avaro
. Ha valore di aggettivo e di sostantivo. Come aggettivo s'incontra più spesso nella Commedia, come sostantivo nel Convivio e nelle Rime. L'aggettivo ha il senso oggi vulgato, o può invece valere " cupido ", " avido ". Il sostantivo equivale a " colui che è avaro ", e assume un valore comprensivo di entrambi i significati, " avido " e " tirchio ".
1. Come aggettivo, per " soggetto ad avarizia ", in Rime CVI 106 avaro volto; Pg XXII 32 La tua dimanda tuo creder m'avvera / esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita, e Fiore CLIX 5 L'accontanza a color che sono avari / sì par ch'a Dio e al mondo dispiaccia. Il significato di " cupido ", " avido ", " insaziabile " (per il quale vedi AVARIZIA) è assai più frequente del primo: Pd VIII 77 l'avara povertà di Catalogna; Pg XX 106 l'avaro Mida, che fu causa della sua miseria con una dimanda Borda; XIX 113 anima... del tutto avara (" avida d'ogni cosa ", non " completamente avara "). Chiosa Benvenuto a If XVIII 63 (il nostro avaro seno, cioè " la nostra indole avida di denaro ", Sapegno): " Nota quod auctor capit hic avaritiam large; nam bononiensis [cioè Venedico Caccianemico] naturaliter et communiter non est avarus in retinendo, sed in capiendo tantum "; da questa osservazione si deduce che all'epoca di Benvenuto a. avesse ormai comunemente il significato odierno, e non quello latineggiante caratteristico dell'italiano più antico, e perciò di D., e che è direttamente derivato da avarus (da ricondurre, come avidus, ad aveo). In If XV 68 i Fiorentini sono definiti gente avara, invidiosa e superba; e qui di nuovo si nota il prevalere nel vocabolo del senso di " cupido "; confrontando infatti il passo con If VI 74-75, vediamo che D. rimprovera ai suoi concittadini la sete di denaro, diffusa nel comune mercantile specie nella sua fase di decadenza. Il Grabher rimanda, del resto, da quest'ultimo luogo a If 149, ove la lupa, che di tutte brame / sembiava carca ne la sua magrezza, è un'altra riprova che l'avarizia è " intesa nel senso antico, latino e italiano, di cupidigia... cupidigia a cui in fondo si riduce ogni peccato d'incontinenza come sfrenato appetito ".
2. Sostantivato, a. vale, secondo la citata definizione di Benvenuto, sia " avarus in retinendo " che " in capiendo ". A volte pare prevalere il primo senso, più comune oggi, a volte il secondo. In Cv I IX 6, ad esempio, siamo di fronte all'a. che nasconde un tesoro sottoterra, mentre in III XV 9 l'avaro maladetto... non s'accorge che desidera sé sempre desiderare; così pure in Rime CVI 67 come l'avaro seguitando avere, o 69 Corre l'avaro, ma più fugge pace. Sempre sostantivo è il vocabolo nelle occorrenze di Rime CVI 76 e 126.