LAMBERTAZZI, Azzo
Nacque a Bologna intorno al 1240 da Tommasino di Bonifacio di Guido. Non si conosce il nome della madre. Dei numerosi fratelli resta memoria di Fabruzzo, di Pietro Riccio e di Bughino, nonché di Maddalena, che fu moglie del dottore dello Studio Albertino Carrari, di Maria, Jacopina e Filippina, che sposarono, rispettivamente, Giovanni Grugnoli, Orio e Niccolò Lolli.
La casa della famiglia sorgeva nella piccola parrocchia di S. Vito, nel centro della città, a stretto contatto con quelle di altri congiunti, ubicate nella stessa parrocchia e in quella limitrofa di S. Tecla. La base economica del gruppo familiare, espressione tipica di milites cittadini, era costituita da proprietà terriere nel contado, coltivate da servi, e da case in città, in gran parte contigue e collegate a difesa. Il prestigio della casata aveva avuto un solenne riconoscimento quando Bonifacio, nonno del L., era stato scelto come capitano da una parte dei Bolognesi partecipanti alla quinta crociata. In virtù di questa designazione, ma grazie anche alla compattezza e alla bellicosità dei suoi membri, il nome della famiglia era divenuto nell'età di Federico II contrassegno dell'intera fazione cittadina di ispirazione ghibellina. E della loro militanza nella fazione, nella buona e nella cattiva sorte, i membri della casata, quasi senza eccezioni, condivisero a lungo gli effetti.
In questa generale adesione a un sistema di forte impegno politico, non disgiunto, all'occorrenza, dalla pratica delle armi, spicca per contrasto l'indirizzo che il L. dette alla propria vita. Avviato alla carriera ecclesiastica, assunse gli ordini minori e fu diacono e canonico della cattedrale di Bologna, a partire dal 1260. Nel 1270 fu nominato rettore della chiesa di S. Maria del Farneto, ma, nonostante l'affermazione di Sarti (Sarti - Fattorini, p. 453), non è del tutto sicuro che ciò abbia comportato la sua promozione all'ordine sacerdotale.
Precoce era stato il suo interesse per il diritto, tanto da essere annoverato fin dal 1258 tra coloro cui il Comune poteva rivolgersi per consigli. Indirizzò la sua formazione specifica verso il diritto canonico e, completato il corso di studi, conseguì nel 1263 il titolo di doctor decretorum. Alcuni documenti attestano l'impegno di professionista del diritto nel successivo decennio: giudice delegato dall'arcidiacono della cattedrale in una causa in materia di decime nel 1263, patrocinante di due ecclesiastici spagnoli studenti in Bologna nel 1271. La sua attività prevalente fu peraltro l'insegnamento del diritto canonico. Si conoscono i nomi di alcuni allievi, spagnoli in particolare, e il compenso, 45 lire, percepito da uno di essi nel 1269; sono noti il nome del suo bidello, Angelo, e il luogo in cui molto probabilmente si svolgevano le lezioni del L., l'hospitium di Bonifacio Carbonesi, che tra il 1267 e il 1269 è indicato anche come sua residenza. Connessi all'attività di docente appaiono i contratti conclusi dal L. con due tra i principali professionisti che gravitavano intorno allo Studio, il libraio Cardinale da Forlì, cui nel giugno 1270 il L. vendette un Digesto nuovo, e lo stazionario Ardizzone da Milano, che nel 1271 gli pagò il compenso da parte dei due summenzionati ecclesiastici spagnoli per il patrocinio prestato loro. Scarse sono per contro le testimonianze della sua produzione quale canonista. Alcune quaestiones riferibili agli anni 1268-70 sono riportate nel codice Borghese 460 della Biblioteca apostolica Vaticana (Elze), mentre di quelle nel codice Arundel 493 della British Library di Londra l'attribuzione al L. è ancora dubbia (Dolezalek). Qualche notorietà le sue opinioni dovettero comunque avere nell'ambito dello Studio di Bologna, dal momento che Giovanni d'Andrea cita in due passi altrettante quaestiones delle quali riferisce al L. la paternità.
Scarsi sono pure i documenti sul suo patrimonio. Si sa comunque che nel 1268 acquistò per 159 lire una vigna con orto, corte e due case a S. Andrea del Ponte Maggiore. In questa località e forse proprio nelle due case sorse, quindi per opera dello stesso L., il monastero delle agostiniane di S. Maria del Ponte Maggiore, al quale il L. restò sempre legato. In favore del monastero dispose nel testamento un sostanzioso legato di 500 lire da destinare all'acquisto di beni immobili.
Bene attestati sono invece in questo decennio gli stretti rapporti mantenuti dal L. con i suoi congiunti e in particolare con i fratelli. Nel 1270 fu debitore solidale con Fabruzzo, Pietro Riccio e altri per un mutuo di 216 lire; nel 1273 rinunciò a ogni diritto sui beni in comune con i fratelli per consentire loro di venderli; in varie occasioni, tra il 1265 e il 1271, fu testimone in contratti di mutuo, concessi dai fratelli e altri parenti a studenti che, probabilmente, seguivano le sue lezioni.
L'intensità del legame di casato si manifestò in tutta evidenza agli inizi del giugno 1274, quando i contrasti tra le fazioni cittadine, fattisi sempre più accesi e violenti, si risolsero a favore dei guelfi, che indussero i ghibellini ad abbandonare in massa la città. I vincitori, per rendere definitivo il predominio appena conquistato, sancirono il bando degli oppositori fuggiti. Tra questi erano il L., i suoi fratelli e i loro congiunti, tutti abitanti nella parrocchia di S. Vito. Della vicenda del L. dopo la fuga da Bologna non si sono reperite testimonianze e non si può quindi indicare con certezza dove si sia recato. Documenti successivi, connessi all'esecuzione delle sue ultime volontà, contengono precisi riferimenti a Pistoia, dove alla fine del XIII secolo risiedevano i suoi due figli Petruccio, detto Tuccio, e Azzo, nati tra il 1275 e il 1279; risulta inoltre che con il banco Ammannati di Pistoia il L. avesse intrattenuto un lungo rapporto. Sembra quindi che, a differenza di tanti compagni di fazione, tra i quali numerosi suoi parenti, il L. non abbia preso parte alle iniziative militari cui i ghibellini dettero vita fin dall'estate del 1274.
Costretti ad abbandonare Bologna, i ghibellini si erano impadroniti di vari centri del contado, e riportarono una serie di successi negli scontri armati che ne erano seguiti. Di contro, la reazione guelfa aveva inasprito il controllo della città e sottoposto i sostenitori degli avversari lì rimasti a pesanti imposizioni fiscali e a provvedimenti di confino. Nel maggio 1279 papa Niccolò III, forte dei diritti di sovranità sulla Romagna e su Bologna da poco riconosciutigli da Rodolfo d'Asburgo, impose alle fazioni di riconciliarsi e ordinò ai guelfi di riammettere i ghibellini in città. I guelfi e le organizzazioni del Popolo, che avevano fatto causa comune, cercarono di opporsi, ma le reiterate pressioni del papa fecero sì che all'inizio di settembre Bologna aprisse le porte agli esuli.
Tra coloro che in questa occasione decisero di rientrare fu probabilmente anche il L. ma, come già avvenuto in precedenza, sembra che egli si sia poi astenuto dal prendere parte attiva ai contrasti puntualmente riaccesisi in città e che portarono, nel dicembre del 1279, i ghibellini ad abbandonare di nuovo Bologna. Un documento del luglio 1281 annovera invece il L. tra i testimoni di un atto rogato nel palazzo del vescovo bolognese, ultima testimonianza della sua presenza in Bologna: a seguito di uno dei provvedimenti che in breve tempo portarono prima al bando dei ghibellini e dei loro simpatizzanti, poi dei magnati di entrambe le fazioni, il L. fu di nuovo obbligato a lasciare la città. Si allontanò allora anche dall'Italia. Grazie forse ai solidi rapporti che, quale dottore dello Studio, aveva intessuto con studenti spagnoli, fu accolto alla corte del re di Castiglia e León, Sancio IV. Nel novembre 1284 il re lo inviò presso il papa Martino IV, come suo rappresentante. Si ignora se il L. abbia quindi fatto ritorno in Castiglia, ma è comunque ipotizzabile che poco dopo abbia ripreso dimora in Pistoia. Fu infatti un notaio di Pistoia a redigerne il testamento e al banco Ammannati della città il L. affidò, negli ultimi anni di vita, il suo cospicuo capitale di quasi 4500 lire. È dunque probabile che proprio a Pistoia lo abbia colto la morte, nel 1289.
Del capitale accumulato, oltre la metà fu destinata dal L. a legati, a favore soprattutto di enti e istituzioni religiose e (ma solo in minima parte) di familiari. Del rimanente entrarono in possesso i figli Petruccio e Azzo, nominati eredi universali nel testamento, che invano le sorelle del L. tentarono di impugnare in una lunga controversia, conclusasi solo nel 1297.
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