AVEZUTI (Avegiuti, il cognome Errani non è documentato), Giulio, detto il Ponteghino
Nacque a Faenza, in parrocchia di S. Vitale, fra il 1507 e il 1508 dal sarto Giovan Battista detto il Ponteghino (dalla voce dialettale, oggi fuori uso, pundghin =topolino, derivata dal veneto ponghin). Dal 1540 circa, e probabilmente dopo il matrimonio con Giacoma di Antonio Fagliaffari, la sua abitazione è trasferita in parrocchia di S. Ilario. Si può prestar fede all'ipotesi del Grigioni che egli sposasse subito dopo esser tornato in patria da Roma, ove sarebbe rimasto dal novembre 1534 al febbraio 1538, ma era già stato assente dalla sua città dall'ottobre 1530 al marzo 1534 (a Roma o altrove?), certamente per esercitarsi nell'arte pittorica. Nell'intervallo fra le due assenze eseguì la sua prima opera documentata, quella che gli commise (12 marzo 1534) don Antonio Savorana arciprete di una chiesa nella diocesi di Bertinoro. Doveva essere una ricca ancona dorata, fatta eseguire a Faenza su suo disegno, nella cui tavola centrale figuravano otto immagini di santi in mezzo alle quali spiccava quella di S. Martino con diadema, mitria e fibbie dorate. La seconda opera documentata è del 1541 e si riferisce alla decorazione della cappella fatta costruire dal mercante Sebastiano Gandolfi in S. Andrea (oggi S. Domenico) di Faenza, comprendente una tavola con la Madonna col Bambino fra s. Giovanni Evangelista, s. Maria Maddalena, s. Antonino e il committente, oltre ad un affresco sulla parete con S. Antonino e s. Maria Maddalena ai piedi del Crocifisso. Del 1544 è la commissione di un gonfalone per la Società della Santissima Annunziata, che doveva portare dipinta da una parte l'immagine di S. Antonino e dall'altra l'Annunziata. Del 1550 è la dichiarazione di un residuo di debito da parte di Nicola Soragni di Castrocaro per compenso di una tavola o ancona con la Madonna e varie immagini (non specificate), eseguita dall'A. per i priori della Confraternita o Società della Croce di Castrocaro. Infine, del maggio 1554 è la nomina da parte del pittore di due suoi procuratori perché lo rappresentino in una causa contro M. Francesco Bandirario e i suoi eredi per il pagamento di un altro stendardo. L'ultimo ricordo del pittore in vita è del 5 nov. 1556; nel marzo 1557 egli era già morto.
L'A. sposò in seconde nozze una figlia di Giulio Corona e di Lucrezia Mezzarisa, fu cioè parente dei più noti maiolicari del tempo; non si può escludere che anche lui, quindi, abbia lavorato come pittore d'istoriato su maiolica.
Delle opere citate nei documenti non abbiamo conoscenza; si ha però ricordo di una tavola con La Pietà, le Marie, s. Giov. Battista, s. Antonio e il ritratto del committente, che da S. Domenico a Faenza passò poi nella Galleria Hercolani di Bologna e verso la metà dell'Ottocento emigrò non si sa dove; un altro dipinto esisteva in casa Marchetti a Faenza e passò poi a Massalombarda presso gli eredi di quella famiglia. Recentemente sono state rintracciate due pale d'altare dell'A. in due sperdute località appenniniche della diocesi di Borgo S. Sepolcro: una Deposizione dalla Croce, con s. Pietro, s. Giovanni Evangelista, la Madonna e la Maddalena, nella parrocchiale di S. Pietro in Corniolo, e un'Assunta con gli Apostoli, già appartenuta alla vecchia abbazia di Isola nel comune di S. Sofia (ora nella parrocchiale di S. Maria in Isola). Mentre quest'ultima è contrassegnata dalle spighe di farro e di miglio col topolino, così come lo era la Pietà della Galleria Hercolani già citata, la prima è attribuibile alla stessa mano per evidenti analogie stilistiche. Lo stile compositivo di queste due tavole rivela un A. maturo, affine a Giacomo Bertucci, ma con fare più estroso anche se formalmente meno studiato. In certi particolari formali e nel cromatismo, assai acceso, sfociante in gialli e azzurri intensi negli sfondi, si intravede il fare dei maiolicari a mezzo fra il grande istoriato e il primo compendiario. È forse per questo manierismo estroso e acceso che i vecchi eruditi attribuivano forme tintorettesche alla Pietà di casa Hercolani per la quale si avanza l'ipotesi che debba identificarsi con la tavola documentata per la cappella Gandolfi nel 1541.
Fratello maggiore di Giulio fu Antonio, che troviamo, dal 1543al 1557, in stretti rapporti di affari con i maiolicari Francesco Mezzarisa e Felice Bergantini. Forse figlio di Antonio fu Clemente Avezuti, che, maestro nell'arte del fuoco, fu uno dei pionieri che diffusero per tutta Europa il genere delle "faenze". Infatti nel 1582, col collega maestro Michele Tonducci, si recò a Cracovia per impiantarvi una fabbrica di maioliche.
Bibl.: Per Giulio: G. M. Valgimigli, Dei pittori e degli artisti faentini de' secoli XV e XVI, Faenza 1871, pp. 55-61; A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza, II, Faenza 1886, p. 38; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, pp. 400 s.; C. Grigioni, La pittura faentina dalle origini alla metà del Cinquecento, Faenza 1936, pp. 656-83; A. Corbara, La prima opera a noi nota di Giulio Ponteghini, in La Voce, Fossato di Vico, 7 sett. 1958; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, p. 247 (sub voce Ponteghini, Giulio); per Antonio: G. Liverani, La rivoluzione dei bianchi nella maiolica di Faenza, in Faenza, XLIV (1958), p. 29; per Clemente: G. B. (Gaetano Ballardini), Antologia ceramica, ibid., VII(1919), p. 64 (con bibl.); B. e M. Gy. Krisztinkovich, L'arte ungherese della maiolica detta Habana, ibid., XLIV (1958), p. 62; B. Krisztinkovich, Ceramisti faentini al servizio di Stefano Bathory principe di Transilvania e re di Polonia, ibid., XLVII (1961), p. 22.