BACCIO d'Agnolo
Bartolomeo d'Agnolo Baglioni, architetto e intagliatore, nacque il 15 maggio 1462 a Firenze, e ivi morì il 6 maggio 1543. Ebbe cinque figli, tre dei quali, Giuliano, Filippo e Domenico, continuarono la sua arte. B. fu dapprima educato nell'arte di legnaiuolo, probabilmente nella bottega del padre che esercitava tale professione, ma poté perfezionarsi nello studio delle opere più belle dei contemporanei, come Bernardo della Cecca, Giuliano da Maiano e il Francione, i quali producevano veri capolavori. In breve B. salì in tanta fama, che la sua bottega diventò ritrovo degli artisti più famosi del tempo, come Michelangiolo, Raffaello, il Cronaca, i fratelli da San Gallo, e da Maiano. Il Vasari dice ch'egli divenne insuperabile nell'arte di lavorare il legname, e ch'ebbe allogazione di moltissime opere, che oggi purtroppo sono perdute. Testimonianze della sua arte di legnaiuolo rimangono soltanto il coro di Santa Maria Novella (1491-96) e quello, più riccamente cinquecentesco, di Sant'Agostino a Perugia (1502-32), in cui ampiamente collaborarono anche i figli dell'artista. Divenute familiari a Baccio le piccole costruzioni architettoniche degli altari, dei dossali, degli armadî e degli altri mobili in genere, e fatto esperto, dalla lunga pratica, di misure, forme e proporzioni, egli si trovò trasformato in architetto quasi senz'accorgersene. Così, in un secondo periodo della sua vita si dedicò quasi esclusivamente all'architettura. In quest'arte esordì con il Cronaca e Antonio il Vecchio da San Gallo, verso il 1500, collaborando alla costruzione della Sala grande nel palazzo della Signoria; ma si affermò solo verso il 1503-04, costruendo il palazzo Taddei in via dei Ginori. Questa fabbrica importa soprattutto perché qui il B., riprendendone le forme generali dal palazzo Guadagni, eretto dal Cronaca qualche anno innanzi, fissò il tipo della dimora nobile fiorentina della prima metà del '500 (ed egli stesso nel 1517 ne riprese le forme nel palazzo dei Borgherini ora Rosselli del Turco in Borgo Ss. Apostoli, per i quali costruì anche una comoda villa a Bellosguardo nel 1518) stabilendovi la caratteristica facciata a superficie spianate, rinsaldata ai fianchi da filari di rustiche bozze che diminuiscono l'aggetto verso l'alto, un doppio ordine di finestre arrotondate e circondate da bozze nei due piani superiori, la porta ugualmente scorniciata e affiancata da finestrelle quadrangolari, il tetto assai spiovente, che conclude la severa linea dell'edificio. Fin dal 1507 l'artista fu nominato, insieme con il Cronaca e i due da San Gallo, capomaestro ai lavori della fabbrica di S. Maria del Fiore (e mantenne la carica fino al 1515, togliendone l'anno 1510-1511 in cui fu a Roma, intento a studî dall'antico, come dice il Vasari), e incaricato di costruire un'ottava parte del ballatoio intorno alla cupola, lasciata incompiuta dal Brunelleschi (v.). Il ballatoio, scoperto nel 1515, non fu continuato per le aspre critiche di Michelangiolo che lo definì una "gabbia da grilli", alludendo alla leggerezza del suo porticato, che, sebbene presenti pregi di euritmia e di eleganza, è troppo sottile per adattarsi al "terribile edificio" della cupola. L'arte del B. si riallaccia alla tradizione brunelleschiana di semplicità e d'eleganza ch'egli fiorisce di grazia nel campanile di S. Spirito (1511), svelto e leggiero nella linea pittoresca, o irrobustisce in quello di San Miniato (1524-27) e nel palazzo Cocchi Serristori attribuito a lui per ragioni di stile, geniale adattamento di una costruzione trecentesca, in cui l'architetto compone le superficie in un ampio respiro di grandiosità. Egli assimila così gli elementi delle opere dei suoi contemporanei a quelli delle forme precedenti, con un equilibrio e una raffinatezza che dànno alle sue creazioni l'impronta della sincerità artistica. Solo, infatti, quando cerca d'interpretare forme estranee al suo spirito, diviene freddo come nel modello in legno, su disegno del Buonarroti, per la facciata della basilica di San Lorenzo (1516), o inelegante come nella chiesa di S. Giuseppe (1519), in cui però fu anche vincolato da impacci materiali. Disapprovazioni, come per il ballatoio del duomo, suscitò il palazzo Bartolini Salimbeni a S. Trinita (1517-20), la cui facciata, per la novità della porta e delle finestre sormontate da frontespizî fu giudicata allora "più degna.... di tempio che di palazzo". Questa opera, invece, va considerata il capolavoro di B., perché riunisce tutte le qualita più preziose della sua arte, che sa squadrare risolutamente larghe masse, e rivestirle di gentilezza nei particolari. Per quanto le forme generali della facciata possano richiamare quelle del palazzo Branconio dell'Aquila (costruito da Raffaello verso il 1515, e distrutto circa il 1660), da cui certamente (e non dal Battistero fiorentino o dal Pantheon, come fu asserito) l'artista trasse l'idea delle finestre sormontate dal frontone e interposte da nicchie e scavi, una schietta originalità è nella loro sapiente distribuzione. Anche quest'opera di B. divenne modello a costruzioni civili del '500 che sostituirono alle spianate forme quattrocentesche un più intenso movimento: esempio tipico di discendenza il palazzo Larderel del Dosio. Come quelle della facciata, anche le forme del lato sinistro del palazzo Bartolini mostrarono un abile adattamento delle forme quattrocentesche all'ampiezza di quelle del '500.
Posta fra i due secoli, la figura del B. sembra chiudere degnamente la tradizione brunelleschiana e aprire la via verso nuovi orizzonti: ed è veramente ammirevole il modo, con cui gli elementi, in apparenza contrastanti, di queste due tendenze, si unirono nell'eclettico spirito della sua arte, tutta pervasa da un costante senso di spontaneità. Secondarie, di fronte al padre, appaiono le figure di Giuliano (1491-1555) e di Domenico (nato nel 1511), architetti e intagliatori anch'essi che trassero la loro educazione dalle opere paterne. Ma mentre Domenico, nel palazzo Buturlin (1550), l'unica opera che di lui si conosca, non seppe che riprendere, sia pure con dignità, le forme usate dal padre nel palazzo Taddei, Giuliano si volse a tendenze spiccatamente cinquecentesche. Lo spirito severo delle sue prime opere, quali la mirabile canonica della chiesa di San Martino a Montughi (1535-40?), e i palazzi Campana a Colle Val d'Elsa (1539) e Grifoni a San Miniato al Tedesco, attesta come Giuliano seguitasse i motivi usati dal padre e dal Cronaca, ricavandone personali effetti di nobiltà e serenità, che poi non si riscontrano nelle sue opere tarde: il coro in marmo di S. Maria del Fiore (1549), e l'"Udienza" di Palazzo Vecchio (1550-55), dove si limita ad assecondare, con bizzarro spirito di novità, i progetti del Bandinelli.
Bibl.: W. Limburger, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, II, Lipsia 1908 (con la bibl. precedente); id., Die Gebäude von Florenz, Lipsia 1910; L. Dami, La basilica di San Miniato, in Boll. d'arte, 1915, p. 217 seg.; A. Chiappelli, in Arte del Rinascimento, Roma 1925; L. M. Tosi, Il ballatoio della cupola di S. M. del Fiore, in Boll. d'Arte, VII (1927-28), pp. 610-15; id., Un modello di Baccio d'Agnolo attribuito a Michelangiolo, in Dedalo, VIII (1927-28), pp. 320-228; id., La chiesa di S. Giuseppe, ibid., IX (1928-29), pp. 283-99.