Este, Azzo VIII d'
Figlio di Opizzo II, gli successe nel 1293 nel titolo marchionale, nella signoria di Ferrara e nel possesso degli ormai estesi domini della casa.
Nel tentativo di continuare e potenziare la politica espansionistica del padre, diresse le sue mire su Parma e Bologna; ma ciò non mancò di provocare il formarsi di una coalizione antiestense e di favorire la ribellione di Modena e di Reggio. Morì nel 1308, lasciando ai successori una situazione incerta e pericolosa (G. Villani VIII 88), che si chiarì e si assestò solo nel 1332, con la concessione agli E. del vicariato di Ferrara da parte del papa, alto signore della città.
D. nomina o allude ad A. varie volte, sempre esprimendo o sottolineando aspro biasimo e fiera rampogna. Così in VE I XII 5, traendci occasione dal volgare siciliano per esaltare la casa di Svevia, non manca di contrapporle una sorta di orchestra formata di principi e signori italiani, in cui l'ultimo Federico (Aragonese) suona la tromba, Carlo II d'Angiò la campanella, Giovanni marchese di Monferrato e A. il corno, altri non nominati signori le cennamelle (tibie), tutti invitando e persuadendo alla crudeltà, all'inganno, all'avarizia. Cui il poeta non può che rispondere pronunciando la sdegnosa e vituperosa parola evangelica: Racha, racha, cioè a dire: " Canaglia ! ". Mentre al vituperio sostituisce di lì a poco (II VI 5) l'amarezza del sarcasmo allorché, parlando dei diversi gradi del costrutto, fornisce un esempio che suona: Laudabilis discretio marchionis Estensis, et sua magnificentia praeparata, cunctis illum facit esse dilectum. I misfatti di A. sono chiaramente indicati in tre luoghi della Commedia: il parricidio consumato ai danni di Opizzo II (If XII 111-112), la proditoria uccisione di Iacopo del Cassero (Pg V 77), la partecipazione all' indegno patteggiamento che precedette le nozze dell'estense con Beatrice figlia di Carlo II d'Angiò (Pg XX 80-81).
Che Opizzo (m. nel 1293) non fosse morto di morte naturale doveva essere voce diffusa, echeggiata non solo nelle cronache coeve, ma anche nei documenti, e su basi ben fondate sembra riposare la perentoria affermazione dantesca (il qual per vero / fu spento dal figliastro sù nel mondo [If XII 111-112]). Pare per contro incerto il valore da attribuire al termine che designa l'uccisore: se difatti il Boccaccio e l'Anonimo intendono per figliastro " bastardo " (la moglie di Opizzo avrebbe avuto A. da altro uomo, oppure A. sarebbe stato figlio naturale dello stesso marchese: ma i commentatori si attengono alla prima versione), l'Ottimo accredita l'altra interpretazione corrente, quella di " figlio snaturato ". Il fatto che A. non sia neppur citato per nome (il che ha consentito anche di supporre che il crimine fosse stato perpetrato da un altrimenti ignoto bastardo di Opizzo, distinto da lui) potrà ben essere considerato come segno di profondo disprezzo, evidente, d'altronde, anche nel modo con cui Iacopo del Cassero lo designa (quel da Esti) allorché narra, nel celebre episodio della seconda cantica (Pg V 64-84), la proditoria aggressione di cui fu vittima, per essersi vigorosamente opposto alle mire di A. su Bologna e averlo fatto oggetto di aspra censura. Né è citato a proposito del patteggiamento intervenuto in vista delle ambite nozze angioine, pur se nella condanna siano implicitamente accomunati il venditore e il compratore della giovanissima Beatrice.
Bibl. - G. de Leva, Sugli Estensi ricordati dall'Alighieri, in D. e Padova, studi storico-critici, Padova 1865, 235-251; I. Del Lungo, D. e gli Estensi, in D. ne' tempi di D., Bologna 1888, 377-434; T. Sandonnini, D. e gli Estensi, Modena 1893; I. Della Giovanna, Osservazioni intorno al canto XII dell'Inferno, in " Giorn. d. " VIII (1900) 475-476; G. Lesca, Nel primo girone della violenza, ibid 241-264.