AZIONE MINIMA, principio dell'
Il principio di Fermat secondo il quale il cammino percorso da un raggio di luce tra due punti è quello per cui il tempo impiegato dalla luce ad andare da un punto all'altro è minimo, indusse il Maupertuis, guidato da una concezione finalistica della natura, a credere che tutti i fenomeni naturali si svolgessero nel modo "più economico" per la natura stessa. E precisamente, egli mostrò su diversi esempî che i fenomeni si svolgono in modo da render minima una certa grandezza che egli chiamò "quantità di azione" (Accord des différentes lois de la nature, in Mémoires de l'Academie de Paris, 1744; Des lois de mouvement et de repos déduites d'un principe métaphysique, in Mémoires de l'Académie de Berlin, 1745, p. 286; oppure in Œuvres complètes, Lione 1768). Il Maupertuis chiamò questo il principio della minima quantità di azione e si limitò a verificarlo in alcuni casi particolari, senza precisare il criterio generale per definire la quantità d'azione in tutti i casi. Eulero ne diede in seguito un enunciato più rigoroso, valido per il moto di un punto materiale, e La Grange lo estese ai sistemi di più punti. A. Mayer (in Leipziger Berichte, XXXVIII, 1878, p. 343) e O. Holder (in Göttinger Nachrichten, 1896, p, 150) hanno dato a questo principio la formulazione più rigorosa.
Nella sua forma attuale il principio della minima azione, indipendentemente da ogni significato metafisico, è stato riconosciuto come una legge meccanica equivalente all'insieme delle equazioni differenziali della dinamica (equazioni di La Grange), dalle quali si può dedurre, e che, viceversa, sono contenute in esso. Per formularlo, cominciamo col definire l'azione. Consideriamo il movimento di un sistema fra due istanti qualunque t0 e t1: si chiama azione il doppio prodotto del valor medio della forza viva durante l'intervallo considerato per l'intervallo stesso, cioè la grandezza
dove T è la forza viva del sistema. Ora, si abbia un sistema olonomo, a vincoli indipendenti dal tempo, soggetto a forze conservative, e si considerino due sue possibili configurazioni (abbastanza vicine): fra tutti i movimenti cinematicamente possibili, che portano dalla prima alla seconda configurazione, quello che soddisfa le equazioni della dinamica è anche quello per il quale l'azione è minima; cosicché per la ricerca del moto effettivo del sistema è indifferente scrivere quelle equazioni, o la condizione
È questo il principio della minima azione. Esso si può mettere sotto varie forme equivalenti, di cui una assai notevole porta il nome di principio di Hamilton. Esso si può anche estendere a sistemi meccanici più generali (anche non conservativi), ma in tal caso la (1) va sostituita con la condizione più generale
dove la variazione dev'essere presa con opportune specificazioni (v., p. es., T. Levi-Civita e U. Amaldi, Lezioni di meccanica razionale, II, 2, cap. x1, Bologna 1927); sotto tale forma il principio prende il nome di principio dell'azione stazionaria.
Anche nella meccanica relativistica vale il principio dell'azione stazionaria, opportunamente modificato, e principî variazionali analoghi valgono anche fuori del campo meccanico, p. es. nell'ottica e nell'elettromagnetismo.
Bibl.: Per notizie storiche sul principio della minima azione, v. Bull. di bibl. ed istoria delle scienze mat. e fis., pubbl. da B. Boncompagni, II (1878), p. 155, ed anche Hemholtz, in Sitzungsberichte Ak. Berl., 1887.