AVEMPACE od AVENPACE (Ibn Bāgiah)
Arabo musulmano di Spagna, illustre come filosofo, come matematico, come medico e come cultore teorico e pratico di musica; nato a Saragozza verso la fine del sec. V èg., XI d. C., vissuto dapprima in varie città spagnuole e poi a Fez, ove morì avvelenato nel ramaḍān 533, maggio 1139. Il suo nome completo è Abū Bakr Muḥammad ibn Yaḥyà ibn aṣ- Şā'igh, col soprannome Ibn Bāggiah o Ibn Bāgiah (probabilmente il neolatino Pace), da cui il latino medievale Avempace (su ciò v. aven); talvolta egli è designato semplicemente con Ibn aşf-Şā'igh, reso con Filius aurifici in scritti latini del Medioevo, i qoali talvolta anche designano Avempace col nome di Abubacer, cioè Abū Bakr.
Fu il primo filosofo notevole della Spagna musulmana, seguace dell'aristotelismo, ma anche con influenze neoplatoniche riannodantisi ad al-Fārābī (v.). Scrisse commenti a libri aristotelici, si occupò di logica, ma soprattutto, nel campo filosofico, ebbe dopo morte grande rinomanza anche in ambienti giudaici e cristiani per due suoi scritti di mistica filosofica: Risālah fī tadbīr al-mutawaḥḥid "sul regime del solitario" e Risālat al-wadā‛ "l'epistola del commiato" (Epistola expeditionis). Del primo ci rimangono soltanto gli amplissimi estratti fattine in ebraico da Mosè di Narbona nel sec. XIV; da essi risulta che scopo precipuo dell'autore era di mostrare come l'uomo isolato dalla società possa, mediante lo sviluppo graduale delle sue facoltà, arrivare ad unificarsi con l'intelletto attivo, ultimo grado della felicità. Questo libro ebbe poco dopo notevole influenza sul romanzo filosofico di Ibn Ṭ'ufail. L'altro scritto mira a dimostrare che soltanto la speculazione filosofica (e non l'esaltazione mistica dei Şūfī) può condurre alla conoscenza della natura ed anche, con l'aiuto che viene dall'alto, a conoscere noi stessi e a metterci in immediata relazione con l'intelletto attivo. Avempace professa la dottrina dell'unità degl'intelletti umani, sviluppata poi dal suo più giovane contemporaneo Averroè (v.), il quale nei suoi scritti ricorda parecchie volte Avempace, non senza muovergli qualche critica.
Nel campo astronomico è notevole che, secondo quanto riferisce Mosè Maimonide, Avempace, in nome della fisica aristotelica, dichiarava inverosimili le rappresentazioni geometriche dei moti planetarî date da Tolomeo, precorrendo così le critiche di Ibn Ţufail, di Averroè e d'Alpetragio (v.).
Bibl.: S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, Parigi 1858 (rist. fotomeccanica 1927), pp. 383-410 e 520; M. Asín Palacios, El filósofo zaragozano Avempace (otto articoli nella Revista de Aragón, Saragozza 1900-1901); D. Herzog, Die Abhandlung des Abû Bekr Ibn al-‛Sâ'ig "Vom Verhalten des Einsiedlers", Berlino 1896 (Beiträge zur Philosophie des Mittelalters, fasc. I).