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L’Azerbaigian, già repubblica socialista sovietica, ha proclamato la propria indipendenza nell’ottobre del 1991. La politica estera azera si è caratterizzata da allora per il difficile tentativo di affrancamento dalla tradizionale influenza di Mosca, attraverso la creazione di una rete di legami politico-economici con le cancellerie e le organizzazioni multilaterali di matrice euro-atlantica – Nato ed Unione Europea in primis. Tramite naturale fra l’Azerbaigian e l’Occidente è stata la Turchia. L’affinità etno-linguistica tra i due paesi – comunemente sintetizzata nel motto ‘due stati, una nazione’ – ha costituito la base sulla quale essi hanno fondato una relazione privilegiata, forte di una solida intesa diplomatica, economica e strategica.
Il ruolo attraverso il quale il paese ha tentato di affermare la propria rilevanza regionale e internazionale è stato tradizionalmente quello di argine al ritorno russo nello spazio post-sovietico e, contemporaneamente, di contenimento della possibile diffusione dell’influenza iraniana nell’area.
Principale strumento di questa politica è stata l’energia. Oltre a possedere rilevanti risorse di petrolio e gas, l’Azerbaigian è infatti assurto a snodo centrale per la realizzazione di un ‘corridoio energetico est-ovest’, promosso dagli Stati Uniti e in grado di collegare i giacimenti centro-asiatici ai mercati europei attraverso il Caspio e la Turchia, aggirando le esistenti rotte russe a nord e le potenziali rotte iraniane a sud. A seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti e del lancio dell’operazione Enduring Freedom, si è inoltre notevolmente approfondita la rilevanza geo-strategica dell’Azerbaigian quale testa di ponte per le operazioni Nato e statunitensi in Asia centrale.
Il conflitto con l’Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh (Dağliq Qarabağ) regione azera a maggioranza armena, ha rappresentato il principale ostacolo al cammino post-indipendentistico dell’Azerbaigian e alla piena affermazione della sovranità del paese. Dopo una fase di conflitto aperto tra il governo dell’Azerbaigian e le forze secessionistiche del Karabakh sostenute dall’Armenia (1991-94), la mancata predisposizione di un accordo di pace ha congelato la vittoria militare armena, generando un pericoloso scollamento tra la sovranità de jure sulla regione, esercitata dall’Azerbaigian, e il controllo de facto della stessa, in mano alle autorità locali armene. Attualmente, circa il 20% del territorio azero è infatti controllato da forze armene sostenute dalla madrepatria, che hanno avviato in esso un profondo processo di state-building.
L’accordo per il cessate il fuoco, mediato da Mosca nel maggio 1994, ha sancito la vittoria militare ottenuta dalle forze separatiste armene con il sostegno russo, che controllano oggi circa un quarto del territorio azero. Da allora, della mediazione per la risoluzione del conflitto è incaricata l’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa (Osce), attraverso il cosiddetto ‘Gruppo di Minsk’, presieduto da Francia, Stati Uniti e Federazione Russa.
Dopo un decennio di stallo negoziale, nel 2004 il Gruppo ha lanciato il ‘Processo di Praga’, finalizzato all’organizzazione di periodici incontri ministeriali azero-armeni per la revisione dei principi del negoziato e la preparazione dei successivi round negoziali. Principale risultato del processo è stata la predisposizione dei ‘Principi di Madrid’ per la risoluzione del conflitto: presentati nel 2007 e aggiornati nel 2009, essi prevedono un approccio graduale, determinato dal ritiro delle forze armene dai distretti esterni alla regione del Nagorno Karabakh, dal dispiegamento di una forza di peacekeeping, dal rientro dei rifugiati azeri e, infine, dalla decisione sullo status della regione. Su quest’ultimo punto permane tuttavia un cruciale disaccordo tra le parti circa la preminenza da attribuire al rispetto del principio dell’autodeterminazione della popolazione della regione o, piuttosto, a quello dell’inviolabilità delle frontiere del paese – già sancito da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del marzo 2008.
Dopo un biennio di instabilità politica generata dalla difficile transizione post-sovietica e dal conflitto nel Nagorno Karabakh, a partire dal 1993 le sorti dell’Azerbaigian sono state rette dalla ‘dinastia Aliyev’. La Costituzione, approvata per referendum nel 1995, accentra rilevanti poteri nella carica del presidente della repubblica che, oltre a guidare l’esecutivo, nomina i comitati esecutivi provinciali, i membri della corte suprema, della corte costituzionale e i giudici ordinari – questi ultimi, a differenza dei primi, senza necessità di conferma parlamentare. Il parlamento, unicamerale ed eletto con sistema maggioritario, è inoltre dominato dal Partito del nuovo Azerbaigian (Yeni Azǝrbaycan Partiyası, Yap), guidato dal presidente Aliyev. Nelle elezioni del novembre 2010, il Yap ha ottenuto il 58% circa dei seggi, contro il 10% attribuito ai partiti d’opposizione e il restante 32% ottenuto da candidanti indipendenti, ma nella gran parte dei casi vicini alle posizioni della maggioranza. Secondo l’Osce, nessuna delle elezioni parlamentari e presidenziali svoltesi in Azerbaigian dopo il conseguimento dell’indipendenza ha raggiunto gli standard minimi di trasparenza e correttezza.
Heidar Aliyev, padre dell’attuale presidente della repubblica azera Ilham Aliyev e già primo segretario del Partito comunista azero, ha guidato il paese dal 1969 al 1982 e, dopo il conseguimento dell’indipendenza, dal 1993 al 2003, anno della sua morte. Oltre a ridisegnare il profilo politico-istituzionale del paese, Heidar ha progressivamente preparato il terreno alla successione presidenziale a favore di Ilham, nominato primo ministro all’aggravarsi delle condizioni di salute del presidente, nell’agosto 2003.
Ilham Aliyev è succeduto al padre nell’ottobre 2003 a seguito di elezioni duramente criticate dagli osservatori occidentali, e da allora ha notevolmente accresciuto il proprio potere personale attraverso la nomina di funzionari fidati nei posti chiave dell’amministrazione statale e dell’economia. Dopo aver ottenuto nel 2008 il secondo mandato presidenziale con l’87% dei voti, Aliyev ha propugnato un emendamento costituzionale finalizzato alla rimozione del limite di due mandati in carica. L’emendamento, approvato per referendum nel marzo 2009, ha così spianato la strada alla sua ricandidatura alle prossime elezioni presidenziali, previste nel 2013.
La popolazione dell’Azerbaigian è piuttosto omogenea: circa il 90% di essa è di etnia azera, mentre il restante 10% è composto principalmente da Lesghi, Russi e Armeni. All’omogeneità etnica corrisponde una sostanziale omogeneità confessionale. La quasi totalità della popolazione azera è infatti, almeno formalmente, di fede musulmana, con minoranze russo-ortodosse, armeno-ortodosse ed ebraiche. Con circa il 70% dei musulmani di confessione sciita, l’Azerbaigian è uno dei pochi paesi al mondo, assieme a Iran e Iraq, in cui gli sciiti rappresentano la maggioranza della popolazione. Un settantennio di dominazione sovietica e, dopo l’indipendenza, il fermo controllo statale sulle attività religiose, hanno tuttavia radicato nelle istituzioni e nella popolazione un profondo laicismo. Benché le autorità azere abbiano sollevato il rischio di infiltrazioni di fondamentalisti islamici dal Daghestan a nord e dall’Iran a sud, la religione resta un fattore del tutto marginale nelle dinamiche politiche del paese.
Rilevante è l’entità della diaspora azera nel mondo. Oltre quindici milioni di Azeri risiedono nel nord dell’Iran, mentre comunità più piccole sono presenti in Russia (oltre due milioni), Turchia (un milione circa), Nord America (400.000) ed Europa (300.000).
Oltre che nelle dinamiche istituzionali, il processo di democratizzazione azero risulta fortemente limitato anche dalla insufficiente garanzia dei diritti civili e politici. Nonostante la tutela costituzionale della libertà di espressione, le attività dei media sono strettamente controllate e, in alcuni casi, limitate. La pratica delle intimidazioni e degli arresti arbitrari ai danni di giornalisti, così come di esponenti dell’opposizione, è piuttosto frequente. Anche la libertà d’associazione è fortemente vincolata, tanto in relazione alle attività dei movimenti e partiti politici, quanto delle organizzazioni non-governative – principalmente attraverso le pratiche di registrazione e la tassazione. Questa tendenza si è approfondita in particolar modo nella fase successiva all’ondata delle ‘rivoluzioni colorate’ che, tra il 2003 e il 2005, ha interessato lo spazio post-sovietico, minacciando di estendersi anche all’Azerbaigian.
L’economia azera è indissolubilmente legata al settore energetico. L’Azerbaigian possiede infatti significative riserve di petrolio e gas, concentrate principalmente lungo la costa del Caspio e off-shore. Tali riserve, non adeguatamente sfruttate in epoca sovietica in ragione della preminenza attribuita da Mosca alla produzione nella regione siberiana, hanno rappresentato il perno attorno al quale l’Azerbaigian è andato sviluppando, dopo il 1991, la propria economia e la propria politica estera. L’attrazione di investimenti esteri ha consentito all’Azerbaigian un costante incremento della produzione annua di idrocarburi e la costruzione di una rete infrastrutturale per il trasporto energetico verso i mercati occidentali attraverso Georgia e Turchia. L’Azerbaigian è così assurto a paese-chiave per la creazione del corridoio energetico meridionale dell’Unione Europea. A consolidare tale ruolo contribuisce, da un lato, la crescente domanda di gas proveniente dall’Eu e, dall’altro, l’aumento della produzione di metano garantito dalla prossima entrata in produzione del giacimento di Shah Deniz II. Il principale ostacolo alla piena affermazione azera è costituito tuttavia dal mancato accordo con il Turkmenistan sulla divisione delle acque territoriali – e dunque dei giacimenti off-shore – del Caspio. In mancanza di tale accordo, difficilmente potrà essere predisposto un collegamento infrastrutturale tra le due sponde del mare in grado di convogliare sull’Azerbaigian le ingenti risorse energetiche centro-asiatiche destinate ai mercati occidentali.
Se lo sviluppo del settore energetico ha garantito rilevanti tassi di crescita – a una media superiore al 20% annuo del pil dal 2005 – esso ha tuttavia costituito un freno al coerente sviluppo dell’economia. La necessità di diversificare l’economia nazionale, più volte sottolineata da Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, così come di garantire una più efficace redistribuzione dei proventi energetici, costituiscono le principali sfide che attendono il governo azero. L’attrazione di capitali stranieri nei settori non-energetici è tuttavia ostacolata da un clima per gli investimenti reso ostile da fattori come la diffusa corruzione, la scarsa trasparenza legislativa e l’eccessiva presenza dello stato nel sistema finanziario.
La dimensione del comparto energetico e l’uso eccessivo di fertilizzanti agricoli hanno causato un serio problema ambientale per l’Azerbaigian, in particolar modo per la penisola di Apsheron, che comprende le città di Baku and Sumqayit, con un totale di oltre due milioni di abitanti.
Sin dal conseguimento dell’indipendenza, le politiche di difesa e sicurezza dell’Azerbaigian sono state caratterizzate dal tentativo di riacquistare la piena sovranità sul Nagorno Karabakh e di svincolarsi dalla tutela militare di Mosca.
In questa prospettiva, Baku ha perseguito la collaborazione con la Nato, attraverso i meccanismi della Partnership for Peace e dell’Euro-Atlantic Partnership Council. Truppe azere sono state inoltre dispiegate nelle operazioni Nato in Kosovo e Afghanistan e, nel 2004 e 2008, Baku ha siglato con la Nato due Individual Partnership Action Plan, esplicitamente rivolti ad approfondire le relazioni bilaterali attraverso strumenti di intervento mirati. La ferma opposizione russa all’allargamento della Nato al Caucaso meridionale ha tuttavia contribuito a congelare l’obiettivo azero di ingresso nell’Alleanza. D’altra parte, il rinvio sine die dell’ingresso della Georgia nella Nato dimostra la mancanza di consenso, tra gli stessi membri dell’Alleanza, circa la prospettiva di ulteriore allargamento verso est.
Benché la soluzione militare della impasse negoziale sul Nagorno Karabakh appaia ;diplomaticamente ed economicamente poco realistica, le autorità di Baku hanno minacciato più volte il ricorso alla forza come ultima ratio per ristabilire il controllo sulla regione.
La bellicosa retorica azera – al contempo strumento di pressione negoziale ed elemento catalizzatore del consenso interno – è sostenuta da un costante incremento delle spese militari, favorito dai crescenti proventi assicurati dal settore energetico. La spesa approvata per il 2011 è di oltre tre miliardi di dollari, circa il 20% sul totale della spesa pubblica azera per l’anno, e superiore all’intero budget nazionale della vicina Armenia.