Vedi Azerbaigian dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Azerbaigian è una repubblica del Caucaso meridionale divenuta indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991. La politica estera azera si è caratterizzata da allora per il difficile tentativo di affrancamento dalla tradizionale influenza di Mosca, attraverso il tentativo di costruzione di una politica estera indipendente. Il paese, infatti, ha svolto negli anni un ruolo di argine al ritorno russo nello spazio post-sovietico e, contemporaneamente, di contenimento alla possibile penetrazione iraniana nell’area, affermando sempre più la propria rilevanza regionale e internazionale, grazie anche alle importanti risorse energetiche a disposizione. Il crescente attivismo russo nell’area, culminato nell’estate 2014 con l’annessione della Crimea, ha però impensierito Baku che, pur avendo firmato un accordo di fornitura militare con l’ingombrante vicino, teme di divenire a sua volta vittima della politica di potenza di Mosca. Tramite naturale fra l’Azerbaigian e l’Occidente è stata e continua a essere la Turchia. L’affinità etno-linguistica tra i due paesi – comunemente sintetizzata nel motto ‘due stati, una nazione’ – ha costituito la base sulla quale essi hanno fondato una relazione privilegiata, forte di una solida intesa diplomatica, economica e strategica. Oltre a possedere rilevanti risorse di petrolio e gas, l’Azerbaigian è assurto a snodo centrale per la realizzazione di un ‘corridoio energetico est-ovest’, promosso dagli Usa e in grado di collegare i giacimenti centro-asiatici ai mercati europei attraverso il Caspio e la Turchia, aggirando le esistenti rotte russe a nord e le potenziali rotte iraniane a sud. A seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e del lancio dell’operazione Enduring Freedom, si è inoltre notevolmente approfondita la rilevanza geostrategica dell’Azerbaigian quale testa di ponte per le operazioni Nato e statunitensi in Asia centrale. Su questo sfondo, l’Azerbaigian ha avviato una politica estera più bilanciata e pragmaticamente attenta a mantenere buoni rapporti con i principali attori dello scacchiere caucasico. Il conflitto con l’Armenia per il controllo del Nagorno Karabach (Dağliq Qarabağ), regione azera a maggioranza armena, ha rappresentato il principale ostacolo al cammino post-indipendentistico dell’Azerbaigian e alla piena affermazione della sovranità del paese. Dopo una fase di conflitto aperto tra il governo dell’Azerbaigian e le forze secessionistiche del Karabach sostenute dall’Armenia (1991-94), la mancata predisposizione di un accordo di pace ha congelato la vittoria militare armena, generando un pericoloso scollamento tra la sovranità de jure sulla regione, esercitata dall’Azerbaigian, e il controllo de facto della stessa, in mano alle autorità locali armene. Attualmente, circa il 20% del territorio azero è controllato da forze armene sostenute da Yerevan, che hanno avviato in esso un profondo processo di state-building. Nell’agosto 2012 le tensioni armeno-azere sono nuovamente emerse con il caso di Ramil Safarov, il militare azero condannato all’ergastolo per l’omicidio di un commilitone armeno, Gurgen Margaryan, ucciso a Budapest nel 2004 durante un corso di aggiornamento Nato. Il caso è nato a seguito dell’estradizione ungherese di Safarov in Azerbaigian, dove vive da uomo libero. Dal 1993 le sorti del paese sono rette dalla ‘dinastia Aliyev’, vera istituzione nazionale che ha guidato le fasi principali della storia azera. La Costituzione, approvata per referendum nel 1995, accentra rilevanti poteri nella carica del presidente della Repubblica che, oltre a guidare l’esecutivo, nomina i comitati esecutivi provinciali e i rappresentanti del potere giudiziario. Il parlamento, unicamerale ed eletto con sistema maggioritario, è dominato dal Partito del nuovo Azerbaigian (Yeni Azərbaycan Partiyası, Yap), che controlla 72 seggi su 125 totali ed è guidato dal presidente Ilham Aliyev, succeduto al padre Heidar nel 2003 e riconfermatosi al terzo mandato nelle elezioni presidenziali dell’ottobre 2013, con quasi l’85% delle preferenze. Le elezioni hanno fatto segnare un evidente disaccordo tra le missioni di monitoraggio internazionali presenti. Mentre, infatti, i delegati dell’Osce – in ciò sostenuti dal Dipartimento di stato statunitense – hanno ritenuto che la tornata elettorale non abbia raggiunto gli standard minimi di trasparenza e correttezza, quelli facenti capo all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e al Parlamento europeo hanno giudicato il processo elettorale libero, corretto e trasparente.
Il sistema politico continua tuttavia a distinguersi per una gestione autoritaria del potere, caratterizzata dalla repressione di giornalisti, attivisti e oppositori politici. Nell’ottobre 2013 le forze dell’opposizione hanno dato vita al National Council of Democratic Forces (Ncdf), allo scopo di contestare il risultato elettorale.
La popolazione dell’Azerbaigian è piuttosto omogenea: circa il 90% di essa è di etnia azera, mentre il restante 10% è composto principalmente da lesghi, russi e armeni. All’omogeneità etnica corrisponde una sostanziale omogeneità confessionale. La quasi totalità della popolazione è di fede musulmana, con minoranze cristiano-ortodosse, gregoriane ed ebraiche.
Con circa l’80% dei musulmani di confessione sciita, l’Azerbaigian è uno dei pochi paesi al mondo, assieme a Iran e Iraq, in cui gli sciiti rappresentano la maggioranza della popolazione. Un settantennio di dominazione sovietica e, dopo l’indipendenza, il fermo controllo statale sulle attività religiose, hanno tuttavia radicato nelle istituzioni e nella popolazione un profondo laicismo. Benché le autorità azere abbiano sollevato il rischio di infiltrazioni di fondamentalisti islamici dal Daghestan e dalle altre repubbliche caucasiche dell’area, la religione resta un fattore del tutto marginale nelle dinamiche politiche del paese.
Rilevante è l’entità della diaspora azera nel mondo. Oltre agli azeri stanziati nel nord dell’Iran (stimati tra i quindici e i venti milioni di individui), significative comunità sono presenti in Russia (oltre due milioni), Turchia (un milione circa), Nord America (400.000) ed Europa (300.000).
Il processo di democratizzazione azero risulta fortemente limitato sia dalle dinamiche istituzionali che dall’insufficiente garanzia dei diritti civili e politici. La pratica delle intimidazioni e degli arresti arbitrari ai danni di giornalisti, cosi come di esponenti dell’opposizione, è piuttosto frequente. Questa tendenza si è approfondita in particolar modo nella fase successiva all’ondata delle ‘rivoluzioni colorate’ che, tra il 2003 e il 2005, ha interessato lo spazio post-sovietico, minacciando di estendersi anche al paese.
L’Azerbaigian è assurto a paese-chiave per l’inaugurazione, a partire dal 2018, del Corridoio energetico meridionale del gas dell’Unione Europea. A consolidare tale ruolo contribuisce, da un lato, la crescente domanda di gas proveniente dall’Eu e, dall’altro, l’aumento della produzione di metano garantito dalla prossima entrata in produzione del giacimento di Shah Deniz II e dal gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap). Il principale ostacolo alla piena affermazione della strategia energetica azera è costituito tuttavia dal mancato accordo con il Turkmenistan sulla divisione delle acque territoriali del Caspio, che ostacola la predisposizione di un collegamento diretto tra Asia centrale ed Europa. Se lo sviluppo del settore energetico ha garantito rilevanti tassi di crescita, ha anche costituito un freno al coerente sviluppo dell’economia. Infatti, il 95% dell’export del paese è rappresentato dal greggio e dal gas. Pertanto la necessità di diversificare l’economia nazionale, cosi come di garantire una più efficace redistribuzione dei proventi energetici, costituiscono le principali sfide che attendono il governo azero. L’attrazione di capitali stranieri nei settori non-oil è ostacolata dalla corruzione, dalla scarsa trasparenza legislativa e dall’eccessiva presenza dello stato nel sistema finanziario.
Sin dal conseguimento dell’indipendenza nel 1991, l’Azerbaigian ha plasmato le proprie politiche di sicurezza e di difesa attorno a due precisi obiettivi: il tentativo di riacquistare la piena sovranità sul Nagorno Karabach e lo svincolamento dalla tutela militare di Mosca. In questa prospettiva, Baku ha perseguito la collaborazione con la Nato, attraverso i meccanismi della Partnership for Peace e dell’Euro-Atlantic Partnership Council. I dettagli della cooperazione tra Baku e la Nato sono stati definiti nell’Individual Partnership Action Plan (Ipap), siglato nel 2005 e aggiornato nel 2008 e nel 2012. Truppe azere sono state inoltre dispiegate nelle operazioni Nato in Kosovo e Afghanistan. La ferma opposizione russa all’allargamento della Nato al Caucaso meridionale ha tuttavia contribuito a congelare l’obiettivo azero di ingresso nell’Alleanza. D’altra parte, il rinvio sine die dell’ingresso della Georgia nella Nato dimostra la mancanza di consenso, tra gli stessi membri dell’Alleanza, sulla prospettiva di un ulteriore allargamento a est. In questo contesto, e in linea con l’avvio di un più bilanciato corso di politica estera, nel maggio 2011 l’Azerbaigian è ufficialmente entrato a far parte del movimento dei paesi non allineati.
Benché una soluzione militare dell’impasse attorno alla questione Nagorno Karabach appaia diplomaticamente ed economicamente poco realistica, Baku ha minacciato il ricorso alla forza come ultima ratio per ristabilire il controllo sulla regione. La bellicosa retorica azera – strumento di pressione negoziale ed elemento catalizzatore del consenso interno – è sostenuta da un costante incremento delle spese militari, sostenuto dalle rendite del settore energetico. Il budget per la difesa approvato nel 2013 è stato pari al 4,7% del pil.
Il conflitto nel Nagorno Karabach affonda le proprie radici nella ‘ingegneria delle nazionalità’ di matrice sovietica che, nella più classica prospettiva del divide et impera, incluse la regione, abitata in maggioranza da armeni, nella Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian. Le tensioni interetniche, mai sopite, sono esplose a partire dal 1988, tramutandosi in conflitto interstatale tra Armenia e Azerbaigian nel 1991, a seguito della dissoluzione sovietica. L’accordo per il cessate il fuoco, mediato da Mosca nel maggio 1994, ha sancito la vittoria militare delle forze separatiste armene – ottenuta con il sostegno russo – che controllano oggi circa un quarto del territorio azero. Da allora l’Osce, attraverso il cosiddetto ‘Gruppo di Minsk’ presieduto da Francia, Usa e Russia, è incaricata della mediazione per la risoluzione del conflitto. Dopo un decennio di stallo, nel 2004 il Gruppo ha lanciato il ‘Processo di Praga’, finalizzato all’organizzazione di periodici incontri ministeriali azero-armeni per la revisione dei principi del negoziato e la preparazione dei successivi round negoziali. Principale risultato del processo è stato la predisposizione dei ‘Principi di Madrid’: presentati nel 2007 e aggiornati nel 2009, prevedono un approccio graduale, determinato dal ritiro delle forze armene dai distretti esterni alla regione del Nagorno Karabach, dal dispiegamento di una forza di peacekeeping, dal rientro dei rifugiati azeri e, infine, dalla decisione sullo status della regione. Su quest’ultimo punto permane tuttavia un cruciale disaccordo tra le parti circa la preminenza da attribuire al rispetto del principio di autodeterminazione della popolazione della regione o, piuttosto, a quello dell’inviolabilità delle frontiere del paese – peraltro già sancito da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del marzo 2008. Sebbene i negoziati siano proseguiti fino al 2011 senza raggiungere alcun accordo definitivo, i continui incidenti lungo il confine conteso stanno causando una corsa al riarmo e stanno alimentando una retorica sempre più intensa e aggressiva nei due paesi. Fra gli ultimi incidenti, il più grave risale al luglio 2014, quando scontri a fuoco sulla frontiera hanno provocato la morte di almeno 15 soldati azeri e 6 armeni.
Il Trans Adriatic Pipeline (Tap) è un gasdotto di 870 km che permetterà il passaggio di gas naturale proveniente dalle rive azere del Mar Caspio verso i mercati europei attraverso il cosiddetto ‘corridoio meridionale’. Il progetto nasce da un’intesa del 2003 tra la compagnia svizzera Axpo e quella norvegese Statoil – cui si è aggiunta nel 2009 la tedesca E.On – ma che vede coinvolte, tra le altre, anche l’azera Socar, la britannica Bp, la francese Total e la belga Fluxis. Il Tap trasporterà 10 Gmc/a di gas naturale (scalabili nel tempo fino a 20) dal giacimento azero Shah Deniz II passando per Georgia e Turchia, grazie al gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum e al Tanap (Trans Anatolian Natural Gas Pipeline Project) e da qui verso la rete di trasmissione greca e albanese fino a giungere alle coste pugliesi, dove il gas verrà immesso nella rete italiana e sarà potenzialmente in grado di raggiungere anche i mercati d’oltralpe. I costi dell’opera dovrebbero aggirarsi intorno ai 5 miliardi di euro e la condotta sarà pienamente operativa dal 2019. Il Tap, che è stato preferito dal consorzio operante in Azerbaigian al Nabucco West diretto in Austria, assume una valenza particolare alla luce del tentativo dell’Unione Europea di diversificare i canali di approvvigionamento continentali, ritenuti eccessivamente dipendenti dalla Russia.