AVALOS, Ferdinando Francesco d', marchese di Pescara
Nato a Napoli nel 1489 da Alfonso e da Diana de Cardona, e discendente, quindi, da due tra le principali famiglie spagnole trapiantatesi in Italia, tutta la vita dell'A. fu improntata dalla fiera coscienza di queste sue origini: egli si sentì sempre e volle essere considerato uno Spagnolo, e tenne costantemente verso gli Italiani, di cui si rifiutava persino di parlare la lingua, l'altero disprezzo del conquistatore. La sua educazione fu quella tipica della nobiltà spagnola del tempo, ispirata al culto degli ideali cavallereschi e feudali e indifferente ai valori della cultura umanistica italiana. Questa formazione dell'A., mentre fu di grande importanza per i suoi atteggiamenti politici, non impedì la felice riuscita del suo matrimonio (27 dic. 1509) con la più notevole figura femminile della poesia rinascimentale italiana, Vittoria Colonna, alla quale era stato destinato sin dall'età di otto anni dal re Ferrandino, che intendeva sancire con un vincolo di parentela i legami della potente famiglia romana con gli Spagnoli di Napoli.
La parentela dell'A. con Raimondo de Cardona e con Prospero e Fabrizio Colonna gli aprì ancora molto giovane una brillantissima carriera militare. Nel 1511 partecipò col Cardona, che era a capo dell'esercito spagnolo-pontificio, alla guerra contro il duca di Ferrara e i Francesi, comandando un corpo di cavalleria leggera. Nella battaglia di Ravenna, l'11 apr. 1512, l'A. si distinse guidando una furiosa carica di cavalleria contro le artiglierie di Alfonso d'Este, ma fu poi sopraffatto dalla più numerosa cavalleria francese, ferito e preso prigioniero. Condotto a Milano, fu liberato alcuni mesi dopo per intervento di Gian Giacomo Trivulzio, che era suo parente. Il Trivulzio pretese in cambio la promessa di non combattere più contro la Francia, ma l'A. già nel 1513 partecipava col Cardona, come capitano della fanteria spagnola, alla campagna di Lombardia durante la quale conquistò Voghera e la sottopose a uno spaventoso saccheggio in cui furono massacrati seicento cittadini. Passò poi agli ordini di Prospero Colonna nella campagna condotta nel Veneto contro l'Alviano. Nella battaglia di Vicenza (7 ott. 1513) l'A., che comandava un quadrato di quattromila picchieri spagnoli, travolse il quadrato veneziano di Babbone Naldi, assicurando così la vittoria dei collegati.
Questa campagna, in cui si trovavano di fronte i due più esperti condottieri del tempo, Bartolomeo d'Alviano e Prospero Colonna, fu ricchissima di insegnamenti per l'A. che vi si addestrò a quella strategia logoratrice tipicamente italiana di cui egli stesso divenne poi "la più alta e geniale espressione" (Pieri). Nel novembre 1515, in seguito alla conquista francese della Lombardia, ritornò a Napoli e l'anno successivo ebbe dal viceré Cardona l'incarico di togliere il ducato di Sora al ribelle duca di Urbino Francesco Maria della Rovere. La conquista della città fu compiuta dall'A. con un ardito impiego delle artiglierie fatte trasportare a forza di argani per quelle impraticabili montagne. In seguito alla morte di Ferdinando il Cattolico l'A. si recò nel 1517 a Bruxelles a rendere omaggio al nuovo sovrano in rappresentanza della nobiltà napoletana di parte aragonese. Per sé l'A., che era stato nominato il 29 luglio 1516 capitano generale di tutta la fanteria dell'esercito d'Italia, otteneva la conferma del titolo marchionale di Pescara, di cameriere maggiore e di consígliere del Collaterale, la contea di Loreto e la castellania di Ischia.
Alla ripresa della guerra contro la Francia, nel 1521, l'A. comandò la fanteria spagnola dell'esercito ispano-pontificio e partecipò all'assedio di Parma: convinse Prospero Colonna e Francesco Guicciardini, commissario generale dell'esercito, che erano di contrario parere, a rinunciareall'impresa rivelatasi pericolosa per il sopraggiungere da due diverse direzioni degli eserciti del Lautrec e di Alfonso d'Este. Nel novembre dello stesso anno, posto l'assedio a Milano, l'A. a capo di un manipolo di archibugieri si impadronì del bastione di Porta Romana permettendo l'ingresso nella città di tutto l'esercito spagnolo; quindi conquistò Como che mise a sacco. Alla battaglia della Bicocca (29 apr. 1522) comandava il quadrato di fanteria imperiale costituito dagli Spagnoli, che con il fuoco efficace dei loro archibugi misero in rotta gli Svizzeri, decidendo le sorti della battaglia. Il 4 maggio l'A. entrava in Lodi. Da Prospero Colonna fu inviato quindi a Genova per stabilirvi la signoria di Antoniotto e Gerolamo Adorno. L'A. conquistò la città e la sottopose a un saccheggio talmente efferato che, secondo una tradizione peraltro non del tutto attendibile, quando giunse a Genova Adriano VI, che si recava a Roma per prendere possesso del soglio pontificio, il nuovo papa si rifiutò di concedergli l'assoluzione.
Alla morte di Prospero Colonna, nel dicembre 1523, l'A. assunse, insieme al viceré di Napoli Carlo de Lannoy e al connestabile di Borbone, il comando dell'esercito imperiale. L'A. attaccò vittoriosamente l'esercito francese del Bonnivet a Robecco e a Romagnano e l'inseguì sino ad Aosta. Passato in Provenza, si rifiutò di marciare su Parigi, come proponeva il Borbone, temendo di allontanarsi troppo dalle basi imperiali e nutrendo scarsa fiducia nella collaborazione della popolazione promessa dal connestabile. Posto l'assedio a Marsiglia, strenuamente difesa da Renzo Anguillara, dopo quaranta giorni dovette abbandonare l'impresa per il sopraggiungere del potente esercito di Francesco I. Poiché l'armata francese, invece di rivolgersi contro gli imperiali, si affrettava ai valichi alpini per entrare nella Lombardia indifesa, l'A. tentò di sventare la manovra con una precipitosa ritirata che non impedì però ai Francesi di giungere per primi a Milano. Con un esercito stanco e numericamente inferiore all'avversario l'A. dovette rimanere in posizione difensiva disponendosi a sostenere un urto decisivo a Lodi. Ma Francesco I non seppe profittare della situazione vantaggiosa e, in attesa che l'opera dei suoi diplomatici riuscisse a staccare dagli imperiali gli alleati italiani, pose un infruttuoso assedio a Pavia.
L'A. si opponeva intanto al disegno del de Lannoy, preoccupato per la spedizione dell'Albany contro Napoli, di accorrere in difesa dell'Italia meridionale: egli aveva chiara coscienza che le sorti del dominio spagnolo nell'intera penisola si sarebbero decise nella pianura lombarda. Dopo settimane di attesa, durante le quali con una incessante opera di disturbo dell'avversario l'A. seppe accortamente preparare all'esercito imperiale le migliori condizioni per lo scontro risolutivo, il 24 febbr. 1525, di fronte a Pavia, l'A. sorprese Francesco I con una audace marcia notturna che portò l'esercito imperiale a ridosso del campo fortificato nemico. La sorpresa impedì al re di Francia di coordinare l'azione dei propri reparti che furono affrontati e battuti separatamente dall'Avalos. Il trionfo, insperato nelle sue proporzioni, stabiliva definitivamente la supremazia spagnola in Italia.
Le stesse dimensioni assunte dalla vittoria imperiale provocarono però la reazione degli stati italiani che si videro soffocati tra il Mezzogiorno spagnolo e la Lombardia, dove il potere del duca di Milano non era più che un nome, in mano ai vincitori: ne nacque quel complesso e laborioso tentativo che va sotto il nome del ministro di Francesco II Maria Sforza, Gerolamo Morone, e nel quale l'A. ebbe una parte fondamentale.
L'iniziativa partì dalla Curia, soprattutto per impulso del datario Gian Matteo Giberti che progettò l'alleanza della Santa Sede, di Venezia, Firenze, Genova, Lucca, Siena, Milano, con l'appoggio della Francia, per scacciare dall'Italia con un colpo a sorpresa gli Spagnoli. Fu del Morone l'idea di chiamare a far parte del disegno l'A., che, considerato dopo la battaglia di Pavia il miglior condottiero del tempo, avrebbe garantito, a capo dell'esercito dei collegati, la riuscita dell'iniziativa. Il Morone contava sul risentimento dell'A. contro Carlo V e il de Lannoy, che aveva condotto in Spagna, nel giugno 1525, il prigioniero Francesco I e si era presentato a corte come il vincitore della battaglia di Pavia. L'A., che aveva scritto vivacissime lettere di protesta a Carlo V, non aveva ottenuto soddisfazione ed aveva visto ignorato anche il desiderio di essere insignonto della contea di Carpi in ricompensa delle imprese compiute. Il Morone avvicinò l'A., offrendogli a nome di Clemente VII la corona di Napoli in caso di riuscita dell'impresa. L'atteggiamento dell'A. fu estremamente incerto: alla luce degli avvenimenti posteriori molti contemporanei ritennero che sin dal principio egli avesse stabilito di tradire il Morone, simulando di aderire alle sue offerte per poter con maggior sicurezza sventare il complotto; e lo stesso A. spiegò poi in questo senso il suo ritardo nell'informare l'imperatore. In realtà la posizione dell'A. fu molto più complessa: l'offerta di un regno lusingava troppo il suo orgoglio e la sua ambizione, pur se si trattava per l'A. di infrangere il vincolo di fedeltà verso il suo signore e di incorrere in quel delitto di fellonia che nessuna ragione politica giustificava agli occhi dei contemporanei. Di qui gli scrupoli che lo indussero a ricercare a Milano e a Roma il parere di illustri giuristi per sapere se "senza maculare l'onore" potesse abbandonare il suo re. Da Roma i cardinali Cesi e Accolti diedero all'A. le più ampie assicurazioni, sostenendo che come feudatario del Regno di Napoli egli era vassallo non dell'imperatore, ma del papa e pertanto "non solo poteva ciò fare senza scrupolo di punto mettervi dell'onor suo, ma eziandio doveva, sì per ubbidire al Sommo Pontefice, e sì per acquistarsi perpetuo titolo di liberatore d'Italia" (Varchi). Non dovevano tuttavia queste assicurazioni calmare i dubbi dell'A., tanto più che la stessa Vittoria Colonna lo scongiurava a non mancare di lealtà verso il sovrano. Del resto l'impresa andava rivelandosi di sempre più difficile attuazione, per i sospetti reciproci tra i vari stati italiani, e per l'orientamento, incline ad un accordo con Carlo V, assunto dalla stessa reggente di Francia, Luisa di Savoia. L'A. comprese che un'ulteriore esitazione lo avrebbe compromesso definitivamente: scrisse perciò a Carlo V, informandolo delle trattative intercorse col Morone e chiedendogli istruzioni (25 luglio 1525). Per mettersi al riparo dei sospetti della corte mise al corrente della situazione gli altri esponenti della politica imperiale in Italia, il Borbone, il de Leyva, il del Vasto, il de Naiera, con i quali decise, in attesa di istruzioni e rinforzi dalla Spagna, di continuare le trattative con il Morone. Queste durarono tutta l'estate e l'A. riuscì a piu riprese ad ottenere dal Morone grosse somme di denaro, che gli erano indispensabili per il pagamento delle truppe; ma nell'ottobre si decise a procedere all'arresto del ministro milanese. Questi, invitato dall'A., con le più ampie assicurazioni, al campo di Novara, fu arrestato il 15 ottobre dal de Leyva. Agli Spagnoli venne offerto così il pretesto per dichiarare la decadenza dello Sforza dal ducato di Milano. L'A. provvide subito ad occupare le fortezze di Cremona, Trezzo, Lecco e Pizzighettone e ad entrare in Milano, richiedendo al popolo il giuramento di fedeltà all'imperatore e imponendo al Senato di esercitare in nome di lui le sue funzioni.
Il giudizio dei contemporanei sull'A. fu pesante: mentre non riuscì a sottrarsi completamente ai sospetti della corte di Madrid, scrittori e uomini politici italiani non gli risparmiarono il loro risentimento per quello che considerarono un tradimento della causa della libertà italiana: così il Guicciardini, il Giberti, il Varchi, il Vettori. Questo giudizio è alla base anche dell'atteggiamento moralistico di alcuni storici ottecenteschi e del primo Novecento, che fanno carico all'A. soprattutto del suo comportamento sleale nei riguardi del Morone, considerato come una sua troppo ingenua vittima (cfr. Gioda, De Leva, Pandolfi). Come bene vide il Villari, invece, "sia il Pescara che il Morone giocavano un doppio giuoco e n'erano consapevoli del pari". Il ministro milanese, che ancor prima della congiura giudicava, come testimonia il Guicciardini, "non esser uomo in Italia né di maggior malignità né di minor fede" dell'A., non si illudeva certo di poter contare su di lui se non nel caso che un felice esito del complotto aprisse all'ambizione del condottiero le più grandi speranze; in caso di fallimento, invece, non soltanto il Morone era ben consapevole che l'A. lo avrebbe abbandonato ma egli stesso era pronto a passare completamente dalla parte dell'imperatore, come in effetti accadde. Tuttavia il comportamento dell'A. verso il Morone fu in tale contrasto con le rigide norme della morale cavalleresca nella quale egli era stato educato, che nel suo testamento scongiurò l'imperatore di liberargliene la coscienza restituendo la libertà al ministro.
L'A. morì il 3 dicembre 1525, di tisi.
Fonti e Bibl.: L. Ariosto, Orlando Furioso, Canto XXXIII; G. Capra [G. Capella], Commentarii de rebus gestis pro restitutione Francisci II Mediolani Ducis..., Venetiis 1535, passim; M. Du Bellay, Memoyres, Paris 1569, passim; Lettere di Principi, Venetia 1581, pp. 170, 174 s.; U. Foglietta, Dell'Istorie di Genova..., Genova 1597, pp. 650 ss.; B. Ortiz, Descrizione del viaggio di Adriano VI..., Roma 1790, pp. 52 e n., 55 s.; Batalla de Pavia y Prisión del Rey de Francia Francisco I..., in Colectión de documentos inéditos para la historia de España, IX, Madrid 1846, pp. 406-486; Capítulo de carta de Lope de Soria à Carlos V, ibid., XXIV, ibid. 1854, pp. 366 s.; Cartas del Marqués de Pescara sobre la armada francesa..., ibid., pp. 385 ss.; Cartas del Abad de Nájera à Carlos V, ibid., pp.42 s.; Capítulo de carta del Abad de Nájera à Carlos V, ibid., p.50; Quejas del marqués de Pescara, ibid., pp.52-53; Historia de la Guerra de Lombardia, Batalla de Pavia y Prisión del Rey Francisco de Francia, ibid., XXXVIII, ibid. 1861, pp. 289-530; Captivité du Roi Francois Ier, par M. A. Champollion-Figeac, Paris 1847, passim; Ricordi inediti di Gerolamo Morone, a cura di T. Dandolo, Milano 1855, passim; Lettere ed orazioni latine di Gerolamo Morone, a cura di D. Promis e G. Müller, in Miscell. di storia ital., II,Torino 1863, passim; Documenti che concernono la vita pubblica di Gerolamo Morone, a cura di G. Müller, ibid., III, Torino 1865, passim; A. Grumello, Cronicha, in Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, a cura di G. Müller, I, Milano 1856, passim; M.Verri, Relazione delle cose successe in Pavia dal 1524 al 1528, ibid., II, Milano 1857, pp. 215 s.; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di A. Racheli, in Opere,I ,Trieste 1858, passim; D. Sauli, Autobiografia, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Miscell. di storia ital, XVII,Torino 1878, passim; Relazioni sull'assedio e la battaglia di Pavia inviate al marchese di Mantova, in C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel Castello di Pavia, Milano 1883, II, pp. 542-553; Carteggio di Vittoria Colonna, a cura di E. Ferrero e G. Müller, Milano 1889, passim; Diario inedito dell'assedio e della battaglia di Pavia..., a cura di A. Bonardi, Pavia 1895, passim; I.Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1888, I, pp. 400, 403; II, pp. 52, 53, 83-85, 88, 89, 94-98; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Bari 1929, III, pp. 187, 189-191, 268, 279; IV, passim; V, pp.6, 48, 285; Id., Scritti politici e Ricordi, a cura di R. Palmarocchi, in Opere, VIII, Bari 1933, pp. 151, 189, 203, 245, 305; IX, ibid. 1936, p. 276; P. Giovio, Le vite del Gran Capitano e del Marchese di Pescara, a cura di C. Panigada, Bari 1931; J. E. Martinez Ferrando, Privilegios otorgados..., Barcelona 1943, nn. 202-215, pp. 25 s.; F. Vettori, Storia d'Italia dal 1511 al 1527, in Arch. stor. ital., Appendice, VI, pp. 354, 357 ss.; G. M. Burigozzo, Cronaca di Milano, in Arch. stor. ital., 1842, pp. 434, 448, 449; G. De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, II,Venezia 1864, passim; G. E. Saltini, Girolamo Morone, Firenze 1868, passim; C.Magenta, I Visconti e gli Sforza nel Castello di Pavia, Milano 1883, I, passim; C. Gioda, Girolamo Morone e i suoi tempi, Torino-Roma-Milano-Firenze 1887, passim; A. Reumont, Vittoria Colonna marchesa di Pescara, Torino 1892, passim; L. Beltrami, La battaglia di Pavia illustrata negli arazzi del marchese del Vasto, Milano 1896; T. Pandolfi, G. M. Giberti e la libertà d'Italia, in Arch. d. R. Soc. romana di storia patria, XXXIV (1911), pp.196 ss.; L. v. Pastor, Storia dei Papi, III, Roma, 1612, p. 674; IV, 1, ibid. 1908, pp. 314, 319 s.; IV, 2, ibid. 1912, pp. 41, 135, 172 ss., 190 ss., 209; G. Pasolini, Adriano VI, Roma 1913, p. 39, e n.; P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, II, Milano 1913, p. 162; III, ibid. 1914, pp. 27, 797-299, 304-314, 316 s.; B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1925, pp. 105 s., 343, 346; G. Agnelli, Lodi e il suo territorio, Lodi 1917, pp. 223, 224, 650, 651, 781; E. Rodocanachi, Le Pontificat de Léon X, Paris 1931, pp. 271-273; Id., Les Pontificats d'Adrien VI et de Clément VII, Paris 1933, pp. 131, 133, 137, 172, 239; K. Brandi, Kaiser Karl V, München 1942, I e II, passim; P.Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana,Torino 1952, pp. 493, 506-509, 512-514, 542-544, 548-568, 589, 613 e n.; G. Franceschini, Le dominazioni francesi e le restaurazioni sforzesche, in Storia di Milano, VIII, s. l. [Milano] 1957, passim.