AVENTINO (V, p. 620)
La secessione parlamentare aventiniana 1924-1925. - Con evidente allusione all'antica storia romana, fu chiamata "Aventino" l'opposizione parlamentare italiana, riunitasi nella sede del parlamento a Montecitorio, il 27 giugno 1924, diciassette giorni dopo l'assassinio di Matteotti, col proposito di non partecipare ai lavori della Camera finché un nuovo governo non avesse provveduto ad eliminare ogni milizia di parte, a reprimere "l'illegalismo" e a reintegrare l'autorità della legge, "cancellando ogni distinzione fratricida tra la nazione e la cosidetta antinazione".
La secessione, accompagnata da una violentissima campagna di stampa, che giunse a fare il nome di Mussolini come di uno dei responsabili diretti dell'omicidio, se non addirittura del vero e proprio mandante, minò fortemente le basi del notevole consenso che fino allora aveva accompagnato l'ascesa e l'affermazione del fascismo. Scandalo e indignazione, tuttavia, non furono forze sufficienti a liquidare un regime legato dai vincoli della corresponsabilità e sostenuto da squadre armate, guidate da un capo che, superato il primo smarrimento, assunse l'atteggiamento di "normalizzatore", pronto a cambiarlo, non appena superato il grosso della bufera, in quello di condottiero della rivoluzione e dei suoi "inesorabili sviluppi". Occorreva esprimere la rivolta morale nel piano politico, mediante una azione risoluta, freddamente calcolata e organizzata sotto la direzione di capi responsabili autorevoli. Ma lo spettro della guerra civile gravava su tutti gli oppositori. Né la monarchia, che poteva rappresentare ancora il baluardo delle libertà costituzionali, osò prendere l'iniziativa di licenziare Mussolini. Alla mancata iniziativa di essa, da cui gli oppositori di ogni tinta attesero fino all'ultimo il gesto risolutivo, corrisposero il cauto legalitarismo dei tre ex presidenti, G. Giolitti, A. Salandra, V. E. Orlando, l'incertezza dei deputati dell'Aventino, il disorientamento dell'opinione pubblica politicamente atona e dispersa. Al Senato un attacco condotto da un superstite manipolo ardimentoso di liberali fu anch'esso imbrigliato dalla più spregiudicata dialettica di Mussolini, che invocò il nome del re quando di lui oramai era sicuro (tornata del 4 dicembre 1924). Il 3 gennaio 1925 egli poteva sfidare superbamente gli oppositori: "Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto". L'Aventino, isolato e impotente, non rispose al gesto che cinque giorni dopo, l'8 gennaio, con un vago appello alla forza morale. La stampa era già stata imbrigliata con i decreti del 10 luglio e del 30 dicembre 1924. Seguì una serie di disposizioni per cui ogni forma d'opposizione venne praticamente soppressa. Era la dittatura. I deputati dell'Aventino continuarono a combattere senza speranza finché, nel novembre 1926, su una mozione presentata dai deputati A. Turati, R. Farinacci e altri, furono dichiarati decaduti dal mandato.