AYYUBIDI
La dinastia di origine curda degli A. fu fondata da Salāh al-Dīn (Saladino), che regnò dal 564 al 589 a.E./1169-1193 e riunì sotto la sua autorità la Siria, l'Alta Mesopotamia, l'Egitto e lo Yemen. Alla sua morte, l'impero fu dapprima diviso tra i suoi figli e poi in parte riunificato da suo fratello al-'Ādil (596-615 a.E./1200-1218) al quale i principi di Hims, Hamā e di Aleppo resero atto di sottomissione. Dopo il regno di suo figlio al-Kāmil (615-635 a.E./1218-1238), gravi dissensi familiari segnarono l'inizio della decadenza ayyubide. In Egitto gli A. furono rovesciati dai Mamelucchi, dinastia di schiavi turchi, nel 648 a.E./1250, mentre in Siria e nell'Alta Mesopotamia l'ultimo ayyubide, al-Nāṣir Yūsuf II, fu costretto a soccombere all'invasione mongola del 658 a.E./1260.Dopo il grande sviluppo del Jihād (guerra santa) sotto Saladino, il regno degli A. fu caratterizzato, in Siria e in Palestina, da una situazione di relativa pace con i Franchi. Questa situazione favorì, nel sec. 13°, il moltiplicarsi di relazioni commerciali tra mercanti occidentali e musulmani e lo sviluppo dell'artigianato (tessuti, ceramica, vetro); i numerosi caravanserragli costruiti in quest'epoca sulle principali vie commerciali attestano l'importanza di queste attività economiche. Tale stato di prosperità favorì anche un notevole ampliamento dei sobborghi urbani: le città si arricchirono di nuovi monumenti e, tra questi, gli edifici religiosi ebbero un posto di rilievo.L'architettura ayyubide conservò le antiche tradizioni ellenistiche, romane e bizantine perpetuatesi in Siria e in Egitto, ma si aprì anche a influssi stranieri, talvolta in concomitanza con situazioni politiche precise (per es. i legami con la Mesopotamia o con l'Iran). Il diverso materiale da costruzione disponibile in ciascuna regione contribuì a definire le caratteristiche varianti locali di questa architettura, come l'impiego di materiali leggeri a Damasco (legno, mattoni e pietrame) o la preferenza per la pietra ad Aleppo. Tuttavia, in parte sotto l'influsso della tradizione della Siria settentrionale, l'uso della pietra da taglio per le costruzioni monumentali si diffuse, dall'inizio del sec. 13°, anche a Damasco, dove l'uso del laterizio fu riservato alla costruzione delle cupole. In Egitto, dove i Fatimidi avevano già reintrodotto in parte l'uso della pietra, gli A. utilizzarono le stesse tecniche impiegate in Siria. Il persistere delle tradizioni locali e l'uso della pietra diedero all'architettura ayyubide peculiari caratteristiche di solidità, talora di rigore e austerità. La decorazione, molto discreta, sottolineava gli elementi architettonici più importanti, quali portali, cupole, miḥrāb e, talvolta, porte e finestre.I sovrani ayyubidi attesero con particolare cura alla costruzione o al restauro delle difese urbane, bastioni e cittadelle. Tali restauri si resero necessari per difendere le regioni del Nord e del Nord-Est dalle incursioni dei Franchi, dei Selgiuqidi dell'Anatolia, degli Khwārazmshāh e dei Mongoli. Più a S, le mire franche sull'Egitto furono palesi fin dal tempo del regno di Nūr al-Dīn e si affermarono ancora, a più riprese, nel sec. 13° con la crociata del 615 a.E./1218 e con quella guidata da s. Luigi nel 646 a.E./1248. Tale situazione contribuì a incentivare il potenziamento delle fortificazioni, ma questa politica, condotta sistematicamente dagli A., ebbe anche lo scopo di difendere le loro terre da possibili conflitti interni o da eventuali rivolte popolari. Inoltre, la costruzione o il restauro di cittadelle all'interno delle città consentiva pure l'insediamento di residenze prestigiose, che comprendevano talvolta numerosi palazzi, bagni, una grande moschea, un ippodromo e vari altri annessi.In Egitto, le principali opere edilizie di Saladino furono un progetto di fortificazione che avrebbe dovuto inglobare le due città del Fusṭāṭ e del Cairo (al-Qāhira), solo in parte realizzato, e l'edificazione di una cittadella sullo sperone roccioso del Muqattam, a E del Cairo, una delle più importanti fortificazioni ayyubidi mai progettate. Dopo la sua morte, nel 589 a.E./1193, tale impresa fu compiuta dal fratello al-'Ādil, il quale vi fece aggiungere, nel 604 a.E./1207-1208, tre grandi torri quadrate; questa cittadella divenne, da allora, la residenza dei sovrani ayyubidi d'Egitto.Al-'Ādil fece intraprendere altri lavori di fortificazione nei territori dipendenti direttamente o indirettamente dalla sua autorità; ne sono esempi il restauro della cittadella di Harrān in Alta Mesopotamia o l'ampliamento della fortezza di Bosra, installata nell'antico teatro romano. Lavori molto importanti furono condotti sotto la sua direzione anche a Damasco, dove la cittadella fu completamente ricostruita a partire dal 603 a.E./1206 sul sito dell'antico castrum romano, nell'angolo nordoccidentale della città. Il muro di cinta, ancor oggi molto ben conservato, fu restaurato e munito di tredici torri; vi si aprirono due porte: quella settentrionale presentava un'entrata a cinque passaggi a gomito successivi ed era dunque la più fortificata. Questo dispositivo, comune ad Aleppo nel sec. 13°, era più raro a Damasco, dove le porte dei bastioni urbani erano dotate, secondo antichi modelli, solo di un passaggio dritto coperto a volta; altri influssi provenienti da Aleppo si possono inoltre notare (Sauvaget, 1930) in alcuni particolari della costruzione o della decorazione: cupole a stalattiti, cupole su pennacchi, archi a doppio archivolto sull'estradosso, motivi a fiori e profili di nervature presenti sul portale orientale. Analoghi elementi decorativi utilizzati nella Siria settentrionale fanno ipotizzare che architetti e maestranze di Aleppo abbiano collaborato alla costruzione di questa cittadella. Tali scambi artistici testimoniano probabilmente anche di un miglioramento delle relazioni tra al-'Ādil e il nipote al-ẓĀhir Ghāzī.Dal canto loro, i sovrani ayyubidi della Siria centrale rinforzarono anch'essi le difese urbane. A Ḥamā, al-Muzaffar ῾Umar (574-578 a.E./1178-1191) fece costruire una nuova cinta di mura e rinforzare la cittadella; a Ḥimṣ, due iscrizioni della torre nord della fortezza testimoniano interventi iniziati da al-Malik al-Mujāhid Shīrkūh II nel 594 a.E./1198 e nel 599 a.E./1202. I lavori più importanti furono però intrapresi ad Aleppo, dove il figlio di Saladino, al-ẓĀhir Ghāzī, fece ricostruire gran parte della cittadella situata a E della città. Il fossato che circondava la fortezza fu approfondito e fu attraversato da un ponte a otto arcate; il tell sul quale si ergeva la cittadella fu ricoperto con spalti di pietra. Una nuova entrata, protetta da due possenti torri, fu dotata di cinque passaggi a gomito successivi ad angolo retto, tre porte di ferro e caditoie nelle volte; la caratteristica soluzione dell'entrata con passaggi a gomito, adottata nelle porte della cinta di Aleppo, ricostruita in epoca ayyubide (porte di Antiochia, della Vittoria e di Qinnasrīn), raggiunse così il suo massimo sviluppo.Al Cairo, una seconda fortezza ayyubide fu costruita da alSālih Ayyūb (637-647 a.E./1240-1249) nell'isola di Rawḍa per installarvi la sua guarnigione di Mamelucchi bahriti e porvi la sua nuova residenza. Oggi nulla resta di essa, ma precise notizie possono essere desunte dalle fonti e dai disegni eseguiti nel 18° secolo. Il muro di cinta era munito di sessanta torri e all'interno fu edificata una grande moschea; la porta del palazzo fu scolpita in stile gotico, forse da prigionieri francesi.Le grandi moschee di Damasco, di Aleppo o del Cairo subirono poche trasformazioni in epoca ayyubide. Tuttavia, l'esame dei minareti costruiti o restaurati nel sec. 13° nella parte orientale dei territori ayyubidi pone in risalto un sicuro influsso iranico-iracheno: invece dei minareti a sezione quadrata in pietra, tradizionali in Siria, si diffusero minareti a sezione circolare in mattoni, come a Raqqa o a Qal'at Ja'bar, oppure, come a Bālis, una torre ottagonale in laterizio (607 a.E./1210-1211); la decorazione, ottenuta dalla disposizione dei mattoni stessi, risulta comunque molto più sobria di quelle in uso in Iran. L'influsso orientale si spiega certamente con la vicinanza geografica della Mesopotamia e dell'Iran, ma anche con l'egemonia politica che i grandi Selgiuqidi avevano esercitato alla fine del sec. 11° in Iran, Iraq, Siria e Anatolia, creando così un'unità culturale che sopravvisse largamente al declino di questa dinastia.La politica religiosa degli A., favorevole al sunnismo, incentivò la costruzione di numerose madrase, scuole giuridiche e religiose, fondate per lo più da sovrani o dignitari di corte. Non esiste una pianta tipo per questo genere di edifici di origine iranica: a volte era una casa d'abitazione a essere trasformata dal suo proprietario in madrasa, oppure era una chiesa trasformata in moschea che poteva diventare madrasa (per es. la Ḥallāwiyya ad Aleppo). Più spesso, quando il fondatore era un personaggio importante, l'edificio poteva presentare un impianto architettonico particolare con una corte centrale come elemento caratteristico, uno o eccezionalmente due īwān (spazi coperti a volta completamente aperti sulla corte) per le lezioni durante la bella stagione, una sala coperta a volta, una sala per la preghiera, piccole celle per gli studenti e i maestri e molto spesso, in un angolo della costruzione visibile dalla strada, il mausoleo del fondatore. Le madrase funerarie si svilupparono particolarmente in Siria in epoca ayyubide. Questi mausolei potevano a volte avere l'iscrizione relativa alla loro fondazione distinta da quella della madrasa. In certi casi sono rimasti soltanto i mausolei che oggi appaiono come turba indipendenti (turba di Farrukh Shāh e di Bahrām Shāh a Damasco).Al Cairo sono da ricordare altri monumenti funerari come il mausoleo dell'imām Shāfi'ī nel cimitero meridionale di al-Qarāfat al-Kubrā del 608 a.E./1211, costruito da al-Kāmil b. al'Ādil I per custodire la tomba del fondatore della scuola shafita e di suo figlio. Una madrasa era già stata costruita da Saladino accanto a questa tomba; oggi non resta che il cenotafio in legno di teak di al-Shāfi'ī, datato 574 a.E./1178-1179. Inoltre, la tomba dei califfi abbasidi, riccamente decorata con stucchi modellati e dipinti, potrebbe essere fatta risalire al 640 a.E./1242-1243; essa serviva ad accogliere i cenotafi dei califfi-fantocci abbasidi che vissero al Cairo sotto la dinastia dei Mamelucchi. Nel periodo post-ayyubide questi mausolei isolati e senza edifici annessi divennero molto rari.La decorazione di questi monumenti religiosi ayyubidi, caratterizzata da una grande semplicità e da un'assoluta sobrietà, rende evidente l'approfondita conoscenza delle tecniche e delle forme già sviluppatesi in Mesopotamia o in Iran. Tuttavia questi influssi orientali non si diffusero alla stessa maniera in tutte le regioni della Siria: importantissimi lungo l'Eufrate e nella Siria settentrionale, non modificarono radicalmente le solide tradizioni architettoniche locali, specialmente quelle di ascendenza bizantina. Damasco subì un importante influsso mesopotamico nel sec. 12°, per es. nella madrasa e nell'ospizio di Nūr al-Dīn, mentre nel corso del sec. 13° l'influsso di correnti artistiche provenienti dalla Siria del Nord si fece più intenso giungendo, in quest'epoca, fino in Egitto. Influssi esterni e tradizioni locali si combinarono dunque in modi diversi in ciascuna regione, ma non impedirono il formarsi di un'arte propriamente ayyubide.Ad Aleppo, le cupole poggiano per lo più su sostegni triangolari o pennacchi; sotto l'influenza mesopotamica, la superficie di questi pennacchi si arricchisce di grandi alveoli che sono utilizzati spesso anche nelle nicchie dei portali. I miḥrāb di Aleppo appaiono molto particolari, con la loro decorazione a intrecci geometrici "che ricordano la passamaneria" (Sauvaget, 1934, p. 39), semplicemente incisi nella pietra, oppure eseguiti a rilievo con incrostazioni di marmi policromi. A Damasco, le nicchie angolari, di ispirazione iranico-irachena, sono spesso impiegate per sostenere le cupole, mentre un doppio tamburo assicura il passaggio dalla pianta quadrata a quella circolare. Qui come al Cairo, per dissimulare la povertà dei materiali, le decorazioni in stucco modellato o dipinto ricoprono le pareti o inquadrano le finestre (madrasa Shāmiyya, fuori le mura a Damasco; tomba dei califfi abbasidi al Cairo). Alcune cupole conservano anche, all'esterno, tracce di policromia (madrasa 'Izziyya fuori le mura a Damasco). Pertanto, sotto l'influsso dell'architettura della Siria del Nord, nel sec. 13° la messa in opera della pietra si perfezionò a Damasco (madrasa 'Ādiliyya, compiuta nel 620 a.E./1223) e i grandi alveoli si moltiplicarono. Il primo esempio di rivestimento bicromo per un'intera facciata a Damasco apparve verso il 645 a.E./1247 (madrasa Qilījiyya); questa tecnica divenne una costante in epoca mamelucca.Lo sviluppo del commercio si accompagnò a un moltiplicarsi dei caravanserragli (khān o funduq) destinati ad accogliere i mercanti con gli animali da trasporto e le mercanzie. Quando venivano costruiti nei sobborghi di una città essi fungevano anche da mercato per la vendita all'ingrosso; se invece erano situati lungo le grandi vie di commercio, servivano anche come luoghi di sosta ed erano sufficientemente fortificati per resistere agli assalti dei predoni. I caravanserragli ayyubidi in Siria (per es. il Khān al-'Arūs, Qutayba, Qara, a N di Damasco) sono tutti caratterizzati da dimensioni ridotte (m2 2500 ca.); quadrati o rettangolari, essi presentano una corte centrale e una galleria che corre tutt'intorno, coperta a volta, interrotta nell'asse principale da un īwān. La porta d'entrata è a volte fiancheggiata da due piccole stanze e sovrastata da una sala che ne assicura la difesa dall'alto. Questi edifici, semplicissimi nella pianta e nell'architettura, si adattavano perfettamente alla propria funzione, anche se, da un punto di vista artistico, non hanno un'importanza pari a quella dei grandi khān selgiuqidi della stessa epoca.I lavori di sistemazione idraulica intrapresi dai sovrani nelle grandi città comportarono anche l'aumento del numero dei bagni pubblici o privati, specialmente a Damasco (bagni di Sitti 'Adhrā', di Usāma) e ad Aleppo (bagni del sultano, dei mercanti di rame, del platano). Questi bagni (ḥammām) sono costituiti dalla successione classica di quattro sale, con uno spogliatoio, due sale di passaggio e una sala calda o stufa. A Damasco, l'influenza mesopotamica sull'architettura si avverte nell'utilizzazione di nicchie a conchiglia e di cupole a costoloni, con il tepidario in posizione centrale, intorno al quale si articola la struttura dell'edificio.Tra le arti minori è da segnalare la rilegatura e, soprattutto, la fabbricazione di tessuti (cotone nella Siria del Nord, seta a Damasco e Aleppo, lino in Egitto), anche se la documentazione disponibile è ancora assai limitata.Per quanto riguarda la ceramica, nei territori ayyubidi erano usati due diversi tipi di impasto: argilloso in Egitto e siliceo in Siria; è tuttavia da sottolineare che l'utilizzazione di impasti silicei si diffuse anche in Egitto verso la fine del sec. 12° per la fabbricazione di ceramica più pregiata. Inoltre, gli scavi del sito di Bālis-Meskené sull'Eufrate hanno mostrato che esistevano ugualmente, in quest'epoca, impasti teneri (silicei con una componente di argilla molto plastica), utilizzati in seguito in Iran nel 17° secolo. La classificazione delle differenti ceramiche è molto spesso collegata ai luoghi dove esse sono state rinvenute in maggior numero; si parla così di ceramica di Raqqa (a lustri metallici, monocroma o a decoro nero sotto invetriatura), di Ruṣāfa (policroma) o di ceramica 'palestinese' (vasi a decorazione geometrica dipinta in nero e rosso). La ceramica monocroma venne impiegata per un gran numero di oggetti d'uso comune (sgabelli, vassoi, vasi antropomorfi), spesso colorati in azzurro turchese. La ceramica a decorazione dipinta sotto invetriatura si divide in due gruppi: la ceramica dipinta in nero sotto invetriatura azzurro turchese, con forme specificamente siriane, come vasi a pancia sagomata, bicchieri senza piede e grandi piatti incavati, con una decorazione a motivi vegetali, raffigurazioni di animali, elementi geometrici o caratteri epigrafici (in cufico o naskhī); la ceramica a decorazione policroma sotto invetriatura incolore, influenzata forse dalla produzione iraniana, ma diversa dal tipo iraniano detto mīnā'ī. Sembra che molti centri di produzione di questa ceramica siano esistiti in Siria ed Egitto. La fabbricazione di ceramica a lustro metallico continuò in questi due paesi anche dopo il 567 a.E./1171, con una decorazione soprattutto a motivi floreali o geometrici. Tra i pezzi più rari e più apprezzati bisogna ricordare alcune ceramiche a impasto siliceo, dette lakabi (piatto con aquila; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst), caratterizzate da spesse invetriature policrome contenute da tratti incisi o in leggero rilievo, che sono diverse dalle ceramiche argillose a decoro inciso su ingobbio, posto in risalto da invetriature colorate in verde, giallo o bruno.Gli oggetti in metallo lavorato (per lo più in ottone con incrostazioni di argento e qualche volta di rame) godettero di un grande prestigio e i pezzi più importanti portano spesso il nome dei sovrani cui erano destinati. Due bacini, una tazza e un piatto (Washington, Freer Gall. of Art; Cairo, Mus. of Islamic Art) recano infatti il nome e la titolatura di al-Ṣāliḥ Ayyūb (637-647 a.E./1240-1249). Nella maggior parte dei casi gli artisti che firmarono le loro opere sono detti 'originari di Mossul' (al-Mawṣilī); questi operai specializzati lavorarono in luoghi diversi, ma non è ancora possibile distinguere le singole botteghe regionali. Le forme che si incontrano più frequentemente sono acquamanili alti cm. 30-40, dal lungo collo e dal becco affilato (Cleveland, Mus. of Art; New York, Metropolitan Mus. of Art; Washington, Freer Gall. of Art; Parigi, Louvre), e bacili dalle pareti leggermente convesse e dai bordi svasati (Washington, Freer Gall. of Art; Parigi, Louvre; Cairo, Mus. of Islamic Art), due forme caratteristiche del 13° e 14° secolo. Ma si trovano anche cofanetti cilindrici (un esemplare è a Londra, Vict. and Alb. Mus., con il nome di al'Ādil II, 1238-1240), un brucia-incenso (Richmond, Keir Coll.), un candeliere del 546 a.E./1248-1249 (Parigi, Mus. des Arts Décoratifs) e una fiasca magnificamente decorata (Washington, Freer Gall. of Art). La decorazione di questi oggetti comprende numerose scene animate, a volte con temi cosmici e terrestri (lavoro relativo ai diversi mesi, pianeti, segni zodiacali), ma più spesso con riferimenti ad attività ludiche e ricreative (in particolare caccia e gioco del polo). Animali fantastici o reali sono spesso rappresentati in sottili bande, mentre i motivi floreali, quasi sempre presenti, solo eccezionalmente costituiscono la parte principale della decorazione, come nel citato acquamanile di Washington. Particolare rilievo acquistano le iscrizioni in cufico o in naskhī costituite da dediche, firme e date, formule votive. Ma la decorazione senz'altro più originale è data dalla presenza, su numerosi oggetti ayyubidi in metallo, di motivi tipicamente cristiani, come scene della vita di Cristo o ritratti di santi (fiasca e bacile della Freer Gall. of Art di Washington con il nome di al-Ṣāliḥ Ayyūb): si tratta forse di oggetti destinati a cristiani, probabilmente offerti dagli A. ai sovrani franchi.Lo studio degli oggetti in vetro è difficile perché solo eccezionalmente essi recano una data o il nome di un sovrano (flacone smaltato e dorato con il nome di Yūsuf II di Aleppo, 634-658 a.E./1236-1260; Cairo, Mus. of Islamic Art). Inoltre gli artigiani cambiavano frequentemente la propria residenza e la produzione era spesso esportata, cosicché non sorprende ritrovare stili identici in differenti regioni. Dal sec. 12° al 14° la produzione di vetri raffinati sembra essere stata monopolio della Siria e dell'Egitto e caratterizzata principalmente dall'antica tecnica dell'incrostazione di fili di vetro opaco, da una ricca policromia e, soprattutto, dal perfezionamento della tecnica del vetro smaltato e dorato. Questa permise la fabbricazione di oggetti notevoli come la fiasca da pellegrino di Londra (British Mus., verso il 648-658 a.E./1250-1260, forse da Aleppo), dalla decorazione ad arabeschi che terminano in teste di animali, o la coppa riccamente dorata (New York, Metropolitan Mus. of Art), la cui decorazione, consistente in scene figurate con animali reali o immaginari e iscrizioni in naskhī, ricorda indiscutibilmente l'ornato degli oggetti in metallo. Alcune di queste opere fecero parte, dal sec. 14°, di tesori di cattedrali (bicchiere 'degli Otto preti' della cattedrale di Douai, oggi perduto) o di collezioni private, come il bicchiere detto Luck of Edenhall (Londra, Vict. and Alb. Mus.), anch'esso di origine siriana.In alcuni monumenti, pannelli di legno scolpito decoravano anche gli architravi e i battenti delle porte (madrasa Māridāniyya a Damasco, tomba di al-Ṣāliḥ Ayyūb al Cairo) o inquadravano le finestre. Si è inoltre conservato qualche cenotafio in legno (quello di Saladino a Damasco, dell'imām Shāfi'ī al Cairo). Motivi geometrici, intrecci e motivi floreali si combinano all'interno di pannelli poligonali, mentre le iscrizioni sono poste in evidenza su un tappeto di ornati floreali. Il naskhī si diffonde sempre di più, ma appare ancora spesso insieme al cufico fiorito.
Bibl.: J. Sauvaget, La citadelle de Damas, Syria 11, 1930, pp. 59-90, 216-241; J. David-Weill, Les bois à épitaphes jusqu'à l'époque mamelouke (Catalogue général du Musée arabe du Caire), Cairo 1931; J. Sauvaget, L'architecture musulmane en Syrie, Revue des Arts Asiatiques 8, 1934, pp. 19-51; id., Caravansérails syriens du Moyen Age, Ars Islamica 6, 1939, pp. 48-55; J. Sauvaget, M. Ecochard, J. Sourdel-Thomine, Monuments ayyoubides de Damas, 4 voll., Damas 1938-1950; E. Herzfeld, Matériaux por un Corpus Inscriptionum Arabicarum, II, Syrie du Nord. Inscriptions et monuments d'Alep (Mémoires publiés par les membres de l'Institut Français d'Archéologie Orientale du Caire, 76-78), 3 voll., Cairo 1954-1955; K.A.C. Creswell, The Muslim Architecture of Egypt, II, Ayyubids and Early Bahrite Mamluks, 1171-1326, Oxford 1960; C. Cahen, s.v. Ayyūbides, in Enc. Islam2, I, 1960, pp. 820-830; A. Bausani, s.v. Bāb, ivi, pp. 853-858; N. Elisséeff, s.v. Dimashk, ivi, II, 1965, pp. 286-299; J. Sauvaget, s.v. Ḥalab, ivi, III, 1971, pp. 87-92; A. Louis, s.v. Hammām, ivi, pp. 142-149; The Arts of Islam, cat., London 1976; J. Jomer, s.v. al-Ḳāhira, in Enc. Islam2, IV, 1978, pp. 442-464; N.Elisséeff, s.v. Khān, ivi, pp. 1042-1049; E. Baer, Metalwork in Medieval Islamic Art, New York 1983; J. Soustiel, La céramique islamique, Paris 1985; J. Raby, The Art of Syria and the Jazira, 1100-1250, Oxford 1985; R. Hillenbrand, s.v. Madrasa, in Enc. Islam2, V, 1986, pp. 1119-1144; M. Jenkins, Islamic Glass. A brief history, MetMB, n.s., 44, 1986, 2.A.M. Eddé