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AVALOS, Cesare Michelangelo d', marchese di Pescara e del Vasto

di Elvira Gencarelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)
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AVALOS, Cesare Michelangelo d', marchese di Pescara e del Vasto

Elvira Gencarelli

Figlio secondogenito del principe d'Isernia, se ne ignora la data di nascita. Nel 1690 alla morte del nipote, marchese di Pescara, ne ereditò i beni e il titolo, cui nel 1697 aggiunse quello di marchese del Vasto, principe di Isernia e Francavilla. Brillante, munifico, l'A. si recò a Napoli, nel 1697, all'inizio del viceregno del duca di Medinaceli, dal quale ottenne favori ed amicizia: rapporti che i suoi modi prepotenti compromisero presto quasi completamente. Di qui l'adesione dell'A. alla causa imperiale, che per la posizione dei suoi domini al confine del Regno con lo Stato pontificio e sul mare costituì una delle basi più importanti (insieme con l'atteggiamento filoimperiale del duca Caetani di Sermoneta) per la ripresa della politica austriaca nel Mezzogiorno allo scoppio della guerra di successione spagnola.

Nel 1699, un anno prima della morte di Carlo d'Asburgo, l'A. aveva scritto all'imperatore Leopoldo I, assicurandolo del suo attaccamento, che confermò all'annuncio del testamento di Carlo a favore di Filippo di Borbone. Ma, pur perseguendo tale politica e preparandosi ad un conflitto che ormai appariva inevitabile, tra l'altro fortificando il castello del Vasto, sull'Adriatico, l'A. non mancò di rivolgersi anche a Luigi XIV e al nuovo re di Spagna Filippo V, nella speranza di favori e condizioni migliori. Il silenzio col quale i due sovrani accolsero le sue sollecitazioni avrebbe determinato, stando al Granito, il definitivo passaggio dell'A. al "partito" imperiale.

Pur partecipe della congiura di Macchia, l'A. si mostrò tuttavia estremamente prudente: in contatto con i congiurati di Roma e di Napoli non vi assunse una posizione ufficiale decisamente antispagnola e non si impegnò a fondo per la riuscita del movimento. Prudenza che il Vico (cfr. Scritti storici, a cura di F. Nicolini, Bari 1939, pp. 321 s.) giustifica osservando che tutti i beni dell'A. erano nei domini spagnoli e quindi esposti ad ogni misura repressiva da parte di quel governo. In realtà egli aderì alla congiura, come del resto quasi tutti i nobili napoletani, non per un serio e meditato convincimento politico, ma attratto e persuaso, nella propria ambizione, dalla politica di promesse e di ricompense dell'imperatore.

Ai primi di settembre del 1701, nei giorni immediatamente precedenti la sommossa, il viceré Medinaceli, al corrente della partecipazione dell'A. e nell'impossibilità di sottoporlo ad un procedimento penale, quale Grande di Spagna, senza ordine da Madrid, inviò in Abruzzo don Emanuele de Lossada, auditore generale dell'esercito, con l'incarico di arrestarlo segretamente. Sottrattosi all'arresto con la fuga e rifugiatosi ad Ancona, l'A., confermando la sostanziale ambiguità del suo orientamento, scrisse sia al viceré, chiedendogli lettere commendatizie per il re di Spagna, sia al pontefice Clemente XI, per implorare ospitalità e protezione nello Stato della Chiesa. Ottenute le une e le altre, si ritirò in una località detta le Grotte, prossima alle sue terre dove, nei frequenti convegni con il duca Caetani, Carlo di Sangro, Giuseppe Capece e lo stesso barone di Chassinet, inviato di Leopoldo I, venne stabilito che sarebbe rimasto a Cisterna, in attesa di muovere con i suoi armati contro Napoli.

Ma, una volta scoppiata l'insurrezione, egli non si mosse, deludendo l'attesa degli altri congiurati e compromettendo le sorti della congiura. Sedata la rivolta dalla dura ed immediata reazione gallo-ispanica, l'A. trasferì una parte dei suoi beni nello Stato della Chiesa e, nell'ottobre dello stesso 1701, si recò a Roma, dove sembra assumesse un atteggiamento più deciso se invano i diplomatici franco-spagnoli, il cardinale di Janson ed il duca d'Uzeda, tentarono con promesse e minacce di persuaderlo a recarsi in Spagna o a tornare a Napoli. Colpito da parte del governo napoletano da una condanna a morte in contumacia, l'A. rimase a Roma protetto dagli inviati cesarei Lamberg e Grimani, entrando in aperto contrasto con il cardinale di Janson: contrasto non ancora ben chiarito, ma che ebbe risonanze notevoli in campo diplomatico. I tribunali pontifici, nel marzo 1702, condannarono l'A. a morte, come calunniatore di un cardinale; sentenza questa che non venne eseguita per il pronto intervento di Leopoldo I, il quale, avendo nominato l'A. il 16 dic. 1701, maresciallo di campo per i suoi meriti verso l'Impero, interpretò la condanna come una grave offesa e come una aperta dichiarazione papale di favore per la Francia. Di conseguenza, Leopoldo interruppe ogni rapporto con il nunzio pontificio a Vienna e vietò al Lamberg di trattare con Clemente XI.

La tensione nei rapporti fra il papa e l'imperatore indusse il Lamberg a trasferire l'A. al campo imperiale, dove tuttavia egli rimase brevissimo tempo. Per i continui dissensi con il principe Eugenio di Savoia, che esplicitamente richiese a Leopoldo di liberarlo dell'incomodo collaboratore, fu chiamato di lì a poco alla corte imperiale. Nel 1703 l'A. si trovava a Vienna, nell'ambiente dei fuorusciti napoletani, pieno di ostilità, di invidie e di intrighi, dove poté mantenere una posizione privilegiata grazie alla protezione di Leopoldo, che gli attribuì la carica di gran ciambellano, di scarso impegno, ma con uno stipendio annuo di 24.000 fiorini.

Quando l'arciduca Carlo si recò in Spagna nel 1705 per la spedizione contro Filippo V e vi fu acclamato re (Carlo III), fu l'A. ad essere nominato suo ambasciatore ufficiale a Vienna.

Anche dopo la morte di Leopoldo e la fine della guerra di successione spagnola, egli continuò a vivere al servizio imperiale fino alla morte, avvenuta nel 1735.

Fonti e Bibl.: D. Confuorto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N. Nicolini, I Napoli 1930, pp. 298, 371; II, ibid. 1931, pp. 15, 17, 20, 21, 189, 190, 216, 219; A. Granito di Belmonte, Storia della congiura del principe di Macchia..., Napoli 1861, I, passim; II, p.15; M. Landau, Rom Wien Neapel während des spanischen Erbfolgekrieges, Leipzig 1885, pp. 73, 94, 108, 119, 123, 140, 153-168, 220, 295; Id., Geschichte Kaiser Karls VI als König von Spanien, Stuttgart 1889, pp. 158, 165; H. Benedikt, Das Königreich Neapel unter Kaiser Karl VI,Wien 1927, pp. 4, 12, 14, 16, 30-32, 39, 71, 123, 395, 584; L. v. Pastor, Storia dei Papi, XIV,Roma 1933, p. 23; F. Nicolini, L'Europa durante la guerra di successione spagnuola, con particolare riferimento alla città di Napoli, I, Napoli 1937, pp. 34, 377 s.; II, ibid. 1939, passim; Id., Uomini di spada di chiesa di toga di studio ai tempi di Giambattista Vico, Milano 1942, pp. 33, 35-37, 43, 124, 240. Id., Aspetti della vita seisettecentesca napoletana,in Bollett. d. Arch. stor. del Banco di Napoli, II(1950), p. 77; M. Schipa, Albori di risorgimento nel Mezzogiorno d'Italia,Napoli 1938, p. 25.

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