AVARIA (probabilmente dall'arabo ‛awwār "danno"; fr. avarie; sp. avería; ted. Haverei; ingl. average)
Voce generica, che comprende qualsiasi sorta di danno, subito da una nave, tale da renderla o inabile o anche solo menomata nei mezzi che ha a disposizione per affrontare o continuare una navigazione: il Guglielmotti la definisce "qualunque perdita che soffre il naviglio nel mare, massime durante il viaggio e specialmente in caso di gettito". Le avarie possono prodursi sia per imperizia del comandante sia per forza di mare o di vento o sia per causa fortuita; per le navi da guerra si aggiungono a queste le avarie derivanti da combattimento. Sono avarie, per es., la rottura di un pennone, lo squarcio di una vela, la perdita di un'elica, le conseguenze d'incaglio, di collisione, di scoppio d'un deposito di munizioni; si dicono anche avarie i deterioramenti subiti dalla merce, trasportata da un piroscafo, per fermientazione, incendio, allagamento delle stive. Così l'avaria subita dalla nave può determinare in molti casi l'avaria delle merci che trasporta.
In linea di massima le avarie si distinguono in avarie all'alberatura, avarie allo scafo, avarie all'apparato motore, avarie al timone o ad altri macchinarî ausiliarî importanti; sebbene si attribuisca a volte la denominazione di avaria a guasti di qualche macchinario secondario (che può essere facilmente riparato con mezzi di fortuna o anche sostituito nelle sue funzioni con altre sistemazioni di bordo), pure non si dice che una nave è in avaria se non per una delle cause principali sopra indicate.
Gravissime, e di solito irreparabili in navigazione, specialmente se con vento o mare forte, sono le avarie all'alberatura, particolarmente quelle che determinano la rottura di alberi, che, rimanendo ancora legati alla nave dalle sartie e dagli stragli, possono provocare danni maggiori con i loro movimenti incomposti, sia per urto diretto, sia per le difficoltà che oppongono alla manovra delle vele rimaste a posto, sia ancora perché, pendendo a volte fuori bordo, determinano degli sbandamenti pericolosi che possono portare al capovolgimento della nave. Nonostante le visite periodiche dei registri di classificazione per assicurarsi della resistenza degli alberi, si possono dare colpi di vento così forti da disalberare totalmente o parzialmente una nave a vela: se l'equipaggio non ha modo di segnalare la sua situazione, quest'avaria porta spesso alla necessità di abbandonare la nave.
Le avarie allo scafo possono essere prodotte da colpi di mare che a volte spazzano la coperta asportando anche le imbarcazioni; quando il mare viene preso di prua, può accadere che tutta la prora della nave si immerga sotto l'onda che avanza e si determina facilmente un cedimento del ponte. Queste avarie non impediscono di solito di continuare la navigazione.
Più gravi assai sono le avarie di scafo prodotte da investimento o da collisione. L'investimento si verifica ogni volta che, per errore di rotta o per difetto d'indicazione delle carte idrografiche, la nave viene a passare in un punto del mare in cui il fondale è inferiore alla sua immersione. Se il fondo del mare è sabbioso, la nave può fermarsi appoggiata sul letto che si è scavato avanzando e può liberarsi dalla stretta o alleggerendosi con lo scarico delle merci o sfilandosi col far forza con le sue macchine o con l'aiuto di un rimorchio oppure, nei mari con forti dislivelli di marea, attendendo che l'alta marea la porti a galleggiare. In questo caso più che di investimento si può parlar d'incaglio, che si può definire come investimento leggiero.
Ma se il fondo è roccioso (e a volte può anche trattarsi di una sola punta di roccia affiorante a un'altezza pericolosa solo per qualche nave troppo immersa, come nel caso della corazzata France perdutasi il 26 agosto 1922 nello stretto della Teignouse presso Quiberon) non può essere evitato lo squarcio del fasciame esterno in uno o più punti: si determina allora un'entrata d'acqua nell'interno dello scafo, la quale nel caso più favorevole può essere limitata a qualche compartimento del doppio fondo intorno allo squarcio, ma a volte può assumere proporzioni assai più gravi ed estendersi anche ai grandi compartimenti di stiva nel caso che lo squarcio, per la velocità che aveva la nave e la conseguente sua forza viva, sia stato molto lungo e abbia quindi provocato l'entrata di una grande massa d'acqua. Questa col suo peso tende a far immergere maggiormente la nave, la quale grava quindi di più sul fondo per modo che le roccie penetrano più profondamente nel corpo del bastimento e possono andare a incidere il fasciame interno del doppio fondo. La possibilità di salvare una nave che si trovi in tali condizioni non è esclusa a priori, ma dipende essenzialmente da circostanze fortuite, quali il mantenersi del tempo in buone condizioni, la vicinanza di basi navali e di porti da cui poter ricevere presto tutti i mezzi marinareschi per lo sbarco del carico, nonché i materiali e i palombari per tentare la chiusura provvisoria delle falle dall'esterno, o i palombari minatori per far saltare le rocce che tengono imprigionata la nave. Sono a ogni modo lavori lunghi e difficili che richiedono pazienza, oculatezza, capacità di approfittare di tutte le circostanze occasionali, e presentano a volte dolorose sorprese. Ricordiamo i due investimenti della San Giorgio, il primo sulla secca della Gaiola (Golfo di Napoli) il 12 agosto 1911 (liberata dopo 34 giorni), l'altro sulla costa di Sant'Agata (Messina) presso Messina, il 21 novembre 1913 (libetata dopo 19 giorni) e l'investimento dell'esploratore Bari sulla costa settentrionale della Sicilia presso Terrasini, il 24 agosto 1925 (liberato dopo 27 giorni).
Più grave ancora dell'investimento è la collisione, cioè l'urto fra due navi in mare aperto: essa provoca quasi sicuramente la perdita rapida della nave investita, nella quale la prua della nave investitrice apre un lungo squarcio verticale nella murata. Rimane spesso in gravi condizioni anche la nave investitrice, che ne esce con la prua contorta e accartocciata e può salvarsi solo se si mantiene l'integrità di una determinata paratia stagna, detta appunto paratia di collisione, che si dispone appositamente a qualche metro di distanza dalla prora. Le navi da guerra avevano una volta un apposito sperone per provocare per collisione la perdita della nave nemica, ma i mezzi di combattimento odierni, rendendo impossibile o per lo meno rarissimo l'abbordaggio, hanno condotto all'abolizione dello sperone che rimaneva solo a costituire un pericolo grave alle navi amiche in caso di collisione.
Un caso intermedio fra investimento e collisione è quello che si verifica per urto contro un oggetto galleggiante, spesse volte costituito da avanzi di naufragi o da scafi di navi abbandonate; si ricorda come tipico il caso del grande transatlantico della White Star Line, il Titanic, che il 14 aprile 1912, nel viaggio inaugurale dall'Inghilterra a New York, investiva di striscio una montagna di ghiaccio galleggiante la quale lacerava il fasciame esterno della nave per più di un terzo della lunghezza, provocandone il rapido affondamento.
Le avarie allo scafo si riparano nei bacini di carenaggio, in muratura o galleggianti, i quali sono largamente distribuiti lungo le vie marittime e devono essere di profondità tale da permettervi l'entrata di navi in avaria, cioè di solito con compartimenti allagati e quindi con immersione molto superiore alla normale.
Le avarie all'apparato motore sono di carattere meno generale, perché possono presentare diversissimi aspetti e influenzare molte parti diverse delle caldaie o delle macchine: il fatto che molte navi a elica hanno più di una caldaia e assai spesso anche due eliche rende meno pericolosa per la nave l'avaria ad uno degli organi principali, poiché l'altro può ancora continuare a funzionare. A volte le avarie all'apparato motore possono essere causa indiretta di catastrofe, come è avvenuto nel caso del transatlantico Principessa Mafalda (25 ottobre 1927, al largo delle coste del Brasile), in cui la rottura dell'asse porta-elica e il suo conseguente sfilamento provocarono l'allagamento di grandi compartimenti dello scafo, i quali avrebbero dovuto essere protetti da porte stagne che al momento dell'avaria non si sono potute chiudere.
Un'avaria, che costituiva ancor non è molto un pericolo gravissimo e spesso irrimediabile per la nave, è quella dell'incendio che si determina nel carico per cause esterne o per cause direttamente dipendenti dalla merce (fermentazione). Nelle navi moderne l'incendio è segnalato sul ponte di comando al suo nascere per mezzo dell'accendersi di lampadine su un quadro apposito. Venendo così indicata la stiva dove l'incendio si manifesta, questo può esser subito combattuto inondando la stiva, già chiusa ermeticamente, o con vapore o con gas inerti, in modo da impedire l'affluire di nuovo ossigeno nell'ambiente e arrestare quindi il propagarsi del fuoco. Un incendio non domato a tempo può durare molti giorni e determina deformazioni serie nelle strutture dello scafo.
Le avarie di combattimento per le navi da guerra sono delle più svariate e possono essere prodotte direttamente per il mezzo offensivo adoperato dal nemico o indirettamente. Fra le prime si hanno gli squarci prodotti nella carena dallo scoppio di siluri o di torpedini, i danni delle granate che esplodono nell'interno della nave dopo aver perforato la corazza o le strutture più leggiere, gli effetti delle bombe lanciate da aerei, le quali, se cadono sul ponte, possono provocare danni simili a quelli di un proietto da cannone, mentre se esplodono in acqua vicino alla nave possono determinare schiodature nelle lamiere dello scafo e quindi vie d'acqua.
L'avaria indiretta più comune e più temuta è lo scoppio di un deposito di munizioni provocato dall'esplosione di un proietto nemico che lo abbia raggiunto: più di una nave inglese alla battaglia dello Jutland è finita per questa ragione. I depositi delle munizioni sono del resto un punto assai delicato della nave e devono essere attentamente sorvegliati, perché possono determinare danni gravissimi anche all'infuori del combattimento: ricordiamo l'esplosione e la perdita della R.N. Leonardo da Vinci avvenuta il 2 agosto 1916 nel Mar Piccolo di Taranto.
Diritto. - Giuridicamente, sono avarie tutte le spese straordinarie fatte per la nave e per il carico unitamente o separatamente, e tutti i danni che accadono alla nave e al carico, dopo il caricamento e la partenza sino al ritorno e allo scaricamento. I danni sono sempre avarie; le spese sono avarie, quando siano straordinarie, ossia anormali rispetto al viaggio che compie la nave: non sono dunque avarie le spese normali necessarie, ad es., per entrare o uscire dai seni, fiumi o canali, quelle per diritti e tasse di navigazione, di ancoraggio e via dicendo.
Le varie sono di due sorta: particolari o semplici, e comuni o grosse; le prime restano a carico del proprietario della cosa o delle cose che hanno sofferto il danno, o dato occasione alla spesa: le seconde importano una certa ripartizione dell'importo del danno o della spesa tra il carico, la nave e il nolo. La legge e la dottrina hanno ricercato più specialmente i caratteri distintivi dell'avaria comune; cosicché tutti i danni e tutte le spese che non abbiano quei particolari caratteri sono avarie semplici o particolari.
Secondo il nostro codice di commercio, sono avarie comuni le spese straordinarie fatte e i danni sofferti volontariamente per il bene e la salvezza comune della nave e del carico. L'avaria comune è volontaria, perché dipende da una libera decisione del capitano, e non è un ineluttabile portato delle circostanze: ha per scopo il bene e la salvezza comune della nave e del carico, perché la decisione venne presa per scongiurare un pericolo reale, attuale (però noti imminente), comune alla nave e al carico; e trattandosi di una spesa, deve essere straordinaria, anche perché non deve stare per qualsiasi titolo a carico di chi la fa. Le spese e i danni possono essere stati sostenuti dalla sola nave, o dal solo carico, o da entrambi; e vanno in avaria comune quelle spese e quei danni, che sono conseguenze immediate e dirette del primo sacrificio. Questi principî possono dirsi comuni anche alle legislazioni straniere. Si pretende da alcuni che il sacrificio, cioè la spesa o il danno, debba aver arrecato un utile risultato, sicché si siano salvati la nave ed il carico; mentre altri non ritengono che questo sia essenziale, bastando gli altri presupposti del sacrificio (Stati Uniti, Inghilterra, Svezia). Sebbene nel diritto italiano il risultato utile voluto nel caso di getto (Belgio, Francia, Spagna, Partogallo) si ritenga da molti una norma da estendersi a tutti i casí di avaria comune, pure questa applicazione estensiva va fatta con molta ponderazione e cautela (esempio: perdita di nave conseguente ad investimento volontario per comune salvezza). L'esempio più noto dell'avaria comune è il getto di cose in mare per alleggerire la nave; il nostro codice porta numerosi esempî di avaria comune, tra i quali mette conto ricordare le spese di entrata e di uscita e le tasse di navigazione pagate in un porto dove la nave ha dovuto fare rilascio forzato, le quali da talune legislazioni non sono mai ammesse in avaria comune, ma stanno senz'altro a carico dell'armatore, che naturalmente è anche responsabile dei danni, se il rilascio forzato dipese da colpa sua o del capitano (Spagna, Portogallo, Messico). L'elencazione del nostro codice non è che esemplificativa e l'assegnazione di una spesa o di un danno non elencato va sempre fatta in base ai criterî generali. In alcuni codici stranieri (Belgio, Giappone, Portogallo) non vi è nessuna esemplificazione, ma solo vengono stabiliti i criterî generali secondo cui l'avaria si determina e definisce, criterî corrispondenti a quelli esposti.
Secondo il codice d'Italia, Brasile, Grecia, Olanda, Romania, non sono considerati avarie comuni, sebbene volontariamente incontrati per il bene e la salvezza comune, i danni sofferti e le spese fatte quando siano causati da vizio o vetustà della nave, ovvero da colpa o da negligenza del capitano o dell'equipaggio, o da vizio proprio del carico: dei codici stranieri taluni nulla dispongono (Spagna, Portogallo, Messico), altri espressamente ammettono anche tali danni e spese in avaria comune (Germania, Giappone), salve sempre le azioni contro il responsabile del danno o della spesa. Accertato che una spesa o un danno vanno in avaria comune, si fa luogo alla contribuzione, cioè alla ripartizione proporzionale del valore delle cose sacrificate e dell'importo della spesa fatta tra il carico e la metà della nave e del nolo (Francia, Portogallo); secondo altre leggi, la nave e il nolo concorrono per tutto il loro valore (Germania, Argentina), e secondo altre ancora, la nave contribuisce per tutto il suo valore, e il nolo per la metà (Brasile, Danimarca, Giappone, Messico, Spagna, Belgio, Paesi Scandinavi); in Inghilterra e negli Stati Uniti si fa una speciale deduzione dal nolo. S'intende che si tratta sempre del ruolo in rischio.
La ripartizione si fa col regolamento d'avaria; questo deve esser provocato dal capitano ed eseguito da periti (liquidatori d'avaria) nominati dal presidente del tribunale, o, in mancanza, dal pretore, e all'estero dall'ufficiale consolare o da chi ne fa le veci e, in mancanza, dall'autorità locale: i periti formano la massa contribuente, nella quale vanno anche compresi i valori delle cose sacrificate, e la massa creditrice, ripartendo il valore di questa a debito di quella, proporzionalmente ai valori che concorrono a formarla. Gl'interessati possono anche, mediante un accordo amichevole (chirografo d'avaria), dare a periti da loro nominati l'incarico di formare il regolamento d'avaria. Non sono tenuti a contribuzione i bagagli dei passeggeri e dell'equipaggio; ma se sono stati danneggiati, concorrono a formare la massa creditrice: le cose caricate in coperta, se sono state salvate, sono soggette a contribuzione, se invece furono danneggiate o gettate, dànno luogo a uno speciale regolamento d'avaaria, purché la loro collocazione in coperta fosse legittima. Il regolamento d'avaria va sottoposto all'omologazione del tribunale, dell'autorità consolare o dell'autorità locale competente del luogo in cui essa ripartizione venne fatta: l'omologazione però non impedisce l'impugnativa del regolamento d'avaria nelle forme ordinarie.
Il contratto di noleggio e la polizza di carico possono contenere norme convenzionali per il regolamento di avaria; così è frequente il rinvio alle regole di York e Anversa. Queste regole in numero di diciotto (la loro ultima redazione ebbe luogo a Liverpool nell'agosto 1890) presentano la soluzione di un numero determinato di casi speciali, dànno indicazioni per la formazione della massa creditrice e della massa contribuente e per la valutazione delle cose concorrenti a formare l'una e l'altra, ma non sono un sistema completo di norme su tutta la materia; e anzi la regola XVIII, per tutto quanto non è previsto nelle precedenti regole, rimanda alla legge che si sarebbe dovuta applicare integralmente, ove non fosse esistita la clausola che rinvia alle regole di York e Anversa. Recentemente (Conferenza di Stoccolma 1923) la International Law Association ha compilato trenta regole, di cui le prime sette contengono principî generali sulle avarie comuni, le altre sono soluzioni di casi particolari, nelle quali venne tenuto molto conto delle regole di York e Anversa. È questo un importante passo verso l'unificazione del diritto sulle avarie comuni, che sembra richiesta con urgenza; infatti è vario, secondo le diverse nazioni, il criterio sulla scelta della legge da adottarsi per il regolamento d'avaria comune, e anche secondo l'opinione prevalente fra noi, questo deve esser fatto seguendo la legge del luogo ove avviene lo scarico delle merci.
L'obbligazione di contribuire ai sacrifici fatti per la comune salvezza era già stata riconosciuta dal diritto romano per taluni casi speciali, principale tra essi il getto; il diritto romano poi tolse a più antiche leggi questa regola: Lege Rhodia cavetur, ut si levandae navis gratia iactus mercium factus est, omnium contributione sarciatur quod pro omnibus datum est (fr.1, Dig., XIV, 2), e lo stesso risarcimento col contributo di tutti, prescrive in altri casi di sacrificio fatto per salvezza comune in presenza di comune pericolo. Ma, per quanto antica ed equa, questa norma si ritiene generalmente, se non unanimemente, derogabile per volontà dei contraenti il noleggio, ed è quindi ammessa la validità delle clausole "franco da avaria comune", "franco da avaria reciproca", che sono anzi abbastanza frequenti.
È tuttora vivamente discusso, se la regola della contribuzione nell'avaria comune sia propria del diritto marittimo, ovvero trovi fondamento nel contratto di noleggio, o anche derivi da un principio giuridico più generale, e quale esso sia (gestione d'affari? mandato presunto del capitano? arricchimento senza causa dei proprietarî delle cose salvate?). Non è forse inutile ricordare il precetto dettato da talune legislazioni, secondo il quale, qualora si decida, come provvedimento necessario per combattere un incendio scoppiato in un porto o in una rada, di affondare una nave, questa perdita deve considerarsi come avaria comune, e dovranno contribuirvi le navi salvate (Argentina, Chile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Messico, Spagna); donde sembra lecito dedurre che la norma già accolta nel diritto romano (omnium contributione sarciatur, quod pro omnibus datum est) possa avere larghe applicazioni in circostanze analoghe a quelle richieste per l'avaria comune.
Bibl.: F. Berlingeri, Delle avarie, Torino 1888; T. A. Haralambidis, Les avaries communes, Parigi 1920; U. Rudolph, Grosse Haverei, Berlino 1905; P. Lowndes, Law of general Average by E. L. de Hart and G. R. Rudolf, Londra 1912; J. H. Gaudie, General average, New York 1881; A. Torrents y Monner, Averias Marítimas, Barcellona 1902. Il tema è trattato in tutti i trattati e commentarî di diritto marittimo; speciali questioni sono svolte in riviste di diritto commerciale o marittimo.