AVIGNONE
(lat. Avenio; franc. Avignon)
Città della Francia meridionale, capoluogo del dip. della Vaucluse, situata sulle rive del Rodano, immediatamente a N della pianura della Bassa Linguadoca. Già in età romana fu un fiorente municipio della Gallia Narbonese; occupata in seguito dai Burgundi (sec. 5°), dagli Ostrogoti (508-536) e dai Franchi, dal 933 fece parte del regno di Arles; divenne comune autonomo dal 1146 e nel 1290 fu annessa ai territori del conte di Provenza, Carlo d'Angiò. Nel 1305 il papa Clemente V trasferì la sede papale in Provenza e la città si trasformò rapidamente, arricchendosi di chiese, palazzi, attività e commerci di ogni tipo; il papa Clemente VI la acquistò, per 80.000 fiorini d'oro, da Giovanna I d'Angiò. Ritornata la corte pontificia a Roma nel 1377, la città, che aveva in pochi decenni decuplicato la sua popolazione, decadde, pur rimanendo sede degli antipapi Clemente VII e Benedetto XIII durante lo scisma d'Occidente. Fino al 1768 A. fu amministrata da un legato pontificio, poi da un vice-legato e fece parte dei possessi papali sino all'epoca della Rivoluzione, quando, nel 1791, fu annessa al territorio francese.La storia artistica di A. durante il Medioevo ha una rilevanza straordinaria, ma non conosce uno svolgimento lineare e omogeneo. Fino all'inizio del Trecento essa si inquadra senza contrasti nella più generale vicenda artistica della Provenza. I suoi monumenti, le sue sculture, le sue costruzioni trovano molti confronti con monumenti e opere create nel territorio dell'arcidiocesi di Arles, da cui dipese il vescovado di A. fino al 1475, quando la città fu proclamata sede metropolitana. La situazione cambiò radicalmente quando i pontefici - e di conseguenza la curia - vennero a installarsi nella città provenzale facendo di essa per molti decenni (1316-1376) la capitale della cristianità. La mole e il numero delle imprese artistiche allora portate avanti, la varietà dei committenti e degli artisti giunti ad A. da città e nazioni molto diverse, ne alterarono radicalmente la situazione e il ruolo, facendone uno dei centri artistici più vivi, importanti e significativi dell'Europa intera, un luogo di incontri, di scambi, di incroci, un autentico crogiuolo dove le diverse esperienze vennero a confronto, si intrecciarono, si fusero.Con Gregorio XI la corte papale rientrò a Roma, ma lo scoppiare del Grande scisma fece di nuovo di A. la capitale, se non dell'intero mondo cattolico, almeno di una sua parte rilevante. Ragioni di immagine, di legittimazione nei confronti di Roma, di primato, di dominazione simbolica, incoraggiarono in questo periodo gli investimenti artistici. Sorsero nuove fondazioni, nuove chiese, vennero scolpiti eccezionali monumenti funerari. Né gli investimenti simbolici vennero a cadere completamente quando, in un momento successivo, la città perse il suo prestigioso ruolo europeo per divenire sede dei legati papali. Per tutto il Quattrocento A., enclave papale in territorio angioino, continuò a essere un importante centro artistico, un luogo di scambi e di incontri, un'area cerniera.
A voler tracciare una storia basata sui monumenti ancora esistenti, la vicenda artistica avignonese dovrebbe iniziare nel 12° secolo. A questo periodo risalgono infatti le grandi testimonianze monumentali e plastiche tuttora conservate. Si sa però che la storia monumentale di A. è assai più antica e che non presenta una decisa soluzione di continuità con l'epoca romana. Ci fu, naturalmente, un restringersi dello spazio abitato, un suo raccogliersi sull'altura dominante il Rodano dove era sorto il primo agglomerato preromano.Il più antico luogo di culto cristiano doveva trovarsi fuori dello spazio urbano, laddove poi venne fondata l'abbazia di Saint-Ruf, presso l'antica strada romana che portava ad Arles. Qui venne rinvenuto un sarcofago di tipo arlesiano con la rappresentazione dell'episodio di Anania e di Saffira, oggi conservato al Mus. Calvet di Avignone. Ben poco peraltro si conosce della storia di A. nell'Alto Medioevo; è possibile che un monastero fosse stato fondato nel sec. 7° da s. Agricola, vescovo di A., e che esso sia all'origine della odierna chiesa di Saint-Agricol, ma notizie più precise si trovano solo nei secc. 10° e 11°; per oltre un secolo e mezzo, dal 700 all'855 non si conosce del resto un solo nome di vescovo avignonese. È possibile che la chiesa di Saint-Pierre esistesse già nel 919 e che vi fosse conservato il corpo del santo vescovo Agricola, ma le prime date consistenti risalgono al secolo seguente: nel 1039 una nuova comunità di religiosi fu autorizzata dal vescovo Benedictus a Saint-Ruf e nel 1068 un testo emanato dal vescovo nomina la chiesa di Saint-Didier. Nel 1069 (o nel 1063) si colloca la consacrazione della cattedrale di Notre-Dame des Doms, elemento principale del complesso episcopale posto sul Rocher des Doms (tale, probabilmente per riferimento alla domus episcopalis, è il nome di un'altura sormontante il Rodano), che comprendeva anche il battistero di Saint-Jean, la chiesa parrocchiale di Saint-Etienne e la residenza vescovile, mentre sull'altra riva del Rodano, laddove sorse in seguito Villeneuve, era riattata verso il 980 l'abbazia benedettina di Saint-André.Testimonianza monumentale dell'A. prima dei papi è la cattedrale di Notre-Dame des Doms, grande costruzione romanica, modificata tra il Trecento e il Cinquecento dall'aggiunta di una serie di cappelle, rimaneggiata nel Seicento con la costruzione di una nuova abside e di tribune lungo la navata e molto restaurata nel 19° secolo. La chiesa conta una sola navata di quattro campate, un coro di una campata coperto da una cupola che regge una torre-lanterna esagonale e un nartece, su cui si erge una possente torre campanaria, ripresa nel sec. 15° e quindi nell'Ottocento. Contro la facciata si alza un portico di straordinario sapore classico, con semicolonne addossate alla muratura che reggono un cornicione al di sopra del quale si eleva un timpano triangolare forato da un oculo. Il portico, costruito dopo l'edificio principale, ha funzione anche di contrafforte per sostenere la spinta del campanile. Viene così a coprire sotto le sue volte il portale della chiesa, anch'esso dalla forte caratterizzazione classicheggiante con colonne addossate, cornici e timpano triangolare.Il chiostro dei canonici - che dal 1037 vivevano sotto la Regola di s. Agostino - fu parzialmente distrutto nel Seicento e totalmente nell'Ottocento; un certo numero di elementi scolpiti, capitelli e colonne sono conservati nel Mus. du Petit Palais di A., al Louvre e nel Fogg Art Mus. di Cambridge (MA). Dell'arredo scolpito della cattedrale sussistono, ancora in loco, una splendida cattedra episcopale e un altare scolpito. Non è semplice datare la costruzione della chiesa e la sua decorazione scultorea, ma sembra in ogni modo difficile riconoscere nell'edificio attuale resti della chiesa consacrata nel 1069, tanto che si deve ritenere probabile, in forza dei confronti possibili con altri edifici provenzali, una datazione della chiesa attuale alla metà circa del sec. 12°, tra il 1140 e il 1160, e una di poco più tarda per il portico addossato alla facciata in un secondo tempo. Un fatto significativo che testimonia dell'attività plastica nell'ambiente avignonese verso la metà del sec. 12° e dei suoi rapporti con l'Italia (emergenti anche nei capitelli del chiostro e nella cattedra episcopale) è una lettera del 1156 di papa Adriano IV ai canonici della cattedrale di Pisa, in cui li si invitava a fare buona accoglienza ai canonici di Saint-Ruf, che venivano a intagliare colonnette per un loro chiostro. Ciò che resta oggi del monastero di Saint-Ruf, danneggiato intorno alla metà del sec. 12° dagli Albigesi, ripreso e restaurato, modificato e fortificato nel Trecento e semidistrutto nel sec. 18°, è la parte absidale con il campanile e il transetto, con bei capitelli corinzi a maschere umane. Una parte dei capitelli del chiostro è conservata al Mus. du Petit Palais e al Fogg Art Mus. di Cambridge (MA). Altra impresa rilevante del sec. 12° fu la costruzione del ponte sul Rodano, iniziato nel 1179 da un frater Benedictus (il leggendario Saint-Bénézet che ha dato nome al ponte), terminato nel gennaio 1185, molte volte rovinato e restaurato, di cui rimangono oggi alcune arcate e la cappella consacrata a s. Nicola, in parte romanica. A questo periodo appartiene anche una grande lunetta scolpita con il rilievo di un cavaliere armato che proviene dall'antico palazzo del comune, situato anch'esso, come quello del vescovo, sul Rocher des Doms.Il periodo comunale (1146-1251) fu estremamente prospero per A., che vide in questi anni l'estendersi della città e la costruzione successiva di due cinte di mura, una probabilmente nella prima metà del sec. 12°, l'altra verso il 1220-1225, smantellata dopo l'assedio di Luigi VIII nel 1226 e quindi restaurata. Alla seconda metà del sec. 13°, quando oramai era finito il periodo comunale e A. apparteneva in co-signoria ai due fratelli del re di Francia, Alfonso di Poitiers, conte di Tolosa, e Carlo d'Angiò, conte di Provenza, risale la costruzione del primo edificio religioso eretto secondo i modi gotici del Nord, la cappella a due piani della commenda dei Templari, ancora conservata e inglobata in un edificio ottocentesco.
Lo stabilirsi della sede papale in A. non avvenne in modo improvviso e definitivo. Fu piuttosto un'operazione graduale che solo a un certo momento assunse un carattere massiccio e irreversibile. Per il primo papa avignonese, Clemente V, eletto nel 1305, A. fu tutt'al più una residenza di fortuna dove risiedette, dal 1309, nel convento dei Domenicani, mentre la corte aveva trovato una provvisoria installazione a Carpentras. Non era intenzione del nuovo papa abbandonare definitivamente Roma e l'Italia e la sua politica artistica risentì anche di questa situazione, sì che riguardò assai poco la città provenzale. La situazione però mutò radicalmente dopo la sua morte (20 aprile 1314), con il lungo pontificato di Giovanni XXII (1316-1334). Questi, che tra il 1310 e il 1312 era stato vescovo di A., si installò con la sua corte nella città, facendo riattare e decorare con nuove pitture il palazzo vescovile, mutando compiti e funzioni della corte, che vide aumentare grandemente il numero degli addetti, facendo di A. un grande centro internazionale. Si trasformò così la fisionomia della committenza avignonese; accanto al papa si stabilirono in A. i cardinali, che si installarono nelle 'livree' (dal lat. libratae, termine con cui si indicavano le case che venivano consegnate ai membri del sacro collegio per farne la loro residenza), giunse una folla di intellettuali, re e potenti vi eressero dimore dove risiedere durante i loro soggiorni. Si trasformò di conseguenza la fisionomia artistica della città, che divenne un grande centro di produzione libraria e un punto di incontro di artisti di diverse provenienze che vi convergevano per lavorare alle nuove fabbriche.Il pontefice si preoccupò dello stato dei monumenti avignonesi, deplorando, in una bolla del 21 novembre 1319, lo stato rovinoso del chiostro romanico della cattedrale, ingrandendo la chiesa di Saint-Agricol, dove nel 1322 fondò un collegio di canonici, riattando e decorando gli antichi castelli vescovili del contado venassino, intervenendo nei monasteri dei Domenicani e dei Francescani e in diverse altre chiese cittadine. Il provenzale Guillaume de Cucuron diresse i lavori di ristrutturazione e rinnovamento del palazzo episcopale, mentre pictor primus e capo delle squadre di pittori attive al palazzo e alla cappella fu un pittore tolosano, un frate minore, Petrus de Podio, che giunse ad A. nel 1316 e vi lavorò fino alla morte, nel 1328, con un gruppo di collaboratori in prevalenza occitanici, ma tra cui era presente anche qualche inglese. Molti sono i nomi degli artisti meridionali, tra cui quello di un Petrus Masonerii incaricato di molte imprese nelle chiese avignonesi. Tra gli inglesi furono l'architetto e lapicida Hugh Wilfred, che costruì tra il 1321 e il 1322 una cappella in Notre-Dame des Doms, e un pittore, Thomas Daristot - attivo ad A. e al nuovo castello di Pont-de-Sorgues, costruito per alloggiare gli ospiti di qualità -, in cui si è voluto riconoscere, ma con scarsa probabilità, quel maestro Thomas, figlio di Walter di Durham, pittore di Edoardo II e autore della splendida decorazione dei sedilia di Westminster. Forse era di origine inglese anche Jean Oliver, autore dei dipinti fortemente gotico-lineari del refettorio della cattedrale di Pamplona. È infine molto probabile che giungesse in questo periodo in A. un grande pittore e miniatore italiano, il Maestro del Codice di s. Giorgio, attivo per l'ambiente dei cardinali italiani.La fisionomia artistica avignonese si arricchì ulteriormente sotto Benedetto XII (1334-1342), successore di Giovanni XXII. A questo punto si precisò la scelta di A. come residenza stabile della curia e pertanto venne eretto un palazzo nuovo che, accanto agli appartamenti del pontefice, potesse ospitare i principali uffici della curia. E a questo punto si infittì l'arrivo di artisti provenienti da diverse regioni e nazioni, e in particolare dei pittori senesi, tra cui, dal 1336, uno dei massimi artisti d'Europa, Simone Martini. Di persona - o almeno per opera - furono presenti anche Lippo Memmi e suo fratello Tederico, mentre lavorarono alla decorazione del nuovo palazzo Filippo e Duccio di Siena, che i conti pontificali indicano come pittori di primo piano, accanto a maestri della Francia meridionale quali Jean Dalbon, che dirigeva le imprese pittoriche del papa, Domenico de Bellona, Pierre de Castres, Symonnet de Lyon, Robin de Romans, Pierre Boyer.I lavori di costruzione del nuovo palazzo cominciarono tra il 1335 e il 1336. Per questo il papa cedette al vescovo di A. la livrea cardinalizia che si era fatta costruire Arnaud de Via, nipote di Giovanni XXII (l'od. Petit Palais), in cambio dell'antico palazzo vescovile già trasformato dal suo predecessore.
Primo architetto del palazzo fu Petrus Piscis (Pierre Poisson), originario di Mirepoix - di cui Jacques Fournier, vale a dire papa Benedetto XII, era stato vescovo - e fratello di Jean Poisson che nel 1335 venne inviato a Roma con il compito di sovrintendere ai restauri di S. Pietro in Vaticano. Questi diresse, e probabilmente progettò, i lavori al palazzo per alcuni anni (1335-1337) per essere quindi sostituito per i compiti amministrativi, senza che sia chiaro chi abbia disegnato le ultime costruzioni di Benedetto XII. Il palazzo di Benedetto XII è del resto di difficile lettura: si tratta di una serie di torri, di appartamenti, di sale e di cappelle costruite poco a poco senza che fosse esistito fin dall'inizio un preciso piano d'insieme, sostituendo volta per volta e ingrandendo le parti dell'antico palazzo episcopale via via che venivano demolite. La parte più impressionante del palazzo è la lunga facciata che guarda verso oriente, segnata da una serie di torri, la grande torre degli Angeli o torre del Papa, alto e massiccio donjon dove era situata la camera del pontefice e il tesoro, e poi via via, spostandosi verso N, la torre dello Studio, la torre di S. Giovanni, che ospita due cappelle sovrapposte, la torre delle Cucine, della Ghiacciaia e la potente torre di Trouillas, che conclude verso N la facciata orientale ponendosi in prossimità della cattedrale. Appoggiato contro questa potente bastionata, si apre verso O il c.d. chiostro di Benedetto XII, cortile quadrangolare di forma irregolare attorno a cui si dispongono la nuova cappella papale a N, l'alta torre della Campana e l'ala dei familiari a O, verso la piazza del palazzo, e, a S, l'ala del conclave. In pratica si tratta di una serie di edifici disposti attorno a una corte quadrilatera, che sostituirono quelli dell'antico palazzo episcopale, di una grande bastionata di torri, di sale e di appartamenti che si stende a E, dominando il digradare del Rocher des Doms. Le torri sono caratterizzate da alti contrafforti e caditoie sporgenti che disegnano tutt'attorno alle pareti massicce una sorta di schermo protettivo, secondo tecniche di fortificazione antiche e ormai abbandonate nella Francia settentrionale, sì che l'insieme del palazzo di Benedetto XII colpisce per la sua straordinaria imponenza più che per la modernità e la novità delle costruzioni.Aspetto diverso ha la parte del palazzo realizzata sotto Clemente VI (1342-1352) e diretta da un architetto del Settentrione, Johannes de Luperiis (Jean de Louvres), proveniente dall'area parigina. La pianta del nuovo palazzo è molto regolare: si tratta di due ali, una a O l'altra a S, che, appoggiandosi alle precedenti costruzioni di Benedetto XII, alla turrita bastionata posta a E e all'ala del conclave a N, racchiudono un grande cortile quadrangolare, chiamato 'cour d'honneur', che si diversifica molto nel tracciato regolare dal c.d. chiostro di Benedetto XII, cuore del vecchio palazzo. Molto bella e significativamente moderna l'ala meridionale, che comprende due amplissime sale sovrapposte, in basso la sala dell'udienza, in alto la grande cappella clementina. Diversamente che nel palazzo di Benedetto XII le profilature delle finestre hanno un accentuato disegno gotico, mentre abbondano le sculture decorative, mensole, imposte, capitelli, chiavi di volta, peducci, che mancavano nella parte del palazzo costruito dall'austero cistercense Benedetto XII. Molti sono del resto gli elementi che nella parte nuova mostrano un architetto di estrazione diversa da quelli che avevano lavorato per il precedente pontefice; ciò vale per il profilo dei pilastri polilobati con colonnette addossate che raccolgono gli archi delle volte, come per il portale scolpito della cappella clementina, o per il disegno delle volte nervate. La grandiosa costruzione del palazzo papale colpì l'immaginazione dei contemporanei e dei posteri: "valde misteriosum et pulchrum" lo definisce un testo del tempo. L'imperatore Sigismondo, visitando la città nel 1415-1416, volle portare con sé un dipinto che ne riproduceva l'aspetto e che comportava l'indicazione dell'altezza, della lunghezza e dello spessore di torri, mura e tetti. D'altra parte da A. vennero richiesti architetti in molti paesi d'Europa: un maestro, Guglielmo d'A., fu chiamato da Jan Drazic, vescovo di Praga, per costruire un ponte sull'Elba a Raudnitz nel 1333 (ciò deve essere visto in rapporto con le particolari competenze dei tecnici avignonesi spesso impegnati nei restauri, nella manutenzione e nelle ricostruzioni del grande ponte sul Rodano), mentre sempre in Boemia, a Praga, venne chiamato da A. l'architetto Mathias d'Arras per costruire la cattedrale della città, un'altra prova, insieme all'attività per Clemente VI di Johannes de Luperiis, della presenza di architetti nordici nella città provenzale.
L'impresa architettonica di maggior respiro del Trecento avignonese fu la lunga costruzione del palazzo. I più celebri tra gli architetti pontifici furono i citati Petrus Piscis (Pierre Poisson) e Johannes de Luperiis (Jean de Louvre), ma le enormi trasformazioni urbane di A. richiedettero il concorso di molti lapicidi e architetti. Nel periodo di residenza dei papi furono infatti costruite trentuno livree cardinalizie, oggi completamente trasformate o addirittura distrutte e furono ricostruite o totalmente ristrutturate le chiese cittadine, mentre molte altre vennero fondate. Date però le successive trasformazioni non resta molto per poter giudicare dei caratteri dell'architettura avignonese del Trecento. L'antica chiesa di Saint-Agricol fu fatta ricostruire da Giovanni XXII nel 1322; alle sue cappelle laterali, fondate dal pontefice e da diversi cardinali, lavorò il lapicida Bérenger Bermond.La sua pianta, con due navate laterali che fiancheggiano la principale, è rara per il Mezzogiorno della Francia, dove in genere si preferivano chiese a navata unica. Anche l'antica chiesa di Saint-Pierre venne ricostruita grazie al cardinale Pierre de Près, vescovo di Palestrina, che vi fondò nel 1358 un collegio di canonici. Meglio conservata nella sua struttura è Saint-Didier, ricostruita a spese del cardinale Bertrand de Déaux nel 1356. Si conoscono i nomi dei lapicidi che vi lavorarono, tra cui quelli di Jean Postier di Salon, attivo al palazzo dei Papi, e di Jacques Laugier di A., che, tra il 1372 e il 1377, costruì il campanile, tuttora esistente, della chiesa dei Grands Augustins, e quello dell'architetto Jaume Alasaud, che aveva fatto il progetto della chiesa (il contratto precisa che era lui a seguire i lavori su un disegno) e che aveva già lavorato per Giovanni XXII e per Benedetto XII. Un'altra chiesa trecentesca ben conservata è quella extraurbana di Montfavet, che prende nome dal suo fondatore Bertrand de Montfavet e che fu costruita tra il 1343 e il 1347 da due lapicidi avignonesi, Bertrand e Pierre Folcaud. L'impresa più rilevante che marca la seconda metà del secolo fu quella della costruzione di una nuova cinta di mura che venne a inglobare i nuovi borghi sorti al di là delle antiche cinte durante l'esplosione demografica che la città conobbe nel Trecento. L'impresa durò una ventina d'anni, tra il 1355 e il 1372 ca.; ne diresse i lavori Bertand de Manse, ma vi contribuirono architetti e lapicidi già attivi in altre costruzioni, come Jacques Laugier.
Il più significativo episodio della vocazione internazionale dell'A. papale si svolse tuttavia nel campo della pittura piuttosto che in quello dell'architettura. Ad A. si verificò difatti una serie di incontri e di scambi destinati ad avere grandi conseguenze per la vicenda della pittura europea. Qui pittori italiani portatori di una nuova capacità di rappresentare lo spazio e il volume, con tutto ciò che questo comporta per la funzione stessa della pittura, vennero direttamente a contatto con artisti nordici, fossero essi inglesi, francesi, occitanici, con scultori parimenti nordici e soprattutto con committenti e pubblici assai diversi da quelli che avevano lasciato in Italia. L'incontro con gli artisti nordici ebbe come conseguenza una riflessione sui valori lineari della pittura gotica e un'attenzione particolare a certe caratteristiche dello stile estremamente raffinato che si era sviluppato negli ambienti di corte; il contatto con committenti e pubblici diversi comportò un'attenzione a richieste diverse, un cambiamento di abitudini, una possibilità di infrangere norme, canoni, regole, tradizioni. L'opportunità che qui era data di coniugare la superiorità della rinnovata cultura pittorica centroitaliana con spunti e suggerimenti del Gotico transalpino, il tutto in un rapporto nuovo e diverso con il contesto sociale, con i committenti, con il pubblico, permise la creazione di un clima affatto particolare e la creazione di opere con notevoli capacità di diffusione, che poterono porsi come modelli. Si deve a questa situazione unica se ad A. furono possibili, in tempi assai precoci, esperimenti artistici che annunciarono e fondarono il nuovo stile gotico internazionale.I primi arrivi di pittori italiani, assai rarefatti peraltro, devono porsi al tempo di Giovanni XXII. Probabilmente giunse allora ad A., in una data che può collocarsi intorno al 1320-1325, il Maestro del Codice di s. Giorgio, anonimo autore di uno dei più stupefacenti codici miniati del Trecento italiano (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, C. 129), eseguito per il cardinale Jacopo Stefaneschi, titolare della chiesa romana di S. Giorgio al Velabro, singolarissima figura di committente che ordinò opere a Giotto e a Simone Martini. È possibile che lo stesso codice sia stato eseguito in A., dove lo Stefaneschi fece lunghissimi soggiorni alternandoli con viaggi a Roma. La cultura del Maestro del Codice di s. Giorgio, che presenta elementi fiorentini e senesi amalgamati da una forte vena gotica, trova probabilmente una spiegazione proprio nella varietà dell'ambiente avignonese.Successivamente, negli anni trenta, sotto il pontificato di Benedetto XII, altri artisti giunsero ad A.; alcuni lavorarono nelle squadre intente ad affrescare i nuovi ambienti del palazzo papale, altri invece per l'ambiente dei cardinali italiani. Fu tra questi Simone Martini, il cui arrivo ad A. si pone forse già nel 1336 e che morì in curia nel 1344. Ad A. Simone eseguì, su commissione del cardinale Stefaneschi, un gruppo di affreschi nell'atrio della cattedrale di Notre-Dame des Doms, decorando la lunetta e il timpano del portale, la volta e i muri nord e sud del vestibolo. Solo gli affreschi che decoravano il portale, la lunetta con la Madonna dell'Umiltà tra due angeli che le presentano il cardinale Stefaneschi e il timpano con il Cristo redentore tra angeli, così come il fregio che corre sull'intradosso dell'arco della lunetta, sono stati conservati e staccati. Questa operazione ha reso tra l'altro possibile il recupero delle splendide sinopie. Gli affreschi del muro sud (S. Giorgio che libera la principessa, distrutto stoltamente nel 1829, ma di cui rimangono antiche testimonianze grafiche) e del muro nord (Miracolo del beato Andrea Corsini), come anche le decorazioni della volta, sono andati perduti. All'attività avignonese di Simone spetta anche la miniatura che decora il frontespizio di un codice di Virgilio (Milano, Bibl. Ambrosiana, S.P.10.27) appartenuto a Petrarca. Il programma iconografico sottile e complesso, che mostra il poeta ispirato al riparo di una cortina che il commentatore Servio solleva, attorniato da un guerriero, da un pastore e da un contadino, che simboleggiano l'Eneide, le Bucoliche e le Georgiche, deve essere attribuito a Petrarca, che ha reso omaggio all'amico pittore con un distico che suona "Mantua Virgilium qui talia carmina finxit/ Sena tulit Symonem digito qui talia pinxit". Altra opera certa del periodo avignonese è la scena non comune del ritorno del giovane Gesù dalla disputa con i dottori nel Tempio, opera firmata e datata 1342 (Liverpool, Walker Art Gall.). È possibile che spetti anche al periodo avignonese, e alla sua prima fase, il piccolo polittico con scene della Passione di Cristo e l'Annunciazione, dipinto per il cardinale Napoleone Orsini, oggi disperso tra Anversa (Koninklijk Mus. voor Schone Kunsten), Parigi (Louvre) e Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.), e che si trovava nella certosa di Champmol presso Digione dalla fine del Trecento. Altre opere furono eseguite da Simone in A.; tra quelle perdute, il ritratto del cardinale Napoleone Orsini e quello di Laura, di cui parla Petrarca, stanno a testimoniare il ruolo importante svolto dalla città nella nascita del ritratto moderno.Simone Martini e il Maestro del Codice di s. Giorgio lavorarono principalmente per l'ambiente dei cardinali e degli intellettuali di curia, ma vere e proprie squadre multinazionali di artisti furono attive per anni alla decorazione, solo parzialmente conservata, del palazzo papale. Al pontificato di Benedetto XII appartengono certamente le decorazioni della camera del papa, situata in quella torre degli Angeli costruita dall'architetto Petrus Piscis nel 1336. La decorazione di questa camera, molto ripresa nel Novecento, è fatta da rami, virgulti e racemi vegetali, popolati da piccoli animali, scoiattoli, uccelli, sulle quattro grandi pareti, mentre nei profondi sguanci delle due finestre appaiono in trompe-l'oeil elementi architettonici, ampie finestre gotiche da cui pendono gabbie di uccelli, per lo più vuote. È possibile che la diversità di presentazione tra il motivo a racemi sulle pareti, essenzialmente bidimensionale, e gli effetti illusionistici degli sguanci sia dovuta a una distribuzione di compiti nella bottega papale, che avrebbe affidato i motivi più tradizionali e bidimensionali a maestri francesi, capeggiati da Jean Dalbon, mentre avrebbe riservato le immagini tridimensionali a maestri italiani, come i senesi Filippo e Duccio, i cui nomi appaiono in buona posizione nei registri dei conti camerali. Tralasciando altri minori resti, frammenti significativi di decorazione sono venuti alla luce nel 1969 nella c.d. sala del Conclave e rappresentano motivi architettonici, placche di marmo, archi, colonne tortili decorate con motivi cosmateschi, quadrilobi e, dietro gli archi, immagini di tappeti distesi. Qui le citazioni di opere e di motivi italiani sono troppo evidenti per non pensare a pittori di origine toscana. Resta qualche dubbio, data la presenza dei blasoni di Benedetto XII e di Clemente VI, sulla datazione esatta dell'insieme.Ciò che si conosce della produzione pittorica ai tempi di Benedetto XII è abbastanza frammentario e non tale da consentire una ricostruzione plausibile del clima culturale. Accanto a un Simone Martini e a un Maestro del Codice di s. Giorgio, che lavoravano per il gruppo dei cardinali italiani, esistettero delle squadre di artisti operose alla decorazione del palazzo di cui troppo poco si sa. Più convincente è la ricostruzione che si può tentare dell'ambiente artistico curiale ai tempi di Clemente VI, dominato da personalità quali l'architetto Johannes de Luperiis e il pittore viterbese Matteo Giovannetti e da notevoli scultori probabilmente originari di Lione.Matteo Giovannetti fu il protagonista massimo di questo momento, il più significativo prodotto del clima culturale, molto particolare, dell'A. papale. Egli è documentato dal settembre 1343 all'aprile 1367; è qualificato come pictor pape e svolge il ruolo di direttore e organizzatore delle imprese pittoriche. Il suo nome compare per la prima volta, con molti altri, nei documenti riguardanti la decorazione della camera del Guardaroba, prossima a quella del papa, sulle cui pareti si svolge un ciclo di rappresentazioni consacrate a passatempi all'aperto, scene di pesca, di caccia, di bagni di fanciulli, il tutto contro uno sfondo di verzura, di fogliami, di alberi, di rami, di erbe che continua senza interruzioni per tutte le pareti. Certamente ha lavorato qui più di un artista, chi di sicura educazione italiana, chi di tradizione nordica. I documenti non sono sufficientemente chiari in quanto molte notizie si riferiscono a lavori in altri ambienti della torre del Guardaroba e non specificatamente a questa camera. È comunque verisimile che alla sua decorazione abbiano preso parte, oltre a Matteo Giovannetti, menzionato in un documento del 22 settembre 1343, altri pittori come gli italiani Pietro da Viterbo e Ricco d'Arezzo, i francesi Pierre Resdol, Robin de Romans, Symonnet de Lyon, Bisson de Gévaudan. Ed è possibile che il progetto di decorazione sia dovuto allo stesso Giovannetti, l'unico pittore per cui viene utilizzato il termine di magister. Successivamente Matteo Giovannetti diresse la decorazione della cappella di Saint-Martial e di quella di Saint-Michel (quest'ultima quasi completamente perduta), della cappella di Saint-Jean e della attigua sala del Concistoro (i cui affreschi furono distrutti da un incendio nel 1413), della sala dell'Udienza (una parte della cui decorazione fu distrutta nel 1822). La mano di Matteo si ritrova quasi ovunque laddove nel palazzo siano rimasti resti di decorazione dipinta e malgrado le grandissime perdite è possibile ricostruire un suo itinerario stilistico che va dagli affreschi della cappella di Saint-Martial (1344-1346) a quelli della cappella di Saint-Jean (1346-1348), a quelli della sala dell'Udienza (1352-1353). L'iconografia dei cicli è molto significativa: nella cappella di Saint-Martial, nella torre di Saint-Jean, si trattava di esaltare il santo limosino (la regione da cui proveniva Clemente VI) facendone il tredicesimo discepolo di Cristo, colui che aveva cristianizzato le Gallie, rendendo possibile lo stabilirsi in Francia della curia romana; si voleva in un certo modo trovare una legittimazione per questo traumatico spostamento. Anche nella scelta dei soggetti della cappella di Saint-Jean, dove sono rappresentate Storie dei due s. Giovanni, il Battista e l'Evangelista, si è vista un'allusione a un tema trattato in Laterano e quindi un'ulteriore insistenza sull'idea di A. come nuova Roma. Nella sala dell'Udienza infine il programma è mutilo per la perdita del grande affresco con il Giudizio sulla parete, ma il serrato dialogo dei profeti contiene - nei cartigli - un tessuto di allusioni al Giudizio in rapporto alla funzione della sala dove sedeva il tribunale della Rota.Al di là della presenza di molti aiuti (e questo non solo è particolarmente visibile, ma anche documentabile attraverso il quaderno di conti tenuto dallo stesso Matteo al tempo della decorazione della cappella di Saint-Jean), certe caratteristiche e preferenze del pittore viterbese sono evidenti. È chiaro per es. come la sua educazione sia stata essenzialmente senese, martiniana per molti aspetti, ma anche estremamente attenta alle esperienze spaziali dei fratelli Lorenzetti. L'incontro con i nuovi committenti e il nuovo ambiente di A. sollecitò una particolare attenzione ritrattistica che si manifesta in numerosi particolari, spinta a un grado non comune in Italia, nonché una certa libertà rispetto alle norme compositive toscane e una maggiore irregolarità nel tagliare e comporre le scene (cosa particolarmente visibile nella volta della cappella di Saint-Martial). Il fatto poi di rivolgersi con le sue pitture a un ambiente particolarmente dotto e letterato come era quello di curia spiega la presenza straripante di testi dispiegati in tituli e cartigli, sì che in certi casi, per es. nella volta dei Profeti nella sala dell'Udienza, gli scritti sembrano privilegiati rispetto alle immagini. Ma il fatto straordinario è l'assimilazione da parte di Matteo, particolarmente nei profeti dell'Udienza, delle qualità sinuose e lineari del Gotico francese, che dà luogo a un'autentica fusione dei caratteri salienti di due civiltà pittoriche. Matteo Giovannetti non fu solo autore di pitture murali; dai documenti risulta che diede i disegni per una cassa-reliquiario che Clemente VI fece eseguire a Parigi per l'abbazia della Chaise-Dieu e che dipinse anche tavole per le cappelle del palazzo e per la stessa abbazia, nonché cinquantasei tele con Storie di s. Benedetto per una chiesa di Montpellier. Qualche sua opera su tavola è ancora conservata: una piccola Crocifissione con santi (Viterbo, raccolte della Cassa di Risparmio), un trittico con la Madonna e i ss. Ermagora e Fortunato, probabilmente commissionato da un'ambasceria veneziana giunta ad A. nel 1345 (disperso tra il Mus. Correr di Venezia, una coll. privata parigina e una newyorkese) e infine una Madonna con Bambino adorata da un prelato, un'opera di straordinaria qualità (New York, coll. privata). È possibile anche che fosse di sua mano una tavola visibile prima della Rivoluzione nella SainteChapelle di Parigi, testimoniata da un disegno seicentesco, che rappresentava la visita di un monarca francese a Clemente VI. Questo fatto, come d'altronde l'invio a orafi parigini di suoi disegni, illumina una via della diffusione nel Nord della sua pittura.
Un altro campo in cui la penetrazione artistica italiana in A. fu consistente fu quello dell'oreficeria e degli smalti. Uno dei primi artisti italiani impiegati a corte fu Tauro da Siena, già al servizio di Bonifacio VIII a Roma nel 1299 e poi al seguito della corte papale in Provenza, orafo di Clemente V e di Benedetto XII (le notizie che lo riguardano vanno dal 1307 al 1326), ingaggiato nel personale fisso della curia come sergente d'armi; poi i nomi di origine italiana si moltiplicano. Nel 1371 nella sola parrocchia di S. Pietro ad A. risiedevano quarantasette orafi: diciassette di quelli di cui si conosce l'origine sono italiani, particolarmente di Siena e di Firenze; ancora una volta A. è un punto d'incontro, un crogiuolo in cui si fondono diverse esperienze, in cui prossimi ai toscani si trovano orafi parigini, di Lione o di Montpellier. Pochissimo resta della produzione avignonese, che dal numero degli orafi, dagli oggetti menzionati negli inventari papali, o anche dalle testimonianze grafiche residue (per es. il disegno settecentesco che attesta l'aspetto di tre lampade donate da Clemente VI all'oratorio degli Ospedalieri di Pont Saint-Esprit) si può pensare essere stata molto considerevole e in certi casi di altissimo livello, e pochi oggetti sono stati identificati con sicurezza, per certezza di provenienza o per il bollo della città. Tra questi la montatura della c.d. coppa del torneo in cristallo di rocca del Mus. Poldi Pezzoli di Milano, un piè di croce della cattedrale di Traù in Dalmazia, un altro piè di croce della cattedrale di Toledo, la rosa d'oro del Mus. de Cluny (Parigi), forse la croce donata dal vescovo Ildebrandino de' Conti alla cattedrale di Padova (che però sembra provenire da Pisa), e, prossima a questa, la croce della Coll. Carrand del Mus. Naz. del Bargello di Firenze. Anche per il capo-reliquiario di s. Martino proveniente dalla chiesa di Soudeilles nel Limosino (Parigi, Louvre), dove smalti translucidi di chiara impronta toscana sono inseriti nella mitra di un busto-reliquiario che ha caratteri propri alla Francia meridionale, si è pensato a un'origine avignonese, forse a un dono di Clemente VI, limosino, alla chiesetta rurale situata non lontana dal castello di Maumont dove il papa era nato. Non è a questo proposito da dimenticare che prodotti degli orafi avignonesi ebbero larga circolazione in Europa grazie ai doni e alla munificenza dei pontefici.
Anche l'attività dei miniatori fu fitta e intensa nell'A. papale. Dovettero lavorarvi illustratori provenienti dalla Francia del Nord - come Jaquet Maci, specialista nella decorazione filigranata, che collaborò in seguito con Pucelle nella Bibbia di Robert de Billyng, la cui mano è stata scorta da Dondaine (1975) in una serie di codici con le opere di s. Tommaso (Roma, BAV, lat. 731-732, 738, 745, 747, 757, 784-785, 787, 807, 2106), copiati e decorati per Giovanni XXII intorno al 1323, e nella Lectura in Genesim del domenicano Dominique Grima, dedicata al medesimo pontefice nel 1319 (Parigi, BN, lat. 365) - e toscani, come il citato Maestro del Codice di s. Giorgio e lo stesso Simone Martini, che illustrò, oltre al Virgilio di Petrarca, un testo del cardinale Stefaneschi sui miracoli avignonesi della Vergine, o ancora originari della Linguadoca, o della Spagna; a questi ultimi si devono le miniature del messale del cardinale Rosselli, illustrato nel 1365. Ad A. vennero decorati molti libri per una clientela eccezionale di papi, cardinali di curia, grandi intellettuali; vennero illustrate opere di cartografia; venne ornata (specialmente tra il 1322 e il 1364) una quantità di pergamene per lettere di indulgenza, destinate a essere affisse a cura dei destinatari alle porte di chiese e cappelle di tutta Europa. Qui un chierico pavese, Opicinus de Canistris, elaborò in una serie di fantastici disegni la sua personale cosmogonia. Tutte queste testimonianze dovrebbero essere considerate globalmente più di quanto finora non sia stato fatto per restituire la fisionomia ancora piena di oscurità della miniatura e dell'illustrazione in A. e delle sue ripercussioni europee.
Ancora relativamente poco conosciuta a causa delle gravissime distruzioni, delle menomazioni, delle mutilazioni e degli spostamenti subìti nel corso del tempo dalle tombe papali e cardinalizie, la scultura monumentale in A. fu certamente molto importante per le opere e i modelli che propose. Non si registra in questo caso come in quello della pittura un'egemonia italiana, quanto piuttosto nordica. Scultori giunsero dal Nord e da altre regioni della Francia (anche in questo caso A. funzionò come luogo di incontro e di scambio culturale), qualche segno di influenze italiane si avverte solo negli anni settanta dopo il breve ritorno a Roma di Urbano V.Il primo grande monumento funebre è quello che Giovanni XXII si fece elevare in una cappella meridionale della cattedrale, detta di Ognissanti o degli Apostoli, dove il nipote cardinale Jacques de Via vescovo di A. (m. nel 1317) era stato sepolto. Oggi rimane, molto danneggiata, solo parte della struttura architettonica a baldacchino del monumento. L'effigie del defunto in alabastro così come le statue che ne decoravano la base e i pilastri sono scomparsi, tranne due frammenti del corteo funebre, un diacono e un altro religioso, conservati al Mus. du Petit Palais. La tomba, per le analogie che presenta con opere dell'Inghilterra meridionale, è stata attribuita al lapicida Hugh Wilfred responsabile dell'architettura della cappella: questo accostamento fatto su basi tipologiche è tuttavia molto ipotetico in quanto il tipo della tomba a baldacchino è presente anche nel Nord della Francia a partire dalla fine del 13° secolo. In un'altra cappella della chiesa era il monumento di Benedetto XII, eseguito dallo scultore parigino Jean Lavenier (pagamenti tra il 1342 e 1345), che è conosciuto grazie a un'incisione precedente la sua distruzione (1689) e che riprendeva il modello della tomba a baldacchino. Il mausoleo di Clemente VI - di cui rimangono (al Mus. Crozatier di Le Puy e alla Chaise-Dieu) la statua giacente del defunto danneggiata e qualche frammento del ricco corteo dei pleurants, che comprendeva, come minutamente descritto nei conti della curia, chierici, cardinali, vescovi, arcivescovi, nobili, parenti del papa, ecc., precoce esempio di un tema che conobbe in seguito una grande fortuna - fu invece installato nell'abbazia della Chaise-Dieu in Alvernia verso cui si indirizzarono le attenzioni del pontefice che in gioventù vi era stato semplice monaco. Era stato eseguito probabilmente in A., tra il 1349 e il 1351, da un artista del Nord, Pierre Boye (autore, con Jean Pepin de Huy nel 1313, della tomba parigina di Ottone di Borgogna e che aveva quindi lavorato per la contessa Mahaut d'Artois), con la collaborazione di Jean de Sanholis (o de Soignolles), scultore parigino di cui si hanno notizie tra il 1349 e il 1358, autore, nel 1358, della tomba della regina Jeanne de Boulogne e del suo primo marito Filippo di Borgogna per la Sainte-Chapelle di Digione, e di Jean David. Innocenzo VI (m. nel 1362) fece elevare nel 1361 la propria tomba, che segue lo schema a baldacchino della tomba di Giovanni XXII, in una cappella dell'abbazia da lui fondata a Villeneuve-lès-Avignon. Vi lavorarono l'architetto Bertrand Nogayrol, il lapicida Thomas de Tournon e lo scultore Barthélémy Cavallier (notizie tra il 1372 e il 1389), originario della diocesi di Poitiers, autore della statua del defunto. Allo stesso scultore (autore nel 1372 di una statua di S. Pietro per la torre del ponte di A.), con la collaborazione di artisti di diversa formazione, si deve, tra il 1372 e il 1377, la tomba del cardinale Philippe de Cabassole (m. nel 1372) alla certosa di Bonpas presso A., che presentava tra l'altro l'Incoronazione della Vergine e il Collegio degli apostoli, un tema che ebbe in seguito molto successo nei programmi plastici avignonesi al tempo dello scisma. Smantellata nel periodo rivoluzionario, ne sussistono alcune sculture, riconosciute da Baron (1979), disperse tra il Mus. du Petit Palais, il palazzo dei Papi e il Mus. Grobet-Labadié di Marsiglia. Più o meno agli stessi anni (1370-1373) appartiene la tomba di s. Elzeario di Sabran, commissionata dal cardinale Anglic de Grimoard, fratello del pontefice Urbano V, per la chiesa dei Francescani di Apt, i cui bellissimi frammenti sono oggi dispersi tra collezioni e musei francesi e americani. Altra tomba cardinalizia importante fu quella di Bertrand de Déaux (m. nel 1355), riscoperta nella chiesa di Saint-Didier e studiata da Gaignière (1977), che ha identificato la bella testa della statua giacente nel Mus. du Petit-Palais. L'impresa, cui collaborarono scultori e pittori, dovette essere eseguita nei primi anni del settimo decennio del secolo, dopo la consacrazione della chiesa avvenuta nel 1359.
Qualche resto dell'antico splendore delle livree cardinalizie avignonesi sussiste tuttora malgrado distruzioni e ristrutturazioni e talvolta si conserva anche qualche resto dell'originale decorazione pittorica, frequentemente con motivi di caccia, talora con semplici motivi ornamentali. Scene di caccia sulle pareti e un soffitto ligneo decorato conserva l'antico collegio della Croce (originariamente una livrea cardinalizia, quella di Viers o quella del Puy); le pitture sembrano qui opera di maestri francesi e, per la decorazione pseudoarchitettonica, di italiani attivi intorno al 1335, ai tempi di Benedetto XII. Altri resti di pitture con animali, provenienti da una casa distrutta, forse l'antica livrea di Saint-Ange, sono oggi conservati al palazzo dei Papi e sembrano dovuti a maestri francesi. Ad artisti italiani si devono invece le pitture con singolari effetti di illusionismo spaziale scoperte nell'antica livrea di Ceccano (che oggi ospita la Bibl. Mun. di A.) databili intorno agli anni quaranta del Trecento. Sempre ad artisti italiani sono attribuiti gli affreschi che si trovano nella torre dell'Orologio dell'Hôtel de Ville, resto di quella che veniva chiamata la livrea d'Albano, costruita intorno al 1350 da Ardoin Aubert, nipote del futuro papa Innocenzo VI. Altri dipinti, sempre di artisti italiani, sono emersi in un edificio della rue du Gal che aveva anch'esso fatto parte di un'antica livrea cardinalizia. Si tratta di una Carità di s. Martino e di una Crocifissione con diversi personaggi, in quella che dovette essere la cappella, e di un fregio con scene di caccia e di pesca (questa volta di mano francese) in un'altra sala.Villeneuve-lès-Avignon.
Di fronte ad A., sulla opposta sponda del Rodano, all'estremità del ponte Saint-Bénézet, si sviluppò nel corso del Trecento la città nuova di Villeneuve-lèsAvignon. Venne fondata da Filippo il Bello dopo che questi ebbe rinnovato, nel 1292, il trattato con i Benedettini dell'antica abbazia di Saint-André, che concedeva esenzioni e privilegi agli abitanti della città. Un ingegnere reale, Raoul de Mornel, costruì la torre di Filippo il Bello che sorvegliava la testa del ponte Saint-Bénézet e tutta una serie di costruzioni di difesa tra il 1293 e il 1307. Lo sviluppo della città si deve però soprattutto a papi e cardinali avignonesi che ne fecero la loro residenza estiva costruendovi non meno di quindici palazzi. Una chiesa collegiata vi fu fondata nel 1333 dal cardinale Arnaud de Via, nipote di Benedetto XII. L'edificio, anteriore alla chiesa di Saint-Didier ad A. e a quella di Montfavet, è un bell'esempio di Gotico meridionale, con navata unica voltata e possenti contrafforti esterni, cui si appoggiano da ambo i lati le cappelle. Vennero anche costruiti un'alta torre fortificata sulla zona absidale, che funge da campanile, e un chiostro. La chiesa è il monumento funebre del suo fondatore e conserva una splendida scultura in avorio, una Madonna con Bambino assisa, che si annovera tra i più significativi avori parigini del Trecento e che può essere datata intorno al 1330. Clemente VI si costruì anch'egli un'importante dimora estiva, acquistando la livrea del cardinale Napoleone Orsini e facendola trasformare e decorare dal gruppo di artisti che lavorava al palazzo, l'architetto Jean de Louvres, il maestro vetraio Christian de Cantinave e il pittore Matteo Giovannetti. Niente purtroppo rimane di questa costruzione. Il successore di Clemente, Innocenzo VI, fondò nel 1356 un insediamento di Certosini all'interno della sua livrea, chiamandovi a decorarne la cappella Matteo Giovannetti, i cui affreschi sono in gran parte conservati, e incaricando Bernard Nogayrol, direttore dei lavori (che ricevette 200 fiorini nel 1361), il lapicida Thomas de Tournon e lo scultore Barthélémy Cavalier di costruirgli una tomba nella cappella della Trinità. L'ampliamento della certosa continuò anche dopo la morte di Innocenzo VI e nel 1372 nuove costruzioni che ne raddoppiarono le dimensioni furono commissionate per volontà del cardinale di Pamplona. Gli scultori attivi al palazzo dei Papi lavorarono alle mensole figurate della collegiata e della certosa, mentre ingegneri militari del Nord costruirono le grandi torri gemelle circolari, sormontate da caditoie appoggiate su mensole, del forte Saint-André, il sistema fortificato eretto sulle pendici del monte Andaon accanto all'antica abbazia benedettina, iniziato ai tempi di Filippo il Bello. L'imponente struttura del forte costituisce, insieme al palazzo dei Papi, il monumento architettonico trecentesco più significativo in quest'area e mostra, rispetto a certi aspetti tradizionali del palazzo, elementi notevolmente moderni.
Uno spartiacque nella storia della produzione artistica ad A. fu l'abbandono della città da parte dei pontefici. L'avvenimento si consumò in due tempi, una prima volta con Urbano V, nel 1369, una seconda volta con Gregorio XI, che lasciò A. il 23 agosto 1376.La città provenzale sembrava allora destinata ad assistere a una caduta delle commissioni artistiche, a una diaspora degli artisti che vi lavoravano. Senonché, dopo la morte di Gregorio XI nel 1378 e l'elezione di un papa italiano, il cardinale napoletano Bartolomeo Prignano che prese il nome di Urbano VI, un gruppo di cardinali francesi si riunì a Fondi ed elesse un altro papa nella persona del cardinale Robert de Genève. Questi, assunto il nome di Clemente VII, ritornò a stabilirsi ad Avignone. Per lui si schierarono incondizionatamente Carlo V, re di Francia, e molti altri potenti, tanto che la città provenzale ritornò a essere una capitale, se non dell'intera cristianità, almeno di una sua parte importante.A Clemente VII successe poi l'aragonese Pedro de Luna (Benedetto XIII), cui però venne meno l'appoggio francese, fatto che lo costrinse, dopo un lungo assedio, ad abbandonare la città nel 1403, senza peraltro rinunciare al proprio titolo.Dopo un vano tentativo di conciliazione in occasione del concilio di Pisa (1409), che aveva portato alla nomina di un terzo papa, Alessandro V, lo scisma durò fino al 1417 con l'elezione di Martino V (Ottone Colonna).Il momento del pontificato di Clemente VII (1378-1394) fu ricco di commissioni artistiche, particolarmente nel campo della scultura e nella fattispecie della scultura funeraria. Negli anni dello scisma le attività artistiche si concentrarono particolarmente attorno a due nuove fondazioni: il priorato cluniacense di Saint-Martial e il monastero dei Celestini.Saint-Martial era un monastero-collegio benedettino (oltre ai monaci doveva ospitare dodici studenti di diritto canonico), la cui chiesa fu costruita a partire dal 1383 a spese di due cardinali, Pierre de Cros e quindi Jean de Lagrange.L'iniziativa per la costruzione della chiesa dei Celestini era invece venuta direttamente dal papa Clemente VII che aveva fondato un monastero, chiamandovi i monaci di quest'ordine che personalmente predilesse e appoggiò, sul luogo dove era stato seppellito nel 1387 il giovane cardinale Pietro di Lussemburgo, morto in odore di santità. Il culto, che si era immediatamente sviluppato sulla tomba del beato che per umiltà aveva voluto essere seppellito nel cimitero dei poveri, venne così recuperato e utilizzato da Clemente VII (che aveva fatto cardinale il giovane) come importante strumento di legittimazione del papato avignonese.Le due chiese ospitavano i più significativi monumenti funerari creati ad A. al tempo del Grande scisma, tra cui quelli del cardinale de Lagrange e del cardinale Guillaume II d'Aigrefeuille a Saint-Martial e quello di Clemente VII nella chiesa dei Celestini. Scarse vestigia restano di questa grande stagione della scultura avignonese, ma quanto ancora sussiste testimonia della varietà delle esperienze artistiche che ebbero corso in questo momento nella città.Uno dei monumenti più rilevanti è la tomba del cardinale de Lagrange iniziata intorno al 1389 per volere del medesimo, che morì poi nel 1402. Si trattava di una costruzione suntuosa e smisurata (m. 15 di altezza, la più grande tomba del Medioevo) che sorgeva nel coro della chiesa giungendo fin sotto le volte e il cui aspetto, prima della distruzione, è noto grazie a un disegno seicentesco.Sopra l'immagine del transi, vale a dire del cadavere emaciato del defunto, una macabra rappresentazione legata a una nuova concezione della morte che si andava facendo strada, era l'effigie giacente del cardinale, in alabastro, sormontata dal collegio apostolico (un tema molte volte ripreso ad A. in questo periodo, verisimilmente per mettere in relazione la curia avignonese con gli apostoli e sottolinearne la legittimità). Si elevavano quindi, una sull'altra, una serie di Storie della Vergine, accompagnate da personaggi adoranti. Erano tra questi lo stesso cardinale, Carlo VI re di Francia, Luigi duca d'Orléans suo fratello, suo padre il re Carlo V, e, al sommo, il papa Clemente VII. La presenza di questi personaggi storici conferiva al monumento il valore di una sorta di manifesto politico: Jean de Lagrange, che aveva ricoperto un ruolo importante accanto al re Carlo V, voleva sottolineare il proprio credo politico, auspicando l'appoggio totale della monarchia francese alla causa del papato avignonese. Ciò spiega la presenza di Clemente VII al sommo del monumento accanto all'Incoronazione della Vergine e quella dei due re e del duca di Orléans.Scarse e variamente dislocate sono le vestigia di questo straordinario monumento, ma ciò che è ancora conservato al Mus. du Petit Palais, mostra una tale eccezionale qualità e una presenza così forte di innovazioni, sia iconografiche sia stilistiche, da porlo tra i capolavori della scultura nordica della fine del Trecento.La forte accentuazione realistica suggerisce che la tomba sia stata scolpita da artisti nordici, chiamati ad A. dal cardinale, il quale precedentemente (1372-1375) era stato vescovo di Amiens e vi aveva fatto decorare, con nove statue fortemente caratterizzate e personalizzate, il c.d. beau pilier (contrafforte nordoccidentale della torre nord della facciata della cattedrale). Artefici diversi per qualità e per cultura dovettero lavorare a quest'impresa, ma è difficile pensare, come è pure stato proposto (Morganstern, 1976), che fra essi fosse Perrin (Pierre) Morel.Fu questo il più importante artista - tra quelli il cui nome è conosciuto - operante ad A. sullo scorcio del Trecento e qui morto nel 1402. Era originario di Maiorca, nel 1370 lavorava alle sculture della cattedrale di Mende, nella Francia meridionale, quindi, a partire dal 1386, domiciliò a Lione dove veniva chiamato nei documenti maitre Perrin l'ymageur. Dal 1393 fu ad A. dove nei conti papali appare il suo nome accompagnato dal termine peyrerius o lapicida. Dovette quindi essere conosciuto soprattutto come scultore, ma fu in qualità di architetto che il papa lo inviò verso il 1393-1394 ad Annecy per mettervi a punto il progetto di un monastero dei Celestini che intendeva edificare, ma che non riuscì a realizzare prima della morte. A lui venne affidato il compito di costruire la chiesa dei Celestini ad A.: un contratto dell'11 aprile 1396 lo nomina infatti non solo come lapiscida, ma come "primus magister opus fabricae huius monasterii". Per il cantiere si impegnava a ingaggiare otto scultori, cinque muratori e quattro manovali. Fu lui l'autore della tomba di Clemente VII che si trovava nella chiesa (resta solo, al Mus. du Petit Palais, la testa mutilata della statua giacente del pontefice) e per cui ricevette un pagamento nel 1402. All'interno della chiesa, dovette essere particolarmente coinvolto nella decorazione e a lui devono spettare le sculture delle splendide chiavi di volta che nel coro decorano l'incrocio dei grandi archi ogivali (il Cristo giudice che mostra le sue piaghe) e dei minori costoloni (la Vergine e il Battista che assistono il Cristo giudice, i quattro evangelisti). Dal medesimo edificio proviene un superbo rilievo con il Padre Eterno benedicente (Mus. du Petit Palais), una delle più impressionanti creazioni della scultura avignonese di questo tempo.Il figlio di Perrin fu Jacques Morel (m. nel 1459 ad Angers), personaggio abbastanza misterioso che giunse ad A. nel 1402 per regolare la successione del padre. Dai documenti appare attivo, oltre che a Digione, a Lione, Tolosa, Rodez, Montpellier, Angers, Souvigny. La fama gli venne soprattutto dai monumenti tombali. Fu autore infatti della tomba di alabastro (iniziata nel 1448 e compiuta in cinque anni sul modello, esplicitamente indicato nel contratto, della tomba di Filippo l'Ardito a Digione) per il duca Carlo I di Borbone e la moglie Agnese (figlia del duca di Borgogna Giovanni Senza Paura) nella neuve chapelle della chiesa abbaziale di Saint-Pierre a Souvigny. Distrutte, ma ricordate dai documenti, sono le tombe che scolpì per il cardinale Amedeo di Saluzzo nella cattedrale di Lione e per il re Renato d'Angiò e la moglie Elisabetta di Lorena nella cattedrale di Angers (realizzata nel 1453 in collaborazione con l'architetto Jean Poncelet). Nipote di Jacques Morel fu Antoine le Moiturier, che da A. si recò a Digione per completare (1466-1470) la tomba di Giovanni Senza Paura iniziata dallo spagnolo Juan de la Huerta.Si configura così la fisionomia di una dinastia di scultori che gravitarono attorno ad A. e nell'area della valle del Rodano e che rappresentarono in qualche modo un'alternativa allo stile fiammingo sluteriano; in questo contesto vanno altresì considerate le sculture del portale meridionale della facciata della cattedrale di Saint-Maurice a Vienne, che porta gli stemmi di Clemente VII, e quelle della facciata della chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois.Molti altri resti frammentari testimoniano della scultura avignonese al tempo del Grande scisma; splendida tra questi la testa della statua giacente del cardinale Guillaume II d'Aigrefeuille (m. nel 1401), proveniente dalla tomba che era nella chiesa di Saint-Martial (Mus. du Petit Palais), e la statuetta di un apostolo (oggi in deposito al palazzo dei Papi) che ha probabilmente la stessa origine.
Il travagliato periodo del pontificato di Benedetto XIII vide anche la produzione di importanti opere di oreficeria come il busto-reliquiario di s. Valerio, patrono di Saragozza, che il pontefice donò nel 1397 alla cattedrale di questa città, e quelli (probabilmente eseguiti tra il 1397 e il 1405) per la medesima cattedrale, per ospitare le reliquie dei santi diaconi Vincenzo e Lorenzo. Particolarmente significativo è il busto di s. Valerio in argento dorato, con l'incarnato dipinto al naturale, la tiara tempestata di pietre preziose, un fastoso, ricchissimo fermaglio sul petto e il colletto della tunica guarnito di smalti entro quadrilobi. Esso poggia su uno zoccolo decorato a motivi architettonici contro la cui parte anteriore due angeli reggono le armi di Benedetto XIII, sormontate dal triregno. Due iscrizioni precisano il nome del santo, quello del donatore e l'anno della donazione, minacciando di scomunica chi avesse alienato il prezioso oggetto. Due medaglioni smaltati sul colletto portano le immagini della Vergine e dell'angelo dell'Annunciazione chiaramente italianizzanti. Una certa diversità tra le due statuette di angeli sullo zoccolo, splendide figure del Gotico internazionale, e l'impostazione del busto, un poco più arcaica e fortemente segnata da caratteri italiani, induce a pensare che il busto, più antico, sia stato modificato ai tempi di Benedetto XIII con l'aggiunta dello zoccolo con le iscrizioni e dei due angeli con le armi del pontefice. In questo caso l'autore del busto sarebbe da ricercarsi nell'ambiente di Giovanni di Bartolo, orafo senese operoso anche ad A., documentato tra il 1364 e il 1385, autore del grande busto-reliquiario di s. Agata per la cattedrale di Catania, compiuto nel 1376, e precedentemente, tra il 1369 e il 1372, di due reliquiari con le immagini dei ss. Pietro e Paolo ordinati da Urbano V per la basilica lateranense, oggi scomparsi, ma di cui rimangono stampe. Più tardi sono i busti dei due santi diaconi; a uno di essi si riferisce verisimilmente un documento del 1405 che registra un pagamento fatto allo smaltista Guigo, allora associato con l'orafo Jean Alpot, di probabile origine fiamminga, per lo zoccolo del busto di s. Vincenzo. Probabile origine avignonese, sempre in rapporto con le commissioni di Benedetto XIII, aveva un calice riccamente smaltato scomparso durante la guerra civile spagnola, già nel tesoro della cattedrale di Tortosa.
Anche pittori e miniatori continuarono a lavorare ad A. negli anni dello scisma e in quelli immediatamente precedenti. Commissioni in questi campi continuarono ad avere luogo, sia nel campo della pittura murale o di quella su tavola sia nell'illustrazione di manoscritti. Non ci furono più episodi comparabili per qualità e portata a quelli che ebbero a teatro la città provenzale al tempo di Benedetto XII o di Clemente VI, ma continuò una grande richiesta di pittura, come testimoniano tra l'altro le ricerche frequenti dei corrispondenti del mercante Francesco Datini, che acquistavano dipinti in Toscana per far fronte alle domande che venivano dalla città papale (nel 1386 vi giunsero da Firenze ben quattro tavole di Jacopo di Cione), dove venne così a configurarsi l'embrione di un primo mercato artistico. Le pitture tuttavia non erano solamente importate, ma anche eseguite sul posto.È probabile che gli affreschi riemersi sulle pareti della cappella sepolcrale della famiglia Cardini nella chiesa di Saint-Didier (con una Discesa dalla croce, un'Annunciazione, figure di profeti, ecc.) siano anteriori al periodo dello scisma, tempo nel quale alcuni studiosi vorrebbero collocarli, e siano piuttosto opera di un gruppo di pittori, probabilmente fiorentini, operosi per committenti della stessa città, quali erano i Cardini verso gli anni sessanta del Trecento. Al 1380 ca. è databile il trittico (Angers, Mus. des Beaux-Arts et Mus. David), opera di un pittore senese con forti reminiscenze di Matteo Giovannetti, che presenta in uno degli sportelli le immagini di due santi vescovi avignonesi, Agricola e Magno. È questa una delle rare tavole sopravvissute di quelle eseguite ad A. che possa venir datata in questo momento. Un poco più tarda (intorno al 1400) e di pittore di diversa cultura, che è stato ritenuto, non convincentemente, originario dell'Italia settentrionale, è la tavoletta dell'Art Mus. di Worcester (MA) con l'immagine del beato Pietro di Lussemburgo in atto di presentare un devoto alla Vergine in trono.
Se solo pochi oggetti possono testimoniare della pittura su tavola nell'A. della fine del Trecento, assai più numerosa è la produzione miniatoria. Un importante punto di riferimento per questa sono le illustrazioni del messale eseguito per Clemente VII (Parigi, BN, lat. 548) cui è operoso, tra gli altri, un miniaturista dai modi assai tipici, ricco di una vivace espressività che si manifesta per es. nella Crocifissione a piena pagina su sfondo rosso a racemi d'oro (c. 153 bis v), piena di dettagli pittoreschi e icastici (come nel gruppo di soldati che giocano a dadi le vesti di Cristo). Allo stesso miniaturista spetta l'illustrazione di un altro messale prodotto ad A. nel 1402 per l'abbazia catalana di San Cugat del Vallès (Barcellona, Arch. Cor. Arag., Bibl. Auxiliaria, S. Cugat 14) e quella di un commentario sui Vangeli di Agostino Trionfo (Avignone, Mus. Calvet, Bibl., 71-72) che Clemente VII aveva fatto eseguire per il monastero dei Celestini che intendeva fondare ad Annecy, e che poi finì, dopo che la morte del papa ebbe vanificato questo progetto, nella biblioteca del monastero avignonese dei Celestini.È certo che questo artista - nelle cui opere gli elementi italianeggianti (il fregio a fogliami, l'incorniciatura pseudoarchitettonica in trompe-l'oeil) si fondono con altri più decisamente gotici - ebbe modo di ben conoscere la miniatura boema contemporanea (Avril, 1981) tanto da far pensare che provenisse da quest'area; è altresì significativo che determinate sue formule si ritrovino nella pittura murale del Piemonte occidentale.Un certo numero di codici miniati è stato accostato all'atelier avignonese responsabile dell'illustrazione del messale di Clemente VII: tra questi sono due libri d'ore (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 9450; A., Mus. Calvet, Bibl., 225), un esemplare di un trattato mistico, il Liber soliloquiorum anime penitentis ad Deum, eseguito per il cardinale Galeotto Tarlati di Pietramala tra il 1387 e il 1398 (Parigi, BN, lat. 3351). Ma molti altri codici furono eseguiti in quegli anni negli scriptoria avignonesi; tra questi un esemplare del Livre de la chasse di Gaston Phébus (Parigi, BN, fr. 619), uno splendido libro d'ore con cinque piene pagine decorate da scene miniate che ricordano fortemente Matteo Giovannetti (Parigi, BN, lat. 10527) e un volume delle Vitae Romanorum Pontificum (Parigi, BN, lat. 5142), eseguito per Benedetto XII, cui lavorarono diversi illustratori: tra questi il miniatore principale del messale di Clemente VII, operoso dunque anche per il nuovo papa insieme ad altri miniatori dell'atelier avignonese e a un terzo artista, un religioso spagnolo, Sancio Gontier, che si era formato a Bologna e a cui fu indirizzato un pagamento per l'illustrazione di un altro volume eseguito per Benedetto XIII (Parigi, BN, lat. 968).
La grande stagione della pittura avignonese al tempo di Clemente VI aveva visto la nascita di opere fondamentali per la formulazione e lo sviluppo del Gotico internazionale, quel particolare linguaggio cortese e cosmopolita nel quale gli apporti della pittura senese e di quella gotica francese si intrecciarono fittamente e che si estese rapidamente nei massimi focolai artistici europei a partire dal 1370-1380. A., che del nuovo stile era stata in qualche modo la culla, non partecipò allo sviluppo di questo fenomeno con altrettanto vigore e ampiezza di quanto avvenne in altri centri di corte. Questo fu certo dovuto alla situazione molto particolare della corte papale in seguito allo scisma, al fatto che, dopo che Matteo Giovannetti ebbe lasciato la città per seguire a Roma Urbano V, le grandi imprese pittoriche conobbero una sosta, che le opere più significative qui prodotte negli ultimi decenni del Trecento siano state eseguite in scultura e in parte, certamente, anche alle distruzioni, lacerazioni e lacune che rendono difficile ricostruire compiutamente il panorama artistico di questi anni.Un artista di singolari doti e capacità, ancora poco studiato e che ebbe certamente respiro europeo, fu il miniatore principale del messale di Clemente VII, di probabile origine boema, cui si è già accennato; più radi e meno significativi sono le tavole e gli affreschi che spettano a questo momento.Un'opera su tavola assai interessante, databile già agli inizi del Quattrocento, è l'altare di Thouzon, le cui parti laterali (la centrale è perduta) sono al Louvre e rappresentano S. Caterina, S. Sebastiano e due scene della Vita di s. Andrea; esse provengono da una cappella del priorato benedettino di Thouzon, appartenente all'antica abbazia di Saint-André costruita sulla destra del Rodano, sul luogo dove poi sorse Villeneuve. L'opera è indubbiamente dovuta a un pittore avignonese e accosta ricordi dei dipinti di Matteo Giovannetti (nella rappresentazione spaziosa degli interni) a tratti più recenti, specie nella descrizione delle architetture: a qualche accento gotico internazionale si accompagnano formule ed elementi ancora trecenteschi.Più profondamente immersi nell'atmosfera del nuovo linguaggio artistico cosmopolita furono due pittori avignonesi attivi agli inizi del Quattrocento: Jacques Iverny e Robert Favier. Del primo, di cui si hanno notizie ad A. tra il 1410 e il 1435 ca., si conserva un trittico firmato (Torino, Gall. Sabauda), con la Vergine che allatta il Bambino tra S. Stefano e S. Lucia e una splendida Annunciazione con S. Stefano e due donatori (Dublino, Nat. Gall. of Ireland), con ogni probabilità proveniente da Avignone. I forti ricordi senesi, le citazioni di Simone Martini, si intrecciano qui a spunti iconografici e formule rappresentative settentrionali, trattate con straordinaria raffinatezza.Di Robert Favier si conoscono alcuni documenti relativi all'anno 1426 nel quale fu attivo alla decorazione della chiesamadre dell'ordine degli Ospitalieri di s. Antonio, Saint-Antoine-en-Viennois. Si conservano qui, assai deturpati da ridipinture e malaccorti restauri, alcuni affreschi con Storie di s. Paolo Eremita, la Crocifissione e la Risurrezione, S. Cristoforo, figure di santi e di apostoli. Lo stesso pittore fu incaricato di eseguire due serie di illustrazioni con la Vita di s. Antonio, che riprendevano i temi e le storie di un prezioso drappo di lino dipinto in possesso dell'abbazia, per illustrare due manoscritti, uno commissionato dal priore di Saint-Antoine Guigues Robert de Tullin (La Valletta, Nat. Lib. of Malta), l'altro da Jean de Montchenu, rettore dello stabilimento degli Antoniani a S. Antonio di Ranverso, non lontano da Torino (Firenze, Laur., Med. Pal. 143).La cultura di Favier è assai meno raffinata e sottile di quella di Jacques Iverny, più espressiva e cromaticamente più violenta. Contatti esistono tra il ciclo di Saint-Antoine e i dipinti di Giacomo Jaquerio a S. Antonio di Ranverso, di qualità indubbiamente più alta, ed è probabile che il pittore avignonese abbia conosciuto opere dello Jaquerio. Del resto, a km. 20 ca. da Saint-Antoine-en-Viennois, nella chiesa di Saint-Barnard a Romans, esistono ancora pitture murali con Storie dei santi martiri Severino, Esuperanzio e Feliciano molto prossime allo Jaquerio. Una di queste scene mostra, sullo sfondo, il palazzo dei Papi (la più antica rappresentazione di questo monumento che sia pervenuta) e illustra con evidenza i rapporti artistici esistenti tra A. e l'area alpina occidentale.
Un capitolo certamente significativo della vicenda artistica avignonese al tempo dello scisma è proprio quello che riguarda i contatti tra la città papale e una vasta area alpina, che comprendeva il Delfinato, la Savoia, Ginevra e il Piemonte occidentale. Ciò è particolarmente importante per il tempo in cui regnò Clemente VII, alla cui corte occuparono posizioni chiave ecclesiastici savoiardi, ginevrini e piemontesi, quali François de Conzié (m. nel 1431) che, dopo essere stato il ministro delle finanze di Clemente VII, fu per molti anni, una volta che i papi ebbero abbandonato la città, vicario generale di A. (e qui promosse importanti restauri ai monumenti e in primis al palazzo dei Papi danneggiato dagli assedi e dalle varie peripezie svoltesi al tempo di Benedetto XIII) e committente di significative imprese artistiche, Jean de Brogny (m. nel 1426), promotore a Ginevra di opere importanti, o ancora il cardinale Amedeo di Saluzzo che nella cattedrale di Lione si fece scolpire una suntuosa tomba da Jacques Morel.Se, grazie a Robert de Genève, rapporti privilegiati si intesserono tra A. e l'area alpina, ai tempi di Pedro de Luna la zona privilegiata per i contatti e gli scambi con A. fu invece la Catalogna. In questo modo la città provenzale rimase un centro artistico e culturale significativo, almeno durante i primi tempi dello scisma, e seppe svolgere un ruolo non trascurabile nei contatti e nella trasmissione di cultura, di cerniera tra diverse esperienze artistiche.Il prestigio dei suoi monumenti rimase elevato: nel 1406 il re d'Aragona Martino I chiese al vescovo di Lerida copie degli affreschi della cappella di Saint-Michel nel palazzo papale per servirsene come modello per una sua cappella; nel gennaio 1416 l'imperatore Sigismondo portò con sé, partendo da A., una pianta del palazzo dei Papi.Anche dopo la partenza definitiva dei papi, l'importanza culturale e artistica della città rimase elevata, più ancora, come nota Renouard (1954), di quella di Aix, divenuta sede della corte reale degli Angiò. L'università di A. conservò il suo prestigio, anche dopo la fondazione di una nuova università ad Aix sugli inizi del Quattrocento, mentre d'altra parte artisti di diversa provenienza, nordica in prevalenza, continuarono ad affluire ad Avignone.
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