BAGNO (fr. bain; sp. baño; ted. Bad; ingl. bath)
L'antichità classica. - L'uso d'immergersi nell'acqua fredda o calda, o di farsela versare addosso, fu più o meno diffuso presso tutte le popolazioni antiche. Si bagnavano gli Egizî, gli abitanti della Mesopotamia, gli Ebrei; abluzioni e bagni si fecero anche per prescrizione religiosa, come avviene presentemente presso i musulmani. Nel mondo classico l'uso del bagno assume singolare importanza, specialmente riguardo all'evoluzione delle forme architettoniche degli edifici destinati a tale scopo. La civiltà preellenica dell'Egeo faceva largo uso di bagni. I palazzi di Cnosso, di Festo, di Haghia Triada, quello di Tirinto hanno presentato ripetuti e sicuri esemplari di camere da bagno (v. cretese-micenea, civiltà) e non è escluso che le λάρνακες di terracotta che si sono trovate usate come sarcofagi fossero state anche adoperate come vasche da bagno. Anche nei poemi omerici gli eroi dopo le fatiche dei combattimenti, gli ospiti dopo quelle del viaggio non tralasciano di prendere il refrigerio di un bagno. Un antichissimo figulo di Cipro plasmò in argilla la figuretta di un uomo nel bagno. (R. Dussaud, Les civilisations préhelléniques, 2ª ed., Parigi 1914, p. 401, fig. 296). Sono in uso sia il bagno freddo che si prende nel mare o nei fiumi, sia il bagno caldo al quale erano destinati gli apparati domestici, e al quale, come alle susseguenti unzioni con olî, chiaramente accennano i poemi omerici (Il., XIV, 6; XXII, 444; Od., X, 360). In questi i diversi momenti del bagno sono indicati con molta precisione: si accende il fuoco sotto un vaso di rame posto su un tripode, l'acqua calda si mescola con la fredda nella vasca da bagno (ἀσάμινϑος, notevole la forma non greca del nome), il bagnante entra nella vasca, e un assistente, per solito una schiava o la padrona stessa di casa, versa su di lui l'acqua, lo lava e poi lo unge. Nella prima età storica greca il bagno caldo fu ritenuto segno di mollezza, e nell'educazione giovanile dei ginnasî s'inculcò l'uso del bagno freddo e del nuoto. Questo non vuol dire però che la pratica del bagno caldo fosse abbandonata. Ci persuadono del contrario gli esemplari di vasche da bagno di terracotta, di forme diverse, comprese quelle destinate a lavare la sola parte inferiore del corpo, come i nostri cosiddetti semicupî, che si sono rinvenuti in più luoghi della Grecia propria, dell'Asia Minore e della Sicilia (cfr. A. Furtwängler, Aegina, p. 94; id., in Amer. Journ. of Arch., 1904, p. 217; Th. Wiegand-H. Schrader, Priene, p. 292; Not. Scavi, 1925, p. 422).
Le pitture vascolari ci mostrano specialmente figure femminili in atto di prendere il bagno, facendosi versare sulle spalle con idrie l'acqua che sgorgava da bocche di fontana sporgenti da muri e conformate per lo più a teste di leone, di cinghiale o di altri animali. E la statua dell'ellenismo asiatico che ci presenta la Venere accoccolata, opera di Doidalses (o Dedalo) di Bitinia, ripete questo soggetto della figura femminile che attende che le si versi a guisa di doccia l'acqua sulle spalle e sul capo. Si hanno anche figure che si lavano intorno a un bacino circolare o che nuotano in una piscina (vaso del Louvre firmato da Andocide in Daremberg e Saglio, Dictionn. antiquités, I, s. v. balneum, fig. 747). Non si può dire tuttavia quanto queste figurazioni di bagni femminili rispondano alla realtà; di stabilimenti balneari per le donne non si hanno menzioni sicure, e per Atene l'ipotesi stessa sembra in contrasto con tutto ciò che ci risulta sulla vita ritirata e sacrificata della donna attica; più probabile è che al bagno della donna si sia provveduto nell'intimità della casa, secondo che si ricava da una scena narrata nell'Eunuco di Terenzio (v. 595 seg.) che, per essere essenziale alla tela della commedia, deve riprodurre il modello greco.
L'educazione fisica così curata presso i Greci non andò disgiunta dalla pratica del bagno specialmente freddo e dall'insegnamento del nuoto; anzi era proverbiale il detto: "non saper né leggere né nuotare" (μήτε γράμματα μήτε νεῖν) per indicare la più crassa ignoranza. Perciò gli edifici ideati per le esercitazioni dei giovani, i ginnasî, ebbero speciali sistemazioni per i bagni. Nel ginnasio di Priene, per esempio, ai lati della porta che immette nella sala nordoccidentale dell'ala inferiore dell'edificio si trovano lungo le pareti alcuni bassi banchi da sedere, in muratura, davanti ai quali corrono dei canaletti. Potevano servire soltanto al lavacro dei piedi; ma negli altri lati della stanza, all'altezza di circa un metro dal pavimento, sono inserite delle teste di leone che lasciavano correre acqua e permettevano una specie di bagno a doccia (Wiegand-Schrader, op. citata, p. 269). Apparati simili sono stati rilevati a Delfi e ad Alessandria Troade.
Ma i bagni caldi, biasimati dalle dottrine morali più severe quali indici di mollezza, tenuti un tempo in Atene fuori delle mura della città (Athen., I, p. 18 b), perfezionati, diceva la tradizione, dai Sibariti (Athen., XII, 15, p. 518 c), malfamati a Sparta, fedele ai bagni freddi nell'Eurota, non tardarono a rientrare e a prendere sempre più vaste proporzioni nella vita privata dei Greci. Le città greche ebbero bagni privati e pubblici, accessibili a pagamento, e frequentatissimi specialmente da fannulloni e da gaudenti che vi passavano intere giornate. Tali stabilimenti erano molto semplici: un ambiente con una tinozza era destinato al bagno caldo, il quale prendeva piuttosto la forma di una doccia (Plat., Resp., I, 344 d); ché, quando il bagnante era entrato nella tinozza (πύελος, μάκτρα), l'acqua, contenuta in apposito bacino (λουτήρ), gli era buttata addosso da un servo. In luogo del sapone, ignoto in quest'età, si usavano delle sostanze digrassanti, come la lisciva e la soda, o una terra detersiva detta del Cimòlo (γῆ κιμωκία). Dopo il bagno, si passava in un'altra stanza (ἀλειπτήριον) per l'unzione e il massaggio. I Greci facevano il bagno prima del pranzo serale e tutti i giorni; bagnarsi più di una volta al giorno era ritenuto effeminatezza; austerità, al contrario, lavarsi più di rado. Vi erano poi alcuni che, come si narra di Socrate e di Focione, evitavano di proposito i bagni. Nell'inverno i bagni offrivano ai miserabili un modo di riscaldarsi.
Ma quello che doveva dare al bagno tutta la grandiosa importanza ch'esso assunse nella vita degli antichi fu l'introdursi delle forme più raffinate e più squisite del bagno a vapore e del bagno di sudore. Solo da questa specie di lavacri si possono trarre quelle profonde sensazioni di piacere e di benessere che ci spiegano la straordinaria passione che per essi concepirono gli antichi. Invero soltanto col bagno di sudore e con la successiva frizione e massaggio si può ottenere, con l'apertura di tutti i pori, l'espulsione completa di tutte le materie grasse annidate nella pelle, sulle quali l'acqua, come noi comunemente l'adoperiamo, scivola via quasi senza effetto. Basta aver visto che cosa esca dalla pelle del più pulito tra gli Europei, quand'egli prende un bagno turco (erede diretto del bagno greco-romano), per comprendere, come anche quelli tra noi che entrano ogni giorno provvisti dei migliori saponi nella propria vasca, non sappiano che cosa significa lavarsi. Poi sul corpo in sudore scende come balsamo il flusso delle acque tepide o fredde, e attraverso l'epidermide fresca e nitida si avviano vivificanti correnti d'aria, portando, si direbbe quasi, ai tessuti più interni il beneficio dell'ossigeno, e dando sensazioni di benessere. Soltanto così possiamo spiegarci come i piaceri del bagno fossero dagli antichi posti alla pari con quelli della mensa e dell'amore, e come degli smodati o dei voluttuosi, quali Commodo o Gallieno, prendessero il bagno fino a otto volte il giorno; cosa che nessuno di noi uomini moderni sognerebbe mai di fare; come finalmente non fosse raro il caso di persone uccise dall'abuso dei bagni. Il nostro proverbio "Bacco, tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere" è diretto discendente di un proverbio romano, conservato da un'epigrafe metrica (Corp. Inscr. Latin., VI, 15258): Balnea vina Venus corrumpunt corpora nostra; nei due proverbî due civiltà stanno di fronte, la romana che ignorava il fumo e si lavava troppo, e la nostra che fuma disperatamente e, bisogna pur dirlo, si lava troppo poco.
Non sappiamo quando e dove tali forme così raffinate di lavacro vennero adottate; Erodoto conosce già i bagni di vapore (VI, 25). Non è improbabile, dato il luogo d'origine dello scrittore (Alicarnasso in Caria) e i suoi numerosi viaggi, che egli abbia preso conoscenza di tali sistemi, meglio conformi alle elevate e lussuose abitudini delle civiltà orientali che non a quelle ancora severe della Grecia del quinto secolo, nelle regioni dell'Oriente Mediterraneo. È naturale pensare che, dove si era provveduto ai bagni a vapore, abbiano potuto sorgere anche i bagni di sudore; ma questi si ottenevano con metodi assai primitivi e imperfetti di riscaldamento. Ippocrate non conosce che i bagni freddi e caldi, e Galeno commentando dice che al tempo d'Ippocrate la balneoterapia era molto arretrata (Galen., In Hippocr. de acutor. morb. victu, III, 40, ed. Kühn, XV (1828), pag. 705 seg.; In Hippocr. de med. offic., III, 33, ed. Kühn, XVIII, 11 (1830), pag. 891 segg.). Ed invero per quanto ci è finora noto del mondo greco e orientale non abbiamo per il periodo preromano né resti di edifici monumentali destinati a bagni pubblici, né frequenti disposizioni relative a bagni in case private.
I Romani, che negli antichi tempi avevano assai parcamente fatto uso di bagni, ne divennero, dopo aver preso contatto con i paesi dell'Oriente Mediterraneo, i più fervidi e appassionati amatori. Nei più antichi tempi ci è detto che i Romani solessero lavarsi tutte le mattine le braccia e le gambe, il resto del corpo una volta ogni nundina (Cato, presso Non., p. 108, s. v. ephippium; Senec., Epist., 86, 11). Questi lavacri si facevano in casa, talora ìn apposito locale che si chiamava latrina (da lavatrina), e che era ordinariamente presso la cucina per aver modo di portarvi acqua calda ed altro. Seneca descrive il bagno di Scipione nella villa di Literno che egli visitò: cameruccia nuda, stretta, oscura. Il nome balneum (balineum) o balneae, preso dal greco (βαλανεῖον), significò subito qualche cosa di più ampio e di più decoroso della latrina che passò a più umile servigio. Possiamo farci un'idea di questi piccoli apparati balneari da alcune delle più antiche case pompeiane. È conservata la contiguità alla cucina, troppo vantaggiosa per infinite ragioni, ma in luogo dell'unica cameruccia appaiono due, tre, anche quattro locali. Uno dei bagni più semplici è quello della bella e ricca Casa del Fauno (v. pianta; n. 1 triclinio, n. 2 cucina, n. 3 calidario, n. 4 tepidario, n. 5 latrina); molto meglio provveduta è per questo riguardo l'altra ampia e nobile Casa del Centenario, e meglio ancora la Villa di Diomede (v. pianta a p. 858).
Il riscaldamento era ottenuto alle volte col focolare della cucina, alle volte con speciale forno, per lo più a livello più basso del pavimento (hypocaustum o praefurnium). Un esempio tipico e perfettamente conservato delle installazioni calorifiche, trovato nella villa della Pisanella presso Boscoreale e collocato nel museo di Pompei, ci mostra il praefurnium, la caldaia in piombo rivestita di muratura, la vasca di deposito dell'acqua fredda posta nella prossima cucina, e un complesso di condotture con i rispettivi rubinetti che permettevano di regolare l'afflusso dell'acqua fredda dalla cucina nella caldaia, e quello dell'acqua calda o fredda nella vasca del calidario (A. Pasqui, La villa pompeiana di Boscoreale, in Monumenti dei Lincei, VII, col. 397 segg.).
Il bagno diviene sempre più necessario; non se ne può fare a meno un sol giorno; per chi non può sistemare nella propria casa gli ambienti adatti sorgono stabilimenti pubblici, assai semplici da principio, con rigorosa separazione dei due sessi; ne hanno la vigilanza gli edili. Il loro numero cresce via via: il piccolo abitato che sorge presso la villa di Plinio a Laurento ne ha tre (Plin., Epist., II, 17); in Roma, Agrippa, durante la sua splendida edilità, ne aggiunge centosettanta ai già esistenti; al tempo di Costantino i Regionarî o descrizioni statistiche della città, ne ricordano ottocentocinquantasei.
Vi erano diversi tipi di questi stabilimenti: 1) I bagni privati riservati, i quali, come si vede a Pompei, non sono che case particolari con una o più stanze per il bagno; non essendo aperti al pubblico, rappresentano di fronte ai bagni veri e proprî quello che è oggi, per intendersi, una pensione di famiglia rispetto a un restaurant. Erano frequentati da una clientela ristretta e conosciuta che voleva evitare il frastuono e la curiosità pettegola degli stabilimenti maggiori. 2) I bagni pubblici eserciti da un privato (balnea, balinea meritoria). 3) Le terme pubbliche (balneae, thermae), un'istituzione civica che permetteva anche ai più poveri di bagnarsi con comodità e a poco prezzo. L'edificio, un dono fatto alla comunità da ricchi privati o da imperatori, era dato in appalto a un impresario (conductor), il quale aveva il diritto di esigere dai frequentatori una piccola tassa d'ingresso (balneaticum), di regola un quadrante (1/4 dell'asse, moneta di valore minimo, anche tenendo conto del maggior valore di acquisto del denaro nell'antichità). La tassa veniva riscossa o dall'appaltatore stesso, quando il bagno era esercito personalmente, o dal suo amministratore (balneator), o da uno schiavo di fiducia appartenente al personale dei bagni, come il capsarius e l'arcarius ai quali era affidata la sorveglianza della cassa e di tutto ciò che veniva lasciato in deposito (oggetti, vesti, ecc.). Vecchi e bambini godevano dell'entrata gratuita. Accadeva poi che qualche ricco cittadino, in particolare qualche magistrato durante l'anno d'ufficio, corrispondesse al conductor l'equivalente del gettito annuo del biglietto d'ingresso. Il bagno, allora, diveniva gratuito per tutti.
Le grandi terme erano il maggior centro di vita mondana; chi voleva scambiare tranquillamente due chiacchiere con gli amici preferiva i bagni tenuti dai privati, anche se meno comodi e più cari. Nei grandi stabilimenti v'era infatti un affollamento tumultuoso e un chiasso che levava di testa; verso la metà del pomeriggio gran parte della popolazione di Roma andava a finir lì; dopo le occupazioni della giornata o prima del pranzo tutti si concedevano la gioia del bagno e le terme brulicavano di gente.
Seneca ci ha lasciato una descrizione famosa (Epist., 56,1-2): "Abito proprio sopra un bagno, immaginati un vocìo, un gridare in tutti i toni che ti fa desiderare d'esser sordo; sento il mugolio di coloro che si esercitano coi manubrî; emetton sibili e respirano affannosamente. Se qualcuno se ne sta buono buono a farsi fare il massaggio sento il picchio della mano sulla spalla, e un suono diverso a seconda che il colpo è dato con la mano piatta o incavata. Quando poi viene un di quelli che non può giocare a palla, se non grida e incomincia a contare i colpi ad alta voce, è finita. E c'è anche l'accattabrighe, il ladro colto sul fatto, il chiacchierone che, quando parla, sta a sentire il suono della sua voce, e quelli che fanno il tuffo nella vasca per nuotare, mentre l'acqua spruzza rumorosamente da tutte le parti. Ma per lo mieno questi metton fuori una voce che è la loro. Pensa al depilatore che ogni poco fa un verso in falsetto per offrirti i suoi servigi; e non sta zitto che quando strappa i peli a qualcuno; ma allora strilla chi gli sta sotto. Senza contare l'urlìo dei venditori di bibite, di salsicce, di pasticcini, e degl'inservienti delle bettole che vanno in giro, offrendo la loro merce, ciascuno con una speciale modulazione di voce"..
I bagni si aprivano a mezzogiorno, l'ora nella quale si accendevano i forni; l'entrata e l'uscita del pubblico era regolata diversamente secondo i tempi e i luoghi. In Roma le terme erano aperte dal mezzogiorno al calar del sole; una campanella dava il segno dell'apertura e della chiusura. Solo Adriano prescrisse che l'ingresso non cominciasse se non dopo le due pomeridiane, eccezione fatta per i malati (Spart., Hadr., 22, 7). Nei bagni di provincia le terme talora rimanevano aperte anche qualche ora della notte, specialmente dove i locali erano insufficienti rispetto alle esigenze della popolazione; ma anche nelle città in cui gli stabilimenti balneari abbondavano. Per es., nelle terme del Foro di Pompei sono state ritrovate numerose lampade e tracce di fumo sui muri; quest'uso delle lampade che altri (Nissen) attribuì alla necessità di rischiarare i passaggi, realmente bui, di quelle terme magnifiche ma tetre, si spiega meglio supponendo (Mau) che i locali rimanessero aperti sino ad ora inoltrata.
Nelle terme in cui mancava lo scompartimento per i bagni femminili le donne venivano escluse (delle tre terme di Pompei quelle centrali sono per soli uomini), o erano ammesse in ore diverse da quelle degli uomini (v. Corpus Inscr. Lat., II, 5181, la cosiddetta lex metalli Vipascensis: l'entrata è aperta per le donne dalla levata del sole all'hora septima, cioè l'una del pomeriggio, circa; per gli uomini nel resto della giornata, sino a due ore dopo il tramonto).
Il modo di fare il bagno variava a seconda delle predilezioni individuali, dell'età, del sesso, dello stato di salute. In particolare il bagno delle donne era più semplice di quello degli uomini; nella sezione femminile delle terme non vi è palestra, segno che la ginnastica delle donne era molto ridotta; e il nuotar nella piscina, che era comune alle due sezioni - quando i regolamenti del bagno non ne vietavano l'uso alle donne - pareva indizio di facili costumi (Quint., V, 9, 14: signum adulterae lavari cum viris); tanto più che, se le rare donne che vi andavano indossavano le mutandine (subligar; cfr. Mart., III, 87), gli uomini vi stavano senza costume, e i Romani non furono mai così spregiudicati come i Greci di fronte allo spettacolo della nudità maschile. Vi eran poi i deboli, i vecchi, i poltroni che preferivano le forme meno energiche fra le tante in uso per mettere, com'era necessario, il sangue in moto prima del bagno. Tuttavia nella grande varietà dei metodi che son descritti o che desumiamo dalle fonti, si ricava che il principio regolatore del bagno romano era sempre lo stesso, e consisteva nel riscaldare il corpo, in modo che i pori fossero ben aperti e il calore diffuso uniformemente sotto l'epidermide, per poi temprarlo e ristringerlo con un bagno freddissimo, al quale poteva seguire per la reazione un nuovo bagno caldo, prima dell'ultimo massaggio. A richiamare il calore verso la superficie del corpo si provvedeva in vario modo; alcuni si limitavano a fare un prolungato esercizio nella palestra (lotta, manubrî, soprattutto palla) seguito da un primo massaggio, dopo il quale si tuffavano a nuotar nella vasca (piscina natatoria). Altri dopo la ginnastica, o dopo il bagno di sole (apricatio), ovvero, dopo un semplice massaggio preliminare, passati dalla palestra allo spogliatoio, facevano il bagno caldo nel caldarium o il bagno di sudore nell'assa sudatio; poi, dopo una breve sosta nel tepidarium (che era una stanza d'aspetto o di passaggio) passavano nel frigidarium per le abluzioni fredde. Per render poi più grata l'alternativa del caldo e del freddo, come si manteneva ad alta temperatura l'acqua destinata al bagno caldo, così si refrigerava l'acqua del frigidarium e della piscina mediante la neve (Svet., Ner., 27; piscinis tempore aestivo nivatis). Finito il bagno, si sottoponeva di nuovo il corpo al massaggio con uso di olio e di unguenti.
L'acqua dei bagni era limpidissima; solo i Romani del rude tempo antico non facevano gran caso del lavarsi in acqua chiara: (Scipio) aqua lavabatur.... saepe turbida et, cum plueret vehementius, paene lutulenta (Sen., Epist., 86, 11). Vi erano anche bagni medicati e bagni profumati. Il bagno caldo si faceva con acqua ad altissima temperatura e in stanze molto riscaldate. Negli autori troviamo espressioni che non lasciano dubbio: (temperatura) similis incendio (Sen., Epist., 86, 10); (balneum) sic calet tamquam furnus (Petron., c. 72); balneator elixus (Mart., III, 7, v. 3); fervens pavimentum (Plin., Ep., III, 14, 2), ecc. Casi di morte improvvisa nel bagno sono ricordati più volte, soprattutto per l'imprudenza di entrare nel bagno prima di aver digerito, giacché non tutti andavano al bagno a digiuno. I raffinati si servivano del bagno per aiutar la digestione e stimolar la sete.
Il bagno, complicato com'era, richiedeva servitù e oggetti di varia specie che ognuno recava con sé da casa: ampolle d'olio, strigili (ferri arcuati per detergere dal corpo il grasso dopo gli esercizî), la soda (aphronitrum), di cui ci si serviva come sapone, e, naturalmente, i panni per asciugarsi (lintea, sabana), che erano diversi: per la faccia (faciale), per i piedi (pedale), ecc. I bagnanti, tranne i più poveri, avevano al loro seguito un certo numero di servi incaricati d'incombenze varie, come assistere il padrone durante il bagno (balneator), fargli il massaggio (unctor, aliptes, o anche, se particolarmente esperto nelle cure del corpo, iatraliptes), depilarlo (alipilus), stare a guardia delle vesti, ecc. Chi non aveva servi ricorreva all'opera dei masseurs e depilatori che affollavano le terme, e quando si spogliava, se non voleva lasciar le vesti in balia dei ladri sempre in agguato nel viavai delle terme, le depositava, pagando un piccolo compenso, presso il balneator o il capsarius. I più raffinati conducevano con sé anche i coppieri; ma sembrava fastosa e sciocca ostentazione. Non sapremmo dare, come altri fa, eccessivo valore informativo al caso d'un tale che si faceva il massaggio da sé, sfregandosi il corpo ai marmi delle pareti (Spart., Hadr., 17, 6); si tratta di un caso eccezionale.
Gli edifici. - Numerosissimi sono gli edifici termali dell'antichità. Pompei ce ne offre esempî che risalgono alla fine della Repubblica o al principio dell'Impero. (V. Tav. CLXXVII).
Il più antico, che è ad un tempo il più grande di tali edifici, noto sotto il nome di Terme stabiane, dev'essere stato costruito circa il sec. II a. C. e ampliato e restaurato poi, poco dopo la deduzione della colonia romana, in età sillana (cfr. l'iscrizione dedicatoria in Corpus Inscr. Lat., X, 829). Esso si svolgeva intorno a un grande cortile trapezoidale con portico su tre lati, che serviva da palestra e che aveva sul quarto lato la piscina d'acqua fredda per nuotare; era rigorosamente distinto in due sezioni, per i bagni maschili e per i femminili, con ingressi separati su due vie opposte; ottimamente conservato è il calidario col grande labrum o bacino circolare. E intatto è lo spogliatoio del bagno delle donne, la cui vòlta ha resistito al peso del materiale vulcanico cadutole addosso, e che conserva il candore dell'intonaco e la fila di nicchiette nel muro per deporvi i vestiti.
Ma un grande passo verso più alte e perfette forme di bagno si fece verso la fine della repubblica per le innovazioni costruttive di Sergio Orata. Questo cavaliere romano dalle attitudini e dalla mentalità di grande industriale, arricchitosi con gli allevamenti di ostriche nel lago Lucrino, trovò il modo di condurre e diffondere correnti di aria calda sotto e intorno alle sale destinate ai bagni caldi, correnti che s'irradiavano con uniformità e che erano lungamente conservate dalla massa di laterizî tra i quali erano imprigionate (Plin., Nat. Hist., IX, 73). Tali risultati si ottennero appoggiando il pavimento su pilastrini di mattoni (suspensurae), in modo da formare sotto il pavimento una camera d'aria ed applicando alle pareti mattoni traforati, sì che potesse tutt'intorno all'ambiente circolare aria calda.
Si giunse così alla forma più razionale e perfetta di riscaldamento, raggiungendo forse, grazie alla proprietà della terracotta di accumulare calorie senza soverchio consumo di combustibile, temperature quali a noi è difficile ora raggiungere e quali erano necessarie per i bagni di sudore.
A questo tempo su per giù si debbono attribuire i precetti di Vitruvio sulle costruzioni balneari, e a questo tempo è pure da ascriversi il primo esempio di grandioso edificio termale pubblico, quello eretto nel Campo Marzio da Agrippa. Vitruvio riserva ai precetti sulle costruzioni balneari il capitolo decimo del suo libro sesto, e qualche cosa aggiunge nel capitolo undecimo, parlando dei bagni annessi alle palestre. Gli elementi essenziali del bagno vitruviano sono le tre aule: frigidario, tepidario e calidario, cui si aggiungono il laconicum e le sudationes, che probabilmente corrispondono a un solo ambiente e significano: laconicum l'intera sala, sudationes le singole cuccette per adagiarsi durante la reazione sudorifica. S'insegna il modo di tenere sospesi su pilastrini di mattoni i pavimenti, secondo l'invenzione di Sergio Orata, e quello di regolare l'afflusso delle acque per riscaldarle. S'intende che non poteva mancare almeno un locale da servire come vestibolo-spogliatoio (apodyterium) e s'intende anche perché l'autore non ne parli, non essendo necessario per esso prescrivere alcunché di speciale.
Le cosiddette Terme Centrali di Pompei sono uno degli esempî più chiari di attuazione dei precetti vitruviani (v. pianta). L'apoditerio, ìl tepidario, il calidario sono accostati tra loro per i lati lunghi; al calidario è annesso il piccolo ambiente molto riscaldato del laconico; il frigidario è all'aperto, ma anche l'apoditerio ha un bacino per il bagno freddo, forse per il caso di cattivo tempo.
Ma la Roma imperiale creò e moltiplicò un nuovo tipo di terme pubbliche, che sul suo esempio tutte le grandi città dell'Impero procurarono di avere; terme oltre ogni dire ricche e sontuose, nelle quali le parti destinate alla magnificenza e al lusso, al gradevole trattenimento, agli spettacoli, alle audizioni, alle esposizioni di opere d'arte finirono col soverchiare di gran lunga le parti corrispondenti agli originarî scopi balneari. Il primo esempio di tali grandiosi edifici pubblici è dato dalle già ricordate Terme di Agrippa.
Non abbiamo di esse che incompleti e non chiari cenni descrittivi in Cassio Dione (53, 27; 54, 29) e scarsi aiuti ci dànno i resti monumentali, sia perché furono profondamente danneggiate da gravi incendî sotto Tito e sotto Traiano, e restaurate da Domiziano, in modo radicale da Adriano, da Settimio Severo, da Costanzo (Mart., III, 20; III, 36; Spart., Vita Hadriani, 19; Corpus Inscr. Lat., VI, 1165), sia perché distrutte per gran parte dall'opera attivissima dei calcararii, e dalle fitte abitazioni della regione durante il Medioevo e il Rinascimento. I resti ancora esistenti delle terme sono quelli della grande sala quadrangolare, tangente alla circonferenza del Pantheon nella parte opposta all'ingresso; avanzi di grosse muraglie in laterizio nei sotterranei del palazzo dell'Accademia dei nobili ecclesiastici, e la costruzione rotonda a cupola conservatasi per intero sino al sec. XVII e ora ridotta a un tratto semicircolare di grande muro, noto sotto il nome di Arco della Ciambella. Nel complesso si può dire che la pianta di queste terme era notevolmente diversa da quella divenuta per così dire canonica, dopo le grandi costruzioni termali di Traiano, di Caracalla, di Diocleziano. Pare che avessero forma allungata secondo l'asse nord-sud; ai lati potevano essere giardini e in essi lo Stagnum Agrippae, a formare il quale, come pure a fornire tutta la dotazione d'acqua delle terme aveva contribuito l'Aqua Virgo nuovamente da Agrippa condotta in Roma. Il piano più attendibile è quello rilevato da Baldassarre Peruzzi, conservato nella Galleria degli Uffizî (cfr. Geymüller, Documents inédits sur les Thermes d'Agrippa, Losanna 1883). Il superbo edificio, adornato di magnifiche opere d'arte, fu da Agrippa lasciato in eredità al popolo romano; e si provvide alla manutenzione e all'esercizio di esso con l'assegnazione della proprietà di taluni fondi (Cass. Dio., 54, 29).
Presso le Terme di Agrippa sorse poco dopo un altro grandioso edificio termale per opera di Nerone. Della magnificenza di esso si fanno dagli scrittori le più ampie lodi, e si dice, che in esso fu per la prima volta più sapientemente fuso il tipo architettonico del ginnasio greco con quello delle terme romane. In che cosa precisamente questa fusione sia consistita, non sappiamo per la quasi completa distruzione dell'edificio. Ad ogni modo si può dire che esse, di pianta quasi quadrata, si avvicinavano più delle agrippiane al tipo che poi restò dominante da Traiano a Costantino.
La soddisfazione viva con cui la cittadinanza romana aveva accolto il dono delle Terme neroniane (molti anni dopo la morte di Nerone si diceva: quid peius Nerone? thermis quid melius Neronianis?) indusse Tito a costruire un pubblico edificio termale in un'area dell'intermessa costruzione della Domus Aurea neroniana. Fu prescelto il pendio meridionale delle Carine in prossimità dell'altro grande edificio donato dai Flavî a Roma: l'anfiteatro. E poco dopo, esistendo ancora dello spazio libero di proprietà imperiale per la mostruosa incetta di aree fatta da Nerone per il suo palazzo, Traiano sulle pendici dell'Oppio costruì un altro grandioso edificio termale. Il problema d'identificare i resti delle Terme di Tito e di quelle di Traiano, confuse talora dagli stessi scrittori antichi, è stato uno dei più ardui dell'indagine topografica di Roma antica. Ma gli studî fatti dal Lanciani di disegni di Andrea Palladio nella collezione del duca di Devonshire, e i resti di costruzioni dell'età dei Flavî apparsi quando, per dare più ampia zona di spazio libero intorno al Colosseo, furono asportate delle terre dal pendio delle Carine, permisero di riconoscere e mettere a posto i due edifici. E per le Terme di Traiano si ha la ventura di possedere, oltre la pianta del Palladio, anche una pianta misurata di un anonimo architetto francese che vide l'edificio alquanti anni prima del Palladio, e lo trovò in molte parti meglio conservato (cfr. R. Paribeni, Optimus Princeps, II, Messina 1927, pp. 45, 59). Nel piano di queste Terme traianee troviamo alcuni nuovi elementi che vediamo poi seguiti nei due maggiori e meglio conservati esemplari di simili edifici: le Terme antoniniane e le diocleziane. Anzitutto l'orientazione non teneva conto di quella dei precedenti edifici su quel versante del colle Oppio, ma deviava di 68 gradi dall'asse di quegli edifici. Tale spostamento non fu solo richiesto dal desiderio di permettere il maggiore sviluppo delle costruzioni nell'area prescelta, ma anche da quello di dare al calidarium e al laconicum, alle parti cioè più necessarie ed essenziali del bagno degli antichi, l'esposizione a sud-ovest, quella cioè più lungamente battuta dai raggi del sole. E tale innovazione apparve così giusta e razionale, che tutte le altre grandi terme posteriori furono orientate in tal modo. La pianta generale dell'edificio, semplice e magnifica ad un tempo, sapiente per distribuzione dei locali, per rispondenza delle parti, per economia e decoro di sistemazione, terminante nella parte opposta all'ingresso principale con una grande area libera e con un'abside semicircolare a guisa di teatro, fu nelle sue linee generali riprodotta dagli altri grandi edifici termali. E finalmente in queste Terme traianee fu tratto partito delle sottostanti costruzioni della Domus Aurea neroniana per farvi sparire gli apparati per i riscaldamenti e tutti gli altri servizî, sì che tutte le sale del piano terreno fossero egualmente nobili e decorose, e in ognuna di esse potesse liberamente aggirarsi la folla dei frequentatori, senza dover incontrare luoghi sordidi o porte chiuse o riservate a umili servigi. E tale espediente fu seguito nella costruzione degli edifici posteriori, e meglio che altrove si può osservare nel grandioso e complesso sistema dei sotterranei delle Terme di Caracalla.
Non mancarono costruzioni termali nella copia grande di edifici che l'imperatore architetto Adriano si dilettò dí costruire nella sfarzosa villa di Tivoli, e non possono essere trascurate in questa breve esposizione, perché in esse come in altri edifici non mancò il deliberato proposito dell'imperatore artista e dei suoi coadiutori di porsi nuovi problemi, di tentare nuove soluzioni, nuovi espedienti costruttivi e nuovi schemi formali. In quei gruppi monumentali che pare fossero destinati a bagni (Terme grandi, Terme piccole, Terme tra la Biblioteca e il Pecile) abbiamo sale a pianta quadrata, rettangolare, cruciforme, rotonda, ellittica, poligonale a lati rettilinei e curvilinei, coperti generalmente con volte delle più svariate forme: botti semplici, botti lunettate, crociere, cupole, callotte di forme diverse, con singolari e nuovi raccordi, con speroni esterni, con impostazioni di crociere su sostegni pensili, ecc. (cfr. T. Rivoira, Architettura romana, Milano 1921, p. 166 segg.).
Le terme tra la Biblioteca e il Pecile della Villa Adriana ci porgono un chiaro esempio di un altro elemento del bagno romano, il cosiddetto heliocaminus. Ricordano l'heliocaminus un passo di una lettera di Plinio il Giovane (II, 17) che lo elenca come uno degli elementi del reparto bagni nella sua villa laurentina, un'iscrizione di Smirne (Corp. Inscr. Graec., 3148) un frammento di Ulpiano che vieta di piantare alberi davanti all'heliocaminus del vicino (Dig., VIII, 2: De servitutibus praedior. urban., 17). Qualche aiuto a capire di che si tratta non ce lo fornisce che l'etimologia: heliocaminus "stufa solare". Ora in quell'edificio termale della Villa Adriana esiste un'aula a pianta circolare, coperta da cupola, aperta verso sud-ovest, con cinque grandiose porte. Lo spazio è tutto occupato da un grande vascone circolare, a fondo perfettamente orizzontale e senza alcuna canalizzazione per immissione ed emissione di liquidi. Sotto il vascone si aprono le bocche di tre grandi praefurnia, sicché l'aula era molto riscaldata e largamente aperta al sole meridiano ed occiduo.
Evidentemente il calore solare entrava anch'esso, insieme col riscaldamento del fuoco, quale elemento benefico e salutare nell'azione balneoterapica che si svolgeva in quell'aula. E nel fondo del vascone privo di scoli poteva esser sabbia, la cui efficacia terapeutica in collegamento con l'esposizione ai raggi solari era dagli antichi medici ammessa e riconosciuta (cfr. R. Paribeni, in Not. Scavi, 1922, p. 234).
Ma, entrati i grandiosi edifici termali a prendere una parte sempre maggiore nell'uso e nei bisogni della vita romana, divenuti il luogo preferito di riunione, di passeggio, d'incontro, intesa la loro costruzione come uno dei mezzi migliori, per gl'imperatori, di raggiungere popolarità e di ottemperare a quella specie di obbligo morale di dare sempre maggiore splendore all'eterna città, per essi principalmente l'architettura romana fu sospinta a nuove conquiste, superbe nell'effetto, durevoli e feraci nel successivo sviluppo delle forme architettoniche più che ogni altra costruzione di qualsiasi tempo e di qualunque arte. Le superstiti mirabili rovine delle Terme di Caracalla e delle Terme di Diocleziano costituiscono la fonte e la scaturigine prima di tutta l'architettura del mondo civile dal Rinascimento a noi, e il riapparire di queste forme per opera dei nostri grandi architetti del Quattrocento e del Cinquecento segna la fine e il seppellimento di schemi costruttivi, specialmente d'origine transalpina, che erano pur giunti ad insigne altezza.
Le Terme di Caracalla erette presso l'Appia, poco fuori la Porta Capena, dal figlio di Settimio Severo, occupano un'area quadrata di trecentocinquanta metri di lato, e consistono di un recinto con portici, sale di vario uso, due esedre semicircolari, gradinate di uno stadio e di un vasto edificio centrale lungo 216 metri, largo 112, con tre immense aule nel centro che segnano ancora (per memoria) il triplice elemento delle terme vitruviane, e altre nobili sale simmetricamente disposte rispetto agli assi dell'edificio. Lo spazio tra il recinto e l'edificio centrale doveva essere a giardino. (V. Tavola CLXXVIII).
Sapienza costruttiva specialmente nel calcolo delle poderose vòlte e delle relative spinte e controspinte, chiarezza e lucidità di piano, gigantesca grandiosità di proporzioni, ricchezza di ornamentazione dovevano aver fatto di questo edificio uno dei prodigi dell'architettura degli antichi, cui solo si può avvicinare alcuna delle maggiori chiese romane dei secoli XVI e XVII.
In così enormi e fastosi edifici è vano andar a cercare come e dove potevano svolgersi i bagni. Probabilmente questi erano divenuti la parte secondaria e meno ricercata; non si comprende troppo come fosse possibile praticarli; il portare a temperature di cinquanta gradi, quanti sono necessarî per provocare copiosi sudori, aule di 35 metri di diametro e di altrettanti circa d'altezza appare una disperata impresa, e tuttavia non si trovano avanzi di una casa romana anche modesta che non abbia le sue camere da bagno, senza dire delle centinaia di bagni d'affitto che i testi ricordano come esistenti nella città.
Le Terme di Diocleziano, erette tra il 298 e il 306 d. C. sul Viminale, coprono un'area alquanto più vasta di quella delle Antoniniane, alle quali si avvicinano molto per pianta generale e per arditezza di costruzione. Persino Costantino, il dispregiatore di Roma, volle donare alla città che abbandonava un edificio termale, e lo costruì, più piccolo e disadorno dei due precedenti, sul colle Quirinale, dove scarsi avanzi ne restano sotto i palazzi della Consulta e Rospigliosi-Pallavicini.
Come Roma ogni città dell'Impero ebbe edifici termali; ricorderemo come un esemplare dei più splendidi per ampiezza, nobiltà di linee, ricchezza di ornamenti architettonici e di corredo statuario, nonché per eccellenza di conservazione, le terme di Leptis Magna (Tav. CLXXIX). (P. Romanelli, Leptis Magna, p. 118; R. Bartoccini, Le Terme di Leptis, Bergamo 1929).
Resterebbe a dire qualcosa dei bagni in acque medicamentose.
Furono usati largamente e fin da epoca remotissima, e i loro poteri curativi furono attribuiti al favore di divinità, alle quali si offrirono doni votivi. Per la presenza di questi, anzi, è a noi lecito asserire che l'uso di questa o quell'acqua risale a tempi antichi. Offerte votive risalenti all'età del bronzo furon trovate presso pozzi o sorgenti a Latronico e a Bertinoro (U. Rellini, La caverna di Latronico e il culto alle acque salutari nell'età del bronzo, in Mon. Lincei, XXIV, col. 461; A. Santarelli, in Notizie Scavi, 1902, p. 541; L.M. Ugolini, La Panighina, in Mon. Lincei, XXIX, col. 493; L. Pigorini, in Bull. Paletn. It., XXXIV, p. 179), e per le età posteriori ve ne sono numerose testimonianze confortate anche da iscrizioni. L'efficacia medica dell'acqua poteva sperimentarsi sia bevendola, sia bagnandovisi. È più probabile che la cura fosse fatta col bagno in quelle fonti donde scaturiscono acque ad elevate temperature, p. es. ad Abano (A. Pellegrini, La stipe votiva di S. Pietro Montagnon, Parma 1913), a Vicarello (G. Marchi, La stipe tributata alle divinità delle acque apollinari, Roma 1852), ecc.
Bibl.: Fonte ancora preziosa di notizie è la vecchia opera di A. Bacci, De Thermis, ed. in folio, Venezia 1588, Roma 1622; altra ediz. Padova 1711; G. Finsler, Homer, 2ª ed., Lipsia 1914, p. 131 seg.; W. A. Becker-Göll, Charikles, 3ª ed., III, p. 98; C. F. Hermann-H. Blümner, Griechische Privatalter., 3ª ed., Friburgo-Tubinga 1882; A. Mau, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 2743 segg.; W. A. Becker, Gallus, 4ª ed., III, p. 104; H. Blümner, Die römisch. Privataltert., Monaco 1911, p. 420 segg.; J. Durm, Die Baukunst d. Römer, Stoccarda 1905; R. Paribeni, Le Terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano, Roma 1928.
Il Medioevo. - Con la caduta dell'Impero romano le antiche terme vennero disertate, per un complesso di ragioni. Già la Chiesa, la quale avversava tutto ciò che avesse ancora sapore di paganesimo, vedeva di malocchio che i fedeli frequentassero pubbliche terme, ove, anche se non vi fosse stata promiscuità di sessi, restava pur tuttavia molto che ricordava l'antica libertà dei costumi. Le correnti ascetiche, le quali cominciarono ad esercitare un influsso sempre più forte a partire dal sec. IV, posero in cattiva luce l'usanza di prendere bagni per solo piacere e in genere tutto ciò che fosse cura esclusiva del corpo. Si ammetteva tuttavia ancora il bagno di semplice pulizia. Ma il profondo cambiamento nelle condizioni di vita, conseguenza delle invasioni barbariche, insieme col generale impoverimento delle popolazioni e col rovinare degli acquedotti, condussero all'abbandono e al disfacimento degli edifici termali. Nell'alto Medioevo, se non si perdette del tutto la consuetudine del bagnarsi - e quindi se si costruirono luoghi adatti a tale scopo - ciò avvenne solo limitatamente alle classi più elevate. Dal bagno pubblico si ritorna così a quello privato (che ora è di corte); si noti però che in Aquisgrana Carlo Magno costruì pubblici bagni capaci di oltre cento persone. Del resto, sembra che bagni esistessero alla corte franca fin dall'epoca merovingica.
Col risorgere della vita cittadina, a partire dal sec. XI, si costruirono edifici balneari nelle città tedesche (Ulma, Spira, Worms) nelle Fiandre, in Catalogna (Barcellona, Lerida) e a Parigi; in Italia si restaurarono o si rinnovarono parecchie costruzioni presso sorgenti termali già sfruttate in antico (Lucca, Viterbo, Acqui, ecc.). Ad Acqui sin dal sec. XV si ha notizia di una "fabbrica di fanghi" che allora fu riedificata dal Municipio. Nei bagni medievali esisteva un reparto speciale per i lebbrosi, veri o sospetti. A diffondere l'uso dei bagni in Occidente contribuì senza dubbio, effetto delle Crociate, la ripresa di rapporti intensi e regolari con l'Oriente. Ché qui all'opposto di quanto avvenne nella parte occidentale dell'antico Impero romano, la tradizione termale non si spense, anzi fu mantenuta viva dalla munificenza di alcuni almeno tra gl'imperatori bizantini (ricordiamo Giustiniano). Bagni pubblici continuarono ad esistere a Costantinopoli, senza interruzione, fino alla conquista della città da parte dei Turchi, i quali a loro volta li resero anche più grandiosi e più splendidi.
Presso i popoli dell'Islām infatti il bagno rientra tra le pratiche religiose; il musulmano, oltre l'obbligo di mantenere il corpo pulito, ha quello delle abluzioni rituali (v. abluzione) prima di ogni preghiera. Da ciò l'impianto di numerosi luoghi pubblici per lavarsi, sia attigui o uniti alle moschee, sia distribuiti nei varî quartieri delle città. Dato però anche che il musulmano rifugge in genere dal bagnare l'intero corpo, questi impianti si riducono spesso a piccole fontane o canali incavati nel pavimento. Resti di acquedotti, terme romane o bizantine sono stati spesso utilizzati dai musulmani per i proprî bagni. E nel mondo arabo, dal Marocco alla Persia, i bagni rimasero in onore per tutto il Medioevo; ne rendono testimonianza gli edifici superstiti, in Spagna (Siviglia, Palma), in Siria (Damasco) e in Egitto (Cairo).
Il bagno turco. - Gli Arabi e i Turchi conservarono il sistema romano di riscaldamento e del bagno d'aria calda con doccia, ma hanno solo eccezionalmente usato il bagno completo. Ginnastica e sport come completamento del bagno erano sostituiti dal massaggio. Oggi ancora sono numerosi i bagni turchi: un bell'esempio di bagno nelle moschee offre la moschea di Aḥmed I, dove nel ḥaram (la corte anteriore) si trova una serie di vasche per immersione. Degli edifici con fontana, impiantati da benefattori nei varî quartieri, ricco esempio è quello che Aḥmed III fece costruire verso il 1730 presso Santa Sofia..
Edifici speciali per bagni arabi o turchi (ḥammām) erano numerosissimi nell'Oriente musulmano. Sappiamo infatti che nel 1885 in Costantinopoli si contavano circa 170 bagni pubblici. Notizie riferentisi all'anno 1640 ci dicono che i bagni pubblici, fra grandi e piccoli, in Stambul erano circa 300, i bagni privati oltre 4500. In Brussa, nello stesso periodo, vi erano oltre 3000 bagni privati, in Scutari oltre 800; fra i più importanti bagni pubblici sono il Maḥmūd Pāshā Ḥammām a Costantinopoli, e il Ghalaṭā Serāi Ḥammām a Galata.
Il bagno pubblico è un'istituzione fatta come forma di beneficenza da benefattori o regnanti; i sessi vi sono sempre divisi, e a questo scopo o l'edificio comporta due parti e impianti distinti (come p. es. quello di Maometto II a Costantinopoli, l'altro di Mustafà Pāshā, a Gebse, ecc.) oppure l'uso del bagno è consentito all'uno od all'altro sesso in giorni diversi; qualche volta si destina il giorno alle donne e la sera agli uomini. I migliori bagni sono arredati con grande lusso, specialmente quelli per donne, e persino completamente ricoperti di marmi. La pulizia e l'igiene, però, secondo le idee europee, sono molto deficienti: si potrà rilevare anche dalla descrizione particolareggiata di un tipo di ḥammām.
L'edificio, schematicamente, consta di una parte destinata allo svestirsi e al riposo e di un'altra per il bagno. Dalla strada, o meglio da una corte si entra in un vestibolo o in un corridoio, che immette in un grande ambiente coperto a cupola ed illuminato dall'alto. In questa sala si sveste il pubblico - quello povero nel centro, e gli altri in locali appartati, siti in giro alla grande sala (in arabo dīwān; in turco soffà). Nel centro si trova una fontana; all'intorno sono tese delle corde sulle quali gl'inservienti gettano abilmente la biancheria da bagno che riprendono per mezzo di lunghi bastoni. Lì vicino è la cassa e il posto del padrone o sorvegliante: non manca neppure un focolare per il caffè. Da questa prima grande sala, che non è riscaldata, si passa al bagno attraverso un altro ambiente più piccolo, il tepidarium dei Romani (che qualche volta ha ancora piccoli ambienti per svestirsi, l'accesso alle latrine, ecc.). La sala del bagno è coperta con una cupola più bassa, con pareti e pavimento fortemente riscaldati da condotte di fumo e vapore. Qualche volta al centro della sala vi è anche un getto d'acqua caldissima, e la temperatura vi arriva a circa 50° centigradi. Il centro è occupato da un bacino contornato da scalinata; le pareti si adornano di nicchie e fontanelle. Da questa sala per il bagno sudatorio si può accedere ad altre celle dove la temperatura è ancora più elevata. Esse sono di due tipi: con sola fontanella ad acqua calda e fredda o con vasca. Altri locali, che qualche volta mancano, sono destinati al massaggio e all'insaponatura. Il bagno turco si svolge così: prima si compie il bagno sudatorio nella sala calda (Bait al-ḥarārah), e quindi l'inserviente fa il massaggio, seguito da una spruzzatura di acqua calda o fredda, che il bagnante compie a una delle fontanelle sgorganti dalle nicchie intorno alla sala. Dopo si opera un'insaponatura e un lavaggio con acqua tiepida. Il bagnante allora, avvolto in biancheria calda, va a sedersi nella prima sala non riscaldata, e là si trattiene fumando e bevendo il caffè. L'intero bagno dura da un paio d'ore a tre, e costituisce per il musulmano uno dei passatempi preferiti.
Il bagno russo consiste in un bagno molto caldo, di vapore, seguito da un bagno freddo per immersione o doccia, e da un massaggio e un periodo di riposo. Storicamente esso va posto in relazione col bagno bizantino-turco.
Il Rinascimento. - L'aumentato benessere delle popolazioni occidentali e l'ingentilirsi dei costumi, specialmente nelle corti dei signori e dei principi, produsse tanto in Italia, quanto in Francia, in Germania, nelle Fiandre e in Inghilterra, una nuova attività costruttiva nei riguardi del bagno, e gli architetti non disdegnarono di trattare questa forma con concetti d'arte, né i pittori e gli stuccatori di decorarla. Riproduciamo (v. tav. CLXXX) il bagno di papa Clemente VII in Castel S. Angelo, che può dare un'idea della raffinatezza della decorazione usata per siffatte stanze. Basti citare poi altri due esempî famosi: il bagno nel palazzo del Tè a Mantova (di Giulio Romano), e quello della casa Fugger ad Augusta (decorata da A. Pontano), l'uno della prima e l'altro della seconda metà del sec. XVI. Come si vede però qui si tratta di bagni signorili sia pur vasti di dimensioni. L.B. Alberti (De re aedificatoria, VIII, 10) distingue i bagni privati da quelli pubblici, e, a proposito di questi ultimi, si scaglia contro coloro che li consideravano nocivi alla forza fisica. Va segnalata, comunque, la grande portata che anche in tal campo ebbe il Rinascimento italiano: in Inghilterra durante il Seicento, si usava ancora il vocabolo italiano "bagno".
Età moderna. - Oggi, presso tutti i popoli di civiltà elevata, qualche volta incontriamo impianti per bagni di tipo turco o arabo od anche russo; ma in genere il tipo di bagno più in uso è quello semplice d'immersione in acqua comune, più o meno riscaldata. A tale scopo, secondo le diverse esigenze dei popoli e degl'individui, si costruiscono edifici per bagni pubblici e privati.
a) Bagni pubblici all'aperto.- Questo genere di bagni ha preso grande sviluppo, e durante la buona stagione il pubblico affluisce numeroso alla riva del mare, dei fiumi e dei laghi. Nei punti più indicati si erigono stabilimenti per bagni che consistono essenzialmente in una serie numerosa di piccoli ambienti, dove il pubblico trova la possibilità di spogliarsi e rivestirsi. Ragioni di morale spesso consigliano di dividere lo stabilimento in due zone, una per uomini e l'altra per donne. Tali costruzioni per bagni all'aperto sono stabili o temporanee. In genere le più lussuose sono stabili, mentre quelle provvisorie sono di carattere popolare. In ogni caso l'elemento sostanziale dello stabilimento balneare sono i camerini o cabine, dove ci si possa spogliare e indossare un costume da bagno. Dai camerini si deve poter facilmente accedere all'acqua. Qualche volta, invece che sulla riva, i camerini sono costruiti sopra l'acqua, sostenuti da palizzate. Allora si scende in acqua per mezzo di scalette; ciò è pratico specialmente su spiagge o rive sassose o pietrose per evitar di attraversare, a piedi nudi o con scarpe leggiere da bagno, un terreno scabroso. La maggior parte degli stabilimenti per bagni di mare in Italia sono costruiti in legname e durante l'inverno vengono smontati. Sono quasi sempre impiantati su palafitte sull'acqua, hanno un luogo centrale, specie di ripiano con balaustra di protezione, detto anche piattaforma o rotonda, per dimorarvi, con caffè, biglietteria, ecc. A destra e a sinistra di questo nucleo centrale si dipartono due bracci composti di camerini l'uno affiancato all'altro, disimpegnati da un lungo ballatoio verso terra e con scalette e finestrino dal lato del mare. Le dimensioni planimetriche di un camerino sono di circa metri 1,50 × 2,00; ciascuno ha una o due sedie, un tavolinetto, specchio, attaccapanni, ecc., secondo la ricchezza dell'impianto. Qualche volta alla costruzione lignea, sopra l'acqua, corrisponde dentro terra un fabbricato con ristorante, sale da ballo, baghi caldi, albergo, ecc. Questo fabbricato assume talvolta proporzioni grandiose, e aspetto assolutamente sfarzoso. Alberghi, grandi sale da concerto, locali da feste, da giuoco, da ballo sono organizzati e riuniti con gli stabilimenti da bagno. Sulle spiagge del Mar del Nord sono molto in uso i caratteristici carri da bagno e le sedie a cuffia, rimedî tutti contro il vento assai spesso troppo freddo. I carri sono vere cabine mobili, rese necessarie dalla violenza di quel mare.
Qualche volta si fanno anche degli edifici per bagni, che racchiudono in sé stessi un piccolo specchio d'acqua naturale. Così si prende il bagno in questo bacino scoperto mentre tutt'intorno sono posti i camerini e i servizî. Bagni siffatti oltre che impiantati su palafitte, posmno essere galleggianti, cioè installati su zatteroni o pontoni: ma questo quasi sempre su fiumi o laghi.
b) Bagni pubblici artificiali. - Un edificio per bagni artificiali può essere a camerini o a piscina; o riunire in sé le caratteristiche dell'uno e dell'altro tipo. Per poter esercitare il nuoto anche nella stagione più fredda, si costruiscono infatti grandi edifici racchiudenti una piscina, camerini e accessori, ecc. Tale edificio dev'essere oculatamente organizzato, per salvaguardare tanto la moralità, quanto l'igiene. Si comprende che l'acqua d'una piscina per numerose persone non può essere ricambiata che lentamente e che in ogni caso molte persone si bagnano contemporaneamente nella stessa zona d'acqua. Perciò è necessario che i bagnanti s'immergano ben puliti nella grande piscina: a tal fine è necessario un bagno preliminare che conviene sia a doccia. Lo schema generale di un edificio con bacino per nuoto consiste in un piccolo gruppo di ambienti (ingresso, biglietteria, depositi, distribuzione di biancheria, ecc.); da questi si passa ai camerini, e quindi alle docce. Il bacino, in un bagno pubblico, raggiunge le dimensioni di m. 20 ÷ 35 per m. 8 ÷ 15; dimensioni che vanno fissate in base alla popolazione e alla presumibile affluenza, calcolando una superficie di specchio d'acqua netta di mq. 2,5 ÷ 3 per bagnante. Il periodo di tempo durante il quale simile edificio può essere aperto è di circa 10 ore giornaliere: per ogni bagnante, tempo di spogliarsi e di vestirsi compreso, si può calcolare una permanenza di circa un'ora.
Il bacino, in generale di superficie rettangolare, deve constare di due parti principali, di cui una (circa il 30% dell'intera superficie) di profondità variabile da m. 0,60 fino ad un massimo di m. 1,40; e l'altra, di superficie maggiore, variabile in profondità, da m. 2 a circa 4, massimo che si fa in genere sotto la parte destinata ai tuffi. Vicino alla sala da bagno non deve mancare un locale di pronto soccorso. L'edificio sarà, di regola, composto di due piani: la sala del bacino potrà godere tutta l'altezza dell'edificio. Nell'esempio che diamo, di uno stabilimento costruito nel 1914, al piano terreno si aprono 3 bacini, di cui uno per donne, e al piano superiore sono impiantati numerosi ambienti con vasca, per bagni individuali. Vi si trova inoltre un completo impianto di bagno romano e irlandese con stanze provviste di acqua calda, vapore, ecc., e due locali per bagni di luce.
I locali per riscaldamento e pompe si pongono o nel seminterrato o nel piano terreno: il miglior metodo per riscaldare l'acqua del bacino è quello di caldaie, dalle quali l'acqua sia continuamente immessa nel bacino, con un ininterrotto ricambio. Oggi però si tende in generale a non riadoperare l'acqua già scaricata dal bacino, e il sistema della disinfezione a base di cloro è d'uso sempre più raro. Anche il sistema di riscaldare l'acqua per mezzo d'immissione diretta di vapore non risponde allo scopo, come neppure l'altro di mescolare acqua molto calda con acqua fredda. La temperatura dell'acqua del bacino da nuoto dev'essere, nel periodo invernale, da 22° a 25°; per il bagno in vasca è necessaria una temperatura da 30° a 40° all'incirca.
Oltre il tipo d'edificio ora descritto e che spesso ha carattere decisamente lussuoso, si costruiscono dei veri e proprî stabilimenti di bagni pubblici di carattere popolare. Essi constano di numerose camerette per bagno in vasca oppure a doccia. In genere il tipo più economico e quindi più popolare è quello a doccia. Negli esempî più grandiosi vi sono qualche volta anche delle piscine natatorie e allora si ritorna al tipo già descritto.
Impianti importanti di bagni, quasi sempre a doccia, al fine di evitare per quanto possibile i contagi, si trovano sempre nelle caserme, nei collegi, negli stabilimenti industriali, ecc.
Stabilimenti balneari, per lo più di lusso, sono costruiti nei luoghi dove sgorgano sorgenti minerali. L'acqua sorgiva, già calda per natura o riscaldata artificialmente, è distribuita nelle varie decine di camere da bagno individuali, a vasca o a doccia, contenute nell'edificio. Così a Baden-Baden, Vichy, Abano, Tivoli, Viterbo, ecc.
I bagni privati possono essere di tutti i tipi, anche a bacino coperto, ma questi, molto costosi, sono solo alla portata dei ricchissimi: spesso invece nelle ville si ha un bacino per bagno all'aria aperta unito alla possibilità di bagno di sole.
Bagno privato. - Oggi non manca più, neppure nella casa di condizione modesta, e si tenta d'introdurre anche nell'appartamentino popolare, la stanza da bagno. Elemento essenziale di questa è, nella maggior parte dei casi, la vasca per una persona, la doccia nel tipo popolarissimo, e, modernamente, tutti e due i sistemi riuniti (v. doccia).
Dall'ampio bacino scavato nel terreno e più basso del livello del pavimento, usato dagli antichi, alla vasca di porcellana (fireclay), tutti i più varî tipi di vasca furono esperimentati e adottati, seguendo l'evoluzione della tecnica industriale e dell'economia edilizia. In origine le pietre calcari, e soprattutto il marmo, erano il materiale migliore per la fabbricazione di vasche di limitate dimensioni; furono quindi esperimentati legno, ferro, zinco, conglomerati di cemento, ghisa, porcellana, ecc., allo scopo d'ottenere vasche di dimensioni limitate, non troppo pesanti, e rispondenti inoltre agli altri requisiti di: impermeabilità, resistenza alla spinta, alla pressione, alle variazioni di temperatura e alla dispersione del calore, facilità di pulizia, solidità ed economia.
Le vasche in marmo di Carrara sono buone benché molto fredde, ma oggidì raramente usate per il prezzo elevato e la loro pesantezza. I tipi che ormai sono di uso corrente sono quelli di ghisa porcellanata, e gli altri di vera porcellana o fireclay. Anche la ghisa smaltata, che un tempo era facilmente deteriorabile perché lo smalto saltava via al minimo urto, è oggi largamente usata. Ma le vasche di porcellana, benché di prezzo più elevato, presentano il vantaggio della maggior resistenza alla dispersione del calore. La vasca appoggia sul pavimento per mezzo di quattro piedi. Il pavimento della camera da bagno è bene sia impermeabilizzato per mezzo di asfalto, ruberoide o d'altro sistema, specialmente quando sotto vi siano altri ambienti, e ciò affinché non si deteriori a causa dell'umidità che trasuda il soffitto sottostante.
L'acqua, oggi, si fa sboccare nel bagno per mezzo di rubinetti di metallo nichelato posti o nel mezzo del lato lungo a muro della vasca, oppure riuniti in una batteria a un'estremità di essa senza bisogno di appoggiarli al muro; in tal caso anche il comando dello scarico può essere unito ai rubinetti: nei tipi economici il foro di scarico è chiuso da un tappo con catenella. Ê necessario che la vasca abbia sempre uno sfioratore, perché l'acqua, in caso d'eccessivo riempimento, non si riversi nella stanza. Sopra la vasca si può anche mettere un braccio da doccia, comandato dagli stessi rubinetti.
Per riscaldare l'acqua del bagno si usa per lo più un apparecchio detto scaldabagno, che può essere di varî tipi, secondo il mezzo di riscaldamento: cioè a spirito, a gas, a elettricità, a carbone. Però nelle grandi case (ospedali, alberghi, collegi, ecc.), l'acqua per i bagni viene riscaldata in appositi grandi impianti da cui si dirama a tutti quei punti ove occorra.
Nei buoni impianti l'acqua calda circola anche in appositi tubi portaasciugamani. L'ambiente non deve avere una superficie inferiore a metri 1,50 × 3 circa; meglio se di m. 1,80 × 2,50. Poiché in una stanza da bagno comune oggidì si collocano anche altri apparecchi, è bene che l'altezza sia superiore a m. 2,50 e che la camera sia sempre aereata direttamente. Le pareti e il soffitto debbono essere protetti contro il vapore acqueo; la migliore soluzione costruttiva si ottiene ricoprendo pavimento e pareti di lastre di marmo almeno fino ad una certa altezza. Le lampade elettriche è bene siano chiuse in una campana di vetro. Si deve studiare con cura l'impianto elettrico eliminando ogni possibilità di contatti e circuiti, tanto più pericolosi in quanto il corpo si trova immerso nell'acqua, buona conduttrice dell'elettricità.
L'estremo Oriente. - Il bagno presso il popolo giapponese è un bisogno giornaliero e forse in nessun altro paese è d'uso così comune. Anche la parte più povera della popolazione va a lavarsi senza che nessun obbligo religioso ve la spinga, come invece è presso i musulmani. A Tokio si contano circa un migliaio d'impianti per bagni pubblici, e qualche centinaio di migliaia di persone vi si reca ogni giorno. Anche i piccoli paesi hanno generalmente il loro stabilimento dei bagni. Il bagno vien preso in acqua riscaldata fino a 40°-45°, e si fa per immersione in vasche generalmente di legno. Le persone d'una stessa famiglia si bagnano tutte nella stessa acqua. Anche nei bagni pubblici varie persone entrano nello stesso bacino tutte insieme, e vi s'intrattengono conversando per circa un quarto d'ora.
Il bagno presso i Cinesi è più usato di quello che non s'immagini comunemente. Il genere di bagno è molto simile a quello turco, benché meno lussuoso e meno frequentato. Il Cinese è nemico del bagno freddo e del bagno completo: gl'impianti consistono in genere di grandi bacini o di vasche scavate nel terreno, nelle quali s'immette acqua calda. Il Cinese fa il bagno di sudore per il calore che il vapore acqueo comunica all'ambiente, poi si lava con frizioni e massaggi. Ambienti di riposo si trovano anche negli stabilimenti di bagni cinesi. Questi impianti sono abbastanza frequenti nelle città cinesi; si trovano anche vasche speciali per lavaggi parziali. Bagni termali sono a Tang-shan, come pure presso Fu-tsüan-sze.
Importante costruzione è il bagno imperiale a Lin-t'ung. Il bagno v'è alimentato da un'antica sorgente sulfurea con temperatura di più di 40°. V. anche idroterapia.
Bibl.: R. O. Allsor, The Turkish bath, Londra 1890; A. W. S. Cross, Public Baths and Wasshouses, Londra 1906; R. Schultze, Das deutsche Badewesen der Gegenwart, Lipsia 1918; F. Genzmer, Bade- und Schwimmanstalten, II, Handbuch der Architektur, IV, Lipsia 1921; P. W. Scharrao e J. Wils, Gebouwen en Terrein voor gymnastick en sport, Amsterdam 1925; K. Klinghardt, Türkische Bäder, Stoccarda 1927.