di tutela del riciclaggio, nell’ambito però di una ricostruzione del bene patrimonio secondo una concezione dinamica, sotto il profilo della perpetuazione di una situazione antigiuridica del patrimonio nonché del pregiudizio alla libera iniziativa v. Moccia, S., Impiego di capitali illeciti e riciclaggio: la risposta del sistema penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 740.
8 Così Zanchetti, M., Riciclaggio, cit., 206 che, a differenza del riciclaggio, vede qui come bene tutelato in primo piano il risparmio-investimento.
9 In questa prospettiva si muove Morgante, G., Riflessioni su taluni profili problematici dei rapporti tra fattispecie aventi ad oggetto operazioni su denaro o beni di provenienza illecita, in Cass. pen., 1998, 2513 ss. Nella medesima direzione sembrerebbe orientarsi Dell’Osso, A.M., Riciclaggio e concorso nel reato presupposto: difficoltà di inquadramento dogmatico ed esigenze di intervento legislativo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1278 ss. e 1290 s. Questo è altresì l’approccio della Commissione Greco nel formulare la propria proposta di modifica. Per un deciso superamento del cd. privilegio di autoriciclaggio si esprime altresì Faiella, S., Riciclaggio, Postilla di aggiornamento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2009, 2, ma in un’ottica legata alla dimensione del riciclaggio quale reato lesivo (anzitutto) dell’amministrazione della giustizia. Parrebbe essere in certa misura questa la logica alla base delle ipotesi di modifica della normativa avanzate dalle Commissioni Fiandaca e Garofoli.
10 Il riferimento è all’art. 6 lett. b) della Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre del 2000 in materia di riciclaggio, identificazione, sequestro e confisca dei proventi da reato: «it may be provided that the offences set forth in that paragraph do not apply to the person who committed the predicate offence». Una clausola di tenore analogo è prevista anche nella Convenzione ONU di Merida in materia di corruzione – v. art. 23, co. 2 lett. e).
11 V. i richiami contenuti nella relazione del Gruppo di lavoro Greco (§ 3.1), nonché, nell’ambito dei lavori del gruppo, l’audizione dell’Avv. Bonucci dell’OCSE in data 24 gennaio 2013. A questo riguardo può essere interessante rilevare come nella relazione di monitoraggio sull’Italia recentemente presentata (ottobre 2015), nell’ambito del meccanismo di peer review previsto dalle Convenzione ONU di Merida, uno dei rilievi, con relativa raccomandazione, si appunti sulla mancanza (al tempo) di una previsione che punisse l’autoriciclaggio (v. p. 51 della relazione).
12 Per un commento v. Balsamo, A. Lucchini, L., La risoluzione del 25 ottobre 2011 del parlamento europeo: un nuovo approccio al fenomeno della criminalità organizzata, in www.penalecontemporaneo.it, 26.1.2012.
13 V. Direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20.5.2015.
14 Per una compiuta illustrazione dei contenuti della decisione v. Galluccio, A., Le Sezioni Unite sui rapporti tra riciclaggio, illecito reimpiego e associazione di tipo mafioso, in www.penalecontemporaneo.it, 17.9.2014.
15 V., tra i numerosi, Castaldo, A.Naddeo, M., Il denaro sporco, cit., 92 ss.; Seminara, S., I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e prospettive di riforma, in Dir. pen. e processo, 2005, 236; Manes, V., Il riciclaggio dei proventi, cit., 75 ss.; Paliero, C.E., Il riciclaggio nel contesto societario, in Riciclaggio, cit., 92. Nel senso di sottolineare l’opportunità di mantenere la clausola di riserva v. Pagliaro, A., Principi, cit., 503 nonché, in prospettiva de iure condendo, con specifico riferimento all’art. 648 ter c.p., Moccia, S., Impiego, cit., 746.
16 Seminara, S., op. loc. ult. cit. Accenni in questo senso anche in Bricchetti, R., Riciclaggio e autoriciclaggio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 687. Riferimenti pure in Castaldo, A.Naddeo, M., op. cit., nonché in Manes, V., op. ult. cit., ma con una espressa preferenza per soluzioni diverse da quella dell’incriminazione dell’autoriciclaggio (rispettivamente contrastando l’impiego della ricchezza illecita da parte dell’autore con sequestro e confisca, p. 94; ovvero agendo sui meccanismi preventivi sul versante della responsabilità degli enti, al tempo in cui scrive l’Autore non prevista per i delitti di riciclaggio, p. 75 ss.). Sul punto v. anche Giunta, F., Elementi, cit., 85 s., che sottolineava come la clausola di riserva di cui all’art. 648 bis c.p. costituisse «il principale argine all’applicazione indifferenziata» del riciclaggio.
17 Su questa soluzione convergevano il Gruppo di lavoro Greco, nonché le Commissioni Fiandaca e Garofoli.
18 Per una critica particolarmente severa nell’immediatezza dell’approvazione della norma, v. Sgubbi, F., Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, in Dir. pen. cont., 2015, fasc. 1, 137 ss. Toni nel complesso critici in Cavallini, S.Troyer, L., Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, ivi, 95 ss.; Dell’Osso, A.M., Il reato di autoriciclaggio: la politica criminale cede il passo a esigenze mediatiche e investigative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 796 ss. Muove alcuni rilievi alla norma ma nel quadro di un giudizio nel suo insieme positivo, Mucciarelli, F., Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. cont., 2015, fasc. 1, 108 ss.
19 Giustamente sottolinea Dell’Osso, A.M., Il reato di autoriciclaggio, cit., 810, come si sarebbe dovuta abbandonare questa prospettiva. L’A. fa l’esempio di un’operazione di laundering su proventi milionari di un’infedeltà patrimoniale rispetto a un’omologa attività relativa al profitto di un’estorsione di qualche migliaio di euro.
20 Condivisibili sul punto le osservazioni di Dell’Osso, A.M., op. cit., 803 ss.
21 In questi termini ancora Dell’Osso, A.M., op. cit., 808.
22 Sembrerebbero orientarsi in questa direzione D’Avirro, A.Giglioli, M., Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. pen. e processo, 2015, 139 s., nonché Cavallini, S. Troyer, L., Apocalittici, cit., 101.
23 V. Sgubbi, F., Il nuovo delitto, cit., 141.
24 Mette bene in evidenza questo profilo Manes, V., Il riciclaggio dei proventi, cit., 64 ss.
25 Il richiamo è qui all’esperienza del 12 quinquies, co. 2, d.l. n. 306/1992. Sottolinea questi rischi Bricchetti, R., Riciclaggio, cit., 687.
26 V. Giunta, F., Elementi costitutivi, cit., 87, il quale, a proposito dell’inclusione a opera della giurisprudenza nel novero dei delitti presupposto dell’associazione di stampo mafioso, si domandava se ciò non favorisse presunzioni di provenienza illecita, «nel senso di considerare proveniente da reato anche l’attività imprenditoriale svolta dall’associazione mafiosa ma senza il metodo dell’intimidazione».
27 Il riferimento è al § 261 del codice penale tedesco.
28 Su questi profili v. infra n. 3.
29 V. Cass., S.U., 26.01.2009, n. 12433, Nocera.
30 V. Magri, P., Art. 648 bis c.p., in Codice penale commentato, a cura di E. Dolcini e G. Marinucci, Milano, 2011, 6583.
31 Cavallini, S.Troyer, L., Apocalittici, cit., 100.
32 Condivisile il rilievo di Dell’Osso, A.M., Il reato di autoriciclaggio, cit., 811.
33 V., per tutti, Seminara, S., I soggetti, cit., 236, anche per le relative esemplificazioni.
34 V. Marinucci, G.Dolcini, E., Manuale di diritto penale, pt. gen., V ed., Milano, 2015, 465 s., nonché sia consentito rinviare a Gullo, A, Il reato proprio, Milano, 2005, 298.
35 V. Grasso, G., Art. 117 c.p., in Romano, M. Grasso, G., Commentario sistematico del codice penale, Milano, IV ed., 2012, 269 s.; Pelissero, M., Il concorso nel reato proprio, Milano, 2004, 274 ss. e, per le conclusioni, 281.
36 V. p. 8 della relazione della Commissione Fiandaca. Analogo richiamo in Fiandaca, G.Musco, E., Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo II, Delitti contro il patrimonio, VII ed., 2015, 276 s.
37 Per una ricostruzione unitaria del fondamento del reato proprio, con i relativi riflessi sul piano delle scelte legislative, sia consentito rinviare a Gullo, A., Il reato proprio, cit., 48 ss. Un approccio analogo, anche se con esiti in parte diversi, in Demuro, G.P., Il bene giuridico proprio quale contenuto dei reati a soggettività ristretta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 871 ss. Una impostazione differente, basata su una scomposizione della categoria del reato proprio, in Pelissero, M., Il concorso, cit., 186 ss.
38 V. Rossi, A., Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del D.Lgs. 231 del 2001 ed aturociclaggio: criticità, incertezze, illazioni ed azzardi esegetici, in Dir. pen. cont., 2015, fasc. 1, 134; Circolare n. 19867 del 15.6.2015 di Confindustria.
39 V. Cass. pen., sez. VI, 20.12.2013, n. 3635.
40 Brunelli, D., Autoriciclaggio e divieto di retroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in Dir. pen. cont., 2015, fasc. 1, 93.
41 Brunelli, D., Autoriciclaggio, cit., 92.
42 Brunelli, D., op. cit., 91.