Autotutela
Le recenti riforme hanno prestato particolare attenzione al regime dell’autotutela, cercando un difficile contemperamento tra l’esigenza di assicurare il rispetto della legalità e quella di garantire gli operatori e, soprattutto, gli investitori, della stabilità dei provvedimenti autorizzatori. La l. del 7.8.2015, n. 124 è reintervenuta specificamente anche sul regime della s.c.i.a. e del silenzioassenso, eliminando l’illogico regime sanzionatorio dettato dall’art. 21, co. 2. Anche se molte incoerenze sono state risolte, restano tuttavia aperte alcune questioni.
L’esigenza di reagire alla crisi economica attraverso un’adeguata politica di incentivazione degli investimenti ha, coerentemente, indotto il legislatore a rivedere la disciplina dell’autotutela sugli atti amministrativi incidenti sull’esercizio delle attività economiche1, spingendolo a prestare sempre maggiore attenzione alla tutela dell’affidamento determinato dal conseguimento dei titoli abilitativi2.
In quest’ottica, i più recenti interventi legislativi si sono mossi nella logica di dare maggior fiducia agli investitori. In particolare, la l. 11.11.2014, n. 164 (di conversione del d.l. 11.9.2014, n. 133, cd. decreto “sblocca Italia”) ha circoscritto il potere di revoca disciplinato dall’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990 (introdotto a sua volta dalla riforma del 2005), chiarendone l’utilizzabilità soltanto nei confronti di atti ad efficacia durevole e subordinandone l’esercizio a condizioni più rigorose. Fermo l’obbligo di indennizzo, nel nuovo testo della disposizione, il provvedimento può essere invero revocato, fuori dai “classici” «sopravvenuti motivi di pubblico interesse», in caso di mutamento della situazione di fatto, soltanto se esso non era «prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento», mentre la revoca per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario è comunque esclusa per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Resta peraltro illogicamente confermato il dibattuto co. 1-bis, che, applicando alla revoca concetti e principi che più correttamente attengono all’annullamento, nel limitare l’indennizzo per la revoca incidente su rapporti negoziali al mero danno emergente, impone di tener conto «sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico». La l. 7.8.2015, n. 124 (delega per la riforma della p.a.) ha invece definito i limiti temporali del potere di sospensione e di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi e, raccogliendo le sollecitazioni manifestate dalla dottrina in ragione delle incertezze determinate dalla scarsa garanzia di stabilità dei c.d. strumenti di semplificazione del sistema autorizzatorio3, ha opportunamente ridisegnato i limiti entro i quali l’amministrazione può intervenire sui titoli implicitamente o autoreferenziatamente formatisi.
Se, infatti, indubbiamente, i fenomeni di mala amministrazione e di corruzione impongono una costante attenzione degli organi di vigilanza al massimo rispetto delle regole e un’efficace politica di deterrenza e di repressione delle condotte abusive, sotto opposto profilo, il complesso e variegato sistema delle fonti e la scarsa chiarezza che spesso ne caratterizza i contenuti impongono di tutelare quanti (italiani e stranieri) abbiano incolpevolmente intrapreso un’attività nella convinzione di agire nel rispetto della legge, facendo conseguentemente affidamento sui titoli abilitativi espressamente o tacitamente ottenuti dall’amministrazione o formatisi sulla base della propria stessa segnalazione/dichiarazione4.
Trattasi, all’evidenza, di due esigenze radicalmente confliggenti.
La prima, oltre a spingere verso un sistema di repressione degli abusi sempre più severo, ha indotto a cercare strumenti sempre più efficaci di tutela del terzo pregiudicato dalla relativa commissione (come dimostrano gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza e gli interventi legislativi tesi a cercare idonee forme di azione giurisdizionale avverso l’uso improprio della d.i.a./s.c.i.a.)5. Significativamente, l’estensione dell’ambito di applicazione dei titoli impliciti e autoreferenziali ad opera della l. 15.5.2005, n. 806 è stata accompagnata dall’espressa clausola di “salvezza” del potere amministrativo di «assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies» (rispettivamente concernenti la revoca e l’annullamento d’ufficio), che, oltretutto, sono evidentemente incompatibili con la natura privata della d.i.a./s.c.i.a. E, in termini ancor più gravi, l’art. 21 della l. n. 241/1990, sotto la rubrica «disposizioni sanzionatorie», dopo aver disciplinato le conseguenze sanzionatorie delle dichiarazioni o attestazioni false o mendaci (co. 1), stabiliva al co. 2 che «Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente».
La seconda, all’opposto, guarda con sfavore alla possibilità che l’amministrazione possa facilmente intervenire in autotutela sui titoli autorizzatori contra legem o addirittura, anche a distanza di anni, assumere direttamente misure sanzionatorie nei confronti di attività poste in essere sulla base di titoli impliciti o di d.i.a./s.c.i.a. in (ritenuta) assenza dei presupposti per la relativa formazione o in (ritenuto) contrasto con la normativa vigente7.
È però proprio quest’ultimo profilo che, a ben vedere, costituisce il vero ostacolo al riavvio degli investimenti, per ciò che il silenzio-assenso e la d.i.a./s.c.i.a., se per un verso semplificano il conseguimento del titolo, per l’altro non possono integralmente trasferire sugli interessati la responsabilità della sua legittimità, lasciandoli esposti, a tempo indeterminato, alla reazione repressiva (oltre che caducatoria) della p.a. e dunque ponendoli in una posizione ingiustamente sperequata rispetto a quanti beneficiano dell’ombrello protettivo del provvedimento espresso, che più coerentemente pone sugli uffici competenti la responsabilità della verifica di conformità dell’attività intrapresa al quadro normativo vigente e, per l’effetto, “copre” in qualche modo i suoi titolari attraverso gli specifici limiti imposti dall’ordinamento all’autotutela caducatoria8.
La crescente attenzione all’affidamento generato dal conseguimento di un titolo e la conseguente tendenza a circoscrivere entro limiti sempre più rigorosi il relativo potere di revoca e di annullamento rendeva sempre più fondata la critica a un sistema che, di contro, lasciava i titolari di un assenso implicito e i denuncianti/segnalanti delle attività “paraliberalizzate”, i quali avessero (anche incolpevolmente) erroneamente valutato la sussistenza dei presupposti per poter validamente utilizzare lo strumento del silenzioassenso o della d.i.a./s.c.i.a., generalmente esposti, a tempo indeterminato (d’ufficio o su ordine del giudice all’esito dell’azione avverso il silenzio prevista dall’art. 19, co. 6-ter, quale – unica – forma di tutela del terzo contro la d.i.a/s.c.i.a.), alle medesime sanzioni previste a carico di quanti abbiano (consapevolmente o comunque colpevolmente) agito in totale assenza di ogni titolo: e ciò, soltanto a causa dell’inerzia dell’amministrazione, che ha omesso di esercitare tempestivamente il proprio potere/dovere di controllo (lasciando inutilmente decorrere il termine per la formazione dell’assenso o quello per l’esercizio dei poteri inibitori e/o repressivi di cui all’art. 19, co. 3).
In un quadro normativo e giurisprudenziale tutt’altro che scevro da dubbi sull’individuazione delle “regole” di esercizio di una determinata attività, proprio gli strumenti declamatamente finalizzati ad agevolare l’esercizio delle attività produttive, “liberando” gli operatori dai lacci e lacciuoli della burocrazia amministrativa, in realtà li ponevano in una situazione di grave incertezza sulla effettiva validità e conseguente spendibilità del titolo (basti semplicemente pensare alla sostanziale impossibilità di ottenere un finanziamento o di commercializzare un immobile realizzato o modificato sulla base dei suddetti strumenti), che, come ripetutamente denunciato anche nelle competenti sedi istituzionali9, vedeva sostanzialmente frustrate anche le più recenti riforme sui limiti (temporali e oggettivi) al potere di autotutela caducatoria.
Come anticipato, la l. n. 124/2015, è opportunatamente intervenuta in punto di autotutela, introducendo direttamente alcune importanti modifiche agli artt. 19, 21, 21 quater e 21 nonies della l. n. 241/1990, indispensabili ad avviare la risoluzione delle rilevate contraddizioni del sistema. Il legislatore ha tuttavia perso un’importante occasione per reintervenire sulla disciplina del potere di revoca, risolvendo le contraddizioni insite nel richiamato co. 1-bis dell’art. 21 quinquies.
2.1 Le modifiche alla disciplina della d.i.a./s.c.i.a.
La prima modifica investe, ancora una volta, l’inquieta disciplina della d.i.a./s.c.i.a., eliminando (finalmente) l’illogico richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies in riferimento a un titolo che, stante la sua natura non provvedimentale (ormai legificata dal co. 6-ter), non può evidentemente formare oggetto di provvedimenti di secondo grado quali pacificamente sono quelli – di revoca e di annullamento – disciplinati da tali articoli. La novella del 2015, sostituendo integralmente i commi 3 e 4 dell’art. 19 e chiarendo l’esatta portata della modifica introdotta dalla l. n. 164/2014 (in sede di conversione del d.l. n. 133/2014) prevede, più coerentemente, che, per le attività intraprese con d.i.a./s.c.i.a. in contrasto con la normativa vigente, dopo la scadenza dei termini (di sessanta o, nel caso di attività edilizia, trenta, giorni) stabiliti per l’esercizio ordinario dei poteri inibitori e/o repressivi, l’amministrazione competente possa intervenire («adotta[re] comunque i provvedimenti di cui al co. 3») soltanto «in presenza delle condizioni previste dall’art. 21 nonies» (su cui v. infra). In linea con la politica generale di restrizione dei poteri di autotutela incidenti su diritti economici avviata dalle norme “sblocca Italia” (per la revoca) e sviluppata dalla riforma della p.a. (per l’annullamento), l’art. 5 della l.
n. 124/2015 ha peraltro eliminato la distinzione introdotta dal precedente co. 4 dello stesso art. 19 tra i diversi interessi colpiti, che, creando non poche difficoltà di raccordo con il predetto richiamo generalizzato agli artt. 21 quinquies e 21 nonies operato dal co. 3, disponeva che decorso il termine (di sessanta giorni dalla segnalazione) per l’adozione dei provvedimenti inibitori e/o repressivi previsto dal primo periodo dello stesso co. 3 (o quello, ridotto, di trenta giorni, previsto dal co. 6-bis per la s.c.i.a. edilizia), l’amministrazione poteva «intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente».
2.2 L’abrogazione dell’art. 21, co. 2
La seconda, ancora più importante, modifica è rappresentata dall’abrogazione del surriferito co. 2 dell’art. 21: ciò che, oltretutto, risolve (salvo quanto si dirà infra, § 3.1) anche il problema dell’inesauribilità dell’azione del terzo avverso il mancato esercizio dei poteri inibitori e/o repressivi (diretti o conseguenti all’annullamento d’ufficio)10. Una volta chiarito che, qualunque sia l’interesse colpito, l’amministrazione può intervenire in via di controllo diretto soltanto entro sessanta (o in edilizia, trenta) giorni dalla segnalazione e in via di controllo postumo soltanto entro il termine previsto dal nuovo art. 21 nonies (diciotto mesi dal consolidamento del titolo, attraverso l’inutile decorso del termine per la verifica della relativa conformità), è evidente che i suddetti limiti temporali costituiranno un’invalicabile barriera anche per l’azione esperibile dal terzo avverso l’eventuale inerzia (v. infra).
La vera rivoluzione del sistema, che accresce la rilevanza delle modifiche sopra esposte, è peraltro rappresentata dalla riforma dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990 (introdotto dalla l. n. 80/2005), che, come noto, definisce i confini del potere di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi da parte dell’organo che lo ha emanato (ovvero da altro organo previsto dalla legge), consentendone l’esercizio soltanto a condizione che l’annullamento (i) risponda a «ragioni di interesse pubblico» (evidentemente diverse dall’interesse – generale – al ripristino della legalità violata), (ii) sia disposto «entro un termine ragionevole» e (iii) tenga «conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati». È facile immaginare le problematiche applicative suscitate dalla genericità di queste disposizioni, che, se hanno avuto l’indubbio pregio di recepire alcuni importanti principi elaborati dalla giurisprudenza in considerazione dell’esigenza di contemperare l’interesse alla legalità con la tutela dell’affidamento, hanno lasciato alla discrezionalità delle singole amministrazioni e al delicato controllo che deve farne la giurisprudenza la traduzione dei suddetti criteri in riferimento alle singole fattispecie11. Come anticipato, nella logica di una maggiore garanzia dell’affidamento degli operatori economici nella stabilità dei titoli e dei benefici conseguiti o maturati, la riforma definisce in un massimo di diciotto mesi il termine “ragionevole” previsto dalla suddetta disposizione per l’annullamento dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, escludendo peraltro ogni distinzione tra gli interessi pubblici colpiti (ivi compresi tanto i cd. interessi sensibili, ovvero quelli per i quali il vecchio testo dell’art. 19, co. 4, consentiva l’intervento tardivo sulla s.c.i.a., quanto le esigenze della finanza pubblica). Viene pertanto significativamente abrogato il co. 136 dell’art. 1 della l. n. 311/2004, che, «al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari», consentiva comunque l’annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi (a prescindere dalla considerazione dei contrapposti interessi), contemperando peraltro tale regime straordinario con la previsione che l’annullamento avesse ad oggetto «provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati», doveva «tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque» non poteva essere disposto «oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante».
Operando un opportuno bilanciamento tra le predette esigenze di certezza degli operatori in buona fede e i fenomeni (purtroppo non infrequenti) di dichiarazioni false o mendaci per effetto di illeciti penali, la l. n. 124/2015 inserisce poi nello stesso art. 21 nonies un co. 2-bis, il quale, fatte salve le sanzioni penali e le sanzioni previste dal capo VI del d.P.R. 28.12.2000, n. 445 (tra le quali, peraltro, non rientra la mera decadenza dai benefici indebitamente ottenuti, riconducibile piuttosto all’autotutela caducatoria ed evidentemente soggetta ai suoi stessi limiti temporali: il riferimento alle sanzioni di cui al d.P.R. n. 445 deve dunque intendersi limitato a quelle penali, come meglio risultante dal testo dell’art. 19, co. 3, ult. inciso, malamente riportato nel nuovo art. 21 nonies) esclude l’operatività del limite dei diciotto mesi per l’annullamento dei provvedimenti «conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato» (in virtù del richiamo operato dall’art. 19, co. 4, la regola vale, evidentemente, anche in riferimento ai poteri di controllo sulla legittimità della d.i.a./s.c.i.a.).
In tal modo la disposizione dovrebbe risolvere anche il delicato tema dei rapporti di pregiudizialità tra giudizi penali e giudizi amministrativi, non consentendo più alle amministrazioni di agire in autotutela invocando la mera apertura di indagini penali e di opporre al giudice amministrativo eventualmente adito avverso i provvedimenti di annullamento (o di sospensione) d’ufficio la “pendenza” di un processo penale12.
I limiti temporali al potere di annullamento sono stati infine coerentemente estesi al potere di sospensione dell’efficacia ovvero dell’esecuzione dei provvedimenti amministrativi previsto dall’art. 21 quater della l. n. 241/1990, che, nel testo modificato dalla riforma, non può essere disposto né perdurare oltre i termini stabiliti dall’art. 21 nonies.
La riflessione sul quadro normativo di disciplina del potere amministrativo di annullamento non può peraltro prescindere dall’importante temperamento che i nuovi limiti temporali incontrano (i) nell’espresso richiamo, all’art. 21 nonies (co. 1, ultimo periodo, aggiunto dalla l. n. 164/2014), delle responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento dei provvedimenti illegittimi e (ii) nella previsione, all’art. 2, co. 1, della l. n. 241/1990, come novellato dalla l. n. 190/2012, che, nei casi di manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni devono concludere il procedimento con un provvedimento espresso in forma semplificata: disposizione che, nei termini generali in cui è formulata, è stata ritenuta applicabile anche alle istanze di autotutela13. Ferma restando l’astratta possibilità delle amministrazioni di respingere l’istanza invocando il decorso dei termini per l’impugnazione del provvedimento pretesamente illegittimo, l’attivazione dei controinteressati (in tempo utile all’esercizio del potere di annullamento) potrà dunque spingere i funzionari che vorranno evitare le responsabilità derivanti dai danni arrecati all’interesse pubblico (e agli stessi terzi) dall’adozione e/o dal mancato annullamento di atti illegittimi ad un tempestivo esercizio del relativo potere.
La riforma ha invece perso un’importante occasione per reintervenire sulla disciplina della revoca, che resta pertanto quella risultante all’esito delle ultime modifiche delle norme “sbloccaItalia”.
Le nuove disposizioni costituiscono evidentemente un grande passo avanti a favore della stabilità delle posizioni giuridiche e dell’effettività delle misure di semplificazione e di paraliberalizzazione delle attività economiche.
Esse lasciano tuttavia ancora aperti alcuni problemi.
3.1 Sul quadro normativo
Sotto il profilo dell’interesse pubblico, è di immediata evidenza il rischio che l’introduzione di un limite temporale di diciotto mesi (senza distinzione tra le norme violate) lasci troppo facilmente recedere anche interessi primari come l’ambiente, la sicurezza, la salute, la difesa, la tutela del patrimonio culturale, che, tradizionalmente, erano stati considerati tendenzialmente prevalenti rispetto all’affidamento imprenditoriale. Gli eccessi, si sa, non sono mai opportuni e sarebbe perciò auspicabile un intervento correttivo sul nuovo art. 21 nonies (da effettuare, per le già rimarcate esigenze di garanzia di certezza del diritto e di stabilità delle posizioni giuridiche, con la massima sollecitudine), introducendo, quanto meno, un termine più ampio (magari raddoppiato) per l’autotutela su atti lesivi dei suddetti interessi.
Un diverso problema investe la tutela giurisdizionale del terzo contro la d.i.a./s.c.i.a. Il carattere perentorio del termine di cui all’art. 19, co. 1 e i nuovi limiti imposti dalla riforma all’intervento “postumo” mal si conciliano infatti con i tempi del rito attivabile ai sensi del co. 6-ter. L’accoglimento del ricorso sul mancato esercizio dei poteri inibitori/repressivi nei termini di cui al co. 1, implicando l’accertamento dell’illegittimo utilizzo della d.i.a./s.c.i.a., ne impone evidentemente l’esercizio postumo in sede di ottemperanza, svincolandolo dal rispetto delle condizioni di cui all’art. 21 nonies. Resta però il problema, tutt’altro che semplice, del termine entro il quale il terzo deve (sollecitare l’intervento della p.a. e) promuovere il giudizio: stante la consumazione del potere-dovere di “prima” reazione all’illegittimo utilizzo della d.i.a./s.c.i.a. (indipendente dalla sussistenza di uno specifico interesse pubblico e dalla valutazione dei contrapposti interessi) e, soprattutto l’esigenza di certezza del titolo, esso, per ottenere la condanna della p.a. all’esercizio di tale potere, dovrebbe coincidere con i sessanta (o trenta) giorni entro (e non oltre) i quali tale reazione può avere luogo; l’azione successiva dovrebbe consentire solo il risarcimento. La soluzione (ancorché in linea con la logica di garanzia della stabilità dei titoli abilitativi che ha guidato la riforma) non consente però adeguata tutela al terzo laddove l’attività non venga di fatto tempestivamente iniziata e dunque esso non sia posto in grado di averne contezza in tempo utile per proporre la suddetta azione. Per evitare prevedibili contrasti interpretativi, è auspicabile un sollecito intervento legislativo sul punto, che colleghi espressamente il ricorso ex art. 19, co. 6-ter all’avvio dell’attività oggetto di d.i.a./s.c.i.a.
Anche sotto l’opposto profilo dell’interesse del destinatario del provvedimento, non si possono trascurare alcuni rischi tuttora aperti.
In primis, la posizione che assumeranno i giudici penali, che, verosimilmente (ancorchè criticabilmente), continueranno a non tener conto (disapplicare) le autorizzazioni che ritengono illegittimamente rilasciate, valutando la condotta sulla base della sua conformità o meno al quadro normativo vigente, a prescindere dalla sussistenza o meno del titolo (si pensi, per tutti, all’interpretazione che sarà data al termine “abusivamente” nella nuova disciplina degli ecoreati).
Il chiaro obiettivo della riforma e l’abrogazione dell’art. 21, co. 2, della l. n. 241/1990, che, come sopra ricordato, prevedeva l’applicazione delle sanzioni per l’assenza di titolo alle condotte realizzate sulla base di titoli abilitativi impliciti o di d.i.a./s.c.i.a. contrari al contesto normativo, dovrebbe peraltro costituire un significativo ostacolo al perpetrarsi di tale orientamento, anche se, per evitare ogni rischio di frustrare gli effetti della riforma, sarebbe opportuno prevedere in modo esplicito che il possesso di un titolo, almeno fin quando non se ne accerti, con sentenza passata in giudicato, l’illecita acquisizione, costituisce presunzione di legittimità della condotta e osta all’applicazione delle sanzioni penali per contrasto con le norme di riferimento.
Un ulteriore problema è costituito dalle possibili conseguenze della riforma sulla disciplina dell’annullamento governativo, istituto tradizionale del nostro sistema14, che trova le sue origini nell’art. 6 del t.u.l.c.p. del 1915 e che è stato confermato dall’art. 138 del t.u.ee.ll. (d. lgs. n. 267/2000, s.m.i.). Le predette disposizioni attribuiscono al Governo un potere straordinario di annullare, per «gravi» motivi di interesse pubblico gli atti illegittimamente assunti dagli enti locali a «tutela dell’unità dell’ordinamento»15.
La circostanza che nessuna delle norme che, a vario titolo, sono intervenute a limitare il potere di autotutela dell’amministrazione, abbia introdotto limiti temporali all’utilizzo dell’istituto induce a ritenere che anche il legislatore del 2015 abbia inteso farne ancora salvo l’esercizio «in ogni tempo», anche se le recenti riforme spingono verso un’interpretazione massimamente rigorosa dell’espressione «gravi motivi di interesse pubblico». Alla stregua di quanto sopra osservato in riferimento alla esclusione di ogni distinzione tra interessi sensibili e non ai fini dell’operatività del nuovo limite di diciotto mesi al potere di autoannullamento, l’istituto, se correttamente applicato, ha peraltro il vantaggio di contemperare la tutela dell’affidamento con l’esigenza di evitare la «grave» compromissione dei suddetti interessi. Sarebbe peraltro opportuno introdurre, anche per tale potere, un adeguato limite temporale (quinquennale, o, al massimo, decennale).
Maggiori perplessità suscita invece la mancata abrogazione dell’art. 39 t.u.ed. che attribuisce alle regioni il potere di annullare (o, nelle more, sospendere) il permesso di costruire e (in evidente contraddizione con l’art. 19, co. 6-ter, prima ancora che con la richiamata riforma dei commi 3 e 4, l. n. 241) la d.i.a./s.c.i.a. entro il termine di dieci anni dal relativo rilascio o dalla relativa formazione. Diversamente dall’annullamento governativo, che si giustifica in quanto potere straordinario ed eccezionale a tutela dell’unità dell’ordinamento, il potere de quo, inquadrabile piuttosto come un potere ordinario di intervento sostitutivo, nell’ambito del più generale potere di controllo della regione sul territorio e circoscritto sin dall’origine entro un preciso limite temporale, a fronte di un potere di autotutela all’epoca illimitato, si pone in evidente e irragionevole contrasto con un sistema che tende invece dichiaratamente ad incentivare gli investimenti, dando massime garanzie di stabilità agli operatori, tanto, appunto, da non distinguere più, ai fini del tempo massimo per l’annullamento d’ufficio, tra gli interessi tutelati. È dunque auspicabile un intervento “correttivo” che ridisciplini in tempi rapidi l’istituto.
Come anticipato, la l. n. 124/2015 non ha invece recepito le critiche mosse in riferimento all’attuale disciplina del potere di revoca, che, nel testo vigente dell’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990, al di là delle problematiche connesse all’incerta distinzione tra la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (che le norme “sblocca Italia” hanno escluso dalle possibili cause di revoca per i provvedimenti di autorizzazione o attributivi di vantaggi economici) e il mutamento della situazione di fatto, esprime una palese confusione tra i presupposti dell’istituto e quelli dell’annullamento. Il co. 1-bis, introdotto dal d.l. del 31.1.2007, n. 7, convertito nella l. 2.4.2007, n. 40, dispone infatti che «Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico». Al di là dell’illogico riferimento alla revoca ad efficacia istantanea (in contrasto con la natura dell’istituto, come più correttamente delimitata dal primo co.) la norma pone dunque ingiusti limiti all’indennizzo e alla tutela del beneficiario del provvedimento revocato, inconcepibilmente collegandoli a sue possibili responsabilità nell’erronea valutazione dell’interesse pubblico: circostanza che, a ben vedere, si traduce però in un vizio originario del provvedimento e rientra come tale nelle ipotesi di annullamento piuttosto che in quelle della revoca, determinando una confusione che mal si concilia con una riforma che mira a dare certezze e a semplificare il sistema.
Da ultimo, ma assolutamente non ultimo, in un’ottica più generale di incentivazione all’investimento, occorrerebbe, in linea con la conclamata finalità di circoscrivere il potere di annullamento e di revoca, definire in termini più chiari i presupposti e i limiti del potere di sospensione previsto dall’art. 21 quater della l. n. 241/1990, che le amministrazioni hanno preso vieppiù frequentemente a utilizzare per sfuggire ai limiti dell’autotutela caducatoria, realizzandone però di fatto gli effetti senza le prescritte garanzie. Il problema è aggravato quando il provvedimento soprassessorio è giustificato dal mero avvio di indagini penali dal cui esito, a prescindere da ogni coinvolgimento dei titolari dell’atto da sospendere e dunque da ogni “pericolosità” di tali soggetti, potrebbe essere desumibile l’originaria illegittimità di quest’ultimo.
Sarebbe a tale riguardo opportuna una riformulazione della disposizione, che delimitasse ulteriormente la durata della sospensione (in coerenza con i termini – da sessanta a novanta giorni – ordinariamente sufficienti a concludere una procedura caducatoria), ne vietasse la proroga o la reiterazione (per la stessa o per diverse ragioni) e condizionasse comunque in modo più esplicito l’esercizio del suddetto potere straordinario alla sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile per l’interesse pubblico e alla considerazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, facendo eventualmente obbligo all’amministrazione di tenere indenni i soggetti direttamente pregiudicati dalla sospensione qualora entro un congruo termine (che potrebbe essere semestrale) non venga adottato un provvedimento definitivo di autotutela16.
3.2 Sulla giurisprudenza
Tornando al sistema de iure condito, la novella del 2015 dovrebbe in ogni caso indurre a ritenere superati gli orientamenti giurisprudenziali che, in netta controtendenza rispetto alle richiamate esigenze di garanzia degli investimenti e in contrasto con il chiaro dato testuale dell’art. 21 nonies, l. n. 241/1990, e con la portata chiaramente eccezionale del menzionato e abrogato art. 1, co. 136, l. 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), mirano a limitare la tutela dell’affidamento in nome di alcuni interessi asseritamente preminenti17 e/o in considerazione di una presunta (ma non comprovata) corresponsabilità del soggetto beneficiario del provvedimento illegittimo. Nella stessa luce, deve essere valutata con estrema attenzione e prudenza la tendenza a riconoscere il carattere doveroso dell’annullamento nel caso in cui sia decorso poco tempo dall’adozione del provvedimento18.
Se, nei rari casi in cui il legislatore è chiaro, la giurisprudenza individua regole autonome in peius, l’attività economica non avrà davvero alcuna speranza di ripresa. Se la natura delle norme violate, il breve lasso di tempo intercorso o il comportamento del privato possono valere come elemento negativo di valutazione del legittimo affidamento ai fini di una corretta comparazione degli interessi in gioco, ciò non può comunque trasformare il potere discrezionale in potere vincolato. E, in uno Stato di diritto, non può non essere tenuta in debito conto la circostanza che il legislatore, oltre a eliminare ogni distinzione tra le norme violate, abbia considerato il tempo solo come limite al potere di annullamento e non come elemento da considerare in malam partem per l’operatore e abbia inserito, ancorché (come già visto, affatto impropriamente) soltanto nell’art. 21 quinquies, il riferimento al “concorso” del privato nel creare i presupposti per l’autotutela. L’introduzione del nuovo co. 2-bis all’art. 21 nonies conferma sotto altro profilo il carattere eccezionale e i limiti della rilevanza del concorso degli interessati nell’adozione di un atto illegittimo ai fini dell’esercizio del potere caducatorio.
3.3 Considerazioni conclusive generali
A venticinque anni dall’approvazione della l. n. 241/1990 e a dieci anni da quella della l. n. 80/2005, la novella del 2015 spinge a un importante ripensamento sul potere di autotutela, che, da strumento ordinario e “naturale” di riesercizio del potere in funzione della massima tutela dell’interesse pubblico, si trasforma in termini sempre più netti in strumento eccezionale, che non può trascurare le esigenze di certezza e di stabilità che presiedono alla garanzia di effettività delle libertà economiche.
Si impone in quest’ottica una riflessione di ordine generale sui presupposti per l’autoannullamento. In disparte la valutazione dell’interesse pubblico prevalente, in un’ottica di garanzia degli investitori e di massima attenzione alla tutela dell’affidamento, il contrasto con la normativa vigente che giustifica l’annullamento d’ufficio deve essere valutato in termini più rigorosi di quelli che potrebbero giustificare il diniego. In altri termini, a fronte di un quadro normativo oggettivamente incerto, atteso il favor che l’ordinamento, anche eurounitario, riserva alle attività produttive, l’interpretazione meno favorevole all’istante può essere al più legittimata (sempre che trovi giustificazione in interessi pubblici prevalenti) in sede di primo vaglio della richiesta, ma non dovrebbe poter essere mai idonea a legittimare il potere di annullamento19.
La tematica è di estrema rilevanza, soprattutto se si considera che l’espressa affermazione della responsabilità per mancato annullamento, in una con la riferita estensione dell’obbligo di pronuncia anche alle istanze inammissibili, potrà implicare un ritorno in auge del relativo esercizio.
Da ultimo, ma non ultimo, non si possono trascurare i riflessi che i nuovi limiti al potere di annullamento potrebbero esplicare sulla vexata quaestio degli effetti del contrasto dei provvedimenti amministrativi con il diritto eurounitario, in ragione del primato di quest’ultimo sul diritto nazionale e dell’esigenza di evitare antinomie tra i due ordinamenti20 e, in termini più generali, sui delicati confini tra annullabilità e nullità21.
1 La bibliografia in materia è evidentemente sterminata. Mi limiterò pertanto alla citazione di alcune trattazioni più recenti, rinviando alle medesime il richiamo a quelle meno recenti e più tradizionali. In termini generali, sul tema dell’autotutela, cfr. Immordino, M., I provvedimenti amministrativi di secondo grado, in Scoca, F. G., a cura di, Diritto amministrativo, Torino, 2014, 337 ss. Sulle problematiche sollevate dall’istituto dell’annullamento, cfr. da ultimo, per tutti, il volume di D’Ancona, S., L’annullamento d’ufficio tra vincoli e discrezionalità, Napoli, 2015. Sulle incongruenze della disciplina della revoca, Portaluri, P.L., Note sull’autotutela dopo la legge 164/14 (qualche passo verso la doverosità?), in Sandulli, M.A., a cura di, Gli effetti del decreto-legge Sblocca Italia convertito nella legge 164/2014 sulla legge 241/1990 e sul Testo Unico dell’Edilizia, in supplemento al fasc. n. 6/2015 della Riv. giur. ed.
2 Caringella, F., Affidamento e autotutela: la strana coppia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, 425 ss.
3 In primis, silenzio-assenso e d.i.a./s.c.i.a.: mi si consenta il rinvio a Sandulli, M.A., Il regime dei titoli abilitativi edilizi tra semplificazione e contraddizioni, in Riv. giur. edil., 2013, 301 ss.; Id. Le novità in tema di silenzio, in Il libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014. Per una forte denuncia della difficoltà di conciliare la d.i.a./s.c.i.a. con il regime dell’autotutela cfr. anche Liguori, F., Le incertezze degli strumenti di semplificazione: lo strano caso della d.i.a./s.c.i.a., in www.giustamm.it.
4 Sul legittimo affidamento determinato dal titolo illegittimamente formato, è significativo richiamare le ordinanze “gemelle” Cass., S.U., nn. 6594, 6595 e 6596 del 23.3.2011, (in www.federalismi.it, 2011, con commenti di M.A. Sandulli e F. Patroni Griffi), sulla giurisdizione del g.o. sull’azione risarcitoria dei danni subiti dal relativo beneficiario per effetto della sua legittima caducazione. Nello stesso senso, più recentemente, i.a., TAR Lombardia, Milano, I, 11.7.2014, n.1807.
5 Cfr. ex multis, Sandulli, M. A., Denuncia di inizio attività, in Riv. giur. ed., 2004 e Travi, A., La DIA e la tutela del terzo: fra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005, in Urb. app., 2005, 1332; e, più recentemente, Paolantonio, N.Giulietti, W., La segnalazione certificata di inizio attività, in Sandulli, M. A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2010; Zampetti, E., D.i.a. e s.c.i.a. dopo l’Adunanza Plenaria n. 15/2011: la difficile composizione del modello sostanziale con il modello processuale, in Dir. amm., 2011, 811 ss. e, soprattutto, Greco, G., La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in Dir. proc. amm., 2011, 359 ss.; Id., Ancora sulla s.c.i.a.: silenzio e tutela del terzo, in Dir. proc. amm., 2014.
6 Sandulli, M.A., Semplificazione, certezza del diritto e braccia legate, in www.giustamm.it, 2005 e Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo: introduzione al tema, in Sandulli, M.A., a cura di, Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo, in Quaderni de Il Foro amministrativo TAR, 2, Milano, 2006.
7 Cfr. gli AA. citt. alla nota 3, cui adde Francario, F., Autotutela e tecniche di buona amministrazione, in A.A.VV., L’interesse pubblico tra politca e amministrazione, II, Napoli, 2010, 124 ss., secondo il quale in tali casi in realtà non si sarebbe di fronte ad una “limitazione” del potere generale di autotutela, ma alla attribuzione di un potere non altrimenti esercitabile.
8 In argomento, ex multis, Manganaro, F., Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli,1995; Mazzamuto, M., Legalità e proporzionalità temporale dell’azione amministrativa: prime osservazioni, in Foro amm., 1993; Contieri, A., Il riesame del provvedimento amministrativo, Napoli, 1991; Falcon, G., Questioni sulla validità e sull’efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo, in Tempo, spazio e certezza dell’azione amministrativa, Milano, 2003; Trimarchi Banfi, F., L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005; Corletto, D., Provvedimenti di secondo grado e tutela dell’affidamento, in Corletto, D., a cura di, Procedimenti di secondo grado e tutela dell’affidamento in Europa, Padova, 2007.
9 Sandulli, M.A., Introduzione al convegno AIPDA su Riflessioni sull’incertezza delle regole: le sanzioni amministrative “nascoste” e le nuove sanzioni pecuniarie introdotte dal c.p.a., svoltosi presso l’Università Roma Tre il 6.2.2014, disponibile sul sito www.dirittoamministrativo.org, in cui si segnalava che le gravi incertezze che il quadro normativo della s.c.i.a. rivela in ambito sanzionatorio «impongono di porre il problema della sua soluzione al primo posto nell’agenda politica di un Paese che non può assolutamente permettersi di mettere in fuga gli investitori, italiani e stranieri, fondatamente scoraggiati dalla sempre maggiore difficoltà di prevedere le conseguenze giuridiche delle proprie condotte»; Id., Introduzione al convegno AIPDA-AIDU, svoltosi presso l’Università Roma Tre il 22.1.2015 su «Gli effetti del decreto-legge Sblocca Italia convertito nella legge 164/2014 sulla legge 241/1990 e sul Testo Unico dell’Edilizia», in supplemento al fasc. n. 6/2015 della Riv. giur. ed.; e, da ultimo, audizioni alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica sul ddl. n. 1577, che ha condotto alla l. n. 124/2015.
10 Sul punto, TAR Piemonte, II, 1.7.2015, n. 1114, TAR Abruzzo, L’Aquila, 11.9.2014, n. 661 e, in dottrina, Liguori, F., Le incertezze degli strumenti di semplificazione. Lo strano caso della dia-scia, in www.giustamm.it, 2014; Greco, G., Ancora sulla s.c.i.a.: silenzio e tutela del terzo, in Dir. proc. amm., 2014; contra, tra le più recenti, Cons. St., VI, 22.9.2014, n. 4780, con commento favorevole di M.A. Sandulli in www.federalismi.it, 2014, 16.4.2014, n. 1880, TAR Lombardia, Milano, II, 22.10.2014, n. 2557 e TAR Veneto, III, 27.1.2015, n. 75.
11 La tematica è compiutamente e lucidamente affrontata da D’Ancona, S., L’annullamento, cit. Con riferimento ad alcune recenti – e poco condivisibili – tendenze giurisprudenziali all’autonoma individuazione di ipotesi di interessi pubblici “in re ipsa”, che esonererebbero l’amministrazione da ogni specifico obbligo motivazionale in ordine alla relativa sussistenza, v. anche in questo volume la voce di Zampetti, E., Motivazione in re ipsa e autotutela decisoria.
12 Cfr. significativamente Cons. St., V, 27.4.2015, n. 2074.
13 Sottolineano l’intervenuta generalizzazione dell’obbligo di provvedere «senza eccezione alcuna», TAR Lombardia, Milano, III, 4.6.2014, n. 1412 e TAR Sardegna, II, 19.3.2014, n. 246; in termini meno netti, TAR Campania, Napoli, III, 20.2.2015, n. 1207 e TAR Lombardia, Milano, II, 21.5.2014, n. 1308. Senza dare espressamente conto della novella normativa, continua peraltro a escludere l’insorgenza di un obbligo di provvedere a fronte di istanze di autotutela Cons. St., V, 22.1.2015, n. 273.
14 Sandulli, A.M., Il potere governativo di annullamento e le Regioni, in DeS, 1975.
15 Cons. St., I, n. 1313/2003.
16 Cfr. la riformulazione proposta da Sandulli, M.A., Illeciti edilizi, cit.
17 Tra le più recenti, Cons. St., VI, n. 1915/2015.
18 Per tutti, D’Ancona, S., L’annnullamento, cit.; Sandulli, M.A., Illeciti edilizi, cit.; Zampetti, E., Motivazione, cit.
19 V. però Cons. St., A.P., 24.5.2011, n. 9.
20 Cfr. da ultimo, Massari, G., L’atto amministrativo antieuropeo: verso una tutela possibile, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014 e ivi ampi richiami di dottrina e di giurisprudenza.
21 21 Cfr. Cass., S.U., n. 26242/2014.