AVIGNONE (A. T., 35-36)
Città della Francia, capoluogo del dipartimento di Valchiusa, sede d'un arcivescovado.
La città è situata in eccellente posizione geografica, là dove il Rodano entra definitivamente in pianura e dove s'aprono, a E. la valle della Durance, a O. la pianura del Gard, sbocco del passaggio per le Cevenne e principio della pianura della Bassa Linguadoca. Avignone è dunque situata dove s'incrociano importanti vie che conducono dal Mediterraneo alla valle media del Rodano e dalla Linguadoca verso la Durance, le Alpi e anche l'Italia settentrionale. La città è sorta in un punto facile a difendersi e opportuno per la traversata del fiume: il luogo consta infatti di due groppe rocciose, tra le quali scorre il fiume; di collinette calcari isolate nella pianura, l'una sulla riva destra, la collina di Villeneuve-lés-Avignon, l'altra sulla riva sinistrai la Roche-des-Doms; e di un'isola in mezzo al Rodano, detta della Barthelasse. L'isola facilita il passaggio (insieme con Lione, è questa una delle prime località dove sia stato costruito un ponte sul Rodano), mentre la presenza delle alture rocciose ha permesso di difendere il luogo e proteggere il passaggio. Avignone dapprima s'è arrampicata sulla Roche-des-Doms, poi s'è distesa nella pianura, formando un'agglomerazione ellittica entro la cinta dei suoi vecchi bastioni.
Ha 48.177 ab. È un gran centro industriale ed agricolo, ed esporta i prodotti della pianura di Valchiusa, che è ricca d'ortaggi, di frutta e di uve da tavola. Nel 1925 ha esportato oltre 16.000 tonnellate di frutta e di legumi; intanto la coltivazione dell'uva da tavola fa progressi di giorno in giorno. Antica è l'attività industriale d'Avignone, che, come Lione, fu tra le prime città che si diedero a fabbricar seterie. Nel sec. XVIII l'industria della seta ebbe un grande incremento per il diffondersi dell'allevamento del baco da seta nelle campagne circostanti; e nei primi anni del secolo successivo vi si aggiunse anche l'industria della robbia. Allorché l'una e l'altra furono rovinate dalle crisi sopravvenute a metà del sec. XIX, Avignone s'ingegnò a sopperirvi con l'industria della confezione, con le fabbriche di seta artificiale e di coperte, e con i prodotti chimici e le macchine agricole.
Monumenti artistici. - L'antichità non ha lasciato in Avignone che tracce insignificanti; e la sua vera storia comincia solo col sec. XII, quando sorge la cattedrale di Notre-Dame-des-Doms e si costruisce (1177-85) il celebre ponte di Saint-Bénezet (tav. CXXXIII), che doveva fare la fortuna di Avignone; esso contava 19 archi e formava un gomito a monte del fiume per dividerne la corrente; più volte rotto e ricostruito, fu travolto dalla piena del 1680. Ora ne rimangono soltanto quattro archi congiunti con la riva dalla parte della città: motivo celebre di vedute avignonesi. Sul secondo pilone si erge una cappella, rimaneggiata nel sec. XIII, con una bella abside del 1513. La cattedrale (1140-60) ripete in massima lo schema delle chiese romaniche della Francia meridionale, e consta di una sola navata a cinque campate, spaziosa e oscura, coperta di vòlte a sesto acuto, preceduta da un portico sormontato da un poderoso campanile quadrato a due piani, mentre una bella cupola dà luce al coro, con effetto suggestivo in quell'oscurità. Nel sec. XVII l'architetto d'Elbène e lo scultore Péru l'adornarono di ricche tribune con balaustre marmoree. La parte più notevole di questo monumento è il portico (tav. CXXXIV), costruito dinnanzi al nartece per consolidare il campanile, e tanto imitato, più che ispirato, dall'arco di trionfo di Cavaillon, che per lungo tempo fu creduto un resto di monumento romano: prova anche questa, tra mille, della rinascita dell'arte e della scultura antica nella Provenza durante il sec. XII. Sotto il portico si distinguono ancora alcune tracce di affreschi dovuti alla mano di Simone Martini (v.), morto in Avignone nel 1345; nel triangolo del frontone l'Eterno Padre con due angeli, e nella lunetta del timpano il Cardinale Leccano inginocchiato ai piedi della Vergine. Sulla parete sinistra del nartece si ammira un Battesimo di Gesù, ove il donatore Carlo Spiefami s'è fatto dipingere, circondato da tutta la famiglia (1425). Dell'antica suppellettile sacra, manomessa o saccheggiata durante la rivoluzione, resta ancora una magnifica cattedra marmorea romanica. La tomba di Giovanni XXII, atrocemente mutilata e mancante della statua giacente, è costituita da una ricca edicola gotica lavorata minuziosamente, come un delicato traforo tutto guglie e pinnacoli; e per quanto sia opera di Jean de Paris, è di schietto stile inglese più di qualunque altro monumento francese. Tra le opere d'arte del sec. XVII bisogna citare la squisita cappella costruita nel 1671 per l'arcivescovo Libelli, capolavoro d'eleganza e di gusto, ove si ammira un San Pietro attribuito al Puget, e sull'altare una leggiadra Vergine del Pradier. L'abbazia di Saint-Ruf, fuori delle mura di Avignone sulla strada di Tarascona, conserva gli avanzi d'un'abside grandiosa, contemporanea della cattedrale.
Ma la gloria di Avignone data dal sec. XIV; da quando cioè vi vennero ad abitare i papi, che fecero della corte di Avignone uno dei primi centri del Rinascimento.
Clemente V (1305-14) si contentò dell'ospitalità del convento dei Domenicani; e lavori fece eseguire piuttosto a Bordeaux, a St. Bertrand-de-Comminges e a Uzeste sua patria. Giovanni XXII (1316-1334) era vescovo di Avignone quando venne eletto papa, e continuò ad abitare nel palazzo vescovile; ma alla sua morte lasciò un tesoro immenso, che servì ai suoi successori per costruire il loro superbo castello.
Con Benedetto XII (1334-42) ebbe principio la costruzione del Palazzo, che fu continuata attivamente da Clemente VI (1342-52) e terminata da Innocenzo VI (1352-62); cosicché l'immenso edificio fu innalzato in 25 anni e fu opera di tre pontefici. Benedetto XII era abate di Fontfroide quando vide erigere il palazzo vescovile di Narbona, non molto lontano dalla sua abbazia, e dovette evidentemente indicarlo quale modello al suo architetto Pierre Poisson per la costruzione del palazzo che volle elevare per sé presso la Rochedes-Doms: vera e propria fortezza gigantesca, che racchiude due cortili interni, dal cui esterno è eliminata ogni velleità di lusso e di pompa, tutto essendo rivolto alla sicurezza e alla difesa, affidate a muraglie altissime che ne fanno un luogo quasi inespugnabile. Il papa cisterciense, figlio del fornaio di Saverdun, uomo di costumi puri ed austeri, non desiderava splendori; nulla quindi di più semplice e di più spoglio che i suoi appartamenti, conservati nell'ala settentrionale del castello e nella Torre della campana. Ma bisognava mettere la S. Sede al sicuro, non, come si è detto, dagli attentati del re di Francia, con cui il papa manteneva rapporti di buon vicinato, ma dal pericolo delle grandi compagnie di ventura che in quei tristi tempi della guerra dei Cento anni andavano taglieggiando e saccheggiando tutto il paese.
L'aspetto della massa formidabile di mura e di torri non lascia dunque indovinare come sia disposto l'interno; l'ingresso, che si trova ad occidente, sotto un corridoio di ronda sostenuto da contrafforti e da enormi arcate, era una volta difeso da un piccolo castello fiancheggiato da torrette di cui non rimangono che gli sporti. Questo bastione fu abbattuto, e sostituito nel secolo scorso da una volgare scalinata. Per più ore potrebbe durare il giro del colosso erto come una rupe, interrotto appena, qua e là, da aperture irregolari, senza scoprire il segreto che nasconde la minacciosa cortina, né trovare la parte debole di quell'enorme involucro impenetrabile. Ma quando si sale sulla piattaforma d'una delle torri più elevate, per esempio della torre di Trouillas o di quella della Campana, il suo significato diviene chiaro come a guardarne la pianta: al primo sguardo si comprende la configurazione semplicissima del palazzo racchiuso nella fortezza. "Su due cortili rettangolari si aprono tutti gli edifizî, di rappresentanza e d'abitazione; le sale per le assemblee, i tribunali, le cappelle, gli appartamenti pontifici e le dimore per i funzionarî" (A. Hallays, Avignon et le comtat Venaissin). Ci troviamo dinnanzi a un duplice monastero, che allo stesso tempo contiene quanto occorre a una corte, le parti essenziali di un convento, gli uffici d'un governo e d'un ministero. Sfortunatamente il castello, dopo essere stato teatro di saccheggi e di scene selvagge sotto la rivoluzione (ottobre 1791), durante l'impero fu destinato ad usi che ne danneggiarono la parte monumentale; gli appartamenti di Benedetto XII furono ridotti a prigioni fino al 1871, e un altro lato di essi serve tuttora di deposito agli archivî del dipartimento di Vaucluse; il resto era occupato dal genio militare, che ha lasciato il palazzo solo nel 1906, dopo avergli prodotto guasti deplorevoli; ma d'allora, in venti anni, è stato riparato tutto ciò ch'era possibile riparare.
Benedetto XII fece costruire tutto il cortile settentrionale col chiostro a forma di trapezio, per seguire l'irregolarità del terreno: il lungo braccio che prolunga questo quadrilatero a sud-est è come un fortilizio avanzato che domina la spianata del castello e ne sorveglia la parte posteriore contro una sorpresa o un attacco da tergo, per mezzo della torre degli Angeli. La torre di S. Giovanni, che occupa lo spazio intermedio fra quella degli Angeli e quella di Trouillas, fu anche eretta per ordine di Benedetto XII.
Ma la parte più splendida del palazzo si deve a Clemente VI, che in Jean de Loubière trovò un architetto capace di servire il suo gusto fastoso e il concetto ch'egli aveva del potere temporale della Chiesa. Questo artista innalzò il magnifico fabbricato a mezzogiorno, che comprende l'Udienza e la nuova cappella papale, riunendolo alla fabbrica primitiva per mezzo della facciata prospiciente sul lato occidentale del cortile. L'Udienza (tribunale supremo della cristianità) è una sala lunga 52 metri, larga 16 e alta 11, tutta a vòlta, divisa in due navi da una fila di cinque pilastri e con 11 finestre (tav. CXXXVI). L' eleganza delle proporzioni, il profilo dei fasci di colonnine, lo stile dei capitelli il ritmo dei pilastri, dei quali gli ultimi due sono più spaziati degli altri, dànno a questa sala una grazia impareggiabile e ne fanno un capolavoro dell'arte ogivale. La cappella al disopra dell'Udienza ha le stesse dimensioni, ma con una sola navata, maestosa, non interrotta da nessun sostegno. La sua vòlta graziosa si libra pacatamente sui costoloni, salienti dalle pareti su fasci di colonnine. È impossibile trovare altrove un'ampiezza così maestosa, ricevere un'impressione così piena di nobiltà e di vastità. Ma l'artista come tutti gli architetti del Mezzogiorno francese, aveva una grande ripugnanza per i contrafforti, e credette di poterne fare a meno; e più tardi si dovette riparare alla sua temerità, sostenendo alla meglio con un arco enorme e sgraziato il sublime ma debole edificio.
Non bastava però ai pontefici di aver fatto del loro palazzo "la più bella e la più forte casa del mondo e la più facile a conservare" (Froissart), bisognava pure metter la città al riparo d'un colpo di mano. I papi vi pensarono non appena ebbero assicurato la loro posizione acquistando da Giovanna di Napoli il possesso della città (1348). L'anno appresso Clemente VI faceva innalzare i baluardi, cominciando con quello che va da S. Rocco a S. Lazzaro; sotto Urbano V il lavoro fu spinto fino alla roccia, e il muro che va lungo il Rodano, tra S. Rocco e la porta de l'Oulle, fu terminato sotto Clemente VII distinguendosi per le sue torri rotonde. Questa cinta, anche degradata, anche privata del suo fossato, anche violata in alcune parti dalle brecce che vi sono state aperte (la porta dell'Imbert fu demolita nel 1894), costituisce sempre un impareggiabile ornamento per Avignone; infatti, con le mura di Aigues-Mortes, è l'esempio più completo ch'esista in Francia d'una città fortificata medievale.
Nell'interno della città restano ancora pochi avanzi dei palazzi del sec. XIV e delle case che formavano l'appannaggio dei principi della chiesa. Il solo monumento esistente è il vescovado, molto restaurato, costruito nel 1314 da Armand de Via, nipote di Giovanni XXII, in fondo alla piazza del Palazzo, e sulla cui porta si vede ancora lo stemma dei Della Rovere. Alcune facciate più o meno modificate appariscono qua e là per le vie (Place du Change, Rue des Fourbisseurs). Il convento dei Domenicani che contava 80 tombe di cardinali e dove S. Tommaso d'Aquino fu canonizzato, è stato distrutto; la sua chiesa risaliva al 1330. In quella dei Francescani (Cordeliers), fondata nel 1390, parimenti distrutta, riposavano le ceneri di Laura; sui gradini della chiesa di S. Chiara quella nobile amica del Petrarca apparve al poeta per la prima volta nell'aprile 1327 e di lì ebbe origine quell'immortale passione. La tomba, in cui nel sec. XVI Maurice Scève credette riconoscere quella della gentildonna amata dal Petrarca, divenne poi meta di pellegrinaggi; lo stesso Francesco I vi si recò e vi compose alcuni bei versi. Era il monumento più celebre d'Avignone, ma è scomparso del tutto nel turbine della rivoluzione. Nel 1813 l'inglese sir Charles Kelsall fece erigere nel giardino del convento francescano un cippo in memoria di Laura; ma quel piccolo monumento è stato poi collocato nel museo.
Dei Grands Augustins non resta altro che una bella torre prismatica, e del convento di S. Caterina (fondato nel sec. XIII da Zoen Tencarari, primo vescovo italiano d'Avignone) una graziosa abside. Nella chiesa di S. Agricola, edificata nel 1358 a spese del cardinal Duprez, le tre eleganti navate racchiudono qualche opera d'arte; e la cappella della Vergine, capolavoro del Péru, ha alcuni Angeli del Bernus e una bella Madonna del Coysevox. La chiesa di S. Pietro, a una sola navata, assai semplice, senza colonne, è del sec. XIV, e ha una squisita facciata del 1512, disegnata da Philippe Garcin. Saint-Didier, anch'essa a unica navata, poco ornata, fu costruita nel 1358 da Bertrand de Deaulx, arcivescovo d'Embrun. Nella sua prima cappella a destra è il celebre bassorilievo rappresentante Gesù che porta la croce, eseguito nel 1481 per ordine del re Renato dallo scultore dalmata Francesco Laurana: opera poderosa e tormentata, una delle prime del Rinascimento italiano apparse in Francia. Sussistono ancora alcuni avanzi del palazzo del re Renato, soprattutto una porta squisita, tutta adorna di fogliami di stile fiammeggiante, oggi però collocata all'ingresso della casa Baroncelli-Javon. Il palazzo municipale, ricostruito nel secolo XIX sul posto del palazzo Colonna, ha conservato una graziosa torretta del 1447.
All'epoca tempestosa del grande scisma d'Occidente appartengono tre nuove chiese, che differiscono molto dalle chiese più severe del periodo precedente. Quella di S. Marziale (1383), appartenente prima ai Benedettini, di stile assai fiorito, ha un'abside che serve oggi da chiesa protestante. Ne proviene la tomba del cardinale Lagrange (1402) col celebre Transito, opera famosa e patetica conservata nel museo Calvet. La chiesa dei Celestini, a cinque navate, era la più ricca d'Avignone e conteneva le tombe di Saint-Bénezet, del cardinale Pietro di Lussemburgo e dell'antipapa Clemente VII; ma di esse non rimangono che le teste del pontefice e del giovine prelato conservate nel museo, mentre altri avanzi di quei tesori andarono dispersi per chiese diverse, e particolarmente a Saint-Didier. La chiesa, capolavoro di Perrin Morel, sussiste ancora e può dirsi, come la cappella del palazzo, il più bel monumento gotico d'Avignone; ma serve ora da magazzino militare. La chiesa dei Carmelitani, parrocchia col titolo di S. Sinforiano, ha la volta rifatta nel 1835; ma uno degli edifici del convento, ora foresteria, conserva un ricco portale di stile fiammeggiante.
Al periodo dei legati e vicelegati papali (secoli XV-XVIII) appartengono parecchi begli edifici religiosi: la chiesa della Visitazione (1612); la chiesa dei Gesuiti (1615-55), oggi cappella del Liceo, con la bella facciata a nicchie e mensoloni, simile a quella di S. Andrea della Valle a Roma; e l'imponente Seminario, del 1690. La più armoniosa di queste fabbriche è la chiesa dell'Oratorio (1717-41) del P. Léonard, graziosissima costruzione elittica, ornata interiormente di cappelle, rivestita di pilastri di marmi policromi, sul genere di S. Andrea al Quirinale del Bernini. Tra le cappelle appartenenti a confraternite, tanto numerose in Avignone da costituire un elemento caratteristico, la più bella è quella dei Penitenti della Misericordia, un vero gioiello.
Nel sec. XVIII furono edificati pochi monumenti pubblici (il teatro fu costruito con molto gusto nel 1732 a spese di alcuni ricchi cittadini); ma in compenso le grandi famiglie rivaleggiarono di eleganza nel costruire le loro abitazioni private. Tutti i nobili della contea avevano in città belle case; e queste danno ai quartieri aristocratici d'Avignone un'impronta di dignità per nulla inferiore a quella delle vie patrizie di Aix o di Montpellier. Citiamo solamente la casa degli Issarts (Rue du Four), la squisita casa della Rue Galante, costruita dal pittore Palasse verso il 1760, la casa Crillon, del principio del sec. XVII, con una facciata tutta fiorentina. I palazzi più belli si trovano nella via Joseph Vernet (antica via Calade o "lastricata"); e sono quelli d'Aulan, ricostruito nel 1784, Boulbon, de l'Épine, quello magnifico di Villeneuve (oggi museo), e quello des Taillades, adorno di fini trofei.
Dall'altra parte del Rodano, sulla riva detta "du Royaume", si elevano le rovine di Villeneuve (v.), piazzaforte dei re di Francia al confine tra la Provenza e il dominio papale. Questa città, gemella di Avignone, è ancora molto ricca di opere notevoli; da essa si gode una splendida veduta su Avignone.
Dopo i furori della rivoluzione, le devastazioni continuarono più o meno nascostamente durante il sec. XIX: i bastioni furono salvi grazie a Prosper Mérimée, e il castello dei papi è stato liberato dai militari solo da una ventina d'anni. Col pomposo Palazzo municipale, il nuovo teatro, costruito dal 1845 al 1848 dal Feuchères, contribuisce modestamente alla gloria della città.
Opera più utile era stata compiuta senza rumore, al principio del secolo, da un privato: un medico di Avignone, Esprit Calvet (morto nel 1810), erudito, pittore, collezionista, che si dedicò interamente a raccogliere gli avanzi dei capolavori rovinati durante il turbine rivoluzionario. Quegli avanzi, trasportati nel 1835 nel palazzo Villeneuve, formano, con le pitture conservate nel Palazzo dei papi, nella cattedrale e a Villeneuve, la più insigne raccolta di documenti che sia giunta fino a noi sullo stato della pittura in Francia nel sec. XIV.
Nel nartece della cattedrale si scorgono, sotto l'affresco mezzo scrostato della famiglia Spiefami, i contorni d'una Vergine del sec. XIII, assai rozza; abbiamo già ricordato che sotto il portico resta una debole traccia di due affreschi di Simone Martini (chiamato da Clemente V ad Avignone nel 1338 e mortovi nel 1345); ma non sono state trovate altre tracce delle sue opere. Gli affreschi dell'Udienza erano i più celebri tra tutti quelli esistenti nel palazzo. Nel 1829 esisteva ancora sul fondo della sala un vasto Giudizio universale e una Crocefissione; ma oggi non rimane altro che la serie dei profeti su una parte della vòlta dell'ultima campata: magnifiche figure monumentali del più bello stile della scuola senese. Questi affreschi furono attribuiti a Simone, quantunque egli fosse morto due anni prima della loro data (1347); ne è invece autore Matteo Giovannetti da Viterbo.
Benché i papi d'Avignone siano stati tutti francesi, e francesi i loro architetti, la curia, i cardinali, i ciambellani, i dignitarî e la folla dei loro servitori erano italiani. Perciò non meraviglia che Avignone presenti un aspetto mezzo italiano. Tutti i pittori al servizio dei papi furono italiani. Matteo da Viterbo, già ricordato, è anche l'autore delle pitture della torre di S. Giovanni e di quelle del Guardaroba. Nella torre vi sono due cappelle sovrapposte: nella superiore Clemente V fece dipingere sulle pareti e sulla vòlta la vita di S. Marziale in graziose storie nella maniera di Ambrogio Lorenzetti (tav. CXXXV). Il pittore distribuì le composizioni nei iriangoli della vòlta senza alcun riguardo all'architettura, così da far pensare alle figure di un mazzo di carte tenute a mo' di ventaglio. La cappella inferiore è decorata con affreschi della vita di S. Giovanni relativamente ben conservati; per quanto il colore si sia oscurato, sono sempre da ammirare per la bellezza della composizione e per la nobilta dello stile. Le pitture del Guardaroba, scoperte nel 1900, meritano un più attento esame. Questa stanza, che non è a vòlta, era il gabinetto da lavoro di Clemente VI, che vi teneva le sue "lettere segrete". Un fregio dipinto corre tutto attorno e rappresenta una foresta piena di animali; vi si vedono una scena di pesca, una caccia col furetto, un'altra col falcone, un bagno, una raccolta di frutta; è insomma una specie di "verdura", con soggetti che più tardi furono popolari negli arazzi (Carlo V ne fece dipingere di simili nel suo Hôtel-Saint-Pol). Ciò fece credere da principio che quelle pitture fossero opera di artisti francesi; mentre sono, come le altre descritte, di Matteo da Viterbo, o, in genere, di scuola senese. Il paesaggio primitivo, il vivace sentimento della natura piena del brulichio della foresta e della vita campestre non erano cosa nuova per l'Italia, dove già Ambrogio Lorenzetti aveva affrescato il Buon Governo; e Clemente VI, nell'ordinare questa pittura a Matteo, faceva penetrare un alito ancora ignoto nell'arte di Francia. L'affresco del Torneo, che si conserva nel castello di Pernes a pochi chilometri da Avignone, sembra già di mano francese.
Avignone, anche dopo la partenza dei papi, restò un centro di attività mista tra la Francia e l'Italia. Alcune pitture celebri del principio del sec. XV, provenienti da Avignone, hanno fatto parlare a torto d'una scuola avignonese. Tra gli 80 pittori il cui nome è ricordato da documenti di archivio, l'abate Requin ne ha trovati due solamente originarî della città. La sola di queste pitture, di cui sia conosciuto l'autore, l'Incoronazione della Vergine nell'ospizio di Villeneuve (1452), è di Enguerrand Charenton, oriundo di Laon; la bella Vierge au Chevalier del museo Calvet mostra segni sicuri d'italianismo (scuola del Foppa o del Borgognone), e indizî non meno manifesti dell'influsso di Jan Van Eyck; il S. Pietro del Lussemburgo e il grazioso S. Michele, dello stesso museo, hanno pure un sentimento per metà italiano. Invece l'influsso fiammingo predomina nel bel Saint Siffrein attribuito a Nicolas Froment.
Le relazioni con l'Italia non cessarono nei secoli XVI e XVII: Nicolas Mignard (detto d'Avignon per distinguerlo dal fratello Pierre detto le Romain), di cui sono numerosissimi quadri nelle chiese d'Avignone, dove fece un lungo soggiorno, fu per due anni a Roma; Parrocel, altro pittore locale, fu buon allievo del Solimena e di Salvator Rosa. L'aria italiana, così sensibile nell'arte del Péru e del Bernus, forma l'incanto d'Avignone: qualcosa che indelebilmente si mescola nello spirito della regione alla luce della Provenza, al gagliardo soffio del mistral, e ci affascina nella "terra d'amore", nella città deliziosa dove Laura fu amata dal Petrarca.
Bibl.: Congrès archéologique de France (Avignon), 1882, 1897, 1909, voll. 2; J. Courtet, Dictionnaire historique du département de Vaucluse, 2ª ed., Avignone 1877; F. Ehrle, Historia bibliothecae Romanorum Pontificum, I, Roma 1890; E. Müntz, Les peintres d'Avignon sous Clément VI, in Bull. Monum., 1884; id., Fresques inédites du XV siècle à Avignon, in Gazette Archéologique, 1886, p. 202 segg., 257 segg.; id., Les architectes du palais des Papes, in Semaine des Constructeurs, 1887; id., Les tombaux des Papes en France, in Gaz. des Beaux-Arts, XXXVI (1887), p. 275 segg.; H. Requin, Jacques Bernus, Avignone 1886; id., Les artistes d'autrefois en Avignon, Avignone 1895; V. F. Digonnet, Le Palais des Papes d'Avignon, Avignone 1907; A. Hallays, Avignon et le Comtat Vernaissin (Les Villes d'Art célèbres), s. a. (1910); R. Andre Michel, Avignon, les fresques du Palais des Papes, Parigi 1920; L.-H. Labande, Le palais des papes et les monuments d'Avignon au XIV siècle, voll. 2, Marsiglia 1925; R. Brun, Avignon au temps des Papes, Parigi 1928.
Storia. - Occupato, sin da tempo antichissimo, da tribù celte, il luogo ove sorge Avignone fu noto ai Fenici e soprattutto a colonie massaliote, che vi eressero templi dedicati a Eracle e a Diana Efesina. All'epoca romana, Avenio è importante centro della grande tribù dei Cavari, prima alleata dei Romani, e poi presto latinizzatasi. Le notizie tramandateci sulla sua organizzazione municipale, il suo teatro e circo, le terme ed i templi, ci attestano l'importanza e la floridezza che essa dové raggiungere fra le città della Gallia Narbonese.
Nel sec. V d. C. Avignone fu compresa nella zona d'occupazione dei Burgundi, di cui fu baluardo contro i Visigoti, invasori della Provenza, a sud della Durance. Dominio instabile però, questo dei Burgundi, non solo di fronte ai Visigoti; è sintomatico, infatti, che nell'anno 500 Clodoveo, in un'incursione contro i Burgundi di re Gundobaldo, giunga fino alle porte di Avignone. Dopo la battaglia di Vouillé (507), Teodorico, re degli Ostrogoti, intervenuto in Provenza in difesa dei Visigoti, riuscì a strappare Avignone ai Burgundi, ma la dominazione degli Ostrogoti durò solo dal 508 al 536, ché re Vitige cedette i suoi possedimenti di Provenza ai Franchi d'Austrasia, per averne l'alleanza contro l'impero bizantino. Scarsi avvenimenti contraddistinguono nei secoli successivi la storia di Avignone; è la storia di quasi tutte le città della Francia meridionale, fortemente romanizzate, ma coinvolte, come le città italiane, nel generale processo di decadenza urbana. I Saraceni premono dal sud, stirpi germaniche, appena leggermente colorite di romanità, dalle altre parti. Nel 570 è minacciata dai Longobardi; dal 725 al 737 è occupata dai musulmani di Spagna. Poi, dopo la riscossa cristiana di Carlo Martello, risente i benefizî che le apporta il consolidamento della monarchia franca dei Carolingi; ma dell'impero carolingio vive anche il periodo della decadenza e della disgregazione feudale. Così, dopo l'855, fece parte del regno di Provenza, con il quale, dopo il 933, passò nel regno di Arles, di cui seguì tutte le vicende e l'unione all'impero sotto Corrado II il Salico. Ma, essendo l'autorità effettiva dei re di Arles, quasi sempre lontani dal paese, debolissima, Avignone venne di fatto a trovarsi sotto la potestà diretta dei conti di Provenza discendenti di Bosone (934-968). Tempo turbato ancora dalle sempre rinnovantisi incursioni dei Saraceni, ma - dobbiamo supporre - tempo anche d'un primo sviluppo della città e della coscienza cittadina, naturale conseguenza anche della debolezza dell'autorità comitale, rappresentata, fra la fine del sec. XI e il principio del XII, da donne. Ma solo con l'inizio del sec. XII la storia d'Avignone si può individuare nettamente. Fatto capitale è per Avignone la convenzione del 1125 fra Raimondo Berengario I, conte di Barcellona, e, per il suo matrimonio con Douce contessa di Provenza, anche conte di Provenza, e Alfonso Giordano conte di Tolosa: nel continuo frantumarsi delle autorità feudali in Provenza, Avignone era rimasta in una posizione incerta di appartenenza fra la contea di Provenza e la contea di Forcalquier, che n'era stata staccata; onde Raimondo Berengario I vi vantava diritti come conte di Provenza, e Alfonso Giordano in quanto discendente, come conte di Tolosa, da Guillaume Taillefer, che aveva sposato la figlia d'un conte di Forcalquier. Il primo ebbe riconosciuti i possessi a sud della Durance, il secondo quelli a nord; Avignone fu dichiarata comproprietà. Tale situazione fu quindi favorevole allo sviluppo autonomo della borghesia locale e poi alla formazione d'una vera indipendenza comunale. Il comune, come quelli affini e vicini di Arles, di Tarascon, di Marsiglia, di Grasse, di Nizza, ha quasi tutti gli attributi della sovranità: ha il suo patrimonio, le sue monete, le sue milizie, stringe trattati politici e commerciali, è retto dai suoi magistrati (consoli), i quali però condividono il potere col vescovo della città, per la parte che gli spetta dei diritti cedutigli nel 1135 dal conte di Forcalquier, ed è ancora il vescovo che ha parte essenziale nella codificazione della carta comunale (1154). Questa reale indipendenza della città, che si considerava città imperiale, dipendente direttamente dall'imperatore in quanto era anche re di Arles, fu di breve durata: la crisi della vita avignonese si manifestò gravemente con la guerra degli Albigesi. La città credette di secondare le sue tendenze autonomistiche e religiose alleandosi a Raimondo VI di Tolosa, tollerante verso gli Albigesi; ma, perduta la causa degli Albigesi, subì le conseguenze della sconfitta, indebolendosi all'interno per guerre civili, alle quali invano si credette di porre riparo con la nomina del primo podestà (1225), e all'esterno esponendosi alla crociata, non disinteressata, che Luigi VIII re di Francia conduceva in nome del papa contro gli Albigesi; di fronte all'intervento francese, la città, scomunicata, nel 1226 sostenne arditamente l'assedio. Capitolò dopo tre mesi (12 settembre 1226), e il cardinal legato la condannò ad avere mura e torri distrutte, abbattute trecento case turrite, a pagare grave tributo, a giurare lotta contro gli Albigesi. Avignone conservò teoricamente le sue franchigie, ma in pratica perse ogni reale autonomia.
La situazione della città diventava sempre più difficile fra il re di Francia, dal 1229 signore della Linguadoca, che solo il Rodano divideva da Avignone, e Raimondo Berengario IV conte di Provenza, fedelissimo alla monarchia francese; peggiorò ancora quando le due autorità che vantavano diritti sulla città, la contea di Provenza e la contea di Tolosa, furono nelle mani di due fratelli del re di Francia, Carlo d'Angiò, divenuto conte di Provenza (1246), e Alfonso, conte di Poitiers, divenuto anche conte di Tolosa (1249). Difatti i due fratelli si accordarono per sopprimere le autonomie comunali: anche Avignone fu presa di mira e il 7 maggio 1251 dovette capitolare. Fu la fine del comune; l'autorità comitale fu rappresentata da allora in poi da un vicario, in nome del conte di Provenza e del re di Francia, al quale erano passati i diritti della contea di Tolosa su Avignone dopo la morte di Alfonso di Poitiers (1271). Il condominio durò poco, perché il re Filippo III cedette i suoi diritti a Carlo d'Angiò conte di Provenza, il quale fu quindi unico signore della città.
Avignone papale. - Avignone era ridotta al grado di una qualunque città di Provenza, quando una combinazione di circostanze le conferì la dignità di seconda Roma e fama universale. Dal 1229 i papi godevano la signoria del territorio abbracciante Avignone dalla parte d'oriente, il Contado Venassino (v. sotto). Già questo bastava a far convergere gl'interessi del papato anche verso la città. I rapporti diventarono più intimi, quando Clemente V, dopo l'incoronazione a Lione (1305), rinunciò a raggiungere Roma e si stabilì prima nella nativa Guascogna, poi nella Linguadoca. Nel 1309 si stabilì ad Avignone, per essere a contatto col suo stato del Venassino. I papi furono ospiti dei conti di Provenza: Clemente V soggiornò ad Avignone dal 1309 al 1311, e, dopo il concilio di Vienne, di nuovo, nel 1312 e 1311. Morto Clemente V, dopo la lunga vacanza, il nuovo papa Giovanni XXII, essendo stato vescovo d'Avignone, si stabilì decisamente nella sua città prediletta, di cui conservò il governo episcopale. Poté così abitare nel vecchio suo palazzo vescovile, mentre Clemente V aveva abitato nel convento dei domenicani. Papa Giovanni XXII organizzò la corte pontificia in Avignone, provvedendo alle abitazioni dei cardinali e fanzionarî (supra ordinandis libratis) e vi entrò solennemente il 2 ottobre 1316. Mentre Giovanni XXII pensava ancora a riportare la Santa Sede in Italia e nel 1332 progettava, per es., di stabilirsi a Bologna, il suo successore Benedetto XII (1335-1342) con le grandi costruzioni iniziate dimostrò d'aver abbandonato l'idea di ritornare a Roma. Non è questo il luogo di parlare dell'azione religiosa e politica dei papi avignonesi v. papato); ci limiteremo invece a dirne per quello che si riflette nella vita della città, la quale ne fu trasformata completamente. Al principio del '300 Avignone era una povera città, con 8 chiese, una casa dei Templarî, 3 monasteri e 8 ospizî; nel 1367 gli ospizî erano 34 la popolazione decuplicata. Cappelle papali, concistori conclavi, beatificazioni, ambascerie, pellegrinaggi, guerre e paci fanno affluire ad Avignone così le folle come i principi e i grandi personaggi; la curia pontificia, coi suoi organi giudiziarî e fiscali, fa sorgere in Avignone agenzie delle grandi banche italiane, fiorentine e senesi specialmente; Carlo V re di Francia, nei momenti d'imbarazzi finanziarî, ricorre ai banchieri italiani d'Avignone per prestiti vistosi (100.000 fiorini). I cardinali si costruiscono a loro volta grandi palazzi; la città vede infinite nuove costruzioni sì che dopo la metà del sec. XIV si procederà ad erigere una nuova più ampia cerchia di mura; sorgono numerosi conventi, famosi quelli di Sant'Agostino e dei Cordelieri; i papi fondano le importanti collegiate di S. Agricola, di S. Pietro, di Saint-Didier; proteggono le famose confraternite dei Penitenti Bianchi, dei Penitenti Grigi, aiutano istituzioni sociali, come ospizî, ospedali e l'importante Œuvre des Repenties. Cittމ cosmopolita, ritrovo di avventurieri d'ogni genere, che il maresciallo di corte cerca di reprimere severamente. Corte sfarzosa: 4000 persone le vivono in qualche modo attorno: ecclesiastici, scrittori, eruditi, giuristi, mercanti, librai, domestici; si parla provenzale, ma la vita ha un carattere di semi-italianitމ. Gl'Italiani vi formavano un intero quartiere, con giurisdizione particolare, con una propria parrocchia (di S. Pietro); numerosi specialmente i fiorentini, il cui ricordo ę rimasto nella Rue de Florence. Costumi vivaci: sono note le imprecazioni del Petrarca, di Santa Caterina e di Santa Brigida (nei Revelationum libri octo) contro l'empia Babilonia.
I papi vivevano ad Avignone non come sovrani nella propria capitale, ma come ospiti dei conti di Provenza, benché chiaramente facessero capire di voler mutare in titolo di pieno possesso la loro permanenza in Avignone. Questa soluzione si presentò quando i possessi degli Angiò, conti di Provenza, attraverso Carlo I (morto nel 1285), Carlo II (morto nel 1309) e Roberto (morto nel 1343) vennero a Giovanna I di Napoli. Clemente VI riuscì a comperare Avignone nel 1348, quando Giovanna I d'Angiò, cacciata da Napoli ad opera del re d'Ungheria Luigi I, si rifugiò in Provenza. Sebbene i vassalli provenzali costringessero la regina a giurare che non avrebbe alienato la contea, essa cedette al papa il dominio di Avignone per 80.000 fiorini (200.000 scudi romani) per provvedere alle spese del ricupero di Napoli. L'atto di donazione inter vivos fu firmato il 9 giugno 1348; fu approvato dall'imperatore Carlo IV il 1° novembre dello stesso anno. Ma i papi ebbero così un dominio già insidiato dalla monarchia francese: mentre gli Avignonesi si erano sempre considerati signori delle acque del Rodano, e alla fine del sec. XII vi avevano costruito il ponte fra la città e l'opposta terra regia, Filippo il Bello aveva fatto costruire, a Villeneuve, di faccia ad Avignone, una fortezza che dominava il ponte, e a poco a poco gli ufficiali regi andarono vantando diritti prima sulla testata del ponte, poi su metà, poi sulle acque del fiume stesso: in diversi momenti, come nel 1331 e nel 1341 nell'occasione di guasti al ponte, vi furono ostilità fra le due rive. Il papato rimase ad Avignone fino al 1367; Urbano V se ne partì il 30 aprile 1367 per Roma, ma ritornò ad Avignone il 24 settembre 1370. Il suo successore, Gregorio XI, ne ripartì il 13 settembre 1376 definitivamente, ma, scoppiato lo scisma, Clemente VII, l'eletto dei cardinali francesi, ristabilì la sua sede in Avignone già il 20 giugno 1379; vi rimase sino alla morte nel 1394, e così il successore, Benedetto XIII (1394-1424). Avignone perdette negli ultimi decennî del sec. XIV la sua importanza e la sua ricchezza: subì gravi danni negli assedî sostenuti sotto Benedetto XIII contro le forze regie, che volevano costringere il papa ad accettare la fine dello scisma, nel 1398 e nel 1410; e già era stata messa a dura prova durante le frequenti scorrerie delle compagnie di ventura e delle bande armate, rimaste disoccupate nelle lunghe tregue durante la guerra dei Cent'anni; così nel 1355 fu minacciata dalla Compagnia degl'Inglesi e nel 1360 da quella di Bertrand du Guesclin.
Sotto Eugenio IV, nel 1433, fu organizzato il governo dello stato avignonese, cui venne preposto un legato pontificio. Avignone fu governata dai legati, italiani in massima parte, e di solito nipoti o parenti dei papi, fino al 1691: ultimo fu Pietro Ottoboni, nipote di Alessandro VIII; dopo, solo da vicelegati: ultimo fu Filippo Casoni, cacciato dagli Avignonesi insorti il 12 giugno 1790. Legati famosi furono il cardinale di Foix (1433-1461), il cardinale Della Rovere (1476-1503), il cardinale d'Armagnac (1565-1585). La città fu governata, di solito, con mitezza: minimo presidio militare, tributi leggerissimi, libertà massima per tutti, anche per gli ebrei e gli eretici. Vivaci lotte si svolsero dal sec. XV al XVIII fra nobili e artigiani, fra i partiti dei Pévoulins e dei Pessugaux. La popolazione nel '600 era di 80.000 abitanti; si ridusse a un quarto di questa cifra dopo la peste del 1721.
La monarchia francese continuò di fronte ad Avignone papale la stessa politica di assorbimento usata già prima coi conti di Provenza, prendendo a pretesto la questione dei diritti sul ponte e sulle acque del Rodano. Ripetute discussioni e processi alla corte di Tolosa avvennero dal sec. XV sino al 1726, quando il consiglio del re affermò recisamente la proprietà dello stato sulle acque del fiume. Dopo il 1480, morto Renato d'Angiò, i re di Francia, avendo riunito la Provenza allo stato, come eredi dei conti, contestarono direttamente i diritti del papa su Avignone, discutendo i diritti di Giovanna I all'eredità di re Roberto di Napoli e la legittimità dell'alienazione del 1348. A diverse riprese i re occuparono Avignone nelle loro vertenze coi papi. Incominciò Luigi XI nel 1476, nel suo contrasto con Sisto IV, sino al 1483; poi nel 1536 Francesco I, per opporsi alla minacciata invasione di Carlo V. Più importanti furono le occupazioni di Luigi XIV. In lotta col papa per l'affare della guardia corsa e dell'attentato al duca di Créqui, nel 1662 il re fece cacciare il presidio papale e dal parlamento di Provenza fece iniziare una procedura e dichiarare l'annessione di Avignone (26 luglio 1663). Ma già l'anno dopo, il re e il papa si riaccordarono (12 febbraio 1664) e Avignone fu restituita alla Santa Sede (21 luglio). Nel 1668, sorto un nuovo conflitto per i diritti di regalia e la soppressione delle franchigie agli ambasciatori francesi a Roma, nuovamente Luigi XIV fece dal parlamento proclamare l'unione di Avignone (2 ottobre 1668) e occupare il territorio pontificio. Ma anche questa volta all'accordo franco-pontificio tenne dietro la restituzione (20 ottobre 1669), sebbene le sentenze parlamentari dichiarassero l'illegittimità della signoria pontificia. Una terza occupazione francese si ebbe nel 1768: avendo la Santa Sede protestato contro gli editti antiecclesiastici di Filippo di Borbone, duca di Parma, Luigi XV ne trasse motivo per occupare Avignone, dove s'erano rifugiati molti gesuiti cacciati dal regno. Il parlamento di Provenza decretò l'unione il 9 giugno 1768: l'occupazione dall'11 dicembre seguente durò sino al 10 aprile 1774, dopo che il papa ebbe acconsentito a sciogliere l'ordine gesuitico. Tale occupazione, notevole per la sua durata, destò vivaci polemiche fra gli storici e i giuristi sui diritti del papato e della monarchia. La questione avignonese era matura: nel 1789 ricomparve quindi all'assemblea costituente con una mozione del deputato Bouche (12 novembre). Solo nel 1790, quando gli Avignonesi ebbero cacciato il vicelegato pontificio (12 giugno), l'assemblea prese in esame una petizione degli abitanti che chiedevano l'unione. Di esame in esame, di commissione in commissione, la questione si trascinò avanti a lungo, finché l'unione fu finalmente approvata il 14 settembre 1791. Pio VI protestò contro la violenza (5 novembre 1791), ma fu costretto a rinunciare ad Avignone e al Contado Venassino col trattato di Tolentino, articolo 6 (19 febbraio 1797). Nuove teoriche proteste fece il papato ancora nel 1816, dopo la restaurazione.
Avignone e il Contado Venassino. - La storia delle terre che ricingono Avignone sulla riva sinistra del Rodano (il Contado Venassino) è così strettamente legata con quella della città, che non si può parlare di questa senza accennare anche a quella. La storia del contado non ha una fisionomia distinta da quella generale della Provenza e di Avignone prima dell'inizio del sec. XI, quando il contado fu considerato distinto dalla contea di Forcalquier e, per il matrimonio d'una figlia del conte Rotboldo di Forcalquier con un conte di Tolosa, passò sotto la signoria di quest'ultimo; da lui passò agli eredi fino a quel Raimondo VII conte di Tolosa, che per essersi compromesso, come il suo predecessore Raimondo VI, a favore degli Albigesi, fu costretto a cedere alla Santa Sede le terre che possedeva in territorio imperiale sulla sinistra del Rodano, vale a dire il Contado Venassino. Per allora il papato chiese che del suo nuovo possesso assumesse la custodia e il governo il siniscalco regio di Linguadoca (29 dicembre 1229), ma più tardi si svolsero attorno al Contado Venassino lunghe competizioni, poiché la Francia cercò di conservare il territorio, mentre Raimondo VII s'era rassegnato a darlo al papa solo per sottrarlo al re di Francia, e poi riconquistarlo. Si rivolse a tale scopo allo stesso imperatore Federico II, e ne ottenne l'ufficiale riconoscimento, sì che nel 1236 riuscì a rioccuparlo, sebbene Gregorio IX protestasse energicamente e ne riconoscesse la custodia al re di Francia. Alla morte di Raimondo VII, il Contado Venassino venne rioccupato dalle truppe regie: nel 1251 ne prese possesso Alfonso di Poitiers per i diritti della consorte, Giovanna figlia di Raimondo VII. Morto nel 1271 Alfonso, il re Filippo III l'Ardito volle rioccupare il Contado, ma Gregorio X rivendicò energicamente i diritti della Santa Sede e riuscì nel 1274 ad entrarne in possesso, respinte le pretese di Cecilia di Baux, vedova di Amedeo IV di Savoia, che si faceva forte di una donazione del prozio Raimondo VII, del 24 febbraio 1241. Il Contado Venassino comprendeva circa 60 castelli divisi in 9 baliaggi, tutto l'angolo cioè compreso fra il Rodano e la Durance: i papi lo governarono per mezzo di un funzionario ora laico ora ecclesiastico, chiamato Rector et Comes Venassini, che sostituì il Siniscalco regio. Centro amministrativo nel secolo XIII era Pernes, dopo il 1320 Carpentras. I papi vennero in tal modo ad avere rapporti nuovi con i varî principi limitrofi al contado, tanto più che nel contado stesso erano incluse varie signorie indipendenti, come il principato di Orange, i feudi imperiali della sede episcopale d'Avignone ed altri minori. La Santa Sede cercò durante tutto il sec. XIV di sistemare il suo dominio del Venassino, correggendone i limiti con compere dai signori di Baux, dall'ordine gerosolimitano di San Giovanni, dai Delfini di Vienne, acquistando Montauban e Montelimar e cercando di comperare da Umberto II Delfino tutto il Delfinato, tentativo che non riuscì per l'opposizione della monarchia francese.
Dopo l'acquisto di Avignone, benché vi fosse continuità territoriale fra la città e il contado, rimase distinta l'amministrazione, anche dopo il riordinamento dello stato avignonese introdotto da Eugenio IV nel 1433. Il rettore del Contado Venassino, che nel . sec. XIV aveva avuto ampî poteri e che sotto Gregorio XI era stato messo alle dipendenze del Camerario pontificio, vicario generale del papa così per Avignone come per il Contado, fu ora alle dipendenze del legato. Questi fu assistito da un consiglio papale, l'antica corte del rettore, formato dal tesoriere, dal giudice, dal procuratore fiscale, con obbligo di riunirsi per esaminare gli affari ordinarî ogni settimana, il lunedì. Per la giustizia e l'amministrazione il contado venne diviso in tre giudicature: Carpentras, l'Isle, Valréas. Il contado divise poi le sorti della città e con essa fu annesso alla Francia.
Bibl.: Generale: C. F. H. Barjavel, Dictionnaire historique biographique du département de Vaucluse, voll. 2, Carpentras 1841; J. Courtet, Dictionnaire géographique géologique historique... des communes du département de Vaucluse, 2ª ed., Avignone 1877; A. Longnon, Géographie de la Gaule au VIe siècle, Parigi 1878; R. Poupardin, Le Royaume de Bourgogne, Parigi 1907; E. Duprat, Les confluents de la Durance aux temps historiques, Avignone 1908.
Speciale: per Avignone: Fantoni Castrucci, Istoria della città di Avignone e del Contado Venassino, Venezia 1678; J. B. Joudou, Essai sur l'histoire de la ville d'Avignon, Avignone 1853; A. Penjon, Avignon, Besançon 1878; E. Duprat, Essai sur l'histoire politique d'Avignon pendant le Haut Moyen-Âge, Avignone 1908; R. De Maulde, Coutumes et règlements de la République d'Avignon, Parigi 1879; J. Girard-P. Pansier, La cour temporelle d'Avignon aux XVIe e XVe siècles, Parigi 1909; G. Mollat, Les Papes d'Avignon, Parigi 1912; P. Pansier, L'œuvre des Repenties މ Avignon, du XIII ai XVIII sięcle, Parigi 1912; R. Brun, Avignon au temps des papes, Parigi 1928; C. Faure, Un projet de cession du Dauphiné à l'Église romaine (1338-1340), in Mélanges d'archéologie et d'histoire de l'École française de Rome, Parigi 1907, p. 153; M. Falque, Le procès du Rhône et les contestations sur la propriété d'Avignon (1302-1818), Parigi 1908; C. Soullier, Histoire de la révolution d'Avignon et du Comtat Venaissin, I, Avignone 1845; Charpenne, Histoire des réunions temporaines d'Avignon et du Comtat Venaissin à la France, Parigi 1886; Documents sur la réunion d'Avignon et du Comtat Venaissin à la France, voll. 2, Tours 1891-93; per il Contado Venassino; J. Girard, Les Étast du Comté Venaissin depuis leurs origines jusqu'à la fin du XVIe siècle, Parigi 1908; C. Faure, Étude sur l'administration et l'histoire du Comtat Venaissin du XIIIe au XVe siècle, Parigi 1909.