BACINI
Il termine b., accompagnato talvolta dalle specificazioni ceramici o architettonici, è usato in Italia e all'estero - già nei secc. 18° e 19° (Passeri, 1758; Fortnum, 1870) - per indicare i recipienti di ceramica, invetriati o smaltati, inseriti sulle superfici murarie esterne di edifici prevalentemente religiosi, cristiani o islamici. Tale termine non è riferito alle forme degli oggetti, in prevalenza catini, ciotole, scodelle, piatti ecc., di varie dimensioni, ma piuttosto alla particolare utilizzazione in architettura di ceramiche create per scopi assolutamente diversi.Questi recipienti, inseriti in contesti edilizi, si distinguono da tutti quei materiali ceramici prodotti invece proprio per essere collocati nelle murature durante le fasi costruttive, come per es. gli elementi che ornano alcune chiese della Bulgaria e della Serbia meridionale, con l'invetriatura limitata alla parte destinata a rimanere in vista, corredati di un'appendice atta a essere conficcata nella malta, a forma di grossi chiodi con capocchia concava o di piccoli tubi con i bordi ripiegati all'interno in modo da creare una quadrilobatura, oppure per essere applicati su superfici già strutturate come piastrelle o mattonelle di varia fattura.Su questa fondamentale premessa si impostano le basi per lo studio della decorazione con b. ed è da un'approfondita visione di insieme degli edifici e delle ceramiche utilizzate in aree uniformi, più che dall'analisi di complessi isolati, che si può ricavare l'ampio quadro conoscitivo necessario a comprendere le problematiche a esso connesse.Se già negli anni Trenta eminenti studiosi della ceramica (per es. Ballardini, 1929; 1938) lanciavano appelli per la tutela dei b. e insistevano sulla necessità di redigere un corpus, solo intorno al 1970 è iniziato un vero e proprio censimento sistematico delle ceramiche superstiti e degli edifici con b. ancora in situ o in cui cavità vuote o documentazioni scritte o fotografiche testimoniano del loro impiego. Tale censimento è oggi abbastanza avanzato per alcune zone, appena iniziato per altre.Pur se incompleto e da precisare in molti dettagli, il quadro relativo alla diffusione dell'uso dei b. mostra che sono interessati, in misura maggiore o minore, tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In Spagna sono noti al momento esempi a Siviglia, nella zona di Teruel e di Calatayud, a Saragozza, mentre nella Francia meridionale si conoscono cinque casi di utilizzazione; da ricordare inoltre la Corsica che rientra però, da questo punto di vista, nel quadro italiano relativo alla Toscana e alla Liguria. I pochi esempi iugoslavi interessano località della costa dalmata (Zara, Traù), mentre in Grecia la diffusione è piuttosto ampia concentrandosi prevalentemente intorno ad Atene e nel Peloponneso, con diramazioni nelle isole fra cui Creta e Rodi. Alcuni esempi di chiese con b. sono presenti anche in territori decentrati come l'Anatolia e la Georgia.L'Italia è certamente il paese dove le testimonianze dell'uso dei b. sono più abbondanti e la maggiore concentrazione in alcune regioni, rispetto ad altre, appare evidente: sporadici, del tutto isolati, gli esempi in Campania, in Puglia, in Calabria, in Sicilia; per le regioni centrosettentrionali, i pochi edifici del Veneto, in località delle province di Padova e di Verona, devono probabilmente essere considerati non disgiunti da quelli delle aree limitrofe dell'Emilia Romagna, come d'altra parte l'utilizzazione di b. su quattro monumenti del Canton Ticino rientra nella panoramica della Lombardia e del Piemonte. La Toscana detiene senza dubbio il primato con più di 60 strutture in almeno 29 località; al quadro toscano vanno collegati inoltre molti degli esempi noti in Corsica (11) e in Sardegna (più di 50). Anche nel Lazio la presenza di edifici decorati con b. è rilevante essendo di poco inferiore a 50. Da questo quadro emerge un'utilizzazione dei b. su edifici di stili architettonici quanto mai diversi, da quelli romanici e gotici occidentali, a quelli bizantini e cristiano-orientali, agli islamici. Il numero di strutture così decorate varia da luogo a luogo; a parte molte località con un solo edificio, se ne trovano da 4 a 10 a Milano, a Ferrara, a Ravenna, a Genova, a Lucca, a Sassari, ad Ascoli Piceno, ca. 15 a Pavia e a Bologna, oltre 20 a Roma e a Pisa. Ampiamente variabile è anche il numero di b. inseriti su ciascun edificio, come d'altra parte quello degli esemplari originari pervenuti fino a noi integri o in stato più o meno frammentario: se i casi con solo uno o due esemplari sono abbastanza rari, si possono raggiungere anche cifre ragguardevoli; per es. a Pisa su ciascuna delle chiese di S. Piero a Grado, di S. Martino e di S. Cecilia si può valutare fossero inseriti da 220 a 260 bacini.
L'uso di decorare con b. strutture architettoniche si è protratto per un arco di tempo che va dalla fine del sec. 10° al 15° con solo sporadici esempi di impiego in epoche posteriori. Esistono evidenze del fatto che dopo il sec. 15° questo tipo di decorazione non rispondesse più al gusto dell'epoca. A Pisa per es. gli architetti dei secc. 16° e 17° erano portati persino a mascherare quanto rimaneva, come dimostrano numerosi casi di cavità con ceramiche riempite per livellare i muri, tagliate per aprire sugli stessi nuove finestre o per inserire nuove strutture, ridipinte in toni cromatici uniformi.I b. venivano di regola inseriti sulle strutture durante le fasi costruttive. La rimozione pressoché totale dei più di 600 esemplari superstiti, operata a Pisa, ha consentito di rilevare dati interessanti sulle modalità di inserimento e di cogliere chiare differenze legate ai periodi di edificazione. Negli edifici in pietra del sec. 11°, per es., il muro veniva innalzato fino ai coronamenti; all'altezza di questi, nelle zone in cui era prevista l'inserzione, le pietre del paramento esterno venivano preparate, seguendo il profilo del b., in modo da poterlo accogliere e incastrare al livello del bordo. Il riempimento del muro, costruito a sacco, avveniva quando i pezzi erano già inseriti. Le murature del sec. 12° mostrano invece pietre intagliate con cavità a calotta di dimensioni adeguate al b. da inserire. Accorgimenti analoghi erano presi per gli edifici in laterizio: i mattoni venivano tagliati in modo da seguire la circonferenza del pezzo e talvolta smussati verso l'interno per garantire l'ancoraggio dell'orlo. Non mancano i casi in cui la ceramica, posta nel fondo di un rombo, è bloccata dai gradini del rombo stesso o, collocata in prossimità di un archetto, viene a trovarsi in parte al di sotto di un elemento edilizio quale un piedritto. Queste osservazioni garantiscono, in moltissimi casi, un'assoluta contemporaneità fra il momento dell'edificazione e quello della messa in opera delle ceramiche. Facendo sempre riferimento al caso pisano, per il quale si dispone della documentazione più completa e controllata, la successione pressoché ininterrotta di edifici decorati con b., dalla fine del sec. 11° ai primi decenni del 15°, ha consentito di individuare mutamenti graduali e paralleli dei tipi di ceramiche impiegati nei differenti momenti e delle modalità costruttive degli edifici, bene individuabili nei diversi tipi di coronamenti ad archetti e nella distribuzione degli esemplari sulle superfici murarie. La disponibilità di ceramiche rivestite e decorate provenienti da mercati del mondo islamico fu verosimilmente la motivazione per l'inizio dell'impiego dei b. in architettura, laddove non erano ancora note le tecniche per la produzione di tali materiali. Essi furono pertanto sfruttati per arricchire strutture murarie, anche non particolarmente elaborate, di tocchi cromatici più duraturi di quelli ottenibili con la pittura e più economici di quelli che si potevano avere con tarsie di pietre policrome o con mosaici, per la cui composizione erano necessarie maestranze specializzate. Essi perciò non devono, dal punto di vista della decorazione dell'edificio, essere considerati come entità a sé, ma, nell'insieme della struttura stessa, come uno dei tanti e diversi materiali usati per il suo arricchimento esterno.È prematuro, allo stato attuale delle conoscenze, cercare di tracciare un quadro relativo alla provenienza dei b. utilizzati nelle varie aree geografiche e nei differenti periodi; per una definizione dei più probabili luoghi di produzione delle ceramiche sono necessarie infatti indagini precise che coinvolgano analisi sulla natura delle argille utilizzate per plasmarle, dei diversi tipi di rivestimento, delle tecniche decorative; dati che in molti casi non è possibile, o è rischioso, rilevare sui b. ancora in situ. Solo nei luoghi in cui si è proceduto al distacco dei b. come a Pisa e in alcune zone limitrofe (San Miniato e Lucca) sono possibili studi più approfonditi. Degli esemplari recuperati a Pisa, databili tra l'ultimo quarto del sec. 10° e il quinto decennio del sec. 11°, il 90% ca. è costituito da prodotti di paesi delle aree occidentali del mondo islamico, Maghreb, Spagna meridionale, Baleari, Sicilia; il residuo 10% dall'Egitto. Un'abbondanza relativamente maggiore di prodotti egiziani sembra riscontrabile a Pavia e a Pomposa. Le ricerche pisane consentono di affermare che nella seconda metà del sec. 11° la situazione nella zona si sposta di poco rispetto alla prima metà con un leggero relativo aumento di prodotti egiziani (20% ca.); nel sec. 12°, fino dalla prima metà, se ne affiancano, anche se in quantità abbastanza limitata, alcuni dell'Italia meridionale, i primi fabbricati in quelle regioni, e del mondo bizantino. Un nettissimo cambiamento si ha nel sec. 13° con un sensibile calo dei prodotti islamici cui si sostituiscono ceramiche fabbricate in Liguria e a Pisa. Sono i prodotti locali a prendere il netto sopravvento nel 14° secolo.Attraverso uno studio corretto dei b. è possibile acquisire dati di rilievo per la storia dell'architettura e per quella economica e sociale delle varie zone. Non può però ovviamente essere messo in secondo piano l'alto valore intrinseco che riveste almeno una parte di questi oggetti, in molti casi pezzi assolutamente eccezionali rimasti a testimoniare produzioni mal conosciute o del tutto non documentate negli stessi luoghi di origine. La loro rimozione e collocazione in musei, dopo il restauro, oltre a essere l'unico mezzo per tutelarli dal degrado ambientale o da atti di vandalismo e assicurarne la conservazione, offre agli studiosi la possibilità di avvicinare materiali di estremo interesse, indispensabili per lo studio di numerosi aspetti della storia della ceramica medievale.G. Berti
L'impiego di b. risale almeno al sec. 11° ed è attestato, sia pur sporadicamente, nella maggior parte dei paesi dell'area mediterranea e soprattutto in Italia, dove è presente - anche se con rilevanti oscillazioni quantitative - su buona parte del territorio della penisola e nelle isole maggiori, Corsica compresa. Per il resto, sono noti b. anche nell'area balcanica, in Spagna, in alcuni centri dell'Asia Minore e in Francia, per es. l'Hôtel de Ville a Saint-Antonin-Noble-Val (dip. Tarn-et-Garonne), del sec. 12°, per il quale si ha notizia di un b. già ivi esistente, ma purtroppo da tempo disperso (Mazzucato, 1973-1976, I, p. 10).La stragrande maggioranza dei b. architettonici proviene dalle numerose aree di produzione ceramica sparse per tutto il mondo islamico, a fronte di una piccola percentuale riferibile alla produzione bizantina e di una ancora più modesta quota di prodotti di manifatture locali italiane.Tali manufatti sono detti pure scodelle, con chiaro riferimento alla loro forma e all'originaria funzione. Che, del resto, i b. non fossero creati specificamente per essere inseriti nelle superfici murarie, sembra provato dall'assenza di una tipologia decorativa propria, come pure dal fatto che essi non appaiono generalmente conformati in modo diverso dal vasellame di uso comune; in altre parole, il fondino non assume la forma del perno da inserire per una salda presa nella muratura (come in taluni elementi ceramici di decorazione architettonica presenti in chiese bulgare e della Serbia meridionale) e neppure si nota una differenziazione nella stesura della vetrina che risparmi la parte posteriore del manufatto, destinata ad affondare nella malta rimanendo, dunque, celata alla vista per tutto il perdurare della sua validità funzionale. Questa osservazione, assieme a un'analisi delle modalità di inserimento dei b. nel parato murario, che dimostra come questi venissero immessi spesso rompendo la muratura (solo di rado compaiono alveoli predisposti in corso d'opera), induce a interrogarsi su quale fosse l'origine di un uso tanto singolare quanto non effimero; l'inserimento di b. in murature è documentato almeno dal sec. 11° al 15°, con qualche esempio anche posteriore.Dato per scontato che la presenza dei b. assolve esclusivamente a una funzione estetica, tre sono le ipotesi principali formulate per spiegarne la presenza. La prima, avanzata da Ballardini (1931, p. 101ss.; 1964, p. 32), vuole collegare l'impiego dei b. in architettura con un uso analogo diffuso già nel mondo classico (documentato da almeno un esempio reperito a Ostia nel 1908 durante una campagna di scavi), secondo il quale ciotole o patere erano presenti nelle murature esterne degli edifici con funzione decorativa. Tuttavia, se pure si potesse dimostrare che gli artefici medievali disponevano di esempi che oggi, a parte il citato caso di Ostia (risalente peraltro al sec. 2°-3°), non appaiono riemergere dalla ricerca archeologica, resterebbe da spiegare la mancanza di continuità di quest'uso che non è attestato, come si è detto, prima dell'11° secolo. D'altra parte un caso di citazione 'colta', di recupero cosciente dall'antico, sembrerebbe tutt'altro che probabile, dato il repentino comparire dei b. inseriti nelle murature e il loro rapido diffondersi in Italia e fuori. La seconda ipotesi, che trova origine nelle osservazioni di Dawson Turner (in Marryat, 1857; 1860, pp. 32-36), per il quale i più antichi b. pisani erano prede di guerra portate da Maiorca, vorrebbe vedere nei primi esempi di vasellame inserito nelle superfici murarie parte del bottino o, comunque, del bene acquisito dai crociati di ritorno dalla Terra Santa. In questo caso i b. sarebbero stati murati come decorazione soprattutto di edifici religiosi in segno di devozione, ringraziamento per l'avvenuto ritorno, trionfante ostensione della potenza della religione cristiana alla quale il mondo arabo - attraverso la sineddoche altamente significante del prodotto ceramico, scintillante di smalti dalla vivace policromia e siglato da un gusto decorativo fortemente caratterizzato - doveva essere asservito e sottomesso. Pur suggestiva, questa seconda ipotesi è contraddetta dalla presenza documentata di b. già precedentemente alla prima crociata (1096-1099), per es. nel complesso abbaziale di Pomposa, dove sarebbero stati usati fin dal 1026, o nel S. Sisto di Pisa (1070 o 1088) o in almeno due esempi romani: S. Prassede (1073-1085) e S. Giovanni a Porta Latina (1070-1085). Inoltre, come osserva Mazzucato (1973-1976, I, p. 10), la diffusione dei b. architettonici non appare in altri paesi che pure avevano contribuito quanto e più dell'Italia alle spedizioni crociate; se è vero che i cristiani approfittarono di ogni occasione di contatto, pacifico o violento, con il mondo arabo per acquisire grandi quantitativi di ceramiche impiegate in parte anche come b. architettonici, è anche vero che questa fu essenzialmente una conseguenza del gusto per questo tipo di manufatti che ne scoprì un'ulteriore possibilità di applicazione estetica nell'inserimento a vista nelle murature in luogo di elementi decorativi in marmo (Mazzucato, 1973-1976, I, p. 14). Si tocca con ciò la terza ipotesi sull'origine dei b., attualmente sostenuta da buona parte della critica, secondo la quale l'inserimento delle scodelle nel parato murario fu dettato da motivazioni prettamente estetiche che gradivano la puntualizzazione cromatica (Berti, Tongiorgi, 1981, p. 9), le quali vennero a coincidere con una disponibilità di materia prima che ne permetteva l'acquisizione a prezzo commerciale e offriva la garanzia di una durata nel tempo fino ad allora appannaggio del marmo e della pietra, reperibili ancora tra il materiale di spoglio, ma tanto meno lucenti, vivaci e, in definitiva, moderni. E per l'appunto il gusto per un materiale nuovo e, in qualche modo, estraneo ne spiegherebbe l'uso improprio; come se si fosse voluto esplorarne tutta la potenzialità e le valenze al di là della destinazione funzionale convenzionale.Indubbiamente questo atteggiamento fu dettato dal fascino che gli smalti policromi e i lustri ispirarono quando, soprattutto attraverso i commerci, giunsero in Italia come prodotti di importazione. Effettivamente, in Sicilia, dove pure tali manufatti ceramici si producevano per effetto della dominazione araba, o negli altri territori italiani, dove grazie a maestranze anche bizantine se ne conoscevano le tecniche di produzione, l'impiego dei b. è più raro (si conosce un solo esempio di b. in Sicilia, abbastanza tardo; Gabrici, Levi, 1932, pp. 47-48); quasi che la consuetudine e la conoscenza avessero comportato l'approccio ortodosso con l'oggetto e, al contrario, una rispettosa e ammirata mancanza di dimestichezza avesse agito da stimolo sulla fantasia degli acquisitori, individuabili soprattutto nell'Italia centrosettentrionale. In particolare, gli studi approfonditi sui superstiti b. pisani hanno permesso di definire quali ne fossero i centri di produzione tra il sec. 11° e il 14° (Berti, Tongiorgi, 1981; Berti, Tongiorgi, Tongiorgi, 1983). Nel sec. 11° i b. sono risultati provenire in parte dall'Egitto (prima il 10% e poi il 20%) e per il resto dal Marocco, dalla Tunisia, dalla Spagna, dalla Sicilia e dalle Baleari. Nel secolo seguente si affacciarono alla produzione manifatture dell'Italia meridionale e di area bizantina. Questa proposta delle manifatture italiane si affermò nel sec. 13° quando la stessa Pisa, insieme ad alcuni centri della Liguria, cominciò a produrre in proprio, determinando un calo progressivo nell'importazione dai paesi islamici, nel secolo successivo totalmente soppiantati dalla produzione locale italiana.L'esigenza di salvaguardare i b., esposti oltre che al degrado naturale anche ad atti di vandalismo, di disinvolto intervento sulla muratura, di illecito asporto, fu avvertita già negli anni Trenta (Ballardini, 1938), ma è solo nel corso degli anni Settanta che un nuovo fervore di studi ha permesso di avviare un censimento dei b. esistenti o degli edifici in cui essi preesistettero. Questo corpus, la cui redazione è tuttora in corso, permette di conoscere, per alcune zone già in dettaglio, come e quanto fossero diffusi e utilizzati i b. nei paesi del Mediterraneo, con particolare attenzione per quanto riguarda l'Italia.Tale censimento delinea un quadro di massima della diffusione dei b. che vede per la Francia continentale attestato il caso, già citato, di Saint-Antonin-Noble-Val e per la Iugoslavia solo una sporadica presenza in Dalmazia; un poco più numerosi risultano gli esempi nella penisola iberica, mentre un discreto numero di testimonianze sta affiorando in Grecia. La decorazione a b., tuttavia, pur se presente perfino in territori eccentrici come Anatolia e Georgia, fu svolta con pienezza e consequenzialità in numerose località dell'Italia continentale e insulare. Qui sporadicamente i b. compaiono nelle regioni meridionali, Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, con esempi superstiti databili dal 13° al 15° secolo. Senza dubbio impiegati più frequentemente nella parte centrosettentrionale della penisola, i b. sono reperibili con frequenza in Piemonte, dove si trovano esemplari dal sec. 12° al 15°, nel Veneto (tre casi dei secc. 12°-13°), in Liguria (in particolare, Noli, S. Paragorio; Varazze, S. Ambrogio Vecchio, S. Ambrogio Nuovo; Genova, S. Giovanni di Pré), in Lombardia (per es. Pavia, S. Maria del Popolo e nella perduta Torre Civica; Milano, S. Simpliciano, S. Ambrogio; Morimondo, abbazia) e nel vicino Canton Ticino. Numerosi gli esempi nell'Emilia Romagna (per es. Nonantola, abbazia; Bologna, S. Stefano, S.Francesco, quattro palazzi; Ferrara, S. Giacomo, S. Bartolo; Pomposa, abbazia con il campanile e il palazzetto della Ragione; Ravenna, S. Apollinare Nuovo, S. Giovanni Battista; Faenza, chiesa della Commenda), nelle Marche (in particolare, Tolentino, S. Nicola, chiostro; Pesaro, S. Agostino, duomo, S. Francesco; Ascoli Piceno, S. Agostino, S. Venanzio, S. Francesco, S. Angelo Magno, S. Maria inter vineas, S. Giacomo, S. Maria delle Donne, S. Pietro in Castello), in Umbria (per es. Assisi, loggia della casa dei maestri comacini; Narni, campanile del duomo; Terni, campanile di S. Francesco), in Abruzzo (in particolare: Campli, S. Maria in platea; Atri, campanile della cattedrale; Giulianova, S. Maria a Mare; Morro d'Oro, S. Maria di Propezzano; Penne, S. Agostino; Loreto Aprutino, S. Maria in Piano). Le regioni italiane dove i b. ebbero la massima diffusione furono il Lazio e la Toscana, sulla quale si considerano gravitare anche la Sardegna e la Corsica. In Toscana sono presenti più di sessanta edifici con b., nel Lazio intorno ai cinquanta.Il caso di Pisa è, come si è detto, il più studiato e molti sono attualmente i b. superstiti. Se si pensa, però, che le chiese di S. Martino, S. Cecilia e S. Piero a Grado contavano ciascuna tra i duecentoventi e i duecentosessanta b., si può intuire quanto massiccia dovesse essere la presenza di tali manufatti in territorio pisano. Oltre a quelle citate, si trovano b. in molte altre chiese della città, per es. S. Sisto, S. Andrea foris portam, S. Silvestro, S. Zeno, S. Stefano, S. Matteo, S. Michele degli Scalzi, S. Paolo all'Orto, S. Francesco, convento di S. Anna. Nelle altre città toscane b. sono presenti a Lucca (S. Romano, S. Anastasio, S. Francesco, S. Benedetto in Gottella, S. Michele in Foro) e nei suoi pressi (S. Cristoforo di Lammari, S. Bartolomeo di Cantignano, pieve di S. Cassiano di Controne, S. Michele di Castello di Villa a Roggio). In area pisana, oltre S. Piero a Grado, si segnala in particolare S. Iacopo a Metato. L'uso in un edificio civile è attestato da palazzo Baccinelli a San Gimignano, mentre per quello religioso si citano gli esempi di S. Lorenzo a Monterappoli, di Certaldo (S. Tommaso), di Sesto Fiorentino (pieve), di San Miniato (duomo).A Roma, tra gli edifici che conservano b. - in situ o comunque documentati, anche se in qualche caso attualmente dispersi - vanno segnalati in particolare: S. Prassede, S. Bartolomeo all'Isola, Ss. Giovanni e Paolo, Santa Croce in Gerusalemme, l'oratorio di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati, S. Giovanni a Porta Latina, S. Maria della Luce, S. Lorenzo f.l.m., S. Agata dei Goti, S. Eustachio, S. Lorenzo in piscibus, l'abbazia delle Tre Fontane, S. Maria Nova, l'ospedale e il portico di S. Giovanni, S. Marco, S. Agnese, S. Maria Maggiore. In questa produzione si nota una prevalenza di ceramiche islamiche o magrebine, insieme con manufatti locali in progressivo aumento. Nel resto del Lazio, infine, meritano una menzione i casi testimoniati da S. Maria della Pieve a Sermoneta, S. Pietro di Tuscania, dalla cattedrale di Terracina e, per la loro rarità, gli esemplari su due case private a Tivoli, forse del sec. 14° e di produzione locale; e inoltre Gaeta, S. Erasmo; Itri, S. Maria; Palombara Sabina, S. Giovanni in Argentella; Ninfa, S. Maria Maggiore; Viterbo, S. Maria della Carbonara e duomo; Grottaferrata, S. Nilo; Albano, S. Pietro; Genazzano, S. Paolo; Faleria, S. Giuliano; Lugnano in Teverina, duomo; Trisulti, abbaziale; Frascati, S. Rocco; Velletri, S. Maria in Trivio; Capranica, chiesa degli Anguillara.A. Ghidoli
Bibl.:
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Nicolacopulos, ᾽Ενταιχισμένα Κεϱαμειϰὰ στὶϚ ῎ΟψειϚ τῶν Μεσαιωνιϰῶν ϰαὶ ἐπὶ ΤουϱϰοϰϱατιαϚ ᾽Εϰϰλησιῶν μαϚ [Ceramiche inserite sulle facciate delle nostre chiese del Medioevo e dell'epoca dell'occupazione turca]; II, Τ`ὰ Κεϱαμειϰὰ τῶν ῾Αγίων Θεοδώϱων [Le ceramiche dei Ss. Teodori]; III, Τ`ὰ Κεϱαμειϰὰ τῆϚ ΠαναγίαϚ τοῦ Μεϱμπαϰα τῆϚ ΝαυπλίαϚ [Le ceramiche della Panaghia di Mérbaka di Nauplia], Athinai 1978-1979; H. Blake, The Bacini of North Italy, in La céramique médiévale en Méditerranée occidentale. Xe-XVe siècles, "Colloques internationaux du C.N.R.S., n. 584, Valbonne 1978", Paris 1980, pp. 93-111; G. Berti, L. Tongiorgi, I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa (Quaderni di cultura materiale, 3), Roma 1981 (con bibl.); id., I bacini ceramici medievali del Duomo di S. Miniato, Genova 1981; H. Blake, I 'bacini' umbri: ceramiche medievali inserite negli edifici, in Ceramiche medievali dell'Umbria, a cura di G. Guaitini, cat. (Spoleto 1981), Firenze 1981, pp. 86-91; F. Aguzzi, H. 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