BACICCIO (o Baciccia), Giovanni Battista Gaulli, detto il
Pittore, nato a Genova l'8 maggio 1639, morto a Roma il 2 aprile 1709. In patria scolaro di Luciano Borzone, copiò gli affreschi di Pierin del Vaga nel palazzo Doria; vide e intese le opere lasciate dal Baroccio, dal Rubens e dal van Dyck. Forse diciottenne, si recò a Roma, attratto probabilmente dal desiderio di studiare le pitture di Raffaello, e vi rimase, tranne brevi interruzioni, tutta la vita. Pare che a Roma abbia cominciato, come tanti altri pittori dal Cinquecento all'Ottocento, col disegnare le composizioni dell'Urbinate nelle Stanze; ma presto conobbe l'artista destinato a influire in modo decisivo sulla sua vita e a svegliare le sue indecise aspirazioni, il grande Gian Lorenzo Bernini. Si racconta che questi desiderò conoscere il giovane pittore dopo avere visto per caso due "bambocciate" dipinte da lui: largo di consigli, lo aiutò anche nella composizione dei quadri, per modo che possiamo considerare il B. come vero e proprio scolaro del Bernini.
Intanto a Roma il B. vede non indarno le opere del Velázquez, e nel 1669, recatosi a Modena con una presentazione del Bernini per quel duca, può appagare il suo grande desiderio di studiare a Parma i dipinti del Correggio. Così, a trent'anni, si trova ad aver preso contatto con tutti gli artisti passati e contemporanei da cui il suo spirito poteva derivare quegli ammaestramenti sui quali doveva fondare la sua possente originalità di decoratore a fresco e di ritrattista. Al Bernini egli dovette anche la presentazione al principe Pamphily e più tardi al padre Oliva, generale della Compagnia di Gesù, i committenti di due fra le opere maggiori da lui lasciate, cioè rispettivamente i pennacchi della cupola di S. Agnese a Piazza Navona, e le grandi decorazioni della chiesa del Gesù. Fra le pitture di S. Agnese (circa 1665) e quelle del Gesù (alle quali lavorò quindici anni, dal 1669 al 1683) avvenne quel viaggio a Modena e a Parma, di cui s'è detto.
Le doti di colorista che differenziano il B. dai pittori romani della sua generazione, già appaiono nei primi dipinti e ricordano gli artisti sulle opere dei quali aveva formato la sua educazione in patria: così nella "Madonna col Bambino, S. Rocco e S. Antonio Abate della chiesa di S. Rocco, nei ritratti di Alessandro VII e del fratello Mario Chigi già appartenenti alla collezione Messinger, soprattutto nei pennacchi di S. Agnese, dove sono dipinte a fresco le Virtù con sorprendente novità di concezione e con visibili richiami all'arte del Bernini, del quale nessuno meglio che il B. ha tradotto e attuato nella struttura gl'intendimenti artistici. Assai utile per la comprensione dello stile del nostro pittore, è lo studio dei due bozzetti di questi affreschi che si conservano alla R. Galleria d'arte antica, e di quello che si trova presso la Direzione generale del fondo per il culto.
Dopo la visita a Parma il B. perdette forse un po' della sua spontaneità, come si può vedere negli affreschi della chiesa oggi dissacrata di S. Marta, ma il più sicuro possesso dei procedimenti tecnici gli permise di affrontare con audacia l'opera sua massima, gli affreschi del Gesù. Sulla volta egli ha dipinto il Trionfo del Nome di Gesù, nella cupola l'Incoronazione della Vergine con Profeti e Dottori nei pennacchi, l'Adorazione dell'Agnello nella tribuna, un Concerto d'Angeli nel sottarco del presbiterio, la Glorificazione di S. Ignazio nella cappella dedicata a questo santo. Il grande esempio del Correggio portò il B. ad attenuare nel centro della composizione l'armonia cromatica sino al punto di reggere l'accordo sopra una sola nota luminosa: l'irrealtà della scena si perde in una lontananza eterea dove i cori celesti dànno un'intensa sensazione di movimento. In basso, da tutti i lati, le figure escono disordinatamente dalla cornice, incapace a raffrenare la fantasia dell'artista, il quale, con una vigoria plastica che parrebbe privilegio d'uno scultore, è riuscito ad avvincere la sua opera alla struttura architettonica dell'edificio. Più profondamente pittore d'Andrea Pozzi, egli non svela mai il giuoco della salda costruzione geometrica, che s'affonda entro la profondità di una luce ultraterrena.
Nelle pitture su tela contemporanee alla lunga fatica degli affreschi del Gesù ritroviamo i caratteri della formazione berniniana, resi più finemente pittorici dalla contemplazione delle opere del Correggio: così nel S. Giovanni Battista della chiesa di S. Nicola da Tolentino, così nella Morte di S. Francesco Saverio della chiesa di S. Andrea del Quirinale, così nella Madonna col Bambino e S. Anna della chiesa di S. Francesco a Ripa. Questi due ultimi quadri ci permettono di ammirare l'arte del B. accanto a quella del Bernini, e ce ne fanno per tal via penetrare più intimamente lo spirito: a S. Andrea del Quirinale i putti danzanti nella vòlta ci confermano donde il B. abbia derivato lo squisito senso di eleganza nell'atteggiare e nel muovere le sue figure infantili, a San Francesco a Ripa il quadro forma alla prodigiosa statua giacente della beata Lodovica Albertoni scolpita dal Bernini un fondo così omogeneo che si sarebbe tentati di pensare ad un autore unico della pittura e della scultura. Non ci sorprenderemo perciò se per il Cristo e la Samaritana del B. alla galleria Spada si è pensato che potesse trattarsi di una delle rare pitture del Bernini.
Anche come ritrattista egli deve molto al Bernini: gli deve l'ammaestramento di non far mai posare il modello, ma di lasciare che si muova liberamente, per coglierlo negli atteggiamenti più liberi e più spontanei. Ritrattista di sette papi, da Alessandro VII a Clemente XI, il B. non obliò il precetto che gli permise, per non ricordare che due esempî tra moltissimi, di raffigurare con tanta verità Clemente IX (Galleria dell'Accademia di S. Luca) e lo stesso Bernini (R. Galleria d'arte antica). Ma ben pochi ritratti del Baciccio, che i contemporanei lodavano per "energia e vivezza", si sono conservati (v. Tav. CLXVII). I suoi ritratti di cardinali - ora quasi tutti dispersi - furono incisi e raccolti nelle opere Effigies pontificum et cardinalium defunctorum (2 voll.; Roma s. a.), e Effigies Innocentis IX papae et cardinalium nunc viventium (Roma s. a.). Bellissimo il ritratto del cardinale Leopoldo de' Medici, agli Uffizî, dipinto verso il 1675 con tecnica larga e brillante, in cui il carattere del personaggio è colto con acuto senso psicologico.
Sul finire del secolo il B. doveva legare ancora il suo nome a un altro grande affresco, il Trionfo della Religione francescana dipinto nella vòlta dei Ss. Apostoli, esempio invidiato da tutti i decoratori di chiese romane nel Settecento (v. Tav. CLXVIII).
A Roma il B. fu ammirato e seguito: tra i suoi scolari meritano d'essere ricordati Giovanni Odazzi, Pietro Bianchi, Lodovico Mazzanti. Fiero, impetuoso e stravagante, fu allo stesso tempo generoso e modesto.
Il suo primo figlio, Lorenzo, fu tenuto a battesimo dal Bernini; il figlio Alessandro fu pittore ed architetto, divenne nel 1721 membro dell'Accademia di S. Luca e partecipò al concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano. Morì nel 1728.
Quasi tutte le pitture del B. sono in Italia, e non è possibile fuori di Roma farsi un'idea adeguata del suo genio. Dipinti notevoli, oltre quelli già ricordati, sono i seguenti: Roma, S. Maria sopra Minerva: S. Lodovico Bertrando; S. Maria in Portico: Nascita di S. Giovanni Battista; S. Maria Maddalena: S. Nicola da Bari; S. Teodoro: S. Giuliano; Genova, Palazzo Rosso: Gesù fanciullo; Firenze, R. Galleria degli Uffizî: Autoritratto (giovanile); Ascoli Piceno, S. Agostino: Morte di S. Francesco Saverio.
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