AVE MARIA
. Sono le prime parole di una breve preghiera in onore della Vergine, detta anche Salutatio angelica; incomincia infatti con le parole di saluto dell'angelo Gabriele (Luca, I, 28): Ave Maria, gratia plena (gr. χαῖρεκεχαριτωμένη); Dominus tecum; benedicta tu in mulieribus, alle quali si riattaccano naturalmente il saluto di Elisabetta (Luca, I, 42): Benedicta tu in mulieribus (o inter mulieres), et benedictus fructus ventris tui, e l'invocazione, che il catechismo del concilio di Trento dichiara opera della Chiesa stessa: Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostrae.
L'uso di salutare Maria con le parole dell'angelo può essere antico, e lo si trova già nel sec. VI in Oriente e in Occidente. Ma non si tratta ancora d'una vera e propria formula di devozione. Nel sec. XI e nel XII lo troviamo invece diffuso; ed è probabile che nascesse da versetti e responsorî nell'ufficio della Vergine, che in quel torno di tempo cominciava a diffondersi sempre più negli ordini monastici. S. Pier Damiani, morto nel 1072, segnala l'uso delle parole dell'angelo come comune a molti fedeli. Nel sec. XII concilî e vescovi lo raccomandano ai fedeli, come una delle forme di culto che tutti i cristiani devono conoscere e praticare, insieme col Credo e col Pater. L'Ave Maria era sempre considerata come un saluto, e recitata con genuflessioni o inclini, tanto che la recitazione frequente e ripetuta dell'Ave Maria diventa spesso una forma di penitenza. Alla prima parte si aggiunge, nel sec. XIII o durante il XIV, la seconda; l'aggiunta del nome di Iesus dopo fructus ventris tui viene comunemente attribuita, nelle fonti medievali, al papa Urbano IV (1261-1264).
In questo tempo l'Ave Maria è una preghiera, benché le petizioni finali possano variare; e quale preghiera l'intende Dante (Parad., XXXII, 94) al pari del Pater noster, a cui evidentemente eglisl'accosta. Le petizioni riguardano generalmente, benché con parole non ancora fisse, il perdono che Dio concede ai peccatori attraverso la mediazione della Vergine. Prevale a poco a poco la formula usata dai Padri del concilio di Efeso (431), e che si trova già in breviarî monastici dei secoli XIII e XIV. Ma, dal punto di vista liturgico, la preghiera terminava con la prima parte. Nella forma odierna, o in forma poco differente, l'Ave Maria si legge nei breviarî dell'ordine camaldolese e di qualche altro ordine, verso la fine del sec. XV o il principio del XVI; taluno attribuisce l'ultima parte, quale è oggi recitata, a S. Antonino vescovo di Firenze. Quel che pare ad ogni modo più che probabile, è l'origine italiana della petizione finale in questa forma.
Con i camaldolesi, introdussero l'Ave Maria nell'ufficio i trinitarî e i frati minori; infine, con la riforma del breviario fatta dal concilio di Trento sotto S. Pio V (1568), la preghiera ottenne il riconoscimento ufficiale nella sua forma completa; il pontificale, poi, vuole che la si reciti, con il Pater e il Credo, dopo aver ricevuto il sacramento della cresima.
Bibl.: Chaillot, in Anal. iuris pont., XXI (1882), p. 409; H. Thurston, in Le mois bibliogr., 1895, p. 243 segg.; id., in Der Katholik, 1903, p. 333 segg.; Beissel, Gesch. der Verehrung Marias in Deutschl., Friburgo in B., 1909.