Abstract
Viene analizzato l’istituto dell’avocazione delle indagini preliminari, indagandone l’origine, l’evoluzione storico-normativa e il fondamento giuridico. La disamina dell’istituto prosegue soffermandosi sulla disciplina delineata nel codice di rito del 1988 e, dunque, analizzando ciascuna delle quattro originarie ipotesi di avocazione, nonché le ulteriori tre ipotesi successivamente introdotte dal legislatore a cui si aggiunge anche l’avocazione ‘atipica’. Inevitabile l’approfondimento finale sull’intervento innovativo della disciplina operato con la ‘riforma Orlando’.
L’avocazione rappresenta un mezzo per rendere effettiva l’obbligatorietà dell’azione penale, assicurando lo svolgimento delle indagini a fronte di eventuali omissioni, ritardi o inefficienze delle Procure della Repubblica titolari delle indagini preliminari. (D’Ambrosio, L., Art. 372, in Comm. c.p.p. Chiavario, IV, Torino, 1990, p. 306)
Le parole dell’autorevole giurista sintetizzano in maniera assai efficace la funzione e il fondamento costituzionale dello ‘strumento’ attraverso il quale, nelle ipotesi normativamente previste, il Procuratore generale presso la Corte d’appello si sostituisce al pubblico ministero procedente nello svolgimento di attività ad esso spettanti.
La piena comprensione dell’istituto e dei suoi meccanismi di funzionamento, tuttavia, deve necessariamente passare attraverso l’indagine della sua storia e della sua evoluzione normativa, con uno sguardo particolare a due momenti chiave: l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e, ovviamente, l’approvazione del nuovo codice di rito del 1988.
L’istituto in discussione affonda le sue origini in una concezione verticistica dei rapporti tra uffici della magistratura requirente (nello specifico Procura della Repubblica e Procura generale presso la Corte d’appello).
Il potere di sostituzione di un organo nell’attività deputata ad altro organo, infatti, induceva a ritenere l’esistenza di un rapporto di sovraordinazione gerarchica del primo rispetto al secondo.
Una interpretazione di questo tipo trovava conforto nel modo in cui, in concreto, l’avocazione delle indagini preliminari era stata originariamente disciplinata nel codice di rito del 1930.
Le ipotesi di avocazione previste negli artt. 234 e 392 c.p.p. 1930, infatti, pur nella loro eterogeneità, evidenziavano l’esistenza di un potere incontrastato, in capo al Procuratore generale, di sostituirsi senza alcun particolare vincolo e, dunque, finanche ‘arbitrariamente’ al pubblico ministero procedente.
Tale assetto normativo, invero, sembrava rappresentare il riflesso della sovraordinazione gerarchica del Ministro di grazia e giustizia rispetto al pubblico ministero, la cui azione era originariamente sottoposta al potere di ‘direzione’ dell’organo di Governo (in seguito, con l’art. 39, R.d.l. 31.5.1946, n. 511, il potere di ‘direzione’ veniva sostituito con quello di ‘vigilanza’, per poi giungere, con la Costituzione repubblicana, all’affermazione del principio di autonomia e indipedenza della magistratura, artt. 101, co. 2 e 104 Cost).
In altre parole, nell’originaria impostazione codicistica, nella più ampia ottica di un ordinamento a carattere ‘piramidale’, anche i rapporti tra Procura generale e Procura della Repubblica erano ispirati all’idea di una gerarchia tra i due uffici.
L’avvento della Costituzione repubblicana, tuttavia, sembra determinare un primo punto di svolta nella disciplina della avocazione, la cui ragione deve essere necessariamente ricercata proprio nel definitivo abbandono di tale concezione.
La costituzionalizzazione dell’obbligatorietà dell’azione penale contenuta nell’art. 112, inserita in un più ampio contesto di rivisitazione dei rapporti tra poteri dello Stato, con l’espressa previsione di un sistema di garanzie e di ripartizione di funzioni, accompagnata dall’affermazione del principio di autonomia e indipendenza della magistratura contenuta negli artt. 101 e 104, determina un superamento della vecchia ricostruzione verticistica dei rapporti in seno alla magistratura requirente.
La nuova concezione del potere di avocazione, da intendersi come strumento posto a presidio del principio di obbligatorietà dell’azione penale, ha fin da subito evidenziato la necessità dell’intervento della Corte costituzionale al fine di valutare la compatibilità del sopra delineato quadro normativo con i nuovi principi contenuti nella Carta fondamentale, nonché il concomitante bisogno di interventi di riforma per adeguare la disciplina dell’avocazione al mutato assetto costituzionale.
Devono leggersi in questo senso le due ravvicinate pronunce della ridetta Corte con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 234 c.p.p. (C. cost., 22.6.1963, n. 110) e dell’art. 392, terzo comma, ultima parte (C. cost., 2.4.1964, n. 32), ovvero due disposizioni in materia di avocazione accomunate dal riconoscimento in capo al Procuratore generale di una insindacabile discrezionalità nel determinare uno spostamento di competenza dal giudice naturale precostituito per legge, in evidente contrasto con il principio contenuto nell’art. 25 della Costituzione.
Dal punto di vista normativo, invece, a partire dagli anni ‘70, con i primi lavori preliminari alla preparazione di una legge delega per il nuovo codice di procedura penale, si assiste al definitivo abbandono della concezione gerarchica dei rapporti tra Procura generale e Procura della Repubblica, come peraltro manifestato da alcune proposte di rivisitazione della normativa che si sono spinte fino a ‘suggerire’ la totale esclusione del potere di avocazione.
Abbandonate tali derivazioni più estreme della lettura ‘costituzionalmente orientata’ dei rapporti tra gli uffici della magistratura requirente, si è giunti a delineare nel codice del 1988 una disciplina in cui il potere di avocazione risulta essere strettamente vincolato a rigidi presupposti che limitano fortemente il potere di autosostituzione da parte del Procuratore generale.
L’originaria disciplina contenuta nel codice di rito del 1988 prevedeva quattro specifiche situazioni in cui era possibile esercitare il potere di avocazione.
Da una più attenta analisi della disciplina è possibile ricavare che, secondo una interpretazione largamente condivisa in dottrina, tre delle quattro ipotesi contemplate nel codice configurano casi di avocazione ‘obbligatoria’, residuando un solo caso in cui il Procuratore generale ha ‘facoltà’ di avocare le indagini.
In realtà, come si vedrà in seguito, la prassi applicativa ha notevolmente ridimensionato il carattere obbligatorio dell’avocazione quantomeno in relazione ad una delle ipotesi sopra citate.
La prima delle ipotesi di avocazione contemplata nel codice di rito è disciplinata dall’art. 372 c.p.p., la cui rubrica recita testualmente «avocazione delle indagini».
In tale norma, invero, vengono previsti due specifici casi in cui il Procuratore generale «dispone con decreto motivato» l’avocazione delle indagini.
L’utilizzo della sopra riportata espressione lascia emergere in maniera assolutamente inequivocabile che, nei casi prescritti dalla norma, il Procuratore generale presso la Corte d’appello non ha margini di discrezionalità e, dunque, non esercita una sua facoltà ma, al contrario, ha l’obbligo di intervenire con il provvedimento avocativo.
Si tratta, dunque, della prima ipotesi di avocazione obbligatoria prevista dal codice.
I casi in cui in cui il procuratore deve disporre l’avocazione sono precisamente individuati nelle lettere a) e b) della ridetta norma, e ricorrono quando «in conseguenza dell’astensione o dell’incompatibilità del magistrato designato non è possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione» (lett. a); e quando «il capo dell’ufficio del pubblico ministero ha omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato per le indagini nei casi previsti dall’art. 36, co. 1, lett. a), b), d), e)» (lett. b).
La disposizione in esame, tuttavia, pur vincolando in maniera assai rigida i poteri del Procuratore generale, riconosce a quest’ultimo la possibilità di assumere «le necessarie informazioni».
Tale previsione deve necessariamente essere letta nel senso che tale facoltà sia stata riconosciuta all’esclusivo fine di accertare la sussistenza delle due specifiche situazioni tassativamente previste alle lettere a) e b) del medesimo articolo.
La norma di cui all’art. 412 c.p.p., invece, prevede due distinte ipotesi di avocazione che, proprio per la loro diversità, devono essere necessariamente analizzate separatamente.
Il primo comma della sopra richiamata disposizione prevede una delle tre originarie ipotesi comunemente considerate di avocazione obbligatoria.
Anche in questo caso, in effetti, la lettera della norma e, in particolare, l’utilizzo dell’espressione «dispone» sembra evidenziare l’assenza di margini di decisione in capo al Procuratore generale che, allorquando ricorra la situazione specificamente prevista, deve sostituirsi al pubblico ministero procedente.
Come suggerisce la rubrica dell’articolo citato, si tratta dell’ipotesi di avocazione per mancato esercizio dell’azione penale.
L’art. 412, infatti, stabilisce che il Procuratore generale dispone l’avocazione, con decreto motivato, quando il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione «nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice» (questo il testo fino alla riforma Orlando di cui si dirà in seguito, cfr.§ 5).
In tal senso, appare doveroso il richiamo all’art. 127 disp. att. c.p.p., il quale, al fine di garantire l’effettivo funzionamento del meccanismo di ‘sostituzione’ previsto dalla norma codicistica, dispone che la segreteria del pubblico ministero trasmetta settimanalmente al Procuratore generale presso la Corte di appello un elenco delle notizie di reato per le quali non è stata assunta alcuna iniziativa, né in termini di esercizio dell’azione penale né in termini di richiesta di archiviazione.
In tal modo, si è ritenuto di poter garantire un effettivo controllo da parte del Procuratore generale sull’attività del pubblico ministero.
In una sorta di meccanismo di controllo ‘a catena’ circa la possibile inattività degli uffici preposti all’attività investigativa, inoltre, il successivo art. 413 c.p.p. prevede che la persona sottoposta ad indagini e la persona offesa possano sollecitare l’intervento del Procuratore generale, chiedendo che disponga l’avocazione delle indagini a norma dell’art. 412, co. 1, c.p.p.
Nei casi previsti dagli artt. 412 e 413 c.p.p., il Procuratore generale, disposta l’avocazione, svolge le indagini e formula le sue richieste entro il termine di 30 giorni che, nel caso previsto dall’art. 412, co. 1, c.p.p. decorre dal decreto di avocazione, nel caso di cui all’art. 413, co. 1, c.p.p. decorre dalla richiesta presentata dalla persona sottoposta a indagini o dalla persona offesa.
Come già accennato in precedenza, tuttavia, la prassi applicativa e le difficoltà che in concreto sono state rilevate nel rispettare fedelmente il dettato normativo nei casi previsti dall’art. 412 c.p.p. hanno portato ad una reinterpretazione della norma stessa, con un sostanziale abbandono del carattere di obbligatorietà dell’avocazione.
Il numero di procedimenti che settimanalmente vengono segnalati dalle procure della Repubblica, perché in relazione ad essi non è stata esercitata l’azione penale né è stata richiesta l’archiviazione nei termini normativamente previsti, è tale che, se per ciascuno di essi il Procuratore generale fosse obbligato ad adottare il provvedimento avocativo, si verrebbe a determinare un superamento del principio per cui è il pubblico ministero l’esclusivo titolare del potere di indagine e di azione.
Tale potere-dovere, infatti, risulterebbe di fatto condiviso con il Procuratore generale.
In quest’ottica, dunque, non appare affatto irragionevole la predisposizione di criteri direttivi che consentano al Procuratore generale di operare una vera e propria selezione, tra i procedimenti segnalati, di quelli per i quali si rende necessaria l’avocazione, senza che il riconoscimento di tale facoltà si tramuti in una forma di arbitrio liberamente esercitabile da parte di quest’ultimo.
Proprio a tal fine, il C.S.M., attraverso una serie di delibere che si sono succedute nel tempo (in particolare delibera del 16 luglio 1997 e riposta a quesito del 12 settembre 2007) è giunta alla elaborazione delle «Linee guida in materia di criteri di priorità e gestione dei flussi di affari – rapporti fra uffici requirenti e uffici giudicanti», in risposta ad un quesito dell’11 maggio 2016.
In tale documento si evidenzia che «per l’entità dei procedimenti astrattamente rientrabili nell’ambito della previsione normativa [art. 412 c.p.p.], [l’avocazione] non potrà essere massivamente esercitata per la carenza di mezzi strutturale di tali uffici, per cui ne deriverà, anche in questo campo, un fisiologico potere di selezione che necessita della enunciazione di criteri di riferimento».
Il principio di obbligatorietà dell’azione penale, dunque, si trasforma necessariamente in un principio di obbligatorietà ‘sostenibile’ a causa di risorse inadeguate che, da un lato non consentono all’ufficio del pubblico ministero, per tutti i procedimenti di cui è titolare, di assumere le proprie determinazioni nei tempi normativamente previsti, e dall’altro non permettono al Procuratore generale di provvedere all’avocazione di un elevatissimo numero di procedimenti, evenienza che, peraltro, snaturerebbe le sue funzioni.
Sulla base delle medesime considerazioni, la stessa Corte di cassazione, in numerose pronunce, ha definito ‘potere di avocazione’ quello previsto nell’art. 412, co. 1, c.p.p., così evidenziando la natura facoltativa dell’intervento avocativo del Procuratore generale e non obbligatoria come suggerirebbe la lettera della norma (si veda ex multis: Cass. pen, sez. VI, 20.3.2009, n. 19833).
Il secondo comma dell’art. 412, invece, letto e interpretato in combinato disposto con l’art. 409 c.p.p. disciplina una ipotesi di avocazione da intendersi senza alcun dubbio come facoltativa.
La disposizione normativa, infatti, contrariamente a quanto previsto nei tre casi di avocazione obbligatoria, statuisce che il Procuratore generale «può altresì disporre l’avocazione».
La norma, dunque, riconosce tale potere al Procuratore generale presso la Corte d’appello quando, a seguito di richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari fissa udienza camerale perché ritiene di non poterla accogliere o perché sia stata presentata opposizione da parte della persona offesa.
In queste ipotesi, l’avviso di fissazione dell’udienza in camera di consiglio deve essere comunicato anche al Procuratore generale in modo che possa verificare la completezza delle indagini svolte dal pubblico ministero o, al contrario, rilevare una carenza investigativa frutto dell’inerzia di quest’ultimo.
Il testo della norma, tuttavia, sembra lasciar intendere che il provvedimento avocativo possa essere adottato anche in un caso differente rispetto a quello della incompletezza dell’indagine.
La lettura della disposizione in questione non esclude la possibilità che il provvedimento del Procuratore generale sia adottato non per aver riscontrato una carenza in fase di indagine ma in considerazione di una valutazione differente degli esiti dell’indagine stessa.
In altre parole, in base ad una interpretazione meno restrittiva della norma è possibile affermare che qualora il Procuratore generale, ricevuta comunicazione della fissazione dell’udienza, valuti il quadro indiziario esistente già completo ed idoneo a sostenere l’accusa in giudizio (e dunque ingiustificata la richiesta di archiviazione) potrà adottare il provvedimento di avocazione.
La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha affermato in più di una occasione che l’ingiustificata richiesta di archiviazione debba essere considerata alla stregua di una rinuncia all’esercizio dell’azione penale e, dunque, vada considerata come un’inerzia del pubblico ministero, che legittima il Procuratore generale a disporre l’avocazione delle indagini (si veda, in particolare, Cass. pen., sez. V, 11.1.1991, n. 40).
Questa interpretazione non deve suscitare particolare perplessità per l’ampio margine di discrezionalità riconosciuto al Procuratore generale in quanto perfettamente coerente con una norma in cui il potere avocativo viene ricondotto alla semplice circostanza della fissazione di udienza a seguito di richiesta di archiviazione.
Un’udienza che può anche essere la conseguenza di una semplice e infondata opposizione all’archiviazione depositata dalla persona offesa.
D’altra parte, l’esercizio del potere discrezionale da parte del Procuratore generale sembra essere in qualche modo limitato dalla forma del provvedimento che, sebbene la norma non lo preveda espressamente, si ritiene debba essere quella del decreto motivato.
Appare decisamente più problematica, invece, l’interpretazione della norma in relazione alla individuazione del termine concesso al Procuratore generale per lo svolgimento delle indagini indispensabili e per la formulazione delle sue richieste.
In particolare, è ancora oggetto di discussione, in dottrina come in giurisprudenza, se il suddetto termine debba essere quello di trenta giorni previsto per la diversa ipotesi contemplata nel primo comma del medesimo articolo, ovvero se il Procuratore generale possa usufruire dell’eventuale tempo residuo per la conclusione delle indagini, potendo anche chiedere una proroga ai sensi dell’art. 406 c.p.p.
Ulteriore ipotesi di avocazione obbligatoria, invece, è quella prevista e disciplinata dall’art. 53, co.3, c.p.p.
Anche in questo caso, a fondamento del potere di sostituzione da parte del Procuratore generale, vi è l’inerzia del titolare dell’ufficio del pubblico ministero.
Tuttavia, si tratta di una ipotesi in parte diversa rispetto alle altre previste nel codice di rito.
Il provvedimento di sostituzione disciplinato dalla norma sopra richiamata, infatti, non avviene nella fase delle indagini preliminari o comunque antecedente al possibile esercizio dell’azione penale ma, al contrario, allorquando il pubblico ministero ha già agito in tal senso.
L’art. 53 c.p., infatti, nell’affermare l’autonomia del pubblico ministero in udienza, prevede altresì l’ipotesi di una ‘sostituzione per avocazione’ nei casi previsti dall’art. 36, co. 1, lett. a),b),d) ed e), cioè in quei specifici casi in cui il magistrato sia impedito a esercitare le funzioni requirenti in quella sede e il titolare dell’ufficio non abbia provveduto a sostituirlo con altro magistrato.
In queste ipotesi, dunque, il Procuratore generale presso la Corte di appello, rilevata l’inerzia del titolare dell’ufficio di procura, «designa» (ancora una volta l’espressione evidenzia il carattere obbligatorio del suo intervento) altro magistrato appartenente al suo ufficio.
Pur nella diversità della fase in cui interviene il provvedimento avocativo, non si può certo negare che la norma sembra sostanzialmente ricalcare quanto previsto, in fase di indagini preliminari, dall’art. 372 c.p.p. che, come visto, prevede allo stesso modo la sostituzione del magistrato del pubblico ministero procedente, allorquando non vi abbia già provveduto il capo dell’ufficio, nei medesimi casi di impedimento a esercitare le sue funzioni.
Con l’introduzione del comma 1-bis nell’art. 372 c.p.p. è stata prevista una ulteriore ipotesi di avocazione finalizzata a garantire un reale coordinamento tra diversi uffici di procura che stanno svolgendo indagini collegate in relazione a fattispecie delittuose di particolare gravità, specificamente indicate nella norma.
La disposizione normativa, infatti, prevede che il Procuratore generale, nei casi sopra citati, disponga l’avocazione delle indagini quando non risulti effettivo il coordinamento delle indagini e non hanno dato esito le riunioni per il coordinamento disposte o promosse dallo stesso Procuratore generale anche d’intesa con altri Procuratori generali interessati.
Si tratta, dunque, di una ipotesi di avocazione che, al di là del tenore letterale della norma, deve intendersi necessariamente facoltativa, con il Procuratore generale che, infatti, è chiamato a verificare (e a dar conto dell’eventuale esito positivo di questa verifica) se l’inerzia di uno o più uffici abbia determinato il mancato coordinamento tra gli stessi.
In perfetta coerenza con la disposizione appena esaminata, è stata introdotta una ulteriore ipotesi di avocazione attribuita al Procuratore nazionale antimafia nei confronti dei Procuratori distrettuali e relativa ai delitti indicati nell’art. 51, co. 3-bis e co. 3-quater (reati di mafia e di terrorismo).
Anche in questo caso, disciplinato dall’art. 371 bis c.p.p., a fondamento del potere avocativo vi è il mancato coordinamento tra gli uffici procedenti, determinato dall’inerzia del pubblico ministero o dalla violazione dei doveri previsti dall’art. 371 ai fini di coordinamento delle indagini.
Il quarto comma del summenzionato articolo, dunque, dispone che il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo provvede all’avocazione dopo aver assunto le necessarie informazioni personalmente o tramite un magistrato della direzione antimafia e antiterrorismo appositamente designato.
Nell’ottica del rafforzamento dei poteri del giudice dell’udienza preliminare, attuato con la cd. ‘legge Carotti’, è stato introdotto l’art. 421 bis c.p.p. che attribuisce a tale giudice il potere di sindacare la completezza delle indagini poste in essere dal pubblico ministero e a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio.
È stato dunque previsto che il giudice, qualora rilevi l’incompletezza delle indagini, indichi al pubblico ministero l’ulteriore attività investigativa da espletare, fissando il termine per il compimento e la data della nuova udienza preliminare.
Il suddetto provvedimento viene comunicato al Procuratore generale presso la Corte d’appello che, con decreto motivato, può disporre (si tratta con tutta evidenza di una ipotesi facoltativa) l’avocazione delle indagini.
Accanto alle ipotesi tipiche di avocazione, codificate nel codice di rito, l’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale della normativa di riferimento ha reso possibile individuare una ipotesi di cd. ‘avocazione analogica’.
Ci si riferisce all’ipotesi in cui il pubblico ministero iscriva erroneamente un atto contenente una notizia di reato nel registro delle cd. ‘pseudo-notizie’ (mod. 45) o non provveda affatto all’iscrizione.
Come è noto, infatti, l’iscrizione in tale registro non determina l’operare di alcun sistema di controllo, con il pubblico ministero che ha facoltà di procedere autonomamente all’archiviazione.
Ci si è domandati, dunque, se nel caso sopra descritto fosse possibile riconoscere in capo al Procuratore generale un potere di avocazione che travalichi il dato formale dell’iscrizione nel modello 45 e trovi il proprio fondamento nel fatto che ci si trova dinanzi ad una vera e propria notizia di reato.
Esprimendosi sulla questione, le Sezioni Unite hanno ritenuto esercitabile il potere di avocazione da parte del Procuratore generale sulla base di una applicazione analogica dell’art. 412, co. 1, c.p.p., nella parte in cui legittima l’avocazione dinanzi all’inerzia del pubblico ministero (Cass. pen., S.U., 11.7.2001, n. 25).
È stato correttamente rilevato, infatti, che se il potere di avocazione è esercitabile nel caso in cui il pubblico ministero, dopo aver correttamente iscritto la notizia di reato, non abbia esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione, a fortiori deve considerarsi esercitabile quando la sua inerzia si sia spinta fino alla mancata iscrizione nell’apposito registro o alla iscrizione nel registro delle pseudo-notizie (in questo senso Cass. pen., sez. V, 11.1.1991, n. 40).
Questa interpretazione, che ha generato pareri discordanti in dottrina, si fonda sulla condivisibile considerazione per cui l’esclusione di ogni tipo di verifica nel momento genetico del procedimento si rifletterebbe inevitabilmente su tutto il successivo sistema di controllo posto a presidio della obbligatorietà dell’azione penale.
Infine, si evidenzia che, per tutti i casi di avocazione delle indagini, quale ulteriore livello di controllo dell’attività del Procuratore generale presso la Corte d’appello, è previsto dall’art. 70 ord. giud. che il relativo provvedimento venga trasmesso al C.S.M. e alla Procura della Repubblica avocata che, nel termine di dieci giorni da detta comunicazione può proporre reclamo al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il quale in caso di accoglimento dispone la revoca del decreto e la restituzione degli atti al pubblico ministero originariamente designato.
La l. 23.6.2017, n. 103 (cd. ‘riforma Orlando’) nell’operare profonde modifiche al codice di rito è intervenuta anche sulla disciplina dell’avocazione.
In particolare, per quel che riguarda il tema trattato, le norme su cui è intervenuto il legislatore della riforma sono quelle di cui agli artt. 412, co. 1 e 407 c.p.p., dalla prima espressamente richiamata.
Al fine di contenere il più possibile i tempi tra il deposito degli atti ex art. 415 bis c.p.p. e l’esercizio dell’azione penale, la riforma ha aggiunto un comma 3-bis all’art. 407 c.p.p.
La nuova disposizione normativa impone al pubblico ministero di esercitare l’azione penale o richiedere l’archiviazione nel termine di tre mesi, prorogabile di altri tre mesi su richiesta dello stesso pubblico ministero, decorrente dal termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415 bis c.p.p.
Per taluni reati indicati nella norma, invece, il termine è di quindici mesi.
Si prevede, inoltre, che in caso di mancato rispetto del termine per assumere le sue determinazioni, il pubblico ministero debba darne comunicazione al Procuratore generale presso la Corte d’appello.
Nella nuova formulazione dell’art. 412, inoltre, si prevede che il Procuratore generale presso la Corte d’appello disponga con decreto motivato l’avocazione «se il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto dall’articolo 407, comma 3-bis».
La modifica potrebbe risultare, ad un primo sguardo, di scarsa rilevanza.
Tuttavia, la disciplina risultante dal combinato disposto delle due norme determina un profondo mutamento delle facoltà del Procuratore generale in caso di avocazione.
Sebbene il secondo periodo del comma 1 dell’art. 412 sia rimasto immutato, continuando a prevedere che il Procuratore generale svolga le indagini indispensabili e formuli le richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione, si deve ritenere che, a seguito della riforma, al Procuratore generale che abbia emesso il provvedimento avocativo rimanga solo l’alternativa decisoria, non tempestivamente risolta dal pubblico ministero, tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell’azione penale.
D’altra parte, una diversa interpretazione della nuova normativa svuoterebbe di senso la portata innovativa della riforma.
In ogni caso, la disposizione non lascia dubbi sul fatto che il termine per le determinazioni del Procuratore generale rimanga quello di trenta giorni.
Pur senza stravolgere la normativa in tema di avocazione, la riforma è stata fortemente criticata da una componente importante della magistratura che ha sostenuto che i tempi fissati dal comma 3-bis dell’art. 407 per le determinazioni del pubblico ministero siano troppo stringati, specie se rapportati all’inadeguatezza delle risorse di cui dispongono gli uffici di procura per affrontare un elevato numero di procedimenti.
Come opportunamente rilevato dalla più autorevole dottrina, tuttavia, non si può certo dimenticare che, sotto il profilo organizzativo, «a norma dell’art. 415 bis c.p.p. gli atti sono già depositati e ordinati completamente e che è già stata formulata una preimputazione; che eventuali arricchimenti probatori o modifiche della descrizione del fatto richiederebbero un altro deposito», sicché i termini previsti dal legislatore della riforma non appaiono certamente ‘irragionevoli’. (Marandola, A., in La riforma Orlando – Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, a cura di G. Spangher, Pisa, 2017, p. 173).
Fonti normative
Artt. 25, 101, 104, 112 Cost; artt. 234, 392 c.p.p. 1930; artt. 36, 53, 371 bis, 372, 407, 409, 412, 413, 421 bis c.p.; art. 127 disp. att. c.p.p.; art. 70 ord. giud.; art. 39, R.d.l. 31.5.1946, n. 511.
Bibliografia essenziale
Cassiani, A., Il potere di avocazione – Profili ordinamentali dell'ufficio del pubblico ministero, Padova, 2009; D’Ambrosio, L., Art. 372, in Comm. Chiavario, IV, Torino 1990, p. 306; Dean, G.-Seghetti, V., Avocazione delle indagini preliminari, in Dig. pen., VI, Torino, 1992, p. 479; Di Bitonto, M.L., Interessanti puntualizzazioni in materia di avocazione facoltativa, in Processo penale e giustizia, 2017, n. 3; Spangher, G., La riforma Orlando – Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, Pisa, 2017, p. 171 ss.