Autorita indipendenti. Potere delle Autorita di impugnare gli atti della Pubblica Amministrazione
L’art. 36 d.l. 24.1.2012, n. 1, modificando l’art. 37 d.l. 6.12.2011, n. 201, ha attribuito alla neo istituita Autorità di regolazione dei trasporti la legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale. Si tratta di previsione non nuova, atteso che già nel 2011 era stata attribuita all’Antitrust la legittimazione «ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato». È in ogni caso una novità destinata inevitabilmente ad incidere su taluni capisaldi del processo amministrativo e costringe a mettere in discussione alcune consolidate certezze.
Nei primi mesi del 2012 il tema delle Autorità indipendenti ha registrato significative novità di ordine normativo e giurisprudenziale. È stata istituita l’Autorità di regolazione dei trasporti, alla quale l’art. 36 d.l. 24.1.2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), conv. in l. 24.3.2012, n. 27, modificando l’art. 37, d.l. 6.12.2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), conv. in l. 22.12.2011, n. 214, ha attribuito, seppure in alcune ipotesi espressamente individuate, la legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale.
L’art. 36 d.l. n. 1/2012 ha attribuito alla neo istituita Autorità di regolazione dei trasporti la legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale. In particolare, l’art. 37, co. 2, lett. n), d.l. n. 201/2011 prevede che «con riferimento alla disciplina di cui alla lett. m), l’Autorità può ricorrere al Tribunale amministrativo regionale del Lazio». La richiamata lett. m) riguarda il servizio taxi e demanda a comuni e regioni una serie di interventi finalizzati a «garantire il diritto di mobilità degli utenti», verificando livelli di offerta del servizio, tariffe e qualità delle prestazioni, e sui quali si prevede il parere dell’Autorità: parere in senso proprio, in quanto preventivo ed obbligatorio e dal quale sarà possibile discostarsi con idonea motivazione. Nulla dice la legge circa i profili processuali, salvo che per il giudice competente, con conseguente applicabilità delle regole generali. In effetti, un’analoga legittimazione a ricorrere, difficilmente riconducibile al modello tradizionale, e con rilevanti differenze rispetto all’art. 37 d.l. n. 201/2011, è stata attribuita all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (cd. Autorità antitrust). Questa è legittimata «ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato». Così dispone l’art. 21 bis, l. 10.10.1990, n. 287, aggiunto dall’art. 35, co. 1, d.l. 6.12.2011, n. 201, conv. in l. 22.12.2011, n. 214. Il successivo co. 2 prevede che l’Autorità, a fronte di atti che ritenga contrari alle norme sulla concorrenza, emette un «parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate». L’Autorità sollecita così l’esercizio del potere di autotutela, inducendo l’amministrazione a conformarsi al predetto parere. Se nei sessanta giorni successivi l’amministrazione non si conforma al parere, l’Autorità può presentare il ricorso.
La disposizione in esame è assai sintetica e dà luogo a questioni largamente opinabili. Ma appare assai difficile postulare che la legittimazione a ricorrere dell’Autorità antitrust si giustifichi richiamando i tradizionali parametri della titolarità di un interesse legittimo e dell’interesse personale, concreto ed attuale, a rimuovere una lesione di quella situazione soggettiva.
Problemi e perplessità derivano dalla legittimazione ad impugnare gli atti delle amministrazioni pubbliche, attribuita all’Autorità antitrust (e, successivamente, all’Autorità dei trasporti).
Quanto ai poteri attribuiti all’Autorità della concorrenza, l’art. 21 bis l. n. 287/1990 ha previsto che l’Antitrust possa impugnare gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. Il riferimento all’impugnazione degli atti delle «amministrazioni pubbliche» fa ritenere che la norma, in quanto eccezionale, non si applica alle imprese pubbliche e agli organismi di diritto pubblico che, pur essendo equiparabili alle p.a. ad alcuni fini, non sono identificabili con le medesime. Giova poi rilevare che il testo dell’art. 21 bis sembra condizionare il ricorso dell’Autorità alla previa emissione di un «parere motivato» ed al successivo comportamento inerte dell’amministrazione. In realtà, pare trattarsi di una diffida ad esercitare la potestà di autotutela che, eliminando i vizi rilevati dall’Autorità antitrust, renderebbe inutile, perché ormai privo di oggetto, il ricorso al giudice amministrativo. Ma, almeno con riguardo agli atti di natura regolamentare, vi è da chiedersi se la p.a. abbia soltanto il potere di abrogare l’atto normativo (il che però non elimina la situazione di illegittimità determinatasi per tutto il periodo di vigenza) o se, invece, sia ammissibile l’annullamento, con il conseguente effetto ex tunc: se si dovesse aderire alla prima alternativa il ricorso giurisdizionale resterebbe necessario proprio per conseguire un effetto di completa rimozione non ottenibile in autotutela. Dal testo della disposizione non si ricava se la p.a., qualora non condivida il «parere motivato» dell’Autorità antitrust, debba limitarsi a non provvedere ed attendere che l’Autorità proponga il ricorso. Il predetto «parere» è in realtà qualcosa di diverso: non è l’atto interno ad una serie procedimentale il cui atto conclusivo sia successivamente impugnabile, e sembra quindi difficile negare che la p.a. possa impugnarlo, essendo questa volta ben evidente il suo interesse a rimuovere un atto lesivo e non valendo, in contrario, richiamare la non impugnabilità ex se dei pareri, proprio perché in questo caso non vi sarebbe un atto successivo impugnabile.
Altre perplessità sono state sollevate da chi1 ha chiarito che è proprio la natura e la funzione attribuita all’Autorità che porta ad escludere la possibilità che un’agenzia di regolamentazione in un determinato settore economico possa assurgere a titolare di una pubblica funzione giurisdizionale, da taluni paragonata a quella del p.m. nel processo penale. L’Autorità antitrust diventerebbe infatti titolare di un “interesse” al rispetto delle norme a tutela della concorrenza, da far valere in giudizio per rimuovere gli atti delle p.a. lesivi di quell’interesse. Si è anche osservato2 che la novella introdotta nel 2012 si potrebbe porre in contrasto con l’art. 103 Cost., secondo il quale la giurisdizione amministrativa è funzionale alla tutela di situazioni soggettive individuali e non di interessi generali, per quanto essi siano di contenuto delimitato ad un particolare settore. Aggiungasi che verrebbe attribuito un ruolo di “pubblica accusa” ad un’amministrazione che, per definizione, è inserita nel sistema amministrativo, pur con le sue peculiarità di indipendenza e di specialità d’ordine tecnico, ed i cui provvedimenti sono sottoposti anch’essi al controllo del giudice amministrativo. Infine, problemi potrebbero sorgere tutte le volte in cui la competenza dell’Antitrust interferisce con quella dell’Autorità sui contratti pubblici. Al riguardo sorge il dubbio se l’impugnazione prevista dall’art. 35, d.l. n. 201/2011 possa avere ad oggetto anche delibere adottate da altre Autorità. Il riferimento, contenuto nella norma, alle «Pubbliche amministrazioni» porterebbe a dare risposta negativa al quesito, sebbene in alcuni casi le Autorità indipendenti sono state latamente fatte rientrare in tale classificazione. Basti pensare all’art. 1, co. 3, l. 31.12. 2009, n. 196, che ha equiparato le Autority alle «amministrazioni pubbliche» ai fini del controllo sulla finanza pubblica. In conclusione, se è forse prematuro affermare un radicale mutamento del giudizio amministrativo, che andrebbe trasformandosi in giurisdizione di «diritto oggettivo», certo è, però, che sarebbe assai difficile immaginare – se non ricorrendo ad una manifesta finzione – che l’Autorità antitrust sia titolare di un «interesse» al rispetto delle norme sulla tutela della concorrenza e che lo faccia valere in giudizio per rimuovere gli atti delle pubbliche amministrazioni lesivi di quell’interesse3.
1 Cintioli, F., Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in www.giustamm.it, 30.1.2012.
2 Quinto, P., L’interesse legittimo «anfibio» nell’Europa del diritto, in www.giustamm.it; Cintioli, F., op. cit.
3 Sulle questioni trattate nel testo può farsi utile richiamo a Arena, G., Atti amministrativi e restrizioni della concorrenza: i nuovi poteri dell’Autorità antitrust italiana, in X Convegno Antitrust svoltosi a Treviso (18/19.5.2012); Cintioli, F., Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in www.federalismi.it; Sandulli, M.A., Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art. 21 bis l. 287 del 1990, in www.federalismi.it; Tonetti, A., L’Autorità di regolazione dei trasporti, in Giorn. dir. amm., 2012, 589 ss.