Autotutela tributaria. Risarcimento da mancato esercizio di autotutela
L’autotutela dell’amministrazione finanziaria e degli altri soggetti attivi dell’obbligazione tributaria può dare luogo all’annullamento dell’atto impositivo oppure alla sua sostituzione con un atto privo del vizio o caratterizzato. L’autotutela cd. negativa, consistente nell’eliminazione dell’atto viziato, è ancora ritenuta dalla giurisprudenza tributaria l’espressione prevalente di un potere discrezionale non sindacabile, ove non esercitato a seguito dell’istanza del contribuente, sebbene si segnalino prospettive innovative, soprattutto in considerazione della riconosciuta risarcibilità del danno da mancato annullamento.
L’autotutela dell’amministrazione finanziaria (intendendosi l’Agenzia delle entrate, il concessionario e gli uffici degli enti locali) può esprimersi in due diverse forme: in una meramente caducatoria, laddove consista nell’eliminazione di un atto impositivo (autotutela negativa), oppure in una (anche) reiterativa del potere impositivo già esercitato; questa seconda forma, a sua volta, si caratterizza diversamente qualora a seguito dell’eliminazione di un primo atto ne faccia seguito un secondo (accertamento integrativo/modificativo)1; oppure il primo atto venga riesaminato in elementi diversi dalla base imponibile determinata o dall’aliquota applicata (riesame positivo). Un’espressione minore e, forse, impropria di autotutela è la sospensione ex art. 2 quater del d.l. n. 564/1994 dell’efficacia esecutiva dell’atto che appaia illegittimo o infondato, dal momento che l’intervento dell’ufficio, in questo caso, incide solo provvisoriamente sugli effetti dell’atto impositivo2 ed avrebbe solo natura strumentale al provvedimento di vera e propria autotutela; a quest’ultimo fenomeno si potrebbero affiancare i casi in cui l’amministrazione finanziaria rinunzi ancor prima dell’atto ad una parte della pretesa che potrebbe avanzare o che abbia già avanzato, ma non ancora azionato ricorrendo a strumenti a vario titolo «transattivi», quali l’accertamento con adesione e la transazione fiscale. Il fondamento dell’autotutela è di genesi sia costituzionale che normativa ed è diversa in base al diverso tipo di autotutela (negativa o positiva). In entrambi i casi è possibile individuare un fondamento costituzionale comune, nei principi di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa fissati dall’art. 97 Cost., mentre assumono diverso rilievo, a seconda dei due casi, gli artt. 23 e 53 Cost., dal momento che nell’intervento anche reiterativo dell’attività accertativa si evidenzia l’esigenza di una cornice normativa rispettosa della riserva di legge, trattandosi di un nuovo esercizio di un potere accertativo di per sé necessariamente già tipizzato dalla legge3. La base normativa esplicita per la reiterazione dell’attività, più in particolare, è quella riferita all’accertamento cd. integrativo e modificativo (art. 43, co. 3, del d.P.R. n. 600/1973 e art. 57, co. 3, del d.P.R. n. 633/1972) che renderebbe speciale e derogatorio il tipo rispetto al principio della globalità dell’accertamento. Per il cd. mero riesame positivo, non senza dissensi, si afferma la sufficienza del richiamo all’art. 53 Cost. quale norma indirizzata (non solo al legislatore ma anche) all’amministrazione finanziaria tale da consentire una sostituzione di un primo avviso per vizi sostanziali anche riesaminando lo stesso materiale probatorio apprezzato nell’avviso di primo grado4 e facendo coesistere due diversi giudizi a seguito di una rinnovazione incondizionata5. In ordine, invece, all’autotutela negativa, volta all’eliminazione dell’atto impositivo senza alcuna sua sostituzione, gli artt. 53 e 97 Cost. operano in modo diffuso e, talvolta, disgiunto a legittimare l’intervento: i relativi principi, da un lato, giustificano l’annullamento per rispetto di esigenze di giustizia contributiva, di buon andamento e di imparzialità, dall’altro inducono a ipotizzare una prospettiva di (eccezionale) doverosità e, dall’altro, infine, a giustificare un carattere, invece, discrezionale dell’annullamento a fronte di un’istanza presentata dal contribuente. A livello legislativo, nel corso degli anni si sono avuti importanti riferimenti (art. 68 del d.P.R. n. 287/1992, art. 2 quater della l. n. 656/1994), tutti completati da una normativa ministeriale (d.m. n. 37/1997) di dettaglio e utilmente esplicativa, soprattutto in ordine alle situazioni-tipo di invalidità, al genere di atto annullabile, ai passaggi procedimentali e ai limiti formali e sostanziali.
Con riguardo alla cd. autotutela negativa, essa consiste nell’eliminazione di un atto impositivo dopo che l’ufficio ne abbia riscontrata l’illegittimità e/o l’infondatezza d’ufficio o, come più frequentemente accade, a seguito della presentazione di un’istanza da parte del contribuente nella quale siano individuati i vizi dell’atto e sia chiesto all’ufficio destinatario di riesaminare il proprio operato. L’attivazione di un procedimento di autotutela pone una diversa scala di doveri dell’ufficio, non tutti riconosciuti dalla giurisprudenza ma diffusamente individuati in dottrina. Se il dovere di esame dell’istanza e di risposta motivata non pare negabile alla luce del disposto della l. n. 241/1990, così come appare del tutto logico che la risposta debba avvenire entro il termine residuale di trenta giorni, è ancora irrisolto il punto se l’annullamento sia l’esito di una valutazione discrezionale dell’ufficio6, insindacabile nel merito della sua mancanza dal giudice7, o, invece, una conseguenza doverosa in ragione di un particolare presupposto sostanziale. A fronte di orientamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione prevalentemente indirizzati ad affermare la pura discrezionalità dell’annullamento dell’atto impositivo, anche in ragione della natura perentoria e non ordinatoria dei termini di impugnazione dell’atto di cui si sia chiesto l’annullamento, ove diventato definitivo8, la stessa giurisprudenza segnala l’eventualità che l’intervento sia eccezionalmente doveroso ed affatto elusivo della perentorietà dei termini di impugnazione, qualora nell’istanza di annullamento il contribuente abbia evidenziato vizi dell’atto non dedotti nel giudizio concluso con un giudicato, in coerenza con il disposto dell’art. 2 del d.m. n. 37/1997 che esclude l’annullabilità dell’atto per i soli motivi sui quali sia intervenuta una sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria9. Si può aggiungere a tale ipotesi che in alcuni casi eccezionali l’annullamento potrebbe rivelarsi doveroso in ragione della portata «regolamentare» del giudicato tributario, ove ad esso sia riferito un oggetto non limitato al mero annullamento dell’atto impugnato, ma esteso, nei limiti del dedotto, ai profili sostanziali del rapporto giuridico tributario; più in particolare, tale eventualità potrebbe ricorrere nelle situazioni cd. di pregiudizialità/dipendenza tra situazioni giuridiche passive di più soggetti coinvolti nel prelievo, di solidarietà paritetica oppure di fattispecie pluriennali nelle quali le caratteristiche del presupposto possano restare immutate.
Il fenomeno dell’autotutela negativa pone all’attenzione due attuali problematiche: quella dell’impugnabilità del diniego espresso di annullamento e dell’individuazione della relativa giurisdizione; quello della risarcibilità del danno da mancato annullamento e da annullamento dell’atto illegittimo o infondato.
3.1 Diniego di autotutela e tutela giurisdizionale
Tra le problematiche processuali in materia di autotutela, quella che si rivela ancora principale, in assenza di un intervento legislativo chiarificatore, è costituita dall’impugnabilità dell’atto con il quale l’amministrazione finanziaria neghi l’annullamento dell’atto a seguito della presentazione di un’istanza di autotutela. La giurisprudenza, soprattutto di legittimità, è ancora per la maggioranza schierata a favore della natura non impugnabile del diniego, in conseguenza della natura discrezionale del relativo potere10 sebbene si sia riconosciuta alla relativa controversia natura tributaria e, quindi, la piena riconducibilità della stessa alla giurisdizione delle commissioni tributarie11. Peraltro, si segnalano significative aperture in quelle pronunce che, come accennato, hanno inteso evidenziare come la rappresentazione nell’istanza di autotutela di sopravvenuti elementi di illegittimità e/o infondatezza non dedotti nel giudizio conclusosi con un giudicato ben possano configurare una doverosità di eliminazione e, quindi, l’impugnabilità del diniego12 senza alcun rischio di trasformazione dei termini di impugnazione da straordinari in ordinari. La riconduzione del diniego al novero degli atti impugnabili ex art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 può essere risolta in senso affermativo soltanto a condizione di dimostrare una situazione di (eccezionale) doverosità dell’annullamento e ciò, come detto, seppur di rara frequenza, non è affatto da escludersi.
3.2 Annullamento dell’atto, condanna alle spese e risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.
L’eliminazione dell’atto impugnabile a seguito dell’esercizio dell’autotutela negativa ha delle conseguenze, da un lato, sul processo che, eventualmente, il contribuente abbia dovuto instaurare contemporaneamente alle more del procedimento di annullamento a seguito dell’istanza e, dall’altro, sulla risarcibilità del danno ingiusto che lo stesso abbia subito in conseguenza del mancato annullamento dell’atto illegittimo o infondato a seguito dell’istanza. Quanto alle ricadute processuali, all’eliminazione spontanea dell’atto impugnato, dando luogo alla cessazione della materia del contendere, dovrebbe conseguire la condanna alle spese dell’amministrazione finanziaria, una volta che il giudice adito abbia avuto formale conoscenza dell’annullamento, restando salva l’eventuale condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. In ordine, invece, al risarcimento del danno, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto l’esistenza di un danno risarcibile nei casi in cui il mancato annullamento abbia causato un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c.13. L’avvenuta assunzione della risarcibilità presuppone, quindi, l’esistenza di un interesse giuridico meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico riferibile al singolo contribuente, ovvero la ricorrenza di situazioni nelle quali l’eliminazione dell’atto avrebbe dovuto aver luogo d’ufficio. La giurisprudenza, in tal caso, ha attribuito al giudice ordinario la giurisdizione per l’azione risarcitoria14 in ragione della circostanza che, de iure condito, la cognizione della Commissione tributaria è fissata dai limiti cd. esterni ed interni, ovvero dalla possibilità di conoscere del rapporto giuridico tributario solo in presenza di un ricorso avverso un atto impugnabile riconducibile alla tassativa elencazione di cui all’art.19 del d.lgs. n. 546/1992, non essendo la somma risarcitoria un accessorio dell’imposta sul quale il giudice tributario possa giudicare15. Quanto all’individuazione del danno16, l’indirizzo giurisprudenziale attuale considera ingiusto il danno subito dal contribuente dal mancato annullamento di un atto riconosciuto illegittimo o infondato dallo stesso ufficio, ma non in tempo utile ad evitare un giudizio. La stessa giurisprudenza, quindi, nel testimoniare l’applicabilità del principio del neminem laedere anche all’amministrazione finanziaria, laddove il comportamento omissivo abbia violato un dovere giuridico, giunge a questa conclusione, in alcuni casi riconoscendo la sussistenza della doverosità (e non discrezionalità) dell’annullamento, in altri, invece, senza negare la natura discrezionale del potere di autotutela ma ammettendo che un danno ingiusto possa essere causato anche dal ritardato esercizio di un potere discrezionale17. Sul punto specifico della quantificazione, il danno potrà essere costituito (e facilmente dimostrato) evidenziando documentalmente i costi sostenuti per la lite, ma potrebbe estendersi ad altre tipologie di danni patrimoniali se non, anche, non patrimoniali, per quanto non tipizzati (immagine, difficoltà di liquidità, assoggettamento a procedure esecutive e cautelari)18. Peraltro, laddove il mancato annullamento dell’atto impugnato in autotutela segua la costituzione in giudizio dell’amministrazione, si potrebbe configurare una resistenza in giudizio in «mala fede o colpa grave» suscettibile di permettere allo stesso giudice tributario di condannare l’ufficio soccombente, oltre che alle spese di lite, anche al maggior danno per lite temeraria liquidato dal giudice ex art. 96 c.p.c., danno da ritenersi vigente nel processo tributario in ragione del rinvio operato dall’art. 1 del d.lgs. n. 546/199219. Non pare, però, che l’azione di risarcimento del danno costituito dalle spese di lite possa conservare un interesse, qualora il giudice tributario adito per l’annullamento dell’atto non annullato in autotutela abbia condannato l’ufficio alle spese per un importo corrispondente a quello effettivamente sostenuto dal contribuente. Un aspetto peculiare, che potrebbe indurre ad una riflessione sull’attualità storica dei limiti della giurisdizione tributaria, è quello relativo alla circostanza che la sentenza emessa dal giudice ordinario di pace adito per il risarcimento del danno è, pur sempre, una sentenza emessa secondo equità, la quale affronterebbe il merito della controversia in base a tale particolare criterio, interessandosi sia della debenza del tributo che della legittimità della mancata autotutela.
1 Su cui Cass., sez. trib., 17.3.2010, n. 6459, in Riv. dir. trib., 2010, II, 383 ss., con nota di Pistolesi, Quale sorte per gli accertamenti integrativi e modificativi?; Cass., sez. trib., 23.2.2010, n. 4272, in Riv. dir. trib., 2010, II, 545 ss., con nota di Muleo, Atti impositivi modificativi di precedenti e derive in tema di accertamento integrativo in carenza di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
2 Cfr. Muscarà, Gli inusuali ambiti dell’autotutela tributaria, in Riv. dir. trib., 2005, I, 77.
3 Cfr. Ficari, Autotutela (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl. Cassese, I, Milano, 2006, ad vocem.
4 Cass., sez. trib., 23.2.2010, n. 4272.
5 Cass., sez. trib., 23.2.2011, n. 4372, in Boll. trib., 2011, 546 ss., con nota di Ficari, Autotutela positiva e riesame positivo nella reiterazione dell’attività di accertamento.
6 Come sostiene Cass., sez. trib., 26.1.2007, n. 1710.
7 Così Cass., S.U., 27.3.2007, n. 7388, in Boll. trib., 2007, 1223; Cass., S.U., 23.4.2009, n. 9669, in.1 Boll. trib., 2009, 881.
8 In tal senso, Cass., 4.2.2005, n. 2305.
9 Cfr. Cass., S.U., 27.3.2007, n.7388.
10 Così Cass., S.U., 16.2.2009, n. 3698; Cass., sez. un., 6.2.2009, n. 2870, in Boll. trib., 2009, 474 ss., con nota di Ficari, Diniego di autotutela negativa e Sezioni «disunite» della Cassazione.
11 Cass., S.U., 6.2.2009, n. 2870, con nota di Ficari, Diniego di autotutela negativa e Sezioni «disunite» della Cassazione, cit.; Cass., S.U., 16.2.2009, n. 3698; Cass., S.U., 23.4.2009, n. 9669; Cass., sez. trib., 20.2.2006, n. 3609; Cass., sez. un., 10.8.2005, n. 16776, in Boll. trib., 2005, 1828 ss.
12 Così Cass., S.U., 27.3.2007, n. 3608; Cass., sez. trib., 20.2.2006, n. 3609.
13 Cfr. Cass., sez. trib., 3.3.2011, n. 5120, in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria, 2011, 392 ss., con nota di Marcheselli, Il Fisco che non ritiri in autotutela gli atti illegittimi risarcisce i danni davanti al giudice tributario? e di Marini, Fisco obbligato al risarcimento del danno economico causato dall’autotutela tardiva, in Corr. trib., 2011, 1834 ss.; Cass., sez. III, 19.1.2010, n. 698, in Boll. trib., 2010, 632 ss., con nota di Accordino, Diniego di autotutela: il contribuente ha diritto ad essere risarcito ma non ad ottenere giustizia innanzi alle Commissioni tributarie; Cass., sez. trib., 23.7.2004, n. 1380.
14 Così Cass., S.U., 30.4.2008, n. 10826; Cass., S.U., 18.1.2008, n. 968.
15 Cfr. Cass., S.U., 4.1.2007, n. 15.
16 Cfr. Rossi, Il risarcimento del danno provocato al contribuente da atti illegittimi dell’Amministrazione Finanziaria, in Rass. trib., 2009, 1591 ss.; AA.VV., La responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria. Questioni teoriche e pratiche, Milano, 2009.
17 Così Cass., sez. trib., 3.3.2011, n. 5120.
18 Nel senso della non risarcibilità, si veda, però, Cass., sez. trib., 9.4.2009, n. 8703, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 1007 ss.; cfr. Catalano, La responsabilità dell’Amministrazione finanziaria derivante da attività lecita dannosa, in Rass. trib., 2010, 138 ss.; Nicotina, Silenzio e diniego di autotutela: considerazioni su impugnazione e risarcimento, in Riv. dir. trib., 2011, I, 88 ss.
19 Cfr. Commissione tributaria regionale Puglia, 11.1.2011, n. 11.