azidotimidina
Primo farmaco antiretrovirale comunemente noto come AZT o zidovudina, approvato per il trattamento della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS, Acquired immunodeficiency sindrome) causata dal virus HIV (Human immunodeficiency virus). È un analogo della base timidina e funge da terminatore di catena del DNA virale nascente a opera dell’enzima virale noto come retrotrascrittasi, ossia una DNA polimerasi RNA-dipendente (la cui scoperta ha valso il premio Nobel per la medicina e la fisiologia a Howard Temin e David Baltimore nel 1972). Oggi, l’AZT viene utilizzata in varie combinazioni assieme ad altre classi di farmaci antiretrovirali (cosiddetti protocolli HAART, Highly active antiretroviral therapy), ma la sua efficacia come monoterapia è stata dimostrata nella prevenzione della trasmissione da madre a bambino durante l’ultimo trimestre di gravidanza o durante l’allattamento. L’AZT fu sintetizzata per la prima volta nel 1964 quale farmaco antitumorale, ma soltanto nel 1985 ne fu dimostrata l’alta efficacia nel prevenire l’infezione da HIV, prima in vitro e poi in studi clinici sui pazienti infettati nei quali dimostrò la capacità di ostacolare (transitoriamente) il rpincipale sintomo dell’infezione da HIV: la perdita progressiva di linfociti T CD4+ a funzione helper alla base dell’immunodeficienza mortale e, quindi, di prolungare la vita dei pazienti infettati. L’approvazione all’uso di questo farmaco per il trattamento dell’infezione da HIV avvenne nel 1987 e come terapia preventiva (per es., nei casi di esposizione accidentale, vera o presunta, a materiale infetto o a seguito di puntura con aghi e siringhe contaminate dal virus) nel 1990. Oltre al problema di effetti collaterali (tipici di tutti i farmaci antiretrovirali) il problema principale nell’uso di AZT (come degli altri farmaci antiretrovirali) è la rapida insorgenza di varianti virali resistenti al farmaco. La polimerasi virale, infatti, a differenza di quelle eucariotiche, non ha la funzione nota come ‘correzione di bozze’ (proof reading) ovvero la capacità di riconoscere e correggere errori di copiatura del codice genetico, generando così errori spontanei (mediamente uno ogni 10.000÷100.000 basi) che si traducono, a volte, in mutazioni di geni virali e delle proteine relative. Su questa base, s’innestano poi le mutazioni indotte dalla pressione selettiva esercitata dalla presenza del farmaco. In linea di principio, se il farmaco (o combinazione di farmaci) bloccasse completamente la replicazione virale non si potrebbe avere accumulo di varianti virali resistenti. La monoterapia con AZT (o con qualsiasi altro farmaco anti-HIV), tuttavia, non è in grado di controllare pienamente la replicazione virale favorendo così l’emergenza di varianti resistenti (motivo per cui da diversi anni la monoterapia con questi farmaci è stata bandita dai protocolli terapeutici). L’AZT viene assunta oralmente, ha una buona capacità di distribuzione e assorbimento da parte di cellule, organi (incluso il sistema nervoso centrale) e tessuti (biodisponibilità) e rappresenta in realtà un pro-farmaco in quanto la forma attiva prevede la trifosforilazione intracellulare a opera di enzimi cellulari. L’affinità dell’AZT per la retrotrascrittasi virale è di ca. 100÷300 volte superiore a quella delle polimerasi cellulari e ciò le conferisce la relativa specificità e l’accettabile tossicità, sebbene la DNA polimerasi mitocondriale sia relativamente più sensibile all’AZT (da cui alcuni effetti collaterali a livello di muscolatura striata e cardiaca). Nel 2005 è scaduto il brevetto industriale relativo all’AZT permettendo a diverse industrie farmaceutiche di sintetizzare e commercializzare la molecola. Per questo motivo esistono oggi diverse forme commerciali generiche di questo farmaco che continua a essere utilizzato nei protocolli terapeutici di controllo dell’infezione da HIV.
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