AUTOVEICOLO
(App. IV, I, p. 208; v. automobile, V, p. 555; App. I, p. 203; II, I, p. 316; III, I, p. 183)
La produzione e la vendita delle automobili, le quali costituiscono la parte numericamente prevalente degli a., ha seguito nel mondo l'andamento di fig. 1 negli ultimi anni. Gli anni 1973 e 1979 segnano l'inizio di profonde flessioni nella produzione e nella vendita, che corrispondono al principio e alla recrudescenza della crisi petrolifera, la quale ha avuto effetti che trascendono il suo impatto diretto. Infatti l'automobile, che era considerata all'inizio degli anni Settanta un prodotto tecnologicamente maturo, e cioè non suscettibile di cambiamenti importanti, ha successivamente mostrato un cospicuo rinnovamento tecnologico, che viene considerato il fattore primario delle riprese prodottesi nel 1975 e 1982 dopo le crisi petrolifere.
Oltre alla riduzione dei consumi, altri importanti temi hanno contribuito al progresso dell'a.: la riduzione dell'inquinamento e l'aumento della sicurezza e del comfort.
La riduzione dei consumi. − È stata perseguita da un lato diminuendo le resistenze al moto, dall'altro migliorando il rendimento del gruppo motore-trasmissione. Significativo è il fatto che negli USA sia stata introdotta nel 1976 una legge che obbliga i costruttori a produrre mediamente a. capaci di percorrenze per unità di carburante non inferiori a un certo valore prefissato e crescente nel tempo (fino a 25 miglia per gallone, MPG, nel 1985), valutate secondo modalità di prova stabilite dall'EPA (Environmental Protection Agency). Se si tiene conto del valore medio di 16 MPG all'epoca dell'introduzione della legge, la riduzione supera il 50% in 10 anni.
Resistenza al moto. − La resistenza al rotolamento è convenzio nalmente espressa dal prodotto f·W, ove f è il coefficiente di roto lamento, e W il peso del veicolo. Il coefficiente f risulta poco varia bile con la velocità (se si escludono velocità molto elevate). In tab. 1 sono riportati i suoi valori indicativi per automobili e per veicoli industriali.
Questi miglioramenti sono stati ottenuti riprogettando gli pneumatici per pressioni di gonfiaggio aumentate con l'adozione di nuove mescole di gomma e con perfezionamenti della struttura (pacco tele). Negli USA un notevole miglioramento si è ottenuto mediante il sempre maggiore impiego della struttura radiale che supera oggi il 90% del prodotto, come già avviene in Europa da oltre 20 anni.
La resistenza aerodinamica Xa cresce con la velocità V al quadrato: Xa = Cx ½·ϱ·S·V2 ove S è l'area della proiezione frontale dell'autoveicolo (circa 2 m2 nelle automobili, circa 10 m2 negli a. industriali), ϱ la densità dell'aria o massa volumica (circa 1,25 kg/m3 in condizioni norma li) e Cx il coefficiente di resistenza aerodinamica, dipendente dalla forma dell'autoveicolo. Nelle automobili, Cx ha subito l'evoluzione indicata in fig. 2, riferentesi all'Europa.
In Italia, a seguito della crisi energetica, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha promosso una ricerca per la riduzione del Cx conclusasi nel 1978 con la realizzazione di un modello reale, che ha dimostrato la possibilità pratica di raggiungere un Cx ≃ 0,20. Il concetto informatore della ricerca si basa sulla riduzione della formazione vorticosa generata dagli elementi che creano azioni portanti (cofano, parabrezza, lunotto, ecc.).
Negli a. industriali i miglioramenti sono stati ottenuti ricorrendo principalmente a elementi aggiuntivi come, per es., il drag foiler sovrapposto alla cabina illustrato nella fig. 3. Esso serve a meglio raccordare il flusso che dopo la cabina investe il vano di carico, e può da solo ridurre il Cx da 0,90 a 0,60, cioè di circa il 33%.
Peso. − Un altro fattore importante per il decremento dei consumi è la riduzione del peso, non soltanto per la conseguente diminuzione della resistenza al rotolamento, ma anche per la riduzione del lavoro speso in frenatura: infatti, nell'a. i freni disperdono energia in calore. L'istogramma di fig. 4 mostra la ripartizione della spesa energetica fra le varie cause di dissipazione per i tipi di andatura più frequenti: marcia urbana, extraurbana, autostradale. Si può notare che nella marcia urbana oltre il 70% dell'energia è dispersa in calore nei freni.
La riduzione del peso è stata ricercata in molti modi, particolarmente: a) con l'uso di materiali più leggeri come quelli plastici e l'alluminio; l'istogramma di fig. 5 mostra come alla diminuzione di contenuto di materiali pesanti quali rame, piombo, zinco e acciaio faccia riscontro l'aumento di materiali leggeri; b) mediante la rapida diffusione di tecniche di progettazione con l'uso del calcolatore (CAD, Computer Aided Design; CAE, Computer Aided Engineering; CIM, Computer Integrated Manufacturing), che in qualche caso hanno determinato una grande riduzione di peso; c) con la riduzione delle dimensioni dell'a.; la tab. 2 mostra l'andamento delle immatricolazioni in Europa per 'segmento' di automobile (dimensioni crescenti secondo l'ordine alfabetico) e vi si nota che mentre nel 1976 le preferenze erano orientate verso i segmenti C, D, B, E in ordine decrescente, nel 1986 si sono spostate secondo l'ordine B, C, D, E: ciò vale a dire che risultano preferite automobili più piccole e quindi più leggere rispetto a 10 anni prima.
Anche a livello legislativo sono stati presi provvedimenti in favore della riduzione del peso dell'autoveicolo. Nel 1986 in Italia è stato introdotto il quadriciclo con limitazione del peso a vuoto a 550 kg. Analoghe categorie di a. esistono già da tempo nel resto d'Europa (particolarmente in Francia, dove la produzione annua è valutata intorno a 50.000 unità), e in Giappone con le microvetture contraddistinte dalla lettera K (non esportate). Anche negli USA il numero di autovetture compact e subcompact è in costante aumento, specialmente in considerazione della massiccia penetrazione dei modelli giapponesi.
Motopropulsore (motore e trasmissione del moto alle ruote). − L'ultimo quindicennio ha visto accrescersi la diffusione del motore Diesel anche nel campo delle autovetture, sebbene in tempi più recenti in Italia la percentuale delle vendite sia in diminuzione.
Il motore Diesel ha rendimenti più elevati del motore ad accensione comandata a scintilla specialmente ai regimi parzializzati, quando cioè, a parità di velocità di rotazione del motore, se ne riduce la potenza erogata diminuendo l'ammissione di combustibile. Ciò si riflette in una riduzione dei consumi, particolarmente cospicua nella marcia in città. Si veda per es. la tab. 3 in cui sono messe a confronto vetture aventi le medesime prestazioni di velocità massima e differenziantisi solo per l'adozione del motore Diesel o del motore ad accensione comandata.
In tempi recenti un ulteriore progresso è stato ottenuto introducendo l'iniezione diretta nel motore Diesel delle automobili (negli a. industriali è già generalizzata da tempo), per mezzo della quale si sono conseguite ulteriori importanti riduzioni dei consumi specifici (del 15% circa). La prima vettura commercializzata con motore Diesel a iniezione diretta è la Fiat Croma (estate 1988).
Nei motori ad accensione comandata si è ricercata la riduzione dei consumi cercando di farli funzionare in condizioni di basso consumo specifico che corrispondono a velocità di rotazione intorno a 1/2 ÷ 2/3 del regime massimo e, soprattutto, a modeste parzializ zazioni del motore. Allo scopo l'Alfa Romeo ha introdotto, all'ini zio degli anni Ottanta, il cosiddetto CEM (Controllo Elettronico del Motore), che permette il funzionamento del motore a due cilindri (su quattro) quando la potenza richiesta è, come in città, modesta, e può quindi essere fornita da due soli cilindri che risultano così meno 'parzializzati' e pertanto funzionanti con migliori consumi specifici. Anche la General Motors ha introdotto nel 1980 su modelli Cadillac con motore a 8 cilindri la regolazione modulare, cioè da 8 a 6 e 4 cilindri, ma il sistema è stato abbandonato.
Un altro modo di far funzionare il motore in condizioni di migliore rendimento, specialmente nell'uso extraurbano, è quello di dotare la trasmissione del moto alle ruote di marce 'lunghe' (la quinta marcia, di dotazione ormai generalizzata). Ancora un altro mezzo per ottenere il medesimo vantaggio è quello di impedire l'afflusso di carburante nel motore quando funziona da freno (cut-off); tale espediente è particolarmente efficace nella marcia cittadina.
Un sistema assai sofisticato di regolazione del motore consiste nel dotarlo di turbocompressore a gas di scarico, e cioè nel recuperare l'energia residua dei gas di scarico per aumentare la pressione di alimentazione del motore (sovralimentazione).
Con questo procedimento si ottiene l'importante risultato di aumentare la potenza per unità di peso del motore, cosa particolarmente ricercata nei motori Diesel, conseguendo così allo stesso tempo sia un aumento delle prestazioni (velocità) che una riduzione dei consumi (tab. 3). Nei motori a benzina la sovralimentazione mediante turbocompressore permette di raggiungere potenze specifiche elevatissime che hanno spesso portato a velocità massime superiori a 200 km/h. Tuttavia, anche senza ricorrere alla sovralimentazione, importanti incrementi nell'alimentazione del motore vengono conseguiti disponendo quattro valvole per cilindro, due di ammissione e due di scarico. Gli aumenti di riempimento di miscela nel cilindro sono dell'ordine del 25% rispetto al caso usuale delle due valvole. Per es. nella Lancia Thema con motore di 2000 cm3 con accensione e iniezione elettronica, la potenza passa da 122 CV per la versione più semplice a 165 CV per quella con turbocompressore, e a 153 CV per quella con 4 valvole.
La riduzione dell'inquinamento. − Una limitazione alle prestazioni dei motopropulsori è rappresentata dalla necessità di limitare l'inquinamento, principalmente quello causato dai gas di scarico. Nella CEE è entrata in vigore nel 1988 una normativa già nota dal 1985, riguardante solo le autovetture con motore ciclo Otto, la cui completa applicazione sarà raggiunta nel 1993 (tab. 4).
La normativa fissa i limiti delle emissioni dei gas di scarico in funzione della cilindrata e non è molto restrittiva se raffrontata alle misure americane e giapponesi. Tuttavia, le limitazioni richieste alle autovetture di cilindrata superiore a 2000 cm3 possono essere attualmente ottemperate solo mediante l'adozione di marmitte catalitiche, il cui costo comporta un aumento del prezzo di vendita degli a. dell'ordine del 7÷8%. Inoltre, l'adozione della marmitta catalitica richiede l'utilizzo di benzina senza piombo: infatti il potere catalitico della marmitta si degrada rapidamente se il motore viene alimentato con benzina contenente piombo-tetraetile, il quale è l'additivo comunemente usato dai produttori petroliferi per elevare il potere antidetonante. Tale è il motivo per cui la benzina senza piombo è già ampiamente disponibile sul mercato, benché la norma non richieda esplicitamente limitazioni dell'emissione di piombo.
La fig. 6 mostra la capacità purificatrice dei gas di scarico di una marmitta catalitica in funzione del rapporto aria/carburante. Si può notare che l'abbattimento delle emissioni nocive è quasi totale solo se il rapporto fra aria e carburante è quello stechiometrico, cioè λ = 1, o pochissimo discosto da esso. È quindi essenziale che la dosatura della miscela venga mantenuta in una strettissima prossimità a tale rapporto. A ciò provvedono sistemi di regolazione basati sul segnale di un sensore, detto ''sonda lambda'' che, rivelando il tenore dell'ossigeno nei gas di scarico, fornisce un segnale elettrico molto diverso non appena il rapporto λ si discosta dal valore unitario.
Per quanto concerne i motori Diesel, essi riescono facilmente a limitare le emissioni nocive del monossido di carbonio (CO) e degli ossidi di azoto (NOx), mentre hanno l'inconveniente di aggiungere alle predette emissioni il cosiddetto particolato, visibile in forma di fumo nero, molto fastidioso anche per l'accentuato odore acre. Al fine di ovviare a tale problema sono entrate in funzione negli a. industriali le cosiddette trappole di particolato costituite da filtri in materiale ceramico tenuti puliti dalla combustione periodica delle stesse particelle di carbonio che si accumulano nel filtro mediante veri e propri fornelli.
Sicurezza e comfort. − Gli studi sulla sicurezza protettiva, o passiva, già sviluppati secondo criteri di conservazione degli spazi di sopravvivenza agli occupanti, sono stati successivamente indirizzati verso il miglioramento del comportamento biomeccanico del corpo umano nell'urto. È un esempio derivato da questo approccio il cuscino d'aria (air bag), disposto nel volante, che si gonfia istantaneamente all'atto di un urto frontale, proteggendo volto e busto del guidatore (optional introdotto dalla General Motors nel 1974 e, in forma realizzativa diversificata, dalla Mercedes nel 1981).
Progressi in generale sono stati realizzati nella forma dei sedili, dei poggiatesta, nel sistema di vincolo e messa in tensione delle cinture di sicurezza, nell'uso dei materiali di rivestimento, ecc. Per quanto riguarda la sicurezza attiva, merita menzione il cerchione ruota di nuovo tipo (fig. 7) che, in caso di sgonfiaggio del pneumatico, impedisce la fuoriuscita del tallone a della copertura dalle balconate b per effetto della resistenza opposta dalla protuberanza c, e, in prospettiva, la maggiore diffusione di pneumatici capaci di marciare sgonfi, sia pur per limitate percorrenze (run flat). Inoltre va ricordata l'introduzione delle quattro ruote sterzanti, a opera principalmente di costruttori giapponesi, con la finalità di migliorare il comportamento di marcia anche ad alta velocità.
Dalla metà degli anni Settanta in poi si è alquanto diffuso l'impiego dei cosiddetti fuori strada (dall'ingl. off-roads), che hanno raggiunto in Italia una quota di mercato intorno all'1%. Questi a. con feriscono all'utente una migliore protezione nei piccoli urti e assi curano, inoltre, una migliore mobilità in condizioni ambientali avverse (neve, fango, inondazione, ecc.) grazie soprattutto alla motri cità di tutte le ruote.
Al fine di ottenere almeno i vantaggi delle quattro ruote mo trici, si sono diffusi a. sia dotati di dispositivo per l'introduzione della trazione integrale (per es., Subaru Leone, 1978; Fiat Panda 4x4, 1980) a comando del guidatore oppure con inserimento auto matico in condizioni di scarsa aderenza (Volvo ETC, 1983; Mer cedes ASR, 1984), sia dotati in permanenza della trazione integra le (Audi Quattro, 1980). Con l'obiettivo di migliorare sia il comportamento di marcia sia il comfort, sono state introdotte le cosiddette sospensioni semi-attive (v. oltre). Sostanziali miglioramenti del comfort acustico sono stati ottenuti anche con lo studio aerodinamico della carrozzeria. Importanti a tale riguardo i miglioramenti nella tenuta delle porte e dei vetri e l'opportuna disposizione delle prese e uscite d'aria di ventilazione dell'abitacolo (per es., nell'Audi 100, 1982). Ma la soluzione di molti problemi, riguardanti oltre che la sicurezza e il comfort anche l'economia di marcia, l'affidabilità, ecc., è stata possibile o più conveniente con l'ausilio dell'elettronica il cui impiego è in fase rapidamente crescente. Si è stimato che il valore di componenti elettronici impiegati nel 1985 (pari al 7÷8% del valore totale dell'a.) è stato da tre a quattro volte superiore a quello del 1980 (circa 2%) sebbene si sia contemporaneamente verificata una riduzione del costo dei componenti.
L'elettronica nell'autoveicolo. − Tappe significative nell'impiego dell'elettronica nell'a. sono: la radio a transistor a bordo (General Motors, 1955); l'alternatore con raddrizzatore a diodi controllati e regolatore transistorizzato, al posto della dinamo (Chrysler, 1960); il controllo transistorizzato dell'iniezione di combustibile nel motore (Volkswagen/Bosh, 1967); il controllo transistorizzato della trasmissione (Renault, 1968); il controllo della frenata (antiskid; Ford, 1968); il controllo automatico della climatizzazione (Toyota, 1971); il quadro di controllo funzionale (check, 1973); il controllo del servosterzo (Toyota, 1974); il controllo del cuscino d'aria di protezione nell'urto (air bag; General Motors, 1974); l'informatore di viaggio (trip computer; General Motors, 1977); il controllo elettronico del carburante (Nissan, 1978); le serrature senza chia ve (Ford, 1978); il cruscotto elettronico (Aston Martin, 1979); il sistema vocale di segnalazione (Toyota, 1980); il controllo del motore modulare (General Motors, 1980); il controllo della direzione di marcia (navicom; Mitsubishi, 1980); il controllo delle sospensioni (Honda, 1981); la trasmissione dei segnali su fibre ottiche, abbinata al circuito elettrico unifilare (multiplex; Nissan, 1981); il sistema per il rilievo di ostacoli in retromarcia (back sonar; Toyota, 1982); il sistema di controllo integrato motore/trasmissione (BMW, Toyota, 1983); il controllo della trazione (anti-spin; Volvo, 1983); il controllo delle sospensioni pneumatiche (Ford, 1983); il controllo dell'accensione del motore senza distributore (General Motors, 1984); il controllo della sterzata delle ruote posteriori (Nissan, 1985); il controllo della trazione integrale (Porsche, 1985); i visori con cristalli li quidi colorati (multi-vision; Toyota, 1985); la televisione a bordo (1985); il telefax a bordo (1987); i segnalatori dei guasti con isolamento dei componenti non funzionanti per consentire il rientro a casa (limp home; Ford, 1988); l'informatore del traffico e delle condizioni stradali via radio (radio data system; BBC, 1987); il controllo della pressione degli pneumatici (BMW/Michelin, 1989).
Attualmente, i dispositivi elettronici impiegati sono i seguenti, raggruppati in quattro distinti settori.
a) Per il gruppo motore/trasmissione: l'accensione senza ruttore (breakerless); l'accensione con regolazione statica dell'anticipo (digiplex); l'accensione senza distributore (cioè senza parti in movimento); l'accensione controllata delle candelette di preriscaldamento dei motori Diesel; l'iniezione elettronica in svariate configurazioni sia per motori ad accensione comandata (e anche combinata con l'accensione stessa) sia per motori Diesel; l'iniezione modulare; l'intercettatore del getto del minimo nel carburatore (cut-off); il carburatore elettronico; il sistema automatico di avviamento del motore (start-stop, in marcia cittadina); la fasatura variabile di ammissione e scarico del gas al motore; il controllo del turbocompressore del gas di ammissione al motore; il controllo elettronico del cambio automatico; la sezione logica di controllo del cambio automatico.
b) Per l'autotelaio: il raddrizzatore di corrente e il regolatore del generatore elettrico (alternatore); il controllo del servosterzo; il controllo dell'altezza dal suolo (sospensioni autolivellanti); il controllo delle sospensioni semiattive; il sistema di antibloccaggio delle ruote; il controllo della stabilità di marcia (antispin) anche in veicoli a trazione integrale; l'inserimento automatico della trazione integrale; il controllo della pressione degli pneumatici.
c) Per la carrozzeria: le intermittenze (per lampeggiatori, tergicristalli, indicatori di direzione, ecc.) e i ritardatori (disappannatore vetri, spegnimento luci interne, ecc.); le serrature senza chiavi, con antifurto; il controllo del riscaldamento e della climatizzazione; il posizionamento memorizzato dei sedili; il tenditore automatico delle cinture di sicurezza; il comando del cuscino d'aria per la protezione degli occupanti negli urti (air-bag); il telefono, il telefax, la televisione, le cassette, il compact disc.
d) Per l'assistenza alla guida: il controllo funzionale degli organi principali (check) anche con autodiagnosi e intervento correttivo; il visore elettronico della strumentazione (con LED [Light Emitting Diode], cristalli liquidi, ecc.); il calcolatore di percorso (trip computer); l'indicatore di percorso; l'indicatore di ostacoli in retromarcia; l'accensione automatica di luci e fari; il sintetizzatore/avvisatore vocale; il segnalatore di prossimità dei radar di controllo della velocità; il funzionamento automatico dei tergicristalli; il regolatore automatico dell'acceleratore (cruise control); la radio con sintonizzatore automatico.
In fig. 8 è mostrato lo schema di un sistema di controllo dell'accensione e dell'iniezione di combustibile in un motore ad accensione comandata (Bosch Motronic). Scopo del sistema è quello di mettere il motore in condizioni di operare al meglio delle sue prestazioni a seconda delle condizioni di marcia: funzionamento regolare in fase di avviamento e di riscaldamento (warm-up), massima potenza, minimo consumo, minima emissione di inquinanti. L'intero sistema di controllo è governato da una centralina elettronica che riceve ed elabora le informazioni inviatele dai sensori, mandando quindi a iniettori e candele gli opportuni comandi.
Per quanto riguarda gli iniettori, questi devono assicurare la voluta dosatura λ (quoziente fra l'effettivo rapporto aria/combustibile e quello stechiometrico). Il valore di λ deve essere un po' maggiore di 1 (circa 1,06, miscela povera) se si ricerca il miglior rendimento del motore e quindi il minor consumo; un po' minore di 1 (circa 0,9 miscela ricca) se si vuole ottenere la massima potenza possibile; esattamente 1 se si vuole ottenere il massimo abbattimento delle emissioni nocive allo scarico. Quest'ultima possibilità si raggiunge con l'adozione di marmitte catalitiche di cui si è già trattato.
I segnali che dalla centralina giungono agli iniettori dispongono le opportune entità del tempo di iniezione necessario per ottenere la voluta dosatura del combustibile. Gli iniettori funzionano infatti a pressione, e quindi a portata di combustibile costante. Per variare l'entità di combustibile iniettato si agisce pertanto sull'intervallo apertura/chiusura mediante un comando elettromagnetico incorporato nell'iniettore. La pressione di iniezione è mantenuta al valore costante dal regolatore di pressione 5 che rimanda al serbatoio 1 il combustibile in eccesso che riceve dalla pompa elettrica 2 tramite il filtro 3. La presenza di impurità nel combustibile è causa di malfunzionamento degli iniettori; per questo motivo altri filtri sono disposti anche nel serbatoio e negli iniettori stessi.
Per l'esatta dosatura e il momento opportuno d'accensione, la centralina riceve le seguenti informazioni: a) portata d'aria in ammissione, dal misuratore (16); b) temperatura dell'aria dalla sonda (17); c) posizione, aperta o chiusa, della valvola a farfalla attraverso la quale opera il comando dell'acceleratore, tramite l'interruttore (15); questa informazione serve soltanto per interrompere completamente l'iniezione quando la valvola è chiusa (acceleratore rilasciato) e il numero di giri del motore è nettamente al di sopra del minimo (il cosiddetto cut-off già citato e applicato anche ai carburatori); d) posizione dell'albero motore, dal sensore (23); e) temperatura dell'acqua di raffreddamento del motore, dal sensore (20); f) tempo trascorso dall'avviamento, dall'interruttore termico (19); g) tenore di ossigeno nei gas di scarico, dalla sonda (18).
La centralina elabora queste informazioni che le pervengono, naturalmente in forma di segnali elettrici, e quindi, sempre in tale forma, invia le istruzioni: a) alle candele di accensione (10), ognuna delle quali scocca la scintilla con angolo di anticipo rispetto al punto morto superiore del proprio cilindro, variabile secondo una legge che è in funzione del numero di giri al minuto e del carico (portata del gas di ammissione) assai complessa; b) agli iniettori (11) di funzionamento normale, ognuno dei quali spruzza la quantità di combustibile necessaria nel condotto di ammissione del proprio cilindro, esattamente sul fondo della valvola di ammissione, nella fase opportuna; c) all'iniettore supplementare (12) per l'avviamento a freddo, che è unico per tutti i cilindri del motore e funziona all'avviamento a freddo e nel breve periodo di riscaldamento del motore, per arricchire la miscela; raggiunta la temperatura normale di funzionamento, l'interruttore (19) esclude questo iniettore.
Tutte le operazioni vengono effettuate automaticamente, cioè senza intervento del guidatore che si limita a inserire e a ruotare la chiave per l'avviamento del motore e quindi a esprimere la propria volontà tra mite l'acceleratore e la selezione del cambio.
Un altro dispositivo, molto importante ai fini della sicurezza, è l'anti-skid che impedisce il bloccaggio delle ruote in frenata, di cui uno schema è riportato nelle tavv. f.t. Il principio di funzionamento si basa sul comportamento della ruota con pneumatico sotto l'azione di forze frenanti: affinché queste si sviluppino, la ruota deve diminuire la sua velocità di rotazione, ω, rispetto a quella che ha in puro rotolamento, ω0. Cioè, deve nascere il cosiddetto scorrimento s = (ω0 - ω)/ω0%. La fig. 9 riporta indicativamente il coefficiente μx, cioè la forza frenante Fx rapportata al carico di cui è gravata (W) in funzione dello scorrimento per quattro condizioni stradali: asciutto, bagnato, innevato, ghiacciato. Si può notare che la massima azione frenante viene raggiunta con uno scorrimento modesto, generalmente non superiore al 20%, quindi molto prima del bloccaggio (s = 100%). Inoltre, e questo è molto importante, per poter mantenere la governabilità del veicolo (efficacia dello sterzo) che si esplica con lo sviluppo di forze trasversali Fy, le ruote non devono bloccarsi. La fig. 9 mostra, in e e f, come variano il coefficiente di aderenza trasversale, μy=Fy/W e quello longitudinale, μx=Fx/W, quando frenando si dà anche una sterzata alla ruota tale da causare un angolo di deriva di 6°. Si nota che mentre μy è praticamente 0 a ruota bloccata, mantiene un valore abbastanza grande per assicurare la governabilità del vei colo quando lo scorrimento non supera il 20%.
Nel dispositivo anti-skid le ruote sono dotate di sensori della velocità di rotazione, che inviano il loro segnale a una centralina elettronica, la quale valuta se la variazione di velocità di ogni ruota è congruente con la frenata a scorrimento ottimale oppure è eccessiva, fatto quest'ultimo che prelude al bloccaggio della ruota. In tal caso, la centralina genera dei segnali che comandano l'unità di modulazione del circuito frenante, generalmente un'elettrovalvola idrau lica o pneumatica, che provvede a diminuire la pressione del comando, mantenendola sempre sotto controllo in modo che non solo la ruota non si blocchi, ma che anche lo scorrimento si mantenga entro un intervallo di va lori, il più stretto possibile, centrato in prossimità del massimo del coef ficiente di aderenza in frenata (fig. 9). L'operazione richiede la disponibi lità di un'adeguata potenza fluidodinamica, che negli a. industriali viene attinta dal circuito pneumatico di cui sono dotati, mentre nelle automo bili va generata ad hoc, oppure utilizzando altro circuito idraulico già esi stente, per es. quello del servosterzo. In ogni caso è richiesta al sistema una grande rapidità di intervento, con ritardi non eccedenti i pochi cen tesimi di secondo. Ciò è necessario perché, per es. su strada ghiacciata, il tempo di bloccaggio potrebbe essere inferiore al decimo di secondo.
Nelle tavv. f.t. è dato lo schema di una sospensione semiattiva (Lancia Thema). Ricordiamo che in una sospensione passiva, o convenzionale, gli elementi di reazione interposti fra ruota e cassa, quali molle e ammortizzatori, esercitano la loro azione in funzione del moto relativo ruota-cassa, mentre in una sospensione attiva essi sono sostituiti da un attuatore pilotato da una centrale di controllo che, come al solito, ricevuti i segnali da opportuni sensori, impone, tramite un circuito di potenza, agli attuatori stessi la reazione necessaria al raggiungimento degli scopi. Gli scopi da raggiungere sono essenzialmente: a) massima tenuta di strada; b) massima confortevolezza per gli occupanti, ottenibile riducendo al minimo le accelerazioni cui sono sottoposti, specialmente nel campo delle frequenze da 4 a 8 Hz cui il corpo umano è particolarmente sensibile; c) mantenimento degli assetti, ottenibile limitando le variazioni di altezza della cassa rispetto al suolo, il beccheggio in frenata e accelerazione, il rollìo in curva, l'inclinazione delle ruote, ecc. Sospensioni attive sono state introdotte su veicoli di formula 1 (Lotus, 1986) con scarso successo. Gli attuatori richiedono di essere alimentati da un circuito, generalmente idraulico, capace di generare potenze dell'ordine di 10 kW. Per evitare la complicazione, l'alto costo e il dispendio energetico, sono state introdotte le sospensioni semiattive di cui sono dotate alcune vetture di produzione sin dal 1981. Va comunque ricordata la soluzione Citroën, introdotta sin dal 1955 sul modello DS 19, che è una sospensione idropneumatica di tipo attivo limitatamente all'autolivellamento statico della cassa rispetto al suolo; non è però dotata di componenti elettronici.
Le sospensioni semiattive sono in realtà delle sospensioni passive dal punto di vista energetico. Infatti, conservano le molle e gli ammortizzatori, ma assegnano a questi ultimi il compito di dissipare energia più o meno a seconda delle circostanze. La fig. 10 indica la forza di reazione esercitata da un ammortizzatore convenzionale (tratteggiata) mentre nell'ammortizzatore semiattivo la forza di reazione è compresa fra due limiti estremi di regolazione: A, regolazione debole; B, regolazione forte. La soluzione attuale (opzionale per Lancia Thema), illustrata nelle tavv. f.t., accoppia il sistema di controllo delle sospensioni (semiattivo) al sistema di autolivellamento. Quest'ultimo, simile nello schema di principio a quello predetto della Citroen DS, realizza anche un irrigidimento della sospensione con il carico adeguandone il grado di smorzamento degli ammortizzatori. È anche possibile scegliere la regolazione degli ammortizzatori sia da parte del guidatore (debole per un buon comfort, forte per una migliore tenuta di strada), sia automaticamente in funzione delle condizioni di marcia. Le sospensioni diventano progressivamente più smorzate al crescere della velocità da 50 a 180 km/h. Inoltre viene introdotto lo smorzamento forte nelle rapide azioni di sterzo, in frenata e quando le oscillazioni della cassa sono comprese nella gamma di frequenze particolarmente fastidiosa per il corpo umano.
Il segnale dell'accelerometro viene analizzato dalla centralina elettronica in modo sofisticato ricorrendo alle tecniche di analisi spettrali di funzioni random. Sostanzialmente, viene rilevato se la ruota sta saltellando sulla strada, indotta a ciò dalla particolare pavimentazione (pavé, lastricato, ecc.). Questi moti, che sono di frequenza ben definita in dipendenza dell'entità della massa delle ruote e delle caratteristiche degli pneumatici, con valori intorno ai 10 Hz, vengono contrastati da reazioni forti dell'ammortizzatore. La regolazione dell'ammortizzatore viene realizzata frenando più o meno il flusso idraulico attraverso il pistone mediante elettrovalvole o, più comunemente, con valvolismi comandati da motorini elettrici. L'analisi frequenziale, dedotta dalla sperimentazione, evidenzia i forti vantaggi conseguiti. A tal proposito, studi recenti hanno messo in luce che i benefici ottenibili con le sospensioni semiattive, benché sempre intermedi fra quelli delle sospensioni passive e attive, sono più prossimi a questi ultimi. Vedi tav. f. t.
Bibl.: R. Anticevic, Energia spesa nella marcia degli autoveicoli, in Rivista ATA, 11, novembre 1974; D. H. Ginsberg, W. J. Abernathy, Government, technology and the future of automobile, New York 1980; H. Götz, Aerodynamik der Nutzfahrzeuge, in W. H. Hucho, Aerodynamik des Automobils, Würzburg 1981; H. Shiga, S. Mizutani, Car electronics, Tokyo 1988; M. Lizell, Semi-active damping, in Institution of mechanical engineers, Londra 1988; Ires-Dossier auto, Torino 1988.
Autoveicoli militari. - La differenza fra un a. civile e uno militare sembra questione di scarsa rilevanza, eppure la soluzione fornita da molti eserciti, compreso il nostro, a questo semplice quesito si rivelò dolorosamente sbagliata nei fatti; mentre il problema-base fu ben posto e ben risolto per i trattori d'artiglieria, fino al 1945 si credette di risolverlo per autocarri e autovetture impiegando mezzi civili con piccoli adattamenti, che raramente andavano più in là di una verniciatura in tinta mimetica.
Primo requisito del veicolo militare è la capacità di muover si fuori strada, il che si ottiene con: ideonea architettura (altezza da terra che eviti l'arresto su terreno accidentato); bassa pressione specifica (pneumatici a grande sezione); aderenza totale (ruote motrici e ripartizione del peso totale sulle ruote); tenuta stagna di al cuni organi.
A questi vanno aggiunti i seguenti requisiti operativi: possibilità di abbattere totalmente il parabrezza, che può rivelare la presenza del veicolo con i suoi riflessi e che impedisce l'uso delle armi individuali nel settore anteriore; possibilità di uscita simultanea e rapida di tutti gli occupanti in caso di attacco improvviso; superamento di pendenze del 50÷60% e possibilità del 20% trasversale; facilità di evoluzione fuori strada (elevati valori di potenza specifica, cambi sincronizzati, sterzo dolce e non reversibile, sospensione bene armonizzata, telaio resistente); possibilità di rimorchio; visibilità totale; guida notturna; impiego di mezzi radio (schermatura); elevata autonomia e capacità di superare piccoli corsi d'acqua; utilizzazione in tutti i climi (da −40 °C a +45 °C); facilità di manutenzione, riparazione e controllo.
Si può dire che alla maggior parte se non a tutti questi requi siti rispondeva la jeep, vera auto militare tuttofare (e infatti, quando nacque si chiamava General Purpose [car], da cui jeep, che non è altro che la grafia della lettura fonetica di GP) che fu definita dal generale Marshall "il più grande contributo americano all'arte mi litare nell'ultima guerra".
La guerra di Corea (1950-53) diede le più ampie conferme della validità della jeep, del suo fratello maggiore (Command Reconnaissance e Weapons Carrier, detto in Italia ''gippone'') e dell'autocarro a tre assi con ruote posteriori doppie e della portata di 2,5 t, che portarono all'introduzione, rispettivamente, dell'M38 da 1/4 t, dell'M37 da 1 t e del famoso M135, dal motore più potente rispetto ai precedenti GMC CCKW52 e simili. Vennero eliminati quasi del tutto i cingolati (tranne che per impieghi in zone innevate o paludose) e i semicingolati, in favore di grossi autocarri a 3 o 4 assi motori per i servizi più pesanti.
Nel campo degli anfibi (a parte i cingolati da sbarco, dapprima perfezionati nell'LVT 3C con protezione superiore, quindi riprogettati negli anni Sessanta, poi sostituiti poco prima del 1970 con un altro modello) restò in uso il DUKW a 3 assi, oggetto di numerose imitazioni. Il tipo piccolo (Ford GPA) fu eliminato per la sua scarsa utilità e si cercò di rendere idonei a guadi anche profondi, grazie a semplici schnorkel, buona parte degli automezzi tattici. È ancora in uso l'autocarro cingolato anfibio portamunizioni M548 FMC del 1966. Prodotto anche in Italia, trasporta 5 t di carico.
Impiego nei principali eserciti. - Il riarmo contemporaneo alla guerra in Corea e l'eccessivo consumo di carburante dei mezzi di guerra favorirono, nel quadro della riorganizzazione degli eserciti dell'Alleanza Atlantica, lo studio e la messa a punto di nuove soluzioni tecniche per gli a. militari, alcune delle quali piuttosto interessanti.
In Gran Bretagna si studiò una rustica jeep che godette ben presto di un enorme e meritato successo: la Land Rover. Apparsa nel 1947 quale ''mezzo agricolo'' (siamo ancora alla vigilia della guerra fredda), l'anno successivo entrò in produzione, presto perfezionata nel propulsore e nella trasmissione. Nel 1954 ne uscì la versione a passo lungo (da 2,03 a 2,71 m) con conseguente aumento della portata. A partire dal 1949 la Land Rover venne arruolata e da allora, attraverso continui miglioramenti, resta all'avanguardia nel suo campo. A essa vennero affiancati, per portate superiori, altri mezzi di derivazione commerciale (Humber 1-ton e un tipo da 3 t, il Bedford RLF 4×4) e, negli anni Sessanta, fu in produzione lo Alvis Stalwart ("gagliardo"), a tre assi motori della portata di 5 t e per di più anfibio. Apparvero i trattori per rimorchi portacarri, come l'Antar Mk3 (6×4 o 6×6), oggi sostituiti dallo Scammel.
In Francia le esigenze militari non terminarono nel 1945, giacché ben presto l'Armée fu impegnata nei territori oltremare. Una volta esauriti i surplus americani, si tentò in un primo tempo di equipaggiare l'esercito con mezzi di produzione esclusivamente nazionale, ma presto si preferì ritornare alla jeep del tempo di guerra, della quale ben 40.000 unità quasi simili al modello originale Willys MB vennero prodotte dalla Hotchkiss dal 1953 al 1969. Tra gli altri numerosi veicoli adottati sono da ricordare quelli da 3-4 t della Simca-Unic, i più pesanti Berliet e un VLRA (Veicolo Leggero da Ricognizione e Appoggio) da 2,5 t prodotto e realizzato dall'ALM/ACMAT, che ha sostituito vantaggiosamente il vecchio gippone.
Nella Repubblica Federale di Germania, il primo veicolo militare di nuova concezione (già prodotto per usi civili sin dal 1946) fu il Mercedes Unimog, uno dei più riusciti 4×4 da 1,5 t, adottato in tutto il mondo e ancor oggi in produzione con alcuni perfezionamenti. Una volta eliminati i mezzi stranieri e commerciali dei quali la Bundeswehr era stata costretta a far uso al momento della sua ricostituzione verso la metà degli anni Cinquanta, l'industria si affrettò a presentare numerose interessanti proposte. Per quanto concerne le AR un buon successo fu raggiunto con la Auto Union Munga, poi sostituita dal suo derivato Iltis nel 1978. Per la classe 3 t, si adottò un eccellente Ford 4×4, da cui fu sviluppato un analogo mezzo da 5 t, sempre a 2 assi motori. Gli a. più pesanti furono monopolio della Faun e della Magirus Deutz, che realizzarono ottimi modelli a 3 e a 4 assi. Mentre scriviamo (1990) la AR Iltis è in corso di sostituzione con la Mercedes MB 250 GD, ritenuta superiore. Appunto dal Faun a 4 assi si è ottenuto il trasporto carri Elefant. Fra i mezzi della nuova generazione, infine, è da citare il MAN 8×8 da 10 t, mentre fra i più originali va ricordato il Faun Kraka per i paracadutisti, una specie di quadriciclo recentemente imitato dai Francesi con il veicolo Lohr.
Gli Stati Uniti mantennero grosso modo le stesse tendenze degli anni Cinquanta. Trasformarono però la vecchia jeep rimodernata (M38) in un mezzo più agile e maneggevole, la M151 divenuta celebre nel Vietnam. Furono anche tra i primi a introdurre un leggero quadriciclo da 1/2 t a 4 ruote motrici (il ''mulo meccanico'' del 1956), con compiti di servitore di fanteria, che poteva essere in caso guidato da un militare a piedi. Molto interessante fu inoltre il Gama-Goat ("capra"), un 6×6 a telaio articolato da 1,5 t. Costituito da un avantreno a 2 assi e da un retrotreno monoasse, fu prodotto in ben 14.000 esemplari dal 1969 al 1973 come M561. Tutti questi modelli sono oggi sostituiti dal multiruolo HUMVEE da 1125 kg, l'M998.
Oggi si è orientati verso 8×8 di portate elevatissime, come l'M977 carrozzato in diverse versioni e con un carico utile di 25 t (l'Oshkosh). Come portacarri è in uso il complesso HET M746, in grado di trasportare il carro Abrams. Ma tra i trattori più originali si ricorderà il complesso per il cannone atomico da 280 mm (diviso in due unità motrici 4×4) entrato in servizio nel 1953.
Innumerevoli proposte di veicoli anfibi per le unità da sbarco ebbero alterna fortuna, ma spesso si trattò di mezzi ingombranti e non molto pratici. Fra i più noti ricorderemo il LARC.
Differenti appaiono gli orientamenti seguiti dagli eserciti di oltre cortina. Inizialmente (tranne qualche timida eccezione, costituita dalla Germania Orientale e dalla Cecoslovacchia) il materiale automobilistico in distribuzione fu rigorosamente standardizzato. Molti veicoli, come l'autovettura da ricognizione GAZ-67 e gli autocarri 4×4 o 6×6, risentivano fortemente dell'influenza dei corrispondenti americani ricevuti durante il conflitto in base alla legge ''Affitti e Prestiti''.
I più diffusi dal 1950 al 1960 furono un nuovo modello di jeep (GAZ-UAZ 69AM) cui successe ben presto l'attuale robusta e spartana UAZ-469. Fra i modelli di autocarri di maggior tonnellaggio, i più diffusi furono (e sono) gli ZIL 135 e i MAZ 537, entrambi 8×8, utilizzati per traino e trasporto di armi missilistiche. Per quanto concerne gli autocarri tattici 6×6 di media portata (4,5 t), il più indovinato sembra il 6×6 URAL-375.
Fino a epoca relativamente recente, i Sovietici diedero grande risalto al trattore d'artiglieria cingolato. Scomparsi i tipi del tempo di guerra, si introdusse il nuovo cingolato ATL per il traino dei mortai e delle artiglierie da campagna. Per i carichi più pesanti fu adottato l'ATS-59 a 5 grossi rulli portanti e cassone di notevoli dimensioni. Completava la gamma l'AT-S, di linee più squadrate, utilizzato per i complessi lanciarazzi multipli e quale mezzo del genio. Il maggiore era l'AT-T, per i massimi calibri.
L'evoluzione in Italia. - Con il ritorno all'indipendenza nazionale (1° gennaio 1948), l'esercito italiano poté iniziare gradualmente il rinnovo del suo parco automobilistico. Non potendo subito eliminare i veicoli in produzione alla fine della guerra (come l'autovettura 508 CM, gli autocarri SPA CL 39, SPA 38 R), si adottò un eccellente autocarro pesante 4×2 (il CP 48, o 6 ROM), che è rimasto in uso sino a epoca recente con una modifica alla cabina. Non si disponeva di alcun autocarro tattico se non del mediocre Dovunque 35 (6×4).
Così, a partire dagli anni Cinquanta, si mise a punto un programma di base, che comprendeva: una vettura da ricognizione (per sostituire la jeep); un autocarro leggero 4×2; un autocarro medio 4×4; un trattore leggero di cui in seguito.
Si ebbero, per le autovetture da ricognizione, la Fiat AR 51 (perfezionata nelle versioni 55 e 59) e l'Alfa Romeo AR 51 Matta.
Per i CL si ebbero: Bianchi CL 51 (4×2), 4×4, Lancia CL 51 (4×4), OM CL 51 e CL 52 (4×4). Per il carro medio, furono adottati un Bianchi CM 51 (4×4) e il CM 50 Fiat (639 N 4×4), carrozzato anche come ambulanza normale e radiologica, centro collegamenti, nucleo chirurgico, soccorso e ufficio.
Dal CP 48 si ebbero versioni frigorifero, cisterna e magazzino. I trattori per artiglieria (di cui a parte) furono il Trattore da montagna 51 Fiat (Fiat 601/v), il TL 51 Lancia (4×4), il TP 48 Fiat (4×4) e il TP 50 Fiat. Quest'ultimo era il Fiat Dovunque 41/50 realizzato in versione autocarro pesante, con peso in ordine di marcia di 8660 kg (13.800 a pieno carico). Più tardi (anni Sessanta) fu la volta dell'ottimo Lancia 506 da 7 t (4×4) che fu adottato come trattore per rampe missilistiche e sperimentato in altre configurazioni.
Autovetture da ricognizione. - È attualmente la classe A (0,5 t di portata). Sono, queste, praticamente tutti i derivati della jeep; oggi esse rientrano più generalmente (direttive CEE del 1987) nella categoria M1 e cioè tra i veicoli atti al trasporto di persone e di peso superiore a 1 t, aventi almeno 4 ruote, assi esterni motori e dotati di dispositivi di bloccaggio del differenziale (o di altro avente effetto analogo), in grado di superare una pendenza di 30° e di soddisfare almeno 5 dei seguenti 6 requisiti: angolo di attacco di almeno 25°, di uscita e di rampa almeno di 20°, altezza minima dal suolo sotto l'asse anteriore e posteriore di 180 mm e un'altezza libera dal suolo minima entro gli assi di 200 mm. È da rilevare che i veicoli commerciali di questa categoria già intorno al 1970, con la presentazione della Range Rover, hanno iniziato ad assumere caratteristiche di lusso e di ricercatezza che mal si adattano a eventuali servizi militari.
Autoveicoli tattici leggeri. - Fino al 1980 non si prevedeva una classe intermedia tra la A (0,5 t) e la B, costituita dagli autocarri leggeri (CL o ACL) da 2 t di carico. Si decise poi, viste alcune tendenze sviluppatesi all'estero, di inserire un veicolo multiruolo da 1,5 t (VM). Ciò ha portato all'introduzione di un mezzo 4×4 realizzato dall'IVECO in varie versioni armate e non, con diverse soluzioni di carrozzeria e in grado, tra l'altro, di trainare l'obice da 105/14 in dotazione alle aviotruppe. Denominato VM 90, appare particolarmente riuscito e, forse, anche in grado di assolvere i compiti previsti per le più piccole AR. Aviolanciabile ed elitrasportabile grazie alle sue contenute dimensioni, dimostra notevole versatilità ed è stato inoltre adottato da eserciti e corpi paramilitari stranieri.
La classe B è quindi costituita dai cosiddetti ACL, che hanno sostituito i modelli Lancia e OM degli anni Cinquanta-Sessanta. Oggi essi sono potenziati da motore diesel, con alimentazione d'aria ad aspirazione (con presa dietro la cabina a 2 posti, insonorizzata, chiusa e ribaltabile). L'autotelaio 4×4 è di tipo tradizionale, con sospensioni a balestra, cambio con riduttore, freni idropneumatici e idroguida. Questi mezzi (ACL 75 e ACL 90), di produzione IVECO, possono superare pendenze intorno al 60% e raggiungere i 90 km/h.
Autoveicoli tattici medi. - Vanno sostituendo i pur efficienti CM 52, nella classe C. Sono stati ricavati (ACM 80 e 90) dai precedenti, mediante allungamento e aumento della potenza motrice. Possono essere utilizzati con rimorchio monoasse.
Autoveicoli tattici pesanti. - Indipendentemente dai veicoli classe D (per pontieri, di cui a parte, e che oggi sono in via di sostituzione), ci sono quelli della classe E, dei quali sta per entrare in servizio l'ACP 90, il più grosso autocarro militare in servizio presso l'esercito italiano. Potrà rimpiazzare i CP 62 (4×4) e i CP 70 (4×4 e 6×6). Nonostante questi mezzi siano piuttosto costosi, molti dei loro componenti sono intercambiabili e questo facilita manutenzione e riparazioni. Non rientrano, ovviamente, in queste categorie gli autoarticolati portacontenitori (o container, da 7, 10 e 20 piedi), rappresentati nel nostro esercito dal trattore Fiat 17 ON con semirimorchio Bartoletti. Esclusi (se ne tratterà più avanti) anche i trattori per il trasporto strategico dei carri armati e le macchine per movimento terra.
È inoltre necessario sottolineare che, nonostante i numerosi progetti proposti, non si è ancora riusciti a definire il cosiddetto ''servitore di fanteria'', ossia il mezzo per le unità ai minori livelli. Gran parte di questi prototipi fu studiata dalla Fiat in grande segretezza a Heilbronn, dove fu anche progettato e realizzato un interessante veicolo per i paracadutisti, ripiegabile, in meno di un minuto, per il trasporto e il lancio.
Trattori per artiglierie. - Nell'immediato dopoguerra il parco trattori dell'artiglieria italiana risultava piuttosto eterogeneo: ai residuati di guerra angloamericani (Ford, GMC, Morris, Matador, ecc.) si affiancavano mezzi italiani di modello prebellico e bellico, ovviamente a trazione integrale, in parte di nuova costruzione, come gli autocarro-trattore TL 37 e T 40, oltre qualche anziana, ma ancor valida, trattrice Breda 32 e 40/41. Indipendentemente dallo stato di usura di gran parte dei veicoli in servizio, fu presto chiaro che i trattori leggeri 37 (e derivati) a stento potevano trainare i cannoni da 76/55 controcarri, mentre per gli 88/27 divisionali (peso con avantreno 3,6 t) era giuocoforza ricorrere ai tipi medi (e relativi derivati con le sole ruote anteriori direttrici). Restava, per i medi calibri, il Dovunque 41.
Poiché i TM e i Dovunque si erano dimostrati sufficientemente idonei, si stabilì di aggiornarli, ottenendo, così, il TM 48 (che differiva dal T 40 per la potenza, salita da 95 a 110 CV, e per la velocità massima, portata da 37 a 50 km/h) ferme restando le ruote di minor diametro e abbassando così la macchina di quasi 20 cm. Il Dovunque 41 fu a sua volta trasformato in Fiat Dovunque 41/50 e quindi, in versione trattore, in TP 50, in grado di trainare oltre 5 t e mantenendo motori e pneumatici del TM 48. Anche la carrozzeria di entrambe le macchine subì modifiche rispetto a quelle da cui erano derivate.
Con l'adesione alla NATO, si introdusse un obice da campagna da 105/22 più leggero (2,26 t) e di conseguenza si prese in esame la realizzazione di un nuovo TL, il TL 51, atto al traino di 2,5 t su pendenze del 50%, di meccanica complessa e non del tutto soddisfacente. Si dovette comunque attendere il 1965 perché ne venisse proposto un rimpiazzo, il TL 65, di tara intorno alle 6 t, a tre assi motori, pneumatici radiali a bassa pressione e larga sezione, 165 CV di potenza, forte velocità (73 km/h) e rilevante autonomia. Si scelse comunque il più potente trattore TM 65, contemporaneamente sviluppato dalla OM per il traino delle artiglierie medie e pesanti. Anche in vista dell'adozione del calibro 155 mm per l'artiglieria da campagna (1975), il trattore venne omologato, con alcune modifiche, assumendo la denominazione di TM 69. La macchina, tuttora in uso in due versioni, una delle quali dotata di gru (per il traino del cannone-obice trinazionale da 155/39), ha caratteristiche superlative: destinata a operare in zone piano-collinari, è dotata di un motore a gasolio a 6 C (in luogo di quello a benzina del TM 65) di esuberante potenza, 219 CV. Può trasportare, oltre ai 12 serventi (compreso il conduttore), 5 t di munizioni, raggiungendo l'elevata velocità di 78 km/h, con un'autonomia di 700 km. Può utilizzare il suo verricello, dello sforzo di 10 t, anche frontalmente e superare guadi profondi oltre 1,5 m, grazie ad apposito dispositivo.
Autoveicoli speciali. - Con la generale motorizzazione dell'esercito, la categoria di questi veicoli si è estesa a tutte le attività di supporto e logistiche e quindi pure a quelle già parzialmente soddisfatte dal mezzo ferroviario. Si tratta non soltanto di adattamenti di normali a. militari o di produzione commerciale a determinati impieghi, come autocisterne, autoambulanze specialistiche e non, complessi antincendi, autobagni, mezzi per trasporto shelters (lavanderia mobile campale, cucina e self service, frigoriferi), ecc., per i quali si può spesso ricorrere al mercato civile, ma anche di mezzi particolarmente studiati per le esigenze militari, quali autogru e veicoli del genio.
Fra i modelli di autogru vi è la media AG 70, che ha sostituito da una diecina d'anni il corrispondente M543A1 statunitense. A questa si aggiunge il tipo ancor più pesante Isoli (Fiat IVECO), con braccio brandeggiabile a 360° e con portate fino a 16 t. È in dotazione ai genieri, come gli speciali autocarri destinati al trasporto del materiale da ponte. Sono in uso, presso eserciti stranieri, anche mezzi atti a lanciare direttamente ponti d'assalto, come quelli montati su scafo cingolato e in servizio presso le unità corazzate. Altri veicoli del genere sono quelli anfibi utilizzati per ponti galleggianti (tra cui il più noto è il francese Gillois) e altri che consentono addirittura il varamento diretto degli elementi di ponte che essi stessi trasportano. Per quanto riguarda gli altri veicoli del genio (autolivellatrici, escavatori, apripista ruotati e cingolati, autoribaltabili medi 4×4 e pesanti 6×6), essi non sempre possono essere tratti dai normali mezzi da cantiere, dovendo sottostare spesso a limitazioni di peso e di ingombro per renderli avio- o eli-trasportabili. Sempre per il genio militare, sono necessari veicoli adatti a marciare indifferentemente su strada e rotaia, grazie a ruote intercambiabili e ad altri piccoli accorgimenti.
Restano da esaminare altre due categorie di veicoli speciali: quelli per il trasporto su strada dei mezzi corazzati e quelli per il movimento in montagna. I primi sono costituiti in genere da un potente trattore provvisto di argani e da un rimorchio pluriassi sul quale prende posto il carro armato. In Italia è stato recentemente introdotto l'IVECO ATC 81, un autoarticolato con semirimorchio Bartoletti da 50 t di portata. Esistono tuttavia anche mezzi per l'autotrasporto di cingolati intorno alle 10 tonnellate.
Per la mobilità su terreni innevati, eliminata dopo breve tempo la carretta da neve M29 statunitense, si è fatto ricorso, basandosi sulle esperienze dei paesi nordici quali il Canada, la Svezia e la Finlandia, a diversi tipi di cingolati, in parte di modello commerciale. Se ne sono studiati e realizzati anche in Italia, come gli efficientissimi Prinoth, in dotazione alla Polizia e ai Carabinieri.
Dopo aver sperimentato in occasione di esercitazione in Norvegia nel 1965 il Volvo BM202 (assai diffuso negli eserciti dell'Alleanza Atlantica) e più tardi altri modelli tra cui il Leitner di costruzione nazionale, ci si orientò per un'ampia sperimentazione del suo successore, anch'esso svedese, Hägglunds BV206. Quest'ultimo, costituito da una motrice e da un rimorchio con carrozzeria chiusa e confortevole, di elevata mobilità, è oggi in uso presso le nostre unità alpine anche come trattore per il pezzo da montagna da 105/14; ha, come il 202 già citato, perfino qualità anfibie. Si sta sperimentando intanto il BRT 87 San Bernardo di origine finlandese ma prodotto in Italia dalla ARIS.
Oltre agli esperimenti con motoslitte, è entrato in distribuzione il veicolo leggero da neve Alpenscooter, in sostanza un motociclo semicingolato in grado di portare, oltre al conducente, 50 kg e di trainarne altri 150 su slitta. Pur dotato di propulsore di limitata potenza, offre interessanti prestazioni.
Per i trasporti sui sentieri di montagna, in un primo tempo si condus se (nel periodo 1960-63) un laborioso ma infelice esperimento con un modello di ''veicolo 3×3'' (STM-Moto Guzzi). Da allora si sono susseguiti vari tentativi per giungere alla realizzazione di un motocarrello da montagna, recentemente adottato come MTC 80 per la viabilità montana. Il futuro ci dirà se questo quadriciclo a passo corto, che conserva la stessa portata del 3×3 già citato (400 kg), consentirà di sostituire vantaggiosamente il mulo dei reparti alpini. Vedi tav. f. t.
Bibl.: E. Tatti, I trattori di artiglieria, in Rivista Militare, 8-9 (1952); U. Sudano, Il sistema dei trasporti militari, ibid., settembre-ottobre 1976; Ch. Foss, Veicoli militari nel mondo, Firenze 1978; G. Baldini, A. Lupoli, I veicoli da trasporto logistico della nuova generazione, in Rivista Militare, maggio-giugno 1981; Military vehicles & ground support equipment, in Jane's Military Logistics 1988/89, Coulsdon (Surrey) 1989; L. Iannecco, Mobilità e manovra, in Rivista Militare, 3 (1990). Ci si è giovati inoltre di istruzioni militari non classificate, di riviste italiane ed estere e, per le direttive CEE, della Gazzetta Ufficiale, 82 (1988) e 271 (1988).
L'industria automobilistica in Italia. - La data di nascita dell'industria automobilistica italiana può collocarsi a cavallo tra la fine del 19° e l'inizio del 20° secolo.
Il nucleo originario del settore fu costituito da piccole officine attrezzate per importare auto e da uffici di rappresentanza, soprattutto di marche francesi. Nel 1899 nacque la Fiat, seguita nel 1907 dalla Lancia e nel 1910 dall'Alfa. Solo verso il 1925, comunque, si ebbero le prime produzioni su vasta scala con la 509, 4 cilindri, della Fiat che veniva prodotta in circa 100 esemplari giornalieri. Tra le altre imprese italiane ancora oggi operanti, la Maserati fu fondata nel 1926; Abarth, Ferrari e Moretti negli anni Quaranta; l'Autobianchi nel 1955; Lamborghini, Giannini e Innocenti negli anni Sessanta.
Il periodo di maggiore espansione dell'industria automobilistica italiana fu sicuramente quello che iniziò nel secondo dopoguerra (1951) con la produzione della 500 Fiat (Topolino), la più piccola auto del mondo prodotta in serie, destinata a innescare in Italia il boom della motorizzazione. È negli anni Sessanta, comunque, che si collocano i primi grandi successi della produzione italiana.
In complesso, dalle 100.000 unità prodotte in Italia all'inizio degli anni Cinquanta si passò alle 600.000 del 1960 e a 1,7 milioni di unità nel 1970. Anche la domanda, favorita da un periodo di elevata crescita economica, fece segnare un incremento molto elevato toccando la cifra di 1,3 milioni di unità nel 1970. Nel decennio 1960-70, inoltre, si collocano i maggiori successi della produzione italiana in campo mondiale; le nostre esportazioni giunsero a coprire il 7% del mercato mondiale e circa il 20% di quello europeo. L'occupazione nel settore era intanto giunta nel 1970 a 240.000 unità, pari a poco più del 3% dell'intera occupazione industriale.
Ai buoni risultati degli anni Sessanta, caratterizzati dal boom economico − anni che videro anche una serie di fusioni e incorporazioni dei produttori minori in quelli maggiori (con la incorporazione, per es., da parte della Fiat di Lancia, Autobianchi e Ferrari) − seguì il declino produttivo degli anni Settanta, in un contesto che vide la domanda crescere più della produzione con conseguente aumento delle importazioni. Queste ultime, in rapporto alle immatricolazioni, passarono dal 5% del 1960 al 28% del 1970 (per toccare il 40% nel 1980).
Gli anni Settanta sono stati caratterizzati da un andamento stagnante della domanda e da un brusco aumento dei prezzi. Si è trattato di un fenomeno che ha interessato, con le dovute peculiarità, tutti i mercati europei ma che proprio nel nostro paese assunse un'intensità particolarmente elevata a causa del parallelo aumento delle automobili importate (a fronte di un export sostanzialmente invariato) e di una perdita di quote di mercato da parte del maggior produttore italiano. La stagnazione della domanda influenzò sensibilmente l'evoluzione della struttura produttiva innescando un processo di indebolimento delle condizioni produttive, di perdita di competitività rispetto ai concorrenti e, infine, di emarginazione nei mercati.
Gli anni Settanta, inoltre, sono quelli in cui il mercato dell'auto accentuò la sua struttura tipicamente oligopolistica e la sua dimensione internazionale in virtù di sempre maggiori economie di scala. Quello dell'auto, d'altro canto, è stato fin dal suo nascere uno dei settori in cui le dimensioni d'impresa incidono in modo più rilevante sulla determinazione dei costi medi.
Particolarmente importanti nell'evoluzione del comparto si rivelano: le economie di scala di natura tecnica, cioè la suddivisione del processo produttivo in tutte le sue fasi, o processi elementari, e la successiva integrazione di più processi elementari attraverso l'impiego di macchine complesse; le economie di scala di carattere finanziario che traggono origine dall'esistenza di una relazione positiva tra la dimensione d'impresa e la dimensione dell'attivo finanziario, e tra questa e la capacità di formazione interna di mezzi finanziari; le economie di scala di commercializzazione, che nascono dal fatto che i costi unitari di commercializzazione, in genere, sono inversamente correlati con le quantità vendute.
Gli anni Ottanta si aprono su uno scenario caratterizzato da una recessione economica a livello mondiale che, partita dal Nord America, si estende successivamente anche all'Europa, colpendo in primo luogo i paesi a sviluppo più avanzato. In tale contesto l'Italia può ancora beneficiare (fino al 1981) della crescita della domanda interna, manifestatasi alla fine del decennio precedente, che permette di sostenere la produzione, riflettendosi peraltro in un consistente incremento delle importazioni con aggravio del saldo commerciale (negativo) del settore.
La produzione complessiva di a. (autovetture, veicoli industriali e autobus) supera, proprio all'inizio del decennio, la cifra di 1.600.000 unità, valore che non sarà superato sino al 1986. L'occupazione diretta nel settore tocca un massimo di 203.000 unità, superato solo nel 1989 con 218.599 unità occupate. La produzione di sole autovetture, sebbene inferiore a quella raggiunta nel corso degli anni Settanta, raggiunge 1.445.221 unità (anche questa cifra non verrà superata sino al 1986). Il grado di copertura della domanda interna da parte dei produttori nazionali raggiunge in quel periodo il 60%.
Il trend recessivo prosegue in tutti i paesi industrializzati sino ai primi mesi del 1983, provocando una generalizzata flessione della produzione e della domanda di a. con l'unica eccezione dell'Italia. Nel nostro paese la produzione di a. registra sì un certo calo, ma esso è interamente ascrivibile alla diminuzione delle esportazioni causata dalla flessione generalizzata della domanda estera. Occorre infatti considerare che circa la metà della produzione italiana di a. in questi anni è destinata all'esportazione, il che rende chiaro il nesso tra i due fenomeni.
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta si collocano i maggiori sforzi di ristrutturazione dell'industria automobilistica italiana, tesi da un lato a ottimizzare l'efficienza in ogni fase della produzione e dall'altro a innovare sia i prodotti che i processi.
In linea con questi orientamenti si rivela, per es., la strategia della Fiat Auto. L'azienda torinese, nella ricerca di maggiore efficienza, si è basata su un riequilibrio degli organici, sulla riorganizzazione degli acquisti di componenti, su una politica commerciale più aggressiva e attenta a offrire una maggior gamma di servizi agli utenti. L'innovazione dei prodotti e dei processi vide l'azienda impegnata da un lato a ridurre la derivazione di tutta la gamma da quattro autotelai unificati e a standardizzare i componenti, e dall'altro ad automatizzare quanto più possibile gli impianti con un massiccio utilizzo di robot industriali. I risultati di tale ristrutturazione non tardarono a farsi sentire, concretizzandosi in un aumento molto consistente (70%) della produttività tra il 1979 e il 1983.
Nel 1983 cominciarono ad avvertirsi nel mondo industrializzato i primi segni di una ripresa economica; anche in Italia, con un leggero ritardo rispetto agli altri paesi, si manifestarono nel secondo semestre del 1983 i segnali di una ripresa che si sarebbe consolidata nell'anno successivo. Furono soprattutto le esportazioni a trainare la produzione automobilistica in questi anni, mentre il mercato interno fece registrare una flessione molto pesante, soprattutto nel comparto dei veicoli industriali e degli autobus (settori in cui la flessione si accentuò soprattutto nel corso del 1984). La quota di penetrazione dei produttori nazionali nel mercato interno superò il 63% anche grazie a una parallela diminuzione delle importazioni, permettendo di ottenere un sostanziale attivo nella bilancia commerciale del settore dei trasporti.
Dal 1985 in poi tutte le economie industrializzate entrano in una fase di accentuata e stabile ripresa, tra le più lunghe del secondo dopoguerra. L'industria automobilistica mondiale di anno in anno ot tiene risultati che vanno al di là delle previsioni più ottimistiche. In Italia si registra una crescita accentuata delle principali variabili economiche (produzione, fatturato) che permette alle industrie del set tore di ottenere positivi risultati di bilancio dopo gli sforzi compiuti per superare la crisi degli anni precedenti (v. tab. 1). La produzio ne automobilistica − notevolmente diversificata, sia nelle motorizza zioni che negli allestimenti, e apprezzata nel mondo anche per la particolare caratterizzazione stilistica dei modelli − risulta trainata da una notevole ripresa della domanda interna che si somma alla pro secuzione di un trend positivo delle esportazioni. Le ragioni a ba se della vivacità del mercato interno possono farsi risalire in massi ma parte a fattori quali: la necessità di sostituire il consistente parco autovetture, ormai obsoleto, immatricolato negli anni Settanta; l'incremento del reddito disponibile; le innovazioni tecniche, ecc. Le dimensioni raggiunte dal mercato italiano delle autovetture nel corso degli ultimi anni vengono ritenute fisiologiche rispetto ai parametri della situazione interna (popolazione, reddito, viabilità, evoluzione industriale, ecc.) e inducono a ritenere plausibile un assorbimento che, al di là delle variazioni congiunturali, dovrebbe assestarsi mediamen te sui 2 milioni di vetture/anno.
I progressi compiuti dall'industria italiana, trainata soprattutto dal gruppo Fiat (Fiat, Lancia, Alfa, Innocenti), possono cogliersi in alcuni dati essenziali riferiti alla fine degli anni Ottanta (v. tab. 2). La produzione nazionale complessiva di a. ha superato nel corso del 1989 i 2,2 milioni di unità; la produzione di sole autovetture è salita a oltre 1.970.000 unità, con un incremento di oltre 4,5 punti percentuali sull'anno precedente, il che ha permesso di toccare una quota pari al 5,5% del totale mondiale. Il valore aggiunto rappresenta il 34% della produzione, il costo del lavoro incide su di esso per il 69%.
Le esportazioni nel 1989 hanno superato le 887.000 unità. Il fatturato ha raggiunto i 50.000 miliardi; l'occupazione ha superato le 218.000 unità (che giungono a quasi due milioni se si considera tutto l'indotto costituito dalle industrie della componentistica, dei ricambi, ecc.), pari a circa il 4% dell'intera occupazione manufatturiera italiana. In Europa l'industria automobilistica italiana si colloca al terzo posto dopo Germania Occidentale e Francia; il gruppo Fiat, sia nel 1989 che nel 1990, si è collocato al primo posto nella classifica dei costruttori con una quota di penetrazione nel mercato europeo pari a circa il 15% (seguono nell'ordine il gruppo Volkswagen, il gruppo Peugeot, la Ford, la Gm Opel, i produttori giapponesi e la Renault). Progressi notevolissimi si sono registrati anche nella produzione di veicoli industriali e di autobus.
In tale contesto produttivo anche la domanda interna di autovetture ha continuato a crescere a ritmi sostenuti, superando i 2,2 milioni di unità nel 1989; le esportazioni sono state pari a circa 888.000 unità dirette per circa l'80% nei paesi della CEE. La Francia costituisce il nostro maggiore mercato di sbocco, assorbendo una quota pari a circa un quarto delle nostre esportazioni. Nel 1990 vi è stato un rallentamento produttivo: è calata la produzione totale di a. (−4,5% circa) ed è leggermente diminuita la quota italiana della produzione totale mondiale. Tuttavia le esportazioni hanno continuato a crescere a un tasso sostenuto (+8,2% circa; v. tab. 2). La produzione di veicoli industriali ha sostanzialmente tenuto rispetto all'anno precedente.
I risultati conseguiti da parte italiana premiano gli sforzi intrapresi e hanno consentito di riacquistare alti livelli di competitività, un innalzamento del grado di utilizzazione degli impianti, una ripresa dell'occupazione. Tuttavia la continua evoluzione delle tecniche di produzione, di gestione e di vendita nell'industria mondiale richiede una revisione e un aggiornamento costante da parte delle aziende del settore e quindi il processo, specialmente quello innovativo, non può ritenersi concluso. La sola Fiat Auto ha previsto nel 1987 un piano quinquennale di investimenti di circa 5000 miliardi per la ristrutturazione e l'innovazione delle attività incamerate con l'operazione d'acquisto dell'Alfa Romeo.
È anche da rilevare che negli ultimi venti anni si è assistito a un processo di localizzazione dell'industria automobilistica nelle aree centrali e meridionali dell'Italia con stabilimenti che, per le tecnologie produttive, in massima parte automatizzate, si collocano all'avanguardia dell'industria mondiale del settore.
Bibl.: The structure of European industry, a cura di H. de Jong, Kinderbook, New York 1981; A. Mosconi, A. Velo, Crisi e ristrutturazione nel settore automobilistico. I rapporti tra settore pubblico e privato, il piano auto italiano e la politica industriale europea, Bologna 1982; G. Volpato, L'industria automobilistica internazionale. Espansione, crisi e riorganizzazione, Padova 1983; Convegno Strategie industriali e prospettive di sviluppo nel settore automobilistico. Pavia, 31 maggio 1984, Atti, a cura di R. Argenziano, D. Velo, Milano 1985.