autorità (autoritade)
Il termine deriva dal latino auctoritas (presenti, tra le altre, nel latino medievale le forme actoritas, autoritas, authoritas) e in D. compare nella forma prevalente ‛ autoritade ', e ‛ autorità ' (auctoritas, autoritas nelle opere latine, per cui vedi AUTORE).
La nozione di auctoritas (v. J. Hellegouarc'h, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la Republique, Parigi 1963, 295-314, 330-335, con ampia bibliografia) squisitamente romana, appartiene al patrimonio arcaico del linguaggio giuridico e religioso latino (assieme ad augere, auctor, augur, augustus), e appunto da augere deriva il suo significato fondamentale di " accrescimento ", " integrazione ". In senso stretto l'auctoritas è l'azione dell'auctor, di colui qui auget, che - giuridicamente - in qualche modo ‛ accresce ', integrandola e perfezionandola, l'insufficiente personalità o rappresentatività di un altro. L'auctor è colui su cui poggia tutto intero l'atto che si compie sotto i suoi auspici, di cui egli è a un tempo fondamento e garanzia (Dig. XXVI 8 3 " valet auctoritas eius [tutoris] cum se probare dicit id quod agitur: hic enim auctorem fieri "). L'esse auctor si configura quindi come il farsi garante e l'auctoritas come garanzia. Essa comunque presupponeva un rapporto di patronus a cliens, fondato su una superiorità materiale del primo in grado di dare fondamento all'auctoritas. Sia nel diritto pubblico che privato l'a, denota un intervento integrativo e probativo: l'auctoritas tutoris è la garanzia e approvazione del tutore agli atti del pupillo, l'auctoritas venditoris è la garanzia che dà il venditore dell'autenticità della vendita, l'auctoritas patrum e senatus è il consenso dei patres o del senatus che completa e sanziona la decisione popolare secondo un rapporto di tutore a pupillo.
Un elemento essenziale dell'auctoritas è quindi la garanzia, la fides (" ad fidem... faciendam auctoritas quaeritur ", afferma Cicerone Top. 73) con tutto ciò che essa implica. L'auctoritas del testimonio, ad esempio, è quella che ‛ garantisce ' l'autenticità delle affermazioni di colui di cui si fa mallevadore (così pure le auctoritates sono i documenti scritti presentati al tribunale a titolo testimoniale). Analogamente auctor designa colui che è ‛ all'origine ' di una nuova, di un'informazione, a fondamento della quale porta in qualche modo la cauzione della propria fides, della propria garanzia, a un tempo frutto e ragione della sua autorità.
L'analisi più matura dell'auctoritas, individuata nei suoi elementi, troviamo in Cicerone (Top. 73, 78): " Haec ergo argumentatio [fondata sull'a.], quae dicitur artis expers, in testimonio posita est. Testimonium autem nunc dicimus omne quod ab aliqua re externa sumitur ad faciendam fidem. Persona autem non qualiscumque est testimoni pondus habet; ad fidem enim faciendam auctoritas quaeritur; sed auctoritatem aut natura aut tempus adfert. Naturae auctoritas in virtute inest maxima; in tempore autem multa sunt quae adferant auctoritatem: ingenium opes aetas fortuna ars usus necessitas, concursio etiam non numquam rerum fortuitarum. Nam et ingeniosos et opulentos et aetatis spatio probatos dignos quibus credatur putant... In homine virtutis opinio valet plurimum. Opinio est autem non modo eos virtutem habere qui habeant, sed eos etiam qui habere videantur. Itaque quos ingenio, quos studio, quos doctrina praeditos vident quorumque vitam constantem et probatam, ut Catonis Laeli Scipionis aliorumque plurium, rentur eos esse qualis se ipsi velint; nec solum eos censent esse talis qui in honoribus populi reque publica versantur, sed et oratores et philosophos et poetas et historicos, ex quorum et dictis et scriptis saepe auctoritas petitur ad faciendam fidem ".
Se l'a. dunque, sul piano politico, si configura come capacità di un personaggio di esercitare una funzione dirigente, un'influenza non legata immediatamente al potere da lui esercitato, ma agli elementi che giustificano il seguire e il cedere a esso, su quello culturale essa denota il potere di convinzione, di persuasione, di un filosofo, un poeta, uno storico, un oratore (i connotati fortemente personali dell'auctoritas rendevano molto stretti i legami tra a. e capacità oratoria) giustificato dalla fides loro attribuita, dalla superiorità e dall'ascendente esercitato. Gravitas, dignitas, nobilitas son tutti elementi che rientrano nella auctoritas dell'uomo politico o di dottrina latino, per renderlo un modello degno di emulazione.
L'auctoritas, e fu suo tratto costante, diviene un requisito essenziale al formarsi della tradizione; essa, applicata a cose o avvenimenti, assume il significato di " precedente " (ad es. l'auctoritas exemplorum) e, quanto alle persone, acquista il valore di esempio e modello di comportamento (l'auctoritas maiorum corrisponde al mos maiorum, a quell'insieme di ‛ precedenti validi ' che fanno autorità).
Tale nozione di ‛ priorità ' morale e temporale, di dignità e ‛ originalità ' (e quindi di ‛ esemplarità ') soggiace a tutti gli usi medievali di auctoritas (v. J. de Ghellinck, Le mouvement théologique du XIIe siècle, Parigi-Bruges 19482, 434-437, 453-455, 472-499, 511-512; id., Patristique et argument de tradition, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Münster 1935, 1420-421; M.-D. Chenu, La théologie au douzième siècle, Parigi 19662, 351-365; A.M. Macdonald, Autority and Reason in the early Middle Ages, Oxford 1933). Il termine sia nel suo stretto senso giuridico sia in quello più ampio di dignità, designa il credito, la considerazione di cui è meritevole un magistrato, uno scrittore, un testimone, ecc. Poi, per metonimia, passa a indicare il personaggio stesso che possiede tale qualità (così apostolica, romana, pastoralis auctoritas designa il pontefice, e regalis, principalis, imperialis, imperatoria auctoritas designa i re e l'imperatore; cfr. Ep XI 9 e 24; Mn III III 14, IV 1, VII 5 e 7) e poi, ancora, gli atti di cui egli è ‛ autore ' e in cui viene espressa la sua volontà o il suo pensiero. Delle auctoritates sono anzitutto i documenti ufficiali (diplomi, rescritti del principe o lettere papali; cfr. espressioni come " ut haec auctoritas [= diploma] firmior habiatur, manus nostri subscriptionibus eam supter decrevimus roborare ", " quod... ipse [papa] ...decreti sui auctoritate [= epistola] ...roboravit ", " sicut et auctoritas papae... continet ", dove è presente l'idea della firmitas e del robur connessi all'a.) che derivando direttamente da un'a. laica o religiosa sono documenti ‛ autentici ' e non exempla (Cod. Just. I 23 3 " Authentica ipsa atque originalia rescripta et nostra manu subscripta, non exempla eorum "; Gregorio Magno Epist. 9 46 " Ipsas faciemus authenticas [in opp. exemplaria] "). In tal modo auctoritas finisce col designare il testo in quanto tale. L'auctoritas di un padre della Chiesa, di un filosofo o di un poeta (auctoritas Augustini, Aristotilis, Ovidii) non designa più la sua dignità ed efficacia personale recata a garanzia del suo testo, ma il testo stesso che possiede di per sé l'a. trasmessagli dall'autore (cfr. per quest'uso Mn II V 7 Ciceronis autoritas in secundis Offitiis, II 7, IV 2, VE I IX 11, Ep III 7).Già nell'alto Medioevo circolano compilazioni di sentenze patristiche, di auctoritates. Col formarsi della tradizione nei vari ambiti dottrinali l'auctoritas viene invocata a esercitare la propria a. all'interno di un'argomentazione, come ‛ fonte originale '.
Maestri, teologi, canonisti tendono alla costituzione di un patrimonio di auctoritates, secondo regole sempre più elaborate (da ricordare la formula assai diffusa, attribuita a Isidoro [Epist. IV Patrol. Lat. 83, 901 D]: " illius [decreti] teneatur sententia cuius antiquior aut potior exstat auctoritas ", ove appare evidente il fondamento dell'a. nella priorità temporale e (o) di grado; potior nella ‛ potenza ', nella ‛ dignità ', e perciò nella ‛ preferibilità '). In pari tempo viene formandosi un corpo di autori che o l'uso o la consacrazione ufficiale ha ‛ autorizzato ', cioè riconosciuto come authentici o canonici doctores, e le cui sentenze robur auctoritatis habent e possono quindi essere invocate a fare a. in un'argomentazione teologica. Ciò richiedeva da un lato la formulazione di criteri di classificazione di autori e scritture autentiche (prima fra tutte la divina auctoritas, la Bibbia) per l'assetto esteriore dell'edificio dottrinale (cfr. ad es. il Decretum de libris recipiendis et non recipiendis, attribuito a papa Gelasio, o il De Libris authenticis quod recipit Ecclesia di Ivo di Chartres o, ancora, il Didascalion IV 1-2, 14 di Ugo di s. Vittore); dall'altro, un organico assetto interno dei contenuti della fede mediante un metodo che di fronte alla disparità, alle contraddizioni, alla ‛ flessibilità ' delle varie auctoritates (" Sed quia auctoritas cereus nasum habet, id est in diversum potest flecti sensum, rationibus roborandum est ", protesta Alano di Lilla [De Fide catholica I 30, Patrol. Lat. 210, 333 A]) giungesse a una conveniente armonizzazione e stabilizzazione delle diverse testimonianze (e un punto d'arrivo sarà il Sic et Non di Abelardo). Una più corretta legittimazione dell'a. suscitava infine il problema del valore o meno dell'autenticità, cioè del diritto a essere riconosciuta come authentica, di una auctoritas ormai separata dal suo contesto originale, dispersa nei florilegia e corrotta dalle glossae.
Gran parte degli elementi ora considerati rientrano in una definizione di a. cui fa esplicito riferimento D., quella cioè delle Derivationes di Uguccione da Pisa: " Augeo-es auxi auctum verbum activum, amplifiare, augmentum dare. Inde hic auctor, id est augmentator, et debet scribi per u et c. Quando vero significat autentin, id est autoritatem, est communis generis et debet scribi sine c, ut hic et haec autor, et derivatur ab autentin. Item invenitur quoddam verbum defectivum, scilicet auieo -es, id est ligo -as. Et inde auitor, id est ligator, similiter communis generis et sine c. Secundum primam significationem imperatores proprie debent dici auctores ab augendo rem publicam. Secundum secundam significationem philosophi et inventores artium, ut Plato Aristoteles et Priscianus, et quilibet magnae autoritatis debent dici autores. Secundum terciam Virgilius et Lucanus et ceteri poetae debent dici auitores, qui ligaverunt carmina sua pedibus et metris. Et ab autor, quod significat autentin, derivatur haec autoritas, id est sententia digna imitatione, et autenticus -a -um et hic et haec autorizabilis et hoc -le, quod fit autoritate sapientis vel sapientium, homo autenticus vel autorizabilis, huius autoritatis videlicet cui credi debet. Dicitur etiam autenticus, id est nobilis, et autorizo -as et autoro -as in eodem sensu, id est affirmo, autenticum facio; unde verbale et est activi generis. Et ab autenticus haec autentica, quidam liber legalis sic dictus quia in eo continentur autentica dicta... Item ab augeo Augustus, quilibet romanus imperator, ab augendo imperium; unde onomastice Octavianus dictus est Augustus, quia super alios omnes auxit romanum imperium ".
In Cv IV III-VI, D. discute il concetto di a. e affronta la definizione dell'a. imperiale (l'imperialis auctoritas dei medievali) e filosofica. L'intenzione di D. è di trovare la radice e il fondamento de la imperiale autoritade (IV III 10) ovvero (IV 1) de la imperiale maiestade. L'alternanza a.-maiestade (corrispondente alla latina auctoritas-maiestas) pone in rilievo due elementi strettamente congiunti con la figura dell'imperatore: quello dell'a. che implica l'esercizio di un potere (potestas, imperium) che agisce direttamente sul consorzio umano (" imperatores... auctores ab augendo rem publicam ", dice Uguccione), e quello della maiestade che si traduce in una nozione statica di sacertà e superiorità (che riassume e potenzia i connotati morali dell'a.). L'a. imperiale si giustifica come superiore volontà integratrice e regolatrice (alla felicità nullo per sé è sufficiente a venire santa l'aiutorio d'alcuno, IV IV 1; quando più cose ad uno fine sono ordinate, una di quelle conviene essere regolante, o vero reggente, e tutte l'altre rette e regolate, § 5; a perfezione de l'umana vita la imperiale autoritade fu trovata, e che ella è regolatrice e rettrice di tutte le nostre operazioni, giustamente, IX 1) e quindi perfezionatrice delle altre ad essa naturalmente sottomesse (a perfezione de la universale religione de la umana spezie conviene essere uno, quasi nocchiero, IV 6). Sicché l'Imperio basta di per sé a esprimere, sanza nulla addizione, la necessità d'essere di tutti li altri comandamenti comandamento, e l'imperatore, la cui parola è legge, per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade [l'auctoritas rive virtus Imperii (Mn III XII 4) che sostiene il mandato imperiale]. E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade essere altissima ne l'umana compagnia (§ 7). Ciò che la ragione naturale ha riconosciuto come necessità dell'officio d'imperio non basta a giustificare l'autoritade de lo romano principe come ragionevolemente somma (§ 8). Il crudo dato della potenzia di Roma esercitata di fatto, cioè di una potestas non fondata sulla ragione o sul consenso che la legittima, ma acquistata per forza, che a la ragione pare esser contraria, non potrebbe rendere l'a. imperiale una potestas perfetta e assoluta. Perciò lo sforzo di D. di ritrovare nella storia di Roma i segni provvidenziali della volontà e del consiglio di Dio, sommo e verace autore (Pd XXVI 40), fonte originale e garanzia dell'a. imperiale (e così non forza, ma ragione, [e] ancora divina, [conviene] essere stata principio del romano imperio, Cv IV IV 12; cfr. tutto il cap. V e Mn II X). Fondamento razionale e origine divina danno dunque il sommo vigore all'imperialis auctoritas.
Su una linea parallela corre la dimostrazione della ‛ altezza ' dell'autoritade filosofica impersonata da Aristotele (IV VI 1), per la quale D. parte dalla definizione di Uguccione. Egli riconduce l'a. alla dimensione personale, cioè all'auctor-autore che traduce la sua dignità e la sua fides negli atti della sua volontà e del suo pensiero. È dunque da sapere che ‛ autoritade ' non è altro che ‛ atto d'autore ' (§ 3); E così ‛ autore '... si prende per ogni persona degna d'essere creduta e obedita. E da questo viene questo vocabulo... cioè ‛ autoritade '; per che si può vedere che ‛ autoritade ' vale tanto quanto ‛ atto degno di fede e d'obedienza ' (§ 5). Ritroviamo qui gli elementi già notati della dignitas e della fides come essenziali all'a., che giustificano il cedere a essa in un rapporto di volontaria dipendenza e obbedienza. [Onde - prosegue D. secondo un'ottima integrazione - quand'io provi che Aristotile è degnissimo di fede e d'obedienza,] manifesto è che le sue parole sono somma e altissima autoritade; dove, se prima a. designava la dignità e credibilità dell'autore, passa, secondo i gradi prima descritti, a designare l'atto in cui essa si realizza e, infine, la ‛ parola ', la ‛ sentenza ', cioè l'auctoritas-testo. L'a. di Aristotele è provata con i requisiti stessi dell'auctor-artefice che, stando come l'architetto all'operaio (conformemente a Eth. nic. I 1 e Metaph. I 1 e al principio della subordinazione delle scienze, principio del cui errato uso D. rimprovera i suoi avversari in Mn III IV ss.), promuove, integra e perfeziona, nel pieno possesso della scienza, l'attività di chi naturalmente gli è sottomesso e a lui deve conformarsi e da lui derivare il fine ultimo (l'artefice... massimamente dee essere da tutti obedito e creduto, sì come colui che solo considera l'ultimo fine di tutti li altri fini, § 6). Manifestamente dunque Aristotele può esercitare pienamente il robur, il vigore della sua a.: è manifesto... che l'autoritade del filosofo sommo... sia piena di tutto vigore (§ 17; della grande autoritade di Aristotele che da sola basta ad affermare la veritade, D. parla in III V 7; cfr. anche Mn I V 3).
Tuttavia l'a, imperiale, che ha giurisdizione sulla volontà e l'operare umano (pertanto, oltre quanto le nostre operazioni si stendono tanto la maiestade imperiale ha giurisdizione, e fuori di quelli termini non si sciampia, Cv IV IX 1) e la filosofica, che ha giurisdizione sulla ragione, ciascuna pienamente indipendente nel proprio ordine, per essere efficaci hanno bisogno l'una dell'altra; l'a. filosofica, infatti, non repugna a la imperiale autoritade; ma quella sanza questa è pericolosa, e questa sanza quella è quasi debile, non per sé, ma per la disordinanza de la gente: sì che l'una con l'altra congiunta utilissime e pienissime sono d'ogni vigore (VI 17; l'espressionea. imperiale e filosofica ricorre ancora ai §§ 18 e 19). Senza l'a. del Filosofo l'a. imperiale rimarrebbe priva del suo fondamento, la ragione, sì che l'imperatore cavalcatore de l'umana voluntade (IX 10) non sarebbe in grado di condurla al suo fine naturale. Ma, senza l'a. dell'imperatore, quella del filosofo rimarrebbe debole non per sé, non perché priva dei suoi requisiti che la rendono a., ma perché la disordinanza de la gente, lo sviarsi del retto volere, ne renderebbe inefficace il comando. Da ciò la necessità dell'unione delle due a., secondo ragione e retto volere, per un reggimento buono e perfetto (IV VI 18-19).
Sull'origine e la natura dell'auctoritas Imperii ed Ecclesiae e sui loro rapporti D. torna ampiamente nella Monarchia (per l'intero problema v. CHIESA; IMPERO; PAPATO). Fonte e principio della universalis auctoritas è Dio (cfr. s. Tommaso Sum. theol. I 33 4 ad 1 " fontalitas et auctoritas nihil aliud significat in divinis, quam principium originis ") che è auctor in sommo grado (nota le espressioni " rerum auctor ", " omnipotens auctor ", " auctor et dator evangelii ", " auctor vitae et redditor " che designano l'onnivalente a. di Dio). Egli, in quanto causa prima e culmen totius entis, ha la virtus auctorizandi; quindi da lui discende sine ullo medio, immediate - in ciò una delle maggiori tesi della Monarchia - l'a. del monarca (patet quod auctoritas temporalis Monarchae sine ullo medio in ipsum de Fonte universalis auctoritatis descendit, III XV 15; cfr. anche § 16, e inoltre I II 3, III 15, XII 1).
Poteri assoluti e perfetti, l'imperiale e l'ecclesiastico sono ambedue investiti di a. da Dio, né l'uno può dipendere in a. dall'altro (auctoritatem Imperii ab Ecclesia minime dependere, III XIV 10, cfr. anche IV 1, 3 21-22, IX 1, X 2, 20, XII 1). Né il papa né l'imperatore, vicari divino e umano, hanno potere di trasmettere l'a., come tale, entro e fuori la loro giurisdizione; essi hanno a. in quanto all'uso e solo in quanto all'uso possono trasmetterla a ‛ ministri ' e ‛ vicari ' (nullus vicariatus, sive divinus sive humanus, aequivalere potest principali auctoritati, Mn III VII 4; cfr. inoltre § 5; Ep V 28; Auctoritas principalis non est principis nisi ad usum, quia nullus princeps se ipsum auctorizare potest, Mn III VII 7; e cfr. § 1 e VI 2): Dio, che è detentore della potestas auctoritatis, conferì ai suoi ministri un potere solo quanto al loro ministero (cfr. Alb. Magno Sacram. 57 " Deus contulit potestatem ministerii exterioris ministris; potestatem autem auctoritatis nec contulit nec conferre potuit "). Del resto, lo stesso valore ‛ causativo ' di auctoritas-auctorizare, spiega l'impossibilità di conferire a. sia a sé stesso (nullus princeps se ipsum auctorizare potest) che ad altri (auctoritatem Imperii ab auctoritate summi Pontificis non causari, III XV 1), in quanto manca quella capacità di causare che solo Dio, prima causa incausata, ha. L'auctorizare, come il ‛ causare ', comporta una priorità nell'esse nella virtus (cioè l'auctoritas) e nella operatio, il che non è per la Chiesa rispetto all'Impero (Sic ergo dico quod regnum temporale non recipit esse a spirituali, nec virtutem quae est eius auctoritas, nec etiam operationem simpliciter, III IV 20; Ecclesia non existente aut non virtuante, Imperium habuit totam suam virtutem: ergo Ecclesia non est causa virtutis Imperii et per consequens nec auctoritatis, cum idem sit virtus et auctoritas eius, XII 3 ss., e cap. XIII). In Mn III 111 D. delinea i gradi di priorità dell'auctoritas in materia di fede, secondo il succedersi di scritture ante Ecclesiam (la Bibbia), cum Ecclesia (concili e padri della Chiesa) e infine post Ecclesiam (il complesso delle tradizioni, le ‛ decretali ', che traggono valore dall'a. della Chiesa come istituzione, e dal pontefice: Post Ecclesiam vero sunt traditiones quas ‛ decretales ' dicunt: quae quidem etsi auctoritate apostolica sunt venerandae, fundamentali tamen Scripturae posponendas esse... necesse est ut non Ecclesiae a traditionibus, sed ab Ecclesia traditionibus accedat auctoritas... oportet enim, hanc veritatem venantes, ex hiis ex quibus Ecclesiae manat auctoritas investigando procedere, §§ 14, 16).
Da notare ancora che in Cv IV VIII, D. è tutto teso a provare la sua reverenza all'a. filosofica e imperiale, qual è richiesta dalla dignità dell'auctoritas, nonostante egli rifiuti delle opinioni confortate da essa (E prima mostrerò me non presummere [contra l'autorità del Filosofo; poi mostrerò me non presummere] contra la maiestade imperiale, VIII 5; e VII 1 veduto è quanto è da reverire l'autoritade imperiale e la filosofica, che paiono aiutare le proposte oppinioni). Varrà qui ricordare - sebbene l'ascendenza ciceroniana sia apertamente dichiarata - che l'exponere reverenter costituiva una vera tecnica di ‛ trattamento ' delle auctoritates secondo una docile e conveniente interpretazione che, rispettando la loro dignità, ne riduceva i contrasti.
Dei rapporti tra ratio e divina auctoritas (per metonimia, la Sacra Scrittura sulla cui auctoritas è fondata la fides: cfr. Mn III IV 9 da Agostino Doct. chr. I 37) D. parla in Pd XXVI 26 Per filosofici argomenti / e per autorità che quinci [da Dio] scende / cotale amor convien che in me si 'mprenti, e v. 47 Per intelletto umano / e per autoritadi a lui concorde / d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano (cfr. Mn II I 7-8, III X 3; Ep VI 3, XIII 53, 62). Accanto alla ragione naturale che argomenta secondo i principi della filosofia ed elabora la verità razionale, viene invocata l'a. scritturale ad arrecare ab extrinsecus l'appoggio della sua superiore testimonianza. Diversamente da chi vedeva nell'auctoritas una verità razionale già elaborata e affidata una volta per sempre a un testo (cfr. Onorio d'Autun Quaest. II 1, Patrol. Lat. 172, 1185 B " Nihil aliud est auctoritas quam per rationem probatam veritas; et quod auctoritas docet credendum, hoc ratio probat tenendum "; Alb. Magno Sent. III 23 19 4 " Nihil aliud est auctoritas quam rationis reperta veritas, ob posteritatis utilitatem scripto commendata ", ma v. Cael. hier. I 1), D. distingue i due piani e conserva all'a. il valore probativo sì, ma integrativo (per ratio-auctoritas v. ancora Mn I V 2; Ep III 5; in VE I IX 1 è detto che mancando alla ratio l'appoggio dell'auctoritas, quella allora oportet... periclitari). Dell'auctoritas come argomento tipico (argumentum ab auctoritate), come locus extrinsecus, estraneo cioè ai modi dell'argomentazione rigorosamente razionale, parlava Boezio commentando Cicerone: " Restat is locus quem extrinsecus dixit assumi, hic iudicio nititur et auctoritate, et totus probabilis est, nihil continens necessarium. Probabile autem est quod videtur vel omnibus, vel pluribus, vel doctis et sapientibus, et inter hos claris atque praestantibus, vel his qui secundum unamquamque artem peritiam consecuti sunt, ut medico in medicina, geometrae in geometria... Hic vero locus extrinsecus dicitur constitutus, quoniam non de his qui praedicativi vel subiecti sunt termini sumitur, sed ab extrinsecus posito iudicio venit; hic etiam inartificialis et artis expers vocatur, quoniam non sibi hinc ipse conficit argumentum orator, sed peractis positisque utitur testimoniis " (De Differentiis topicis III, cfr. Comm. in Top. VI, Patrol. Lat. 64, 1199C, 1168C - 1169D; dice Tommaso Sum. theol. I 1 8 ad 2 " licet locus ab auctoritate quae fundatur super ratione humana, sit infirmissimus; locus tamen ab auctoritate quae fundatur super revelatione divina, est efficacissimus "). Caratteristico esempio di argomentazione ab auctoritate arrecata in aiuto (l'auctoritas che è augmentum e auxilium) è in Cv IV III 9-10, laddove vengono considerate due gravissime ragioni che pare abbiano in aiuto le due oppinioni sulla nobiltà (in VII 1 paiono aiutare le proposte oppinioni). Ragioni fondate sull'a. di Aristotele e dell'imperatore: la prima che dice lo Filosofo... la seconda ragione è l'autoritade de la diffinizione de lo imperadore, e il cui robur e auxilium D. vuol misurare con la superiore forza della verità ritrovata per via di ragione: E perché meglio si veggia poi la vertude de la veritade, che ogni autoritade convince, ragionare intendo quanto l'una e l'altra di queste ragioni aiutatrice e possente è. Una serie di argumenta ab auctoritate sono quelli discussi da D. in Mn III IV-X; vedi anche II II 7.
In Cv I IV 13 D., constatato lo scadere della sua reputazione (per che fatto mi sono più vile forse che 'l vero non vuole... onde le mie cose sanza dubbio meco sono alleviate) - e cioè del credito, della dignità, dell'influenza della sua auctoritas e di sé come auctor - afferma: conviemmi che con più alto stilo dea, ne la presente opera, un poco di gravezza, per la quale paia di maggiore autoritade. Tale compenso alla perdita di a. e di ‛ peso ' (le mie cose... meco sono alleviate, cioè l'allevare, minuere, debilitare come opposti all'addere, amplificare, adiuvare di augeo) D. vuole ottenere tramite la gravezza che deriva da uno stile più elevato. E gravitas, tradizionalmente legata ad auctoritas, esprime il peso e la forza di convinzione, e inoltre, nel linguaggio retorico, denota lo stile sublime. Il graviter dicere, la gravitas sententiae, sta a indicare l'enunciazione di una sentenza che ha tutto il peso derivante dalla ‛ austerità ', dalla ‛ prudenza ', dal ‛ consiglio ' e in genere dall'a. di chi la esprime (cfr. VE II IV 5-8, per la gravitas sententiae, il summus... stilorum e gli elementi che lo compongono). Solo tale a. potrà conferire forza e credito allo scritto.
Gravità e a. sono nuovamente connesse e scelte a indicare i tratti salienti degli spiriti del nobile castello, in If IV 113 Genti v'eran con occhi tardi e gravi, / di grande autorità ne' lor sembianti: / parlavan rado, con voci soavi. Qui si fondono gli elementi dell'auctoritas romana, in specie oratoria, con i tratti del magnanimus μεγαλόψυχος aristotelico (cfr. anche l'attenta lettura di Boccaccio [ad l.], che rileva i tratti più significativi). Se notevole è la vicinanza con Aristotele (Eth. nic. IV 8, 1125a 12-16): " Sed et motus gravis magnanimus videtur esse, et vox gravis, et locutio stabilis; non enim festinus, quia circa pauca studet; neque contentiosus, qui nihil magnum existimat. Acumen autem vocis, et velocitas propter haec " (e cfr. il commento ad l. di Tommaso che amplia senza variare gli elementi e conclude: " Patet ergo quod ipsa affectio magnanimi requirit gravitatem vocis, et tarditatem locutionis et motus "), impossibile è ignorare l'apporto dell'ideale oratorio romano (cfr. Cicerone Sest. XIX " tanta erat gravitas in oculo ", Brut. XXIX " Neque enim refert videre quid dicendum sit, nisi id queas solute et suaviter dicere; ne id quidem satis est nisi id quod dicitur fit voce voltu motuque conditius... In Scauri oratione, sapientis hominis et recti, gravitas summa et naturalis quaedam inerat auctoritas ", L " tam suavem oratorem, tam gravem ", LV " vox cum magna tum suavis ", LXXXVIII " vox canora et suavis ", Off. I XXXVII, Orator XVIII, LIV, ecc.). L'a. degli ‛ spiriti magni ', magnanimi ponderati e soaviloquenti, si realizza dunque attraverso i gradi della gravitas. La loro a. e ‛ gravezza ' (o ‛ tardità ') traduce sul piano del portamento tutta una serie di connotati morali e intellettuali. Varrà ricordare che la gravitas (connessa alla tristitia e severitas) esclude gaiezza e riso e il tradire qualsiasi sentimento; comporta (opposta ad humilitas) austera dignità e sobrietà nel contegno, costanza e impassibilità sul piano morale, prudenza, e consiglio su quello intellettuale (nota Isidoro [Etym. X 112]: " Gravis venerabilis. Unde et contemptibiles leves dicimus. Gravis pro consilio et constantia dictus, quia non levi motu dissilit, sed fixa constantiae gravitate consistit "). Tale patrimonio intellettuale e morale, trasposto nei sembianti e nel ‛ parlar rado e soave ' dà corpo all'a., mediante i tratti della gravità (cfr. Cv IV II 8 per ciò che concerne la discrezione nel parlar rado; all'a, come segno di dignità di grado e maturità di portamento si riferisce Alberto Magno, (De Bono, in Op. Omnia, ed. B. Geyer, XXVIII 340): " Aequivocatio est in hoc nomine auctoritas; est enim auctoritas dignitatis secundum gradum praelationis, et de hac loquitur Tullius; est etiam auctoritas maturitatis in habitu et conversationi exteriori, secundum quod exterior est, et haec diffinit modestiam ").
L'a., frutto di lunga esperienza di vita e di prudenza, conviene quindi alla senetta (a. tanto più possente quanto più antica): E questa etade pur ha seco un'ombra d'autoritade, per la quale più pare che lei l'uomo ascolti che nulla più tostana etade, e più belle e buone novelle pare dover savere per la lunga esperienza de la vita (Cv IV XXVII 16; da ricordare però che in Mn III V 1-4, D. rifiuta il principio che la precedenza di nascita è precedenza in a.); tale a., fondata sulla giustizia, è abilitata a illuminare e ‛ dettar legge ': Conviensi anche a questa etade essere giusto, acciò che li suoi giudicii e la sua autoritade sia un lume e una legge a li altri. E perché... giustizia fue veduta... apparire perfetta in questa etade, lo reggimento de le cittadi commisero in quelli che in questa etade erano; e però lo collegio de li rettori fu detto Senato (Cv IV XXVII 10). Dell'a. senatoria romana (senatus auctoritas), impersonata appunto dai patres o senes che come tutori esercitavano la loro influenza sulle decisioni popolari, garantendole con la loro sanzione, parla D. in IV V 15 e Mn II V 12.