AUTORITRATTO
Nel Medioevo l'a. non costituisce un genere autonomo, anche se secondo una tradizione, non si sa quanto veritiera, Giotto avrebbe dipinto il proprio ritratto con l'aiuto di due specchi. Lo si ritrova piuttosto messo in rapporto sempre con un'opera determinata, essendo sua funzione primaria quella di attestarne con particolare evidenza la paternità e, in molti casi, anche quella di raccomandare a Dio l'anima di chi l'aveva eseguita conferendole carattere sacro.La rappresentazione dell'artista nel Medioevo è dunque affine sia al ritratto dell'autore sia a quello del donatore; lo dimostrano con particolare chiarezza i più antichi ritratti di artisti: per es. a S. Pietro in Valle presso Ferentillo lo scultore Ursus si raffigura nel paliotto dell'altare (739-740) in atteggiamento di orante, equiparato al munifico donatore, il duca Ilderico. Circa cento anni dopo, nella parte posteriore dell'altare d'oro di S. Ambrogio a Milano, l'orafo Vuolvinio è incoronato da s. Ambrogio esattamente come l'arcivescovo donatore. Talora artista e donatore coincidono, come nel caso di Hugo d'Oignies (1230 ca.) che donò al suo monastero un manoscritto, la cui preziosa coperta era frutto della sua attività di orafo; egli si rappresentò su una lamina lavorata a niello, nell'atto della donazione (Namur, Maison des Soeurs de Notre-Dame, tesoro).Non sempre è chiaro se la raffigurazione costituisca un ritratto o un a.; d'altra parte, dato che i lineamenti del volto si resero importanti per la caratterizzazione della persona solo nel tardo sec. 14°, nel Medioevo la rappresentazione di un artista non servì certamente a tramandare la memoria del suo aspetto fisico. Sono infatti soprattutto il richiamo alla sua specifica attività o gli strumenti di questa - ivi comprese iscrizioni atte a rivelare nome, titolo o altre indicazioni relative all'artista - a permettere il riconoscimento di quest'ultimo.Immagini di artisti, corredate delle rispettive firme, sono piuttosto rare. Relativamente frequenti sono invece, nei territori di lingua tedesca, i ritratti tardomedievali di capomastri.L'autorappresentazione dell'artista varia secondo la sua attività, l'epoca, la regione e la tecnica da lui di volta in volta usata. La forma più usuale consiste nella rappresentazione dell'artista al lavoro nella sua bottega. Sono molti gli amanuensi e i miniatori rappresentati intenti alle loro attività: è il caso per es. di Hugo pictor in un manoscritto normanno del sec. 11° (Oxford, Bodl. Lib., 717, c. 287v). Tali ritratti potevano inoltre essere solenni e di grande formato, come quello del monaco Eadwin, accompagnato da un'iscrizione elogiativa, in un salterio inglese della metà del sec. 12° (Cambridge, Trinity College, R.17.1, c. 283v). L'immagine di frater Rufilus dell'abbazia di Weingarten (Baden-Württemberg) consente invece di conoscere più da vicino le modalità di lavoro di un miniatore: il monaco, con accanto i suoi vasetti di colori, è infatti intento a dipingere l'iniziale nella quale è inserito il suo ritratto (un tempo a Sigmaringen, Fürstlich Hohenzollernsche Bibl., 9, c. 244r; sec. 12°). Anche nel frammentario a. di un pittore negli affreschi di S. Giovanni a Tubre in Alto Adige (ca. metà sec. 13°) l'artista sembra intento a tracciare con il pennello l'abbozzo della sua opera.Di tono ufficiale, ma al tempo stesso umoristico, sono viceversa gli a. del miniatore Hildebertus e del suo aiutante Everwinus - ambedue laici - in un manoscritto contenente opere di s. Agostino (Praga, Kapitulni Kníhovna, A. 21, c. 153r; 1140 ca.): i due miniatori sono infatti disturbati in pieno lavoro da un topo che si avventa sul loro spuntino. Fortemente caratterizzati ma anonimi sono i ritratti di un miniatore e del suo aiutante, intento a macinare i colori, nell'iniziale di una Bibbia proveniente da Dover (Cambridge, C.C.C., 3-4, II, c. 241v; seconda metà del sec. 12°). Ancora nell'iniziale di un commento a Floro (1163-1164), eseguito a Corbie (Somme), accanto al committente è raffigurato l'amanuense Johannes Monocalus e in un medaglione a parte il miniatore laico Felix (Parigi, BN, lat. 11575, c. 1r).Rappresenta un'eccezione l'a. di un miniatore anonimo che si raffigurò, in un manoscritto inglese dell'Apocalisse del tardo sec. 13°, a tutta pagina, intento a dipingere la statuetta di una Madonna con Bambino, completando il frontespizio con la preghiera di un memento (Londra, Lamb., 209, c. 2v). Si possono individuare i tratti del volto di Pietro da Pavia nell'immagine di un amanuense e miniatore raffigurato in un manoscritto del 1389 contenente la Nat. Hist. di Plinio (Milano, Bibl. Ambrosiana, E. 24 inf., c. 332r).Gli a. sono più rari negli altri campi della produzione artistica. Due intagliatori d'avorio, magister Engelram e il figlio Redolfo, sono raffigurati intenti alla loro attività su una placchetta d'avorio dal reliquiario di S. Emiliano, opera proveniente da San Millán de la Cogolla (Leningrado, Ermitage; 1073 ca.). Un altro monaco di Weingarten, Udalricus, si ritrasse in atto di intagliare la coperta lignea di un graduale (Vienna, Kunsthistorisches Mus.; 1220-1230 ca.).Negli stalli del coro dell'abbazia premostratense di Pöhlde del 1284 (Hannover, Niedersächsisches Landesmus., Landesgal.) è raffigurato invece l'interno di una bottega di intagliatori. Questi artisti tendevano per lo più a restare anonimi, come lo scultore che, nella seconda metà del sec. 12°, si rappresentò nell'arca di S. Vincenzo (Ávila, San Vicente) intento a lavorare a un sarcofago, inserendosi così nelle storie della vita del santo. Sul reliquiario d'argento di Simeone nel S. Simeone di Zara (1380), l'orafo Francesco da Milano lavora all'ultima delle colonne portanti della sua opera. Anche qui la raffigurazione dell'artista e della sua attività si inserisce nelle storie della vita di un santo. In un capitello della chiesa di S. Servazio a Maastricht (1180 ca.), lo scultore Heimo si raffigurò nell'atto di consegnare alla Vergine un capitello. Poco più tardi (1205-1207) Arnold Catell, anch'egli scultore, rappresenta se stesso su un capitello del chiostro di San Cugat de Volles (Catalogna) mentre scolpisce un capitello corinzio. La rappresentazione della vicenda esecutiva dell'opera e della sua offerta devozionale ritorna anche nel mosaico absidale di S. Giovanni in Laterano a Roma (1288-1292), dove fra Jacopo da Camerino è rappresentato una prima volta mentre in ginocchio lavora un blocco di pietra e quindi mentre dedica, con un'iscrizione, il suo lavoro a s. Giovanni Battista. Analogamente il mosaico pavimentale della cappella dedicata a s. Firmino nella chiesa abbaziale di Saint-Denis presso Parigi è firmato da Albericus, il quale, in un tondo del pavimento, raffigurò se stesso in ginocchio, in atteggiamento non troppo diverso da quello di un donatore (Parigi, Louvre; 1140-1190 ca.). Lo stesso può dirsi di un ritratto su una perduta porta bronzea della stessa chiesa abbaziale (sec. 9° o 11°): il monaco Airardus, che vi appariva raffigurato nell'atteggiamento tipico del donatore con il modellino della porta nelle mani e il cui nome era indicato dall'iscrizione sul battente, è infatti identificabile con un artista omonimo, di cui si ha notizia in un racconto di miracoli.In molti a. l'attività dell'artefice è riassunta nello strumento del suo lavoro (compasso, regolo, martello), come, per es., nell'a. di Diemar, rappresentato a figura intera con un grande compasso nella chiesa dei Domenicani a Ratisbona (fine sec. 13°). A volte l'artista è rappresentato non già intento al lavoro, bensì nelle vesti e in atteggiamenti di personaggio altolocato. Possono essere considerate fra i primi esempi di questa iconografia le immagini di due amanuensi o miniatori attivi intorno al 980: Keraldus e Heribert. Essi firmano infatti la loro opera non solo con il nome seguito dalla località di provenienza, Reichenau, ma anche con il loro ritratto, dai lineamenti appena caratterizzati, posto al di sotto della gigantesca figura del committente, il vescovo Egberto di Treviri (Codex Egberti, Treviri, Stadtbibl., 24, c. 2r).In un omiliario della seconda metà del sec. 12° (Francoforte sul Meno, Stadt- und Universitätsbibl., Barth. 42, c. 110v) la monaca Guda si raffigura senza strumenti di lavoro, ma con firma di pittrice, posta di tre quarti entro un'iniziale. Il fonditore Riquinus, autore delle porte di bronzo di Novgorod (eseguite a Magdeburgo fra il 1152 e il 1156), si rappresentò invece insieme al giovane collaboratore Waismuth, con indosso una ricca veste e in mano una tenaglia e una bilancia di metallo. Altri a. si trovano su alcune porte bronzee italiane del sec. 12°: a Verona, sulle porte di S. Zeno, un modellatore anonimo si ritrasse intento a lavorare; Oderisio di Benevento si raffigurò nel 1123 ca. sulla perduta porta di S. Giovanni di Capua; l'a. di Barisano da Trani, privo peraltro di qualsiasi individuazione fisionomica, è visibile sulla porta del duomo di Monreale (1185-1189) in ginocchio davanti a s. Nicola di Bari, nell'atteggiamento tipico del donatore. Non sono frequenti prima del sec. 13° scultori o capomastri raffigurati in ritratti ufficiali a figura intera, come avviene per es. nel caso del già citato capitello con l'a. dello scultore Heimo (Maastricht, S. Servazio). Ben diverso è l'a. dell'anonimo capomastro che raffigurò se stesso su una colonna della galleria nana orientale del duomo di Worms nell'atto di venire spidocchiato da una grande scimmia seduta sulla sua spalla, in un'immagine di umoristica humilitas. Di tutt'altro genere l'austero a. di maestro Matteo, lo scultore del Portico della Gloria (1180-1190 ca.) nella cattedrale di Santiago de Compostela; posto nella parte interna del trumeau, il ritratto mostra lo scultore rivolto in direzione dell'altare e al tempo stesso verso coloro che escono dalla chiesa. Sulla facciata di S. Martino a Lucca è invece visibile l'architetto Guidetto che ostenta su un rotolo esibito verso il visitatore il suo nome accompagnato da un'iscrizione elogiativa e dalla data (1204). In questo caso a giocare un ruolo importante dovettero essere l'orgoglio e il desiderio di gloria dell'artista.Singolare esempio di un certo 'materialismo' di provincia è l'immagine contenuta nel timpano del portale romanico di Larrelt presso Emden (Bassa Sassonia): al centro troneggia il committente mentre, a destra, è raffigurato il capomastro Ludbrud che discute il proprio compenso. Esempio di spiritualità e di erudizione è invece un rilievo posto all'interno del duomo di Basilea, sulla parete occidentale, probabilmente databile agli stessi anni, che raffigura due architetti, oppure un direttore di cantiere e un architetto. I due artisti lapides vivi, significativamente anonimi, disputano, come la scritta sembra alludere, intorno ai valori teologici della loro impresa. Fu, invece, senza dubbio l'orgoglio professionale a spingere il capomastro Humbert a inserirsi con la squadra in mano, come allegoria della Geometria, fra le arti liberali nell'archivolto del portale di Saint-Martin a Colmar (post 1263).Una singolare forma di a., il busto di profilo, accompagnato dalla firma di Pietro Facitulo da Bari, posto su una tomba nella chiesa di S. Margherita a Bisceglie in Puglia, databile intorno al 1300, precedette la nascita di una nuova tipologia di a., resa celebre nel tardo sec. 14° dal busto di Peter Parler nel triforio del duomo di S. Vito a Praga. In questo caso non uno strumento, bensì i tratti del volto tramandano la memoria dell'artista, in vista non della gloria terrena ma della ricompensa celeste. L'artista è sepolto nella navata laterale, sotto il busto che lo ritrae, così come era avvenuto per l'architetto Matthias di Arras, suo predecessore. I due ritratti erano stati posti accanto a quelli della casa reale, dei vescovi e dei direttori della fabbrica. L'a. dell'artista è del tutto simile, in questo caso, all'immagine commemorativa di personaggi dell'alta nobiltà. L'innovazione di Parler ebbe largo seguito nei territori di lingua tedesca dove rimangono numerosi ritratti, vivacemente caratterizzati, di capomastri del sec. 15°: a Halle (Sassonia) quello di Conrad di Einbeck (1410 ca.), a Landshut (Baviera) di Hans Stethaimer (epitaffio del 1432), a Oberwölz (Stiria) di Hans Jersleben (1430). Nella torre ottagonale del duomo di Strasburgo è visibile a grandezza naturale l'effigie del capomastro Ulrich di Einsingen (primi del sec. 15°) in adorazione, con il volto segnato dall'età. L'immagine dell'artista inserita nell'opera da lui creata venne dunque considerata un efficace mezzo per mantenere viva nel tempo la memoria dell'artefice.Spesso peraltro l'a. è legato a un atto di umiltà o comunque di devozione. L'amanuense Valeriano, in un evangeliario del 600 ca. (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 6224, c. 202v), si raffigurò nel punto d'intersezione dei bracci. La posizione, solo apparentemente sacrilega, può essere spiegata con le parole di s. Paolo: "Mihi absit gloriari nisi in cruce domini nostri Jesu Christi" (Gal. 6, 24). Un artista poteva scegliere comunque di raffigurarsi anche ai piedi di Cristo o di un santo, come l'orafo Chunrad in una patena del 1193, oppure alle porte del cielo con lo strumento caratteristico della sua arte, come il pittore di vetrate Gerlachus (1150-1160), che rappresentò se stesso con pennelli e vaso di colori nel margine inferiore di una vetrata del convento di Arnstein (Lahne; Münster, Westfälisches Landesmus. für Kunst und Kulturgeschichte). Giovanni Pisano infine raffigurò a quanto pare se stesso in forma di Atlante che, in piedi, sorregge Cristo, in uno dei sostegni figurati del pulpito del duomo di Pisa (ante 1311). La figura, rivolta in direzione di s. Giovanni (il santo di cui l'artista porta il nome), non ha alcun attributo connesso con la sua attività. In queste raffigurazioni convivono due opposte condizioni dell'animo: l'umiliazione e l'orgoglio.In architettura, l'atteggiamento umile dell'artista è generalmente indicato dall'inserimento funzionale dell'a. come mensola. Si può considerare appartenente a questa tipologia il ritratto schematico di Gerlanus su una mensola nel corpo occidentale del Saint-Philibert a Tournus (prima metà del sec. 11°). In Germania si conserva una serie di ritratti di capomastri o scultori del sec. 13°; per es., maestro Vingerhut nella chiesa di St. Maria a Gelnhausen (Assia), maestro Bonensac nel duomo di Magdeburgo e frate Diemar, rappresentato a figura intera con un grande compasso in mano nella chiesa dei Domenicani a Ratisbona. Dei primi anni del sec. 14° è la testa di Rosen Schophelin scolpita su una mensola del chiostro di Maulbronn (Baden-Württemberg).Spesso i miniatori sfruttarono le immagini destinate a illustrare la dedica di un codice per inserirvi il proprio a., come l'amanuense (e forse anche pittore) Eburnant nel Sacramentario di Hornbach del 983 ca. (Soletta, Zentralbibl., U 1, c. 7v). L'a. dell'artista può comparire anche, molto raramente, in immagini dedicatorie di monumenti. Per es., il grande rilievo in pietra del ponte romanico di Judith a Praga (1170 ca.) mostra un uomo in abiti secolari e con in mano, a quanto pare, il modellino del ponte, inginocchiato di fronte al committente, probabilmente re Ladislao I. Si tratta quasi sicuramente dell'a. dell'artista autore dell'opera.In atto di devozione, gli artisti potevano anche effigiarsi ai piedi della Vergine, in atteggiamento simile a quello di un donatore, come nel caso di frate Chonrad che si ritrasse, in un'immagine di piccolissime dimensioni, in un manoscritto di Pietro Comestore del convento di Scheyern (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 17405, c. 2v; ante 1241). L'a. di frater Matthew Paris, al tempo stesso scrittore e pittore dei Chronica Maiora (Londra, BL, Royal 14.C.VII, c. 6r; 1250 ca.), è maggiormente caratterizzato. Gli a. che compaiono in contesti pittorici che fanno riferimento all'aldilà hanno valore augurale, esprimendo la speranza dell'artista di poter essere salvato anche in virtù della sua opera. Non è quindi un caso che la firma dei pittori Nicolaus e Johannes sulla tavola del Giudizio universale (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca; seconda metà del sec. 11°) sia stata apposta proprio sotto le figure dei risorti, due dei quali sembrano in qualche modo legati ai due nomi. William de Brailes, in un salterio del 1230-1240 ca. (Cambridge, Fitzwilliam Mus., 330, c. 3), si raffigurò nella miniatura del Giudizio universale strappato dalla schiera dei dannati da un angelo armato. Il suo cartiglio con la firma dell'opera è evidentemente il motivo di tale predilezione. Anche nel timpano della Kapellenkirche di Rottweil (BadenWürttemberg; 1340 ca.) lo scultore, con lo strumento del suo lavoro, ascende dalla tomba direttamente nelle braccia dei santi.Questo excursus sulle possibili tipologie rappresentative dell'a. può essere concluso con l'immagine, ricca di allusioni, di un pittore laico nella Bibbia di Amburgo (Copenaghen, Kongelige Bibl., Gl. Kgl. Saml. 4.4, 2°, c. 208r; ante 1255). L'artista dipinge il proprio volto e vi appone con un pennello un punto sulla fronte. L'immagine potrebbe alludere ad Ap. 7, 2-4, dove si dice che i servi di Dio vengono indicati con un segno sulla fronte. L'a. nell'a. ha in questo caso un duplice significato: vuole valere quale rappresentazione della propria esistenza terrena e, al tempo stesso, quale segno della speranza in una vita celeste guadagnata con la propria opera.L'a. 'nascosto', che presuppone invece la riproduzione esatta dei tratti del volto dell'artista, compare difficilmente prima della fine del sec. 14°: un esempio precoce (1279) potrebbe essere costituito dal busto di Adamo accanto alla firma dello scultore Melchiorre nel pulpito di Teggiano (Salerno). Spesso i pittori si raffiguravano nelle vesti di s. Luca, loro patrono, per potersi rappresentare davanti alla Vergine; ma anche un qualsiasi santo protettore poteva trasformarsi nell'a. segreto di un artista, come nel caso dell'apostolo Giuda Taddeo nell'Ascensione di Taddeo di Bartolo nel duomo di Montepulciano (ca. 1400).
Bibl.: J. Prochno, Das Schreiber- und Dedikationsbild in der deutschen Buchmalerei. Bis zum Ende des 11. Jahrhunderts 800-1100, Leipzig-Berlin 1929; H. Keller, Die Entstehung des Bildnisses am Ende des Hochmittelalters, RömJKg 3, 1939, pp. 227-356; P. du Colombier, Les chantiers des cathédrales, Paris 1953 (19732); K. Gerstenberg, Die deutschen Baumeisterbildnisse des Mittelalters (Jahresgabe des Deutschen Vereins für Kunstwissenchaft), Berlin 1966; V.W. Egbert, The Medieval Artist at Work, Princeton 1967; A. Martindale, The rise of the Artist in the Middle Ages and Early Renaissance, London 1972; H. Klotz, Formen der Anonymität und des Individualismus in der Kunst des Mittelalters und der Renaissance, in Essays in Honor of Sumner McKnight Crosby, Gesta 15, 1976, pp. 303-312; J. Bialostocki, Begegnung mit dem Ich in der Kunst, Artibus et Historiae 1, 1980, pp. 25-45; A. Legner, Deutsche Kunst der Romanik, München 1982; U. Mende, Die Bronzetüren des Mittelalters 800-1200, München 1983; A. Reinle, Das stellvertretende Bildnis. Plastiken und Gemälde von der Antike bis ins 19. Jahrhundert, Zürich-München 1984; P. Berghaus, Darstellungen und Bezeichnungen von Künstlern auf Münzen des Mittelalters, in Ornamenta Ecclesiae, I, Köln 1985, pp. 277-283; A. Legner, Illustres Manus, ivi, pp. 187-230; G. Kraut, Lucas malt die Madonna. Zeugnisse zum künstlerischen Selbstverständnis in der Malerei, Worms 1986.P.C. Claussen