AVOGADRO della Motta, Emiliano
Nacque a Vercelli il 16 ottobre 1798, dal conte Ignazio e da Teresa Avogadro di Casanova. Laureatosi in legge, ricoprì dal 1833 al 1847 la carica di riformatore delle regie scuole nel Vercellese, e nel 1849 fu nominato consigliere di S. M. per gli affari del pubblico insegnamento. Nel 1848 iniziò la sua attività giornalistica e più particolarmente politica collaborando all'Armonia, e assumendo inizialmente un atteggiamento di adesione al nuovo ordinamento costituzionale, che si sarebbe però presto convertito in atteggiamento antiliberale e antiunitario. Così, di fronte alla legge del 25 ag. 1848, che sopprimeva la Compagnia di Gesù e conteneva anche norme restrittiveper lo sviluppo delle corporazioni religiose, l'A.protestava invocando lo Statuto ela libertà proclamata da Pio IX(Questioni di diritto intorno alle istituzioni religiose e alle loro persone e proprietà, in occasione della proposta di legge fatta al parlamento torinese per la soppressione di alcune corporazioni,Torino [1849];analogo appello allo Statuto l'A. aveva fatto l'anno prima, prendendo a pretesto unepisodio accaduto a Vercelli, dove il contrasto scoppiato fra l'arcivescovo e alcuni reparti di truppe a causa di certi luoghi religiosi richiesti da queste per i loro alloggiamenti, aveva suscitato gli attacchi della stampa contro le autorità religiose: cfr. Rivista retrospettiva di un fatto seguito in Vercelli con osservazioni al diritto legale di libera censura,Vercelli 1848).
Nel 1851 l'A.pubblicò la sua opera più importante, il Saggio intorno al socialismo e alle dottrine e tendenze socialiste,2 voll.(Torino 1851),che doveva assicurargli un ruolo di primo piano nella lotta antiliberale e antisocialista dei cattolici intransigenti italiani, ruolo di cui fu prima testimonianza la favorevole accoglienza al Saggio della rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica (III[1852],Vol. VIII, pp. 72-82).
L'A., che possedeva una buona conoscenza della letteratura cattolica conservatrice europea, da Bonald a von Haller, considerava il socialismo come la grande eresia dei tempi moderni, che egli riallacciava tuttavia a tutte le eresie precedenti, a partire dalla Riforma protestante. Questa, negando l'autorità della Chiesa e affermando il principio del libero giudizio di ciascuno in materia di fede, aveva posto le basi della disgregazione non solo di ogni fede religiosa e di ogni morale, ma, con un logico passaggio, di ogni società; aveva avanzato le premesse di una deificazione dell'uomo e della sua ragione. Questa deificazione era stata progressivamente compiuta da due tendenze diverse ma convergenti: l'una era rappresentata dal razionalismo tedesco che sfociando nell'idealismo aveva portato alla identificazione di reale e ideale, di obiettivo e subiettivo, cioè del mondo con il suo creatore; l'altra era rappresentata dalla incredulità filosofica francese, che più radicalmente aveva negato ogni possibilità, anche razionale, di religione. L'incontro di queste due tendenze aveva dato vita al "socialismo germano-gallico", che raccogliendo l'eredità dei precedenti errori, da essi peraltro si differenziava per l'esaltazione che faceva, di contro ai diritti dell'uomo, dei diritti della società e della umanità. L'A. sottolineava come peculiare del socialismo la sua pretesa di contrapporsi al cattolicesimo come una vera e propria religione, un cattolicesimo "diabolico" che sostituiva alla rigenerazione spirituale in Cristo una rigenerazione umana e terrena, e che, più universale dello stesso cattolicesimo, ostacolato dalla presenza della città di Satana, intendeva dominare sull'intera specie umana. Fra cattolicesimo e socialismo non c'era luogo, secondo l'A., per posizioni liberali e moderate, le quali pretendessero arrestare in qualche punto un processo rivoluzionario di cui condividevano i principî. L'opera terminava con un appello al clero, perché assolvesse il suo compito di illuminare gli spiriti, e con una invocazione alla S. Sede perché condannasse, nel socialismo, tutti gli errori moderni.
Il Saggio dell'A., rispetto alle polemiche antisocialiste di quegli anni, di un Gustavo Cavour (Des idées communistes et des moyens d'en combattre le développement,in Bibliothèque universelle de Genève,s. 4, I [1846],pp. 5-59)e di un Rosmini (Ragionamento sul comunismo e sul socialismo,Italia 1849),si caratterizzava per una più ampia, e non priva di note acute, analisi della genesi storica del socialismo, e per gli attacchi rivolti ai moderati, che si tentava di neutralizzare presentando loro lo spettro del comunismo. Nell'opera dell'A. si configurava anche un motivo polemico nei riguardi di quei cattolici che s'illudevano di poter operare qualche conciliazione con i principi del mondo moderno: nella Appendice intorno alla presente controversia sulle dottrine rosminiane,pubblicata nel vol. II del Saggio e più volte ristampata a parte nei decenni seguenti, l'A. accusava il sistema rosminiano di riprodurre l'errore del secolo, il panteismo, e di condurre, nelle sue conseguenze politiche e sociali, al liberalismo e al socialismo; egli entrava così pienamente nella battaglia antirosminiana dei cattolici intransigenti.
L'A. inoltre s'inserì con la sua opera nel clima di preparazione del Sillabo.Poiché infatti nel Saggio egli aveva manifestato l'idea che la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria avrebbe dato un colpo decisivo agli errori moderni, il gruppo dei gesuiti della Civiltà Cattolica,i quali sostenevano la necessità d'introdurre nella definizione dei dogma dell'Immacolata la condanna degli errori del razionalismo e del semirazionalismo, e per essi il padre Luigi Taparelli, cercarono di guadagnare alle loro idee l'A., chiedendogli di collaborare al lavoro di studio preliminare. L'A., però, pur aderendo all'invito, si dichiarò contrario a unire la condanna degli errori moderni con la definizione del dogma, in quanto i primi erano innanzitutto, a suo avviso, errori di "teologia e morale naturale", e richiamò l'opportunità di colpire, al di sotto dei singoli errori, l'errore che tutti li generava, la negazione cioè del "concetto teologico" stesso.
A questa eresia fondamentale l'A. riallacciava i tentativi di introdurre i principî liberali nella società, come quello che si delineò, senza peraltro sortire effetto, in Piemonte, fra il 1850 e il 1852, per l'istituzione del matrimonio civile. Così, riprendendo l'argomentazione che non vi è possibilità di posizioni intermedie fra cattolicesimo e socialismo, l'A. sosteneva che mentre il socialismo, coerentemente al suo proposito di distruggere la società, ne nega il primo fondamento che è appunto il matrimonio religioso, i liberali tendono a ridurlo a un mero contratto civile, sulla base del quale diviene alla fine impossibile e illegittimo ogni intervento regolativo di esso (Teorica dell'istituzione del matrimonio e della guerra multiforme cui soggiace, 2 voll., Torino 1853-54).
Intanto, nel 1853, l'A. entrava come rappresentante di Avigliana in Parlamento, dove doveva sedere per la V e la VI legislatura, sino al 1860. Qui egli formò con il Solaro della Margarita, cui era particolarmente legato, e con il Costa della Torre, un piccolo gruppo d'intransigente opposizione alla politica cavouriana: la loro azione però impedì il formarsi di un'alternativa costituzionale e nazionale di destra, cui mirava in quegli anni la politica del Thaon di Revel, e facilitò quindi l'opera del Cavour. Nel 1860, non più rieletto al Parlamento, l'A. riprese la sua battaglia pubblicistica contro le tendenze liberali e unitarie, collaborando fra l'altro all'Unità cattolica: in questa battaglia l'A. metteva l'accento sul motivo municipalistico di un Piemonte che doveva rifiutare i nuovi compiti nazionali e sul rispetto dello Statuto, che però nei suoi propositi, come in quelli dell'opposizione clericale, acquistava un valore preminentemente strumentale. Così, di fronte all'annessione dell'Italia centrale al Piemonte e alla cessione di Nizza e Savoia, egli insorgeva, nel nome dell'integrità dello Stato piemontese, invocando i diritti della Camera secondo lo Statuto (Una quistione preliminare al Parlamento torinese,Torino 1860); contro il nuovo tentativo di rivedere il codice introducendovi il matrimonio civile, manifestatosi con il progetto del guardasigilli Cassinis del giugno 1860 e con un successivo progetto di commissione ministeriale, l'A. riaffermava i principi religiosi, monarchici e liberali del codice albertino e stigmatizzava ancora una volta come derivante dal "naturalismo paganesco" il diritto moderno che toglie alla Chiesa la personalità civile e al matrimonio la sua base religiosa (Il progetto di revisione del codice civile albertino e il matrimonio civile in Italia, Torino 1861).
Ma dove l'A. maggiormente s'impegnò fu nella strenua difesa del potere temporale dei papi. Nelle Considerazioni sugli affari dell'Italia e del papa (Torino 1860) l'A., riferendosi ai progetti contenuti nei due opuscoli d'ispirazione napoleonica Napoléon III et l'Italie (uscito a Parigi nel febbraio 1859) e Le Pape et le congrès (uscito a Parigi nel dicembre dello stesso anno), affermava che una confederazione italiana era impossibile a causa delle diversità fra i vari Stati, al pari dell'unità, e negava che si potesse ridurre arbitrariamente il potere temporale stabilito nei suoi limiti dalla Provvidenza, e indispensabile nella sua interezza alla sovranità spirituale dei papi. Con uno spunto proprio di quella tradizione neoguelfa che fra il 1861 e il 1862 riviveva polemicamente nella pubblicistica cattolica conservatrice, l'A., richiamandosi al Balbo e al de Maistre, esaltava la funzione dello Stato papale come garanzia d'indipendenza e di libertà per la penisola. Nello scritto La rivoluzione e il ministero torinese in faccia al papa e all'episcopato italiano (Torino 1862) l'A. sosteneva poi la tesi, che s'inseriva nelle polemiche sul voto pronunciato al Parlamento italiano per Roma capitale, che Roma, centro del cattolicesimo, era però impreparata a essere capitale di uno Stato che non aveva concorso a formare.
Fu l'ultima sua battaglia: il 9 febbr. 1865 morì a Torino. Postumi furono pubblicati alcuni scritti religiosi, con il titolo Gesù Cristo al secolo XIX (Modena 1873).
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