AVVOCATURA
. La professione di avvocato, per quanto associata nella legge e, in parecchie regioni, anche nella pratica con quella di procuratore, ha tuttavia, rispetto ad essa, distinte origini, diversa storia e diverso carattere. Le prime manifestazioni dell'avvocatura si riscontrano in una forma semplice d'assistenza: quella che anticamente si prestavano a vicenda i famigliari nelle difficoltà della vita. In seguito il ministero della difesa si estrinsecò come una protezione generica del forte verso il debole che comprendeva l'aiuto materiale, l'influenza, il consiglio e il patrocinio giudiziario.
La difesa forense vera e propria cominciò ad assumere importanza e a costituire una professione distinta nella Grecia. Ivi, tuttavia, la funzione di sostenere in giudizio le ragioni delle parti non fu egualmente riconosciuta ovunque: soprattutto in Atene parve corrispondere alle esasperate tendenze democratiche la massima che ogni cittadino dovesse sostenere da sé le proprie ragioni (cfr. in ispecie Quint., Inst. orat., II, 15, 30). Perciò la professione dell'avvocatura si svolse soprattutto in quella forma che fu detta della logografia, consistente nel preparare dietro pagamento i discorsi che le parti stesse dovevano mandare a memoria e pronunciare davanti ai tribunali. Tale attività, come quella che si esplicava nell'ombra e al solo fine del guadagno, era reputata alquanto sordida, tanto che gli oratori se la rinfacciavano a vicenda come una colpa; comunque è certo che, ad eccezione di Andocide e di Eschine, tutti gli oratori attici ricordati nel canone alessandrino la esercitarono, e che alcuni fra essi, come Isocrate e Demostene, ricostituirono a questo modo il loro patrimonio. Nel mondo ellenistico, invece, e in particolare nell'Egitto greco, i litiganti erano spesso assistiti da un ρήτωρ che ne sosteneva le ragioni, facendosi preparare il materiale da tecnici di condizione sociale inferiore, detti πραγματικοί: appunto la raccolta dei testi di legge occorrenti per l'udienza di avvocato costituisce il famoso papiro alessandrino conservato nel Museo di Halle e noto sotto il nome di δικαιώματα. Assai più eminente era la funzione del συνήγορος, difensore della propria (talvolta anche di altra) città nelle contestazioni con altre comunità (v. arbitrato internazionale); lo stesso nome era dato in Atene anche a coloro cui si affidava la difesa d'ufficio della vecchia legge ogni volta che si proponesse di abrogarla o riformarla - funzione cui si solevano chiamare i più eminenti fra gli oratori.
Il mondo romano conosce due categorie di persone che prestano assistenza al cittadino negli atti della vita giuridica e nel processo civile e penale: i patroni, che (a parte la funzione originaria di integrare nei processi repetundarum la deficiente capacità giuridica dei principali accusatori) si identificano con gli oratores, mettendo a disposizione degl'interessati, piuttosto che la competenza giuridica, l'attitudine a persuadere ed a commuovere le giurie; e gli advocati (o iurisconsulti), che istruiscono le parti sui modi di salvaguardare i proprî interessi nei negozî giuridici e di dar forma alle proprie pretese e difese processuali. Normalmente la prima categoria di persone domina i processi criminali e quelli privati che si svolgono davanti a giurie numerose, come i centumviri, mentre gli avvocati-giuristi esplicano la loro funzione nella impostazione delle controversie davanti al pretore urbano o peregrino. Ma le due funzioni possono cumularsi nella stessa persona, non potendosi esercitare l'una senza possedere in un certo grado le attitudini dell'altra (il che facilita anche gli scambî terminologici); quanto meno, era necessario all'oratore premunirsi consultando il giurista, ciò che si diceva scherzosamente hastas (o tela) subministrare. I requisiti per fare opera di advocatus erano enumerati, per quanto riguarda i processi portati alla cognizione del pretore urbano, nell'editto del pretore medesimo (Dig., III, 1, de postulando): erano esclusi i fanciulli, i sordi, le donne, le persone ritenute ignominiose. Una norma certamente affermatasi in età repubblicana, ma che con evidente anacronismo veniva riferita alla legge Cincia del 204 a. C., vietava che si esigesse un compenso ob causam orandam. Sotto Augusto la norma venne confermata, stabilendosi a carico dei trasgressori la pena del quadruplo (Dio Cass., 54 18, 2). Ma più tardi Claudio, Nerone e gl'imperatori successivi ammisero un onorario congruo pro modo litis proque advocati facundia et fori consuetudine et iudicii: e nell'editto di Diocleziano de pretiis rerum venalium era fissato un calmiere anche per prestazioni siffatte. A datare da Claudio, le trasgressioni furono comprese sotto il concetto del crimen repetundarum.
Il possesso delle conoscenze tecniche non è soggetto, nel mondo classico, a un pubblico accertamento; ma nell'epoca bizantina, costituite le scuole ufficiali di diritto, poté essere avvocato soltanto chi ne avesse seguito lodevolmente i corsi, onde il nuovo nome di σχολαστικοί, frequente nei papiri dell'età di Giustiniano. Anche gli σχολαστικοί costituiscono in questo periodo un corpus con un numero chiuso e con speciali immunità.
Dopo la caduta dell'impero romano, e nei tempi barbarici, le funzioni dell'avvocatura si andarono deformando, e risorsero, nel loro carattere peculiare, soltanto all'epoca del Rinascimento. Questa rifioritura ebbe la sua culla in Francia, dove l'avvocatura conquistò il vantaggio dell'autonomia ed ebbe grande importanza morale e politica, specialmente per effetto della costituzione e dell'indipendenza dell'ordine. Tale importanza durò fino alllepoca della Rivoluzione, che segnò, per un certo tempo, la fine dell'ordine degli avvocati. Esso venne successivamente ricostituito. In Italia la professione dell'avvocatura venne disciplinata per la prima volta con la legge dell'8 giugno 1874.
La professione del procuratore cominciò a svilupparsi molto più tardi di quella dell'avvocato. In Grecia i procuratori furono affatto sconosciuti. Anche in Roma, per lungo tempo, non si ammisero i procuratori. I primi procuratori, nell'antica Roma, furono degli amministratori del patrimonio, che solo eccezionalmente si incaricavano anche di fare presso i giudici alcune pratiche relative alle liti. In seguito i procuratori alle liti acquistarono, nel procedimento romano, una grande importanza. Nell'epoca imperiale la professione di procuratore, come quella di avvocato, venne meglio regolata dalla legge: il procuratore alle liti divenne un vero istituto a sé mentre prima era stato una parte specifca dell'istituto generico del procuratore. Nel Medioevo i procuratori scomparvero quasi completamente o ebbero funzioni assai modeste e limitate. In Francia la professione di procuratore sorse parallela a quella dell'avvocato e ne seguì in gran parte le sorti; e così in Italia.
Le funzioni dell'avvocato si distinguono da quelle del procuratore in questo senso: avvocato è colui che esercita l'ufficio di consulenza nelle materie giuridiche e di difesa nelle pratiche giudiziarie civili e penali; procuratore, invece, è colui che assume la rappresentanza dei litiganti nei giudizî e cioè si sostituisce, davanti all'autorità giudiziaria, alla persona fisica o giuridica della parte: questa rappresentanza è talvolta facoltativa, talvolta necessaria.
Naturalmente il procuratore che sia dotato di cultura e di capacità tecnica invade talvolta le funzioni dell'avvocato. In molte regioni, poi, come già si è detto, le due professioni vengono esercitate promiscuamente dalle stesse persone. Ma questo non toglie che, tipicamente, le due categorie professionali debbano avere ed abbiano requisiti e funzioni distinte.
L'esercizio della professione di avvocato e di procuratore è regolato da apposite disposizioni di legge, che stabiliscono i requisiti di idoneità, di capacità e di dignità necessarî per il conseguimento e per la conservazione del titolo, che contengono la indicazione delle norme e delle procedure disciplinari, e che, infine, prevedono la composizione e regolano il funzionamento degli organi direttivi della classe (legge 26 marzo 1926, n. 453 e regio decreto 26 agosto 1926, n. 1683).
Dell'avvocato in genere sono state fatte, in tutti i tempi, piu denigrazioni che esaltazioni. In realtà le denigrazioni hanno origine dall'impressione che certe deviazioni individuali fanno sul pubblico; le esaltazioni si comprendono pensando a quello che realmente dovrebbe essere e che, nella maggior parte dei casi, è l'avvocato. L'avvocato, infatti, è, tipicamente, un collaboratore della giustizia, e un collaboratore necessario. Dovunque esistano testi di legge da applicare e interpretare, dovunque esistano rapporti giuridici da regolare, dovunque esista una magistratura incaricata di rendere giustizia, ivi occorre che gli avvocati intervengano per intromettersi fra le parti interessate e i giudici al fine di chiarire la situazione e di far scaturire dal contrasto dei fatti e delle idee la verità che poi dovrà essere consacrata nelle sentenze.
Questa essendo la funzione essenziale dell'avvocatura, si comprende che la stessa legge professionale esiga dagli avvocati, oltre al requisito di una cultura tecnica completa e profonda, il requisito e la osservanza di una dignità e di un decoro particolarmente qualificati. L'avvocato, pertanto, deve avere queste doti iondamentali: cultura generale e specifica, attitudine alla logica e all'oratoria, probità e correttezza tanto nei rapporti coi clienti quanto nei rapporti coi colleghi e coi magistrati. L'indipendenza e il disinteresse sono sempre stati e devono essere due punti cardinali nell'esercizio dell'avvocatura.
L'indipendenza determina l'imparzialità, necessaria a chi deve curare la protezione legittima degl'interessi che gli sono affidati. Il disinteresse conferisce al medesimo scopo ed elimina la possibilità di deviazioni tanto nella consulenza quanto nell'assistenza giudiziaria. Il disinteresse non esclude, naturalmente, il legittimo compenso, poiché nei tempi moderni è stato completamente abbandonato il concetto della gratuità delle prestazioni professionali dell'avvocato ed è stato universalmente riconosciuto il diritto all'onorario. Ma il disinteresse fa sì che l'avvocato debba rifuggire da qualunque forma speculativa nell'esercizio della professione: ciò che è legittimo per il commerciante o per altre categorie di persone in tema di accaparramento degli affari e di conquista della clientela deve essere rigorosamente evitato nell'esercizio dell'avvocatura. A garantire il disinteresse delle persone che appartengono alla classe degli avvocati, le stesse leggi professionali, sia all'estero sia in Italia, stabiliscono delle speciali incompatibilità: l'attuale legge italiana, per esempio, dichiara che l'esercizio della professione di avvocato o di procuratore è incompatibile con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome di altri, con la qualità di mediatore e con qualunque impiego retribuito che non sia di indole scientifica, letteraria o giornalistica.
Sempre al fine di garantire l'idoneità delle persone alle esigenze dell'ufficio, la legge professionale: a) stabilisce che, per essere inscritti nell'albo degli avvocati, è necessario, tra l'altro, tenere una condotta sotto ogni rapporto specchiatissima e illibata; b) attribuisce ai consigli dell'ordine degli avvocati, tra le altre, le funzioni di vegliare alla conservazione del decoro dell'ordine e di ciascuno dei suoi componenti, di procedere in via disciplinare contro gli avvocati che si rendano colpevoli di atti che non siano perfettamente consoni all'alta dignità e al decoro da osservarsi sempre da tutti i componenti del collegio, di vigilare all'esatto adempimento degli obblighi professionali. La legge, dunque, organizza l'esercizio della professione in modo che la figura dell'avvocato dovrebbe corrispondere, nella realtà, a quella ideale descritta nell'antica formula di Catone, che definiva l'avvocato vir bonus iuris et dicendi peritus, oppure nelle celebri formule del D'Aguesseau e del Fyot de la Marche, magistrati e giureconsulti francesi del sec. XVIII. Che, se in pratica si verificano talvolta delle deviazioni, queste, come già si è detto, sono dovute a errori e difetti individuali e non possono certo intaccare la reputazione e la considerazione che merita la classe.
Bibl.: E. Drerup, Aus einer alten Advokatenrepublik, Paderborn 1916; G. M. Calhoun, Athenian clubs, in politics and litigation, Austin 1924; R. J. Bonner, Lawyers and litigants in ancient Athens, Chicago-Illinois 1927; M. Hambert, Les plaidoyers écrits et les plaidoiries réelles de Cicéron, Parigi 1926; J. Appleton, Traité de la profession d'avocat, Parigi 1923; G. Bentini, Le macchie sulla toga, Napoli 1927; P. Calamandrei, Troppi avvocati, in La voce forense, 1921; A. G. Camus, Profession d'avocat, Parigi 1830-1832; M. Donati, Gli avvocati, Firenze 1913; A. M. J. J. Dupin (aîné), Profession d'avocat, Parigi 1830-32; D. Giuriati, Come si fa l'avvocato, Livorno 1897; A. Ossorio, L'anima della toga (trad. italiana di Calamandrei), Aquila 1926; H. Robert e A. Maruzzi, L'avvocato, Milano 1926; G. Zanardelli, L'avvocatura, Firenze 1879.
Avvocatura erariale. - L'avvocatura erariale è un istituto di origine romana, che sorge con l'impero, quando, separatosi il fiscus dall'aerarium, si viene a costituire una personalità patrimoniale autonoma dello stato. Nelle liti riguardanti il fisco, l'imperatore, parte in causa davanti alla giurisdizione ordinaria, è rappresentato dai procuratores caesaris. L'istituto nasce in una forma assai nitida, ma perde presto il suo carattere, quando, sotto Claudio, il rigido principio si allenta, per il bisogno pratico di creare una giurisdizione privilegiata alle liti fiscali, e i procuratores caesaris acquistano poteri giurisdizionali. Nerva istituì il praetor fiscalis, magistrato speciale per le contese col fisco, ridonando ai procuratores caesaris la loro primitiva funzione. L'istituto si chiarisce con la riforma d'Adriano, larga ed organica, che, abolito il praetor fiscalis, ricostituisce in giurisdizione speciale i procuratores caesaris, affidando la rappresentanza e la difesa dello stato agli advocati fisci. Gli advocati fisci avevano come funzione principale la difesa, in largo senso, di tutti gl'interessi patrimoniali dello stato, ma sembra che a questa funzione se ne aggiungessero altre in epoca tarda, come il potere di promuovere certe azioni penali; in questo potere si può rintracciare il germe della pubblica accusa. La funzione dell'advocatus fisci era tenuta in molta considerazione, tanto che la carica era ricoperta dai migliori giuristi e da alti personaggi.
Nel Medioevo col frantumarsi dell'autorità statale e col sovrapporsi disordinato degli uffici pubblici, l'istituto perde il suo carattere, cosicché incontriamo funzionarî con attribuzioni analoghe a quelle degli advocati fisci, che non solo rappresentano lo stato, parte in causa, ma ne impersonano la sovranità. Dai procuratores regis sorti in Francia, con mansioni di patrocinio, verso la fine del sec. XIII, scaturisce, per successive graduali sovrapposizioni d'uffici, l'istituto del pubblico ministero.
Dopo un lungo periodo in cui la fisionomia del nostro istituto resta vario e oscuro, lo vediamo riapparire nettissimo, quasi dopo una laboriosa incubazione, nell'"avvocato regio" creato il 17 maggio 1777 con motu proprio da Leopoldo I, acciocché le cause riguardanti lo stato siano "difese con puro spirito di verità e giustizia e che l'interesse del fisco non prevalga mai alla ragione dei privati". Il processo evolutivo può dirsi, di massima, compiuto: l'avvocato regio ha le stesse mansioni della nostra avvocatura erariale.
Uffici d'avvocatura erariale esistevano, in diversa forma, negli stati italiani anteriori all'unificazione, e il coordinamento necessario venne, uniforme ed organico, con una serie di disposizioni legislative, a cominciare dal regio decreto 9 ottobre 1862, fino al testo unico approvato con regio decreto 24 novembre 1913 e, con molti successivi decreti d'integrazione e di riforma, principalissimo il regio decreto 30 dicembre 1923, che aumenta da dodici a quindici il numero delle avvocature distrettuali e stabilisce il foro generale dell'erario.
L'avvocatura erariale ha il compito di assumere e sostenere direttamente la rappresentanza e la difesa dello stato, del fondo per il culto, degli economati dei benefici vacanti e di tutte le altre amministrazioni dello stato nei giudizî attivi e passivi; e inoltre di fornire alle amministrazioni dello stato tutti i consigli legali di cui hanno bisogno per promuovere, contestare o abbandonare giudizî, disporre transazioni, preparare contratti, ecc. (art. 1 del regolamento r. decr. 24 novembre 1913, n. 1034).
Nessuna amministrazione potrà ricorrere all'assistenza di avvocati del libero foro, se non per ragioni eccezionali, sentito il parere dell'avvocato generale e con decreto del ministro dal quale dipende l'amministrazione, previo accordo col ministro del Tesoro: salvo però che sorga conflitto d'interessi fra l'economato dei benefici vacanti e qualsiasi amministrazione dello stato, nel qual caso l'economato sarà difeso in giudizio da un avvocato del foro libero, nominato per decreto ministeriale, previo parere dell'avvocato generale (art. 1 testo unico, art. 3 r. decr. 29 agosto 1893); questa disposizione cessa col venir meno dell'amministrazione statale dei benefici vacanti in seguito al concordato con la Santa Sede approvato con la legge 27 maggio 1929. L'ufficio di rappresentanza deriva all'avvocatura erariale non dal mandato, ma dalla legge, in modo che l'avvocato erariale, a differenza dell'avvocato regio, non assume in sé tutta la capacità processuale dello stato, ma solo quel tanto che la legge processuale normalmente attribuisce ai rappresentanti in causa.
L'avvocatura erariale è costituita dall'avvocatura generale erariale, che ha sede in Roma, e dalle avvocature distrettuali, prima otto, poi dodici, oggi quindici: Ancona, Aquila, Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino, Trieste, Venezia. A capo di tutte le avvocature sta un avvocato generale erariale con altissime mansioni direttive, coordinative, consultive e disciplinari; vi è inoltre un viceavvocato generale erariale che coadiuva e supplisce l'avvocato generale. I funzionarî dell'avvocatura erariale non possono occupare altro ufficio né esercitare altra professione, e sono nominati per decreto reale.
Stabilito un ufficio di avvocatura in ogni sede di corte d'appello, reso competente per le cause erariali, salvo poche eccezioni, il tribunale della stessa sede, esteso il compito dell'avvocatura all'amministrazione ferroviaria che prima ne restava esclusa, la difesa dello stato può dirsi veramente ordinata su una base organica.
Superate le non poche diffidenze e i non lievi ostacoli, l'avvocatura erariale, coordinata in un organismo unico sempre più perfetto e fattivo, ha reso grandi servizî al paese, con la costante opera di prudente, sapiente e soprattutto onesto patrocinio.
Bibl.: Manca una monografia scientifica. Vedi però F. Abignente, Le avvocature erariali in Italia, Napoli 1878; G. Mantellini, Lo Stato ed il codice civile, III, Firenze 1883, p. 27 segg.; U. Tambroni, Avvocature erariali, in Digesto Italiano, IV; A. G. Fontanive, Avvocatura erariale, in Enciclopedia giuridica italiana; G. Ingrosso, La litigiosità dello Stato, Roma 1910; L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, Torino 1902-6, I, p. 581; F. Menestrina, Il foro generale dell'erario, in Riv. di dir. proc. civ., 1924, i, p. 297 segg. Vedi anche Relazione sulla R. Avvocatura Erariale per gli anni 1912-1925, presentata al Capo del Governo dall'avvocato generale G. Scavonetti, pubblicata dal Provveditorato generale dello Stato, Roma 1926.