quantità, avverbi di
Gli avverbi di quantità sono ➔ avverbi che esprimono in modo indefinito una quantità, sia essa numerabile o no. Essi aggiungono all’elemento che modificano un’informazione concernente la misura di una grandezza, di cui non forniscono indicazione precisa. Si considerino i seguenti esempi:
(1) nell’ultimo mese Mario è cresciuto due centimetri
(2) nell’ultimo mese Mario è cresciuto quattro centimetri
(3) Mario è poco più alto di prima
(4) Mario è molto più alto di prima
In (1) e (2) si ha una precisa indicazione quantitativa, con sintagmi contenenti ➔ numerali (due centimetri; quattro centimetri); in (3) e (4), per mezzo di avverbi di quantità, si ha un’indicazione che fa sì riferimento alla misura scarsa (poco) o grande (molto) dell’altezza di Mario, ma in modo indeterminato.
«Alla base dell’opposizione abbondanza / scarsità sta spesso implicitamente, il concetto di “adeguatezza”» (Serianni 1988: XII, § 45). È a partire dal concetto di adeguatezza (o norma quantitativa), espresso dagli avverbi abbastanza, sufficientemente (o dalle locuzioni avverbiali pari pari, per un pelo, pelo pelo) che gli altri avverbi di quantità esprimono, per opposizione, il concetto di inadeguatezza quantitativa, per eccesso o per difetto. Ad es. una frase come:
(5) Luigi si è riposato abbastanza
indica che Luigi non si è riposato né per molto né per poco, ma per un tempo giusto onde riacquistare le forze. Invece le frasi:
(6) Luigi si è riposato troppo
(7) Luigi si è riposato poco
si oppongono alla prima, esprimendo, rispettivamente, un’inadeguatezza quantitativa dell’atto di riposare per eccesso (troppo) o per difetto (poco).
Tenendo conto di ciò, si può costruire uno schema con i più comuni avverbi di quantità (tutti ordinati in modo crescente):
(a) adeguatezza: abbastanza; sufficientemente; bastantemente;
(b) inadeguatezza quantitativa (per difetto): niente / nulla; poco; minimamente / pochissimo; appena; meno;
(c) inadeguatezza quantitativa (per eccesso): alquanto / piuttosto; assai; molto; grandemente; troppo; tanto; massimamente / moltissimo; affatto; più.
Lo schema raccoglie solo i più comuni avverbi di quantità. Si possono avere, infatti, sfumature intermedie: un po’ poco, un po’ pochino, appena un po’, appena appena, un po’ troppo, molto poco, niente affatto, ecc. (cfr. Serianni 1988: XII §§ 45-49; Lonzi 1991: 348; Dardano & Trifone 1997: 345). Si ricorda che alcuni avverbi di quantità operano, in certi contesti, come ➔ intensificatori (o anche, ovviamente, come attenuatori).
Tra questi vanno segnalati abbastanza, sufficientemente, bastantemente, che possono essere considerati sinonimi.
(a) Abbastanza (antiquata la grafia a bastanza) vale per «a sufficienza»:
(8) Vi stimo abbastanza per temere che voi, nobile e fiera, possiate scendere fino ad un poggio (Giovanni Verga, Le storie del castello di Trezza)
(9) Il trotto fitto de’ suoi cavalli non gli sembrava a bastanza veloce (Gabriele D’Annunzio, Il piacere)
Lo si trova nella locuzione averne abbastanza (di) «non poterne più (di), non sopportare più»:
(10) Ero arrivato in capo al mondo, sull’ultima costa, e ne avevo abbastanza (Cesare Pavese, La luna e i falò)
In italiano contemporaneo è adoperato come intensificatore di aggettivi:
(11) ciò, a nostro parere, è abbastanza scandaloso («Corriere della sera» 7 marzo 1987)
Abbastanza interviene anche nella costruzione abbastanza + aggettivo + da + infinito: sei abbastanza grande da far da solo. Nel parlato popolare di varie regioni del centro d’Italia, abbastanza usato da solo in risposta a domande di convenevole, significa «abbastanza bene, molto bene»: – Come stai? – Abbastanza.
(b) Sufficientemente è sinonimo meno frequente del precedente:
(12) Passato l’albergo, le bimbe si ritennero sufficientemente lontane dal commesso (Giuseppe Berto, Il cielo è rosso)
(c) Bastantemente è invece di uso più letterario e antiquato:
(13) «Bisogna ben ch’io ne sappia qualcosa», disse Renzo, cominciando ad alterarsi, «poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa» (Alessandro Manzoni, I promessi sposi II).
Ad esprimere inadeguatezza quantitativa per difetto sono gli avverbi:
(a) Niente / nulla «in nessuna misura o quantità» (➔ negazione):
(14) Alla gente morta
questa vita di qua niente importa
(Giacomo Leopardi, Paralipomeni della Batracomiomachia VIII, 22, vv. 7-8)
(15) Io tutta al giovanetto ero disposta,
e di quel vecchio mi curavo nulla
(Matteo Maria Boiardo, L’innamoramento di Orlando I, 21, 59, vv. 3-4)
(b) Poco significa «in misura esigua, scarsa o insufficiente rispetto a una norma» (16), ma può essere adoperato come attenuatore (17):
(16) Voi stesso mi avete già detto quanto quel giovine misuri poco i suoi desideri con la sua borsa (Ugo Foscolo, Epistolario, ad Atanasio Politi, 3 giugno 1814)
(17) Rosa lo chiamava “tuo marito”, per continuare lo scherzo, ma non di rado Ginia si rabbuiava e ribatteva che avere tutte le noie della casa ma non l’uomo, era poco allegro (Pavese, La bella estate)
La forma un poco (o, in forma apocopata, un po’) indica una quantità esigua indefinita:
(18) con quelle altr’ombre pria sorrise un poco (Dante, Par. III, 67)
(19) – Ora è un po’ difficile. Ma ci penserò (Italo Svevo, Novella del buon vecchio e della bella fanciulla)
(c) Minimamente vale «pochissimo»:
(20) Se l’una o l’altra accennava minimamente a qualche considerazione estranea a questi bisogni, si voltava a guardarle con tali occhi, che subito la voce moriva loro sulle labbra (Luigi Pirandello, L’abito nuovo)
(d) Appena significa «assai poco»; se reiterato (➔ raddoppiamento espressivo), vale «pochissimo»:
(21) Io son tutto divenuto sì freddo che appena sento di me (Giovanni Boccaccio, Dec. VIII, 7)
(22) Ecco un rintocco, appena appena un breve
colpo (Giovanni Pascoli, Italy IV, 7).
Esprimono inadeguatezza quantitativa per eccesso gli avverbi:
(a) Molto «in modo particolarmente grande». Si usa sia come avverbio (23), sia come intensificatore (24):
(23) Inchinare a Dio molto convene
le ginocchia e la mente,
che gli anni tuoi riserva a tanto bene (Petrarca, Canz. XXVIII, 103-105)
(24) Se Renzo fosse stato tanto vicino da sentir le loro parole, gli sarebbero parse molto strane (Manzoni, I promessi sposi VII)
(b) Assai «in misura considerevole»:
(25) Il professore, trascinato dalla foga de’ suoi epifonemi e dall’ammirazione per la propria voce, aveva camminato assai nella vita (Carlo Emilio Gadda, San Giorgio in casa Brocchi)
Si adopera nell’espressione antifrastica importare assai «non importar nulla» (26), e come intensificatore (27):
(26) «M’importa assai dell’uovo», egli esclamò (Vasco Pratolini, Un eroe del nostro tempo)
(27) D’improvviso qualche cosa d’ignoto brillò nell’animo del ladro Luca, ed era assai diverso dal delirio di quella prima felicità (Massimo Bontempelli, Il ladro Luca)
Nelle parlate campane e di altre zone del Sud, assai è sinonimo di «molto» e viene usato per creare il ➔ superlativo degli aggettivi: una donna assai bella; questa città mi piace assai.
(c) Grandemente «in misura notevole», non è molto frequente:
(28) Esso linguaggio si distingue eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora (Leopardi, Zibaldone di pensieri)
(d) Alquanto e piuttosto vengono adoperati, specialmente il primo, per lo più come intensificatori:
(29) Lo scilocco della sera prima aveva lasciato le onde piuttosto sconvolte (Ippolito Nievo, Confessioni di un italiano XVIII)
(30) Così dicendo, salutando lei, e Rodope non meno, che in disparte sedeva rispettosa, alquanto si allontanò (Alessandro Verri, Le avventure di Saffo)
(31) Il conte Armandi sembrava alquanto turbato allorché entrò nella stanza della moglie (Verga, Eros)
(e) Troppo «in maniera eccessiva» (anche con superlativo ironico troppissimo, come in (32) si incontra anche come intensificatore (33):
(32) «Parlate anche troppo voi due» e Michele guardò l’uomo negli occhi: «Troppissimo» (Alberto Moravia, Gli indifferenti)
(33) Tra questi sopramondi tecnici ci metterei anche le filosofie che credono di funzionare troppo bene e senza umiltà verso il reale (Italo Calvino, Lettere)
Nelle parlate giovanili e in alcune varietà regionali, troppo come intensificatore di aggettivi vale «molto»: quel film era troppo bello.
Troppo, infine, interviene in una tipica costruzione, formata da troppo + aggettivo + per + infinito (che si confonde facilmente con la costruzione con abbastanza menzionata sopra):
(34) sei troppo scaltro per cascare nella trappola
(f) Tanto «in larga misura»:
(35) Egli poteva anche immaginarsi il camion raggiungerli, dopo ch’essi avevano tanto camminato, e allora riprenderli, stanchi morti, nei vecchi posti (Elio Vittorini, Le donne di Messina)
Si usa anche (nella lingua colloquiale) al superlativo:
(36) Parliamo dunque tantissimo di questo Roberto (Alberto Arbasino, L’Anonimo Lombardo)
Uno degli usi principali di tanto è in correlazione con quanto (➔ correlative, strutture):
(37) Non furon che due giorni di vacanza e mi parve di star tanto tempo senza rivedere Garrone. Quanto più lo conosco, tanto più gli voglio bene (Edmondo De Amicis, Cuore)
Un altro avverbio che può trovarsi da solo o in correlazione con altri avverbi di quantità è altrettanto:
(38) Altrettanto difficile che nel campo mentale è la coerenza nel campo morale (Benedetto Croce, Filosofia come vita morale e vita morale come filosofia)
(39) Un moto [...] ora accelerato assai ed ora altrettanto ritardato (Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi)
(g) Affatto «del tutto» (40) è adoperato per lo più come intensificatore:
(40) Altri meschini erravano sbandati, come stupidi, e non pochi fuor di sé affatto (Manzoni, I promessi sposi XXXIV)
I costrutti nient’affatto e il suo contrario tutt’affatto (quest’ultimo antiquato e letterario) integrano l’utilizzo di questo avverbio:
(41) Un concetto, pensato fuori delle sue relazioni, è indistinto, cioè nient’affatto pensato (Croce, Logica come scienza del concetto puro)
Nell’uso popolare, affatto ha però finito con l’acquistare valore negativo anche nell’uso assoluto: – Ti ho disturbato? – Affatto [«per niente»].
Un discorso a parte meritano gli avverbi più e meno (che tra l’altro sono impiegati, rispettivamente, nel comparativo di maggioranza e di minoranza; ➔ comparativo, grado). Rispetto agli avverbi di quantità visti fin qui, essi esprimono l’inadeguatezza quantitativa per eccesso (più) e per difetto (meno), ma in modo ancora più indeterminato:
(42) Giudica tu nel canto
qual più vaglia di noi (Pietro Metastasio, La gara)
(43) e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi,
men si dorrà di consanguinei lutti (Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 274-276)
Inoltre più è anche un intensificatore (44), come meno è un attenuatore (45):
(44) Con occhi più lieti e più ridenti (Poliziano, Stanze per la giostra del magnifico Giuliano I, 55, 1)
(45) Il pervertimento de’ sensi gli faceva ricercare e rilevare nelle sue amanti quel ch’era in lor men nobile (D’Annunzio, Il piacere)
Si menzionano, infine, alcune locuzioni avverbiali di quantità: press’a poco (oggi scritto per lo più in grafia unita: pressappoco; ➔ univerbazione), all’incirca, su per giù, più o meno, né più né meno, né tanto né poco, non … più di tanto, ecc.
GDLI (1961-2008) = Battaglia, Salvatore, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 28 voll.
De Mauro, Tullio (a cura di) (2007), Primo Tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento, Torino, UTET.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Lonzi, Lidia (1991), Il sintagma avverbiale, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi & G. Salvi, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale; la subordinazione), pp. 341-412.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.