Bagno
Il termine, derivato dal latino balneum, indica in generale l'immersione in un liquido, e in particolare l'immersione del corpo in acqua a scopo igienico, terapeutico o rituale. Nelle culture dell'antichità e nelle culture tradizionali, il bagno ha significati salutistici, edonistici e catartici, prevalenti rispetto alle connotazioni igieniche che sono state maggiormente considerate a partire dal secolo scorso e che caratterizzano tuttora la nostra vita quotidiana. Con il prevalere della dimensione domestica dell'igiene personale, il termine bagno è passato a designare anche il locale dell'abitazione specificamente preposto alle pratiche igieniche e dotato di appositi servizi e attrezzature.
L'acqua, che da sempre scandisce le fasi esistenziali dell'uomo, prestando la propria immagine ai simbolismi della vita, del trascorrere del tempo, di una dimensione metafisica - religiosa e magica - speculare rispetto alla realtà percepibile, propone invariabilmente il tema del rinnovamento spirituale e della catarsi nelle pratiche di purificazione rituale connesse al suo impiego e nelle rappresentazioni letterarie e mitiche che hanno come elemento centrale l'immersione.I bagni in acqua di mare, praticati nel Messico precolombiano come nella Grecia arcaica nella celebrazione dei misteri eleusini, i lavacri parziali in piscine di acqua dolce alla base di alcune culture orientali ben più antiche dell'Islam, o infine l'immersione completa di cui testimonia il primitivo rito del battesimo, hanno generalmente mantenuto la propria connotazione simbolica, incorporando spesso nuovi significati. Una metafora allusiva - il 'battesimo di sangue' - segnalava presso le più antiche comunità di cristiani come il martirio dei catecumeni in attesa del battesimo dovesse ritenersi a tutti gli effetti equivalente al sacramento del battesimo; e ancora oggi la pratica cristiana associa il pianto di pentimento alla cancellazione della colpa e l'atto dell'aspersione con l'acqua benedetta a un rito augurale di protezione di persone e di cose.
Nei poemi omerici, le donne di Troia si immergono nello Scamandro per propiziare la fertilità; gli Achei si bagnano dopo la battaglia per cancellare le tracce fisiche del combattimento e l'orrore psichico della morte; nel Nuovo Testamento, Pilato si lava le mani al cospetto del popolo per sottolineare la sua estraneità alla decisione della condanna di un giusto.Tali pratiche non esaurivano certamente il rapporto degli antichi con l'acqua: presso le società del passato erano note e sfruttate le proprietà terapeutiche di alcune sorgenti; non di rado, inoltre, l'immersione rispondeva a principi salutistici e conosceva sfumature edonistiche. Omero riferisce una consuetudine di ospitalità, riservata dai greci al visitatore di riguardo, consistente nell'offerta di un bagno tiepido completato da unzioni e massaggi nell'intimità della casa.
E tuttavia, la metafora rituale da un lato, la mistica del benessere del corpo e dello spirito dall'altro, hanno generalmente trascurato, o considerato soltanto implicitamente, quella connotazione di utilità e di conforto prevalentemente legata alle esigenze dell'igiene personale, che dal secolo scorso reclama stabilmente un luogo di rappresentazione all'interno dello spazio domestico. In realtà, i percorsi di progressiva specializzazione e privatizzazione delle pratiche igieniche, ratificati nell'Ottocento dall'introduzione nelle abitazioni borghesi delle prime sale da bagno, non sono univoci: essi appartengono prevalentemente al mondo occidentale, e al suo interno presentano fasi alterne di abbandono e di ripresa.
Nel passato, gli spazi di questa particolare intimità erano riservati alle classi egemoni e venivano intesi come testimonianze di potere e distinzione sociale, piuttosto che come luoghi della vita privata: ciò probabilmente per ragioni di costume, ma certamente anche per motivi di ordine pratico. Era, infatti, quasi impossibile evitare di ricorrere all'aiuto di numerosi domestici per lo svolgimento di tutte le fasi connesse al complicato rituale dell'immersione: tanto quelle preliminari, che richiedevano una certa perizia nella miscela e nel travaso nel recipiente di acqua alla temperatura opportuna, che quella conclusiva, consistente nello svuotamento a mano, senz'altro la più laboriosa. A Cnosso, nel palazzo reale (circa 1700 a.C.), in un locale adiacente alla cisterna era ricavata una sala sontuosamente decorata, illuminata e arieggiata da uno spazio interno, un cavedio; la sala conteneva una vasca da bagno in ceramica dipinta, appartenente alla regina. Diversa collocazione avevano le latrine, servite da un impianto idraulico con condutture in terracotta per il rifornimento idrico, mentre canali in pietra servivano per lo smaltimento delle acque usate. Anche la locanda che sorgeva accanto al palazzo era munita di servizi igienici e disponeva persino di un lavapiedi, consistente in un bacino in pietra rettangolare poco profondo, incassato nel pavimento e provvisto di tubo di immissione, sfioratore e foro di scarico con tappo. Nella Grecia classica, i bagni pubblici erano generalmente annessi alla palestra: una rapida immersione o una doccia con acqua fredda erano considerate complemento degli esercizi svolti. L'acqua era versata da schiavi, oppure scendeva direttamente da bocche infisse in alto sulla parete.
In alcune importanti ville della Roma tardorepubblicana erano già presenti strutture termali e impianti igienici, alloggiati in ambienti espressamente destinati allo scopo. Condutture, generalmente di piombo, garantivano il rifornimento dell'acqua, comandato attraverso rubinetti in bronzo. Il cittadino comune era solito lavarsi ogni mattina nella propria casa, in cucina o in un modesto ambiente adiacente, la lavatrina, per poter usufruire di un unico scarico. Con l'espandersi dell'Impero e l'introduzione delle abitudini orientali, si iniziò la costruzione di locali pubblici e privati sempre più ampi e importanti, con la conseguente destinazione del locale latrina a più umili funzioni.
Nel 1° secolo d.C., la costruzione dei grandi acquedotti, facilitando l'approvvigionamento idrico, favorì lo sviluppo di numerose iniziative legate all'uso dell'acqua a fini sia ornamentali (fontane, vasche, ninfei) sia funzionali. Nella Roma imperiale, gli spazi pubblici si arricchirono di realizzazioni del primo tipo, promosse dalle ricche famiglie patrizie e donate alla cittadinanza intera. Ma i più imponenti monumenti del potere civile furono le terme, a cui gli imperatori, da Tito in poi, legarono il proprio nome.
La consuetudine quotidiana del bagno termale (v. terme), accessibile a un costo irrisorio, penetrò profondamente nel costume corrente. L'immersione, da pratica igienica, divenne a Roma, ma anche nelle estreme province dell'Impero, il fulcro o il pretesto per un'intensa vita sociale. Le terme pubbliche erano considerate un luogo d'incontro quotidiano, in cui trascorrere, tra bagni, esercizi ginnici e conversazioni, buona parte della giornata. L'iniziale separazione tra uomini e donne, realizzata attraverso la consuetudine di impianti o di orari distinti, scomparve gradualmente sino a essere abolita nel Tardo Impero. Se le dimore private più lussuose si dotarono di attrezzature termali spesso assai elaborate, persino le abitazioni più modeste ebbero non di rado la possibilità di usufruire di impianti 'di vicinato': a Ostia Antica sono ancora visibili le strutture adibite a tale scopo, direttamente accessibili da più insulae. Anche lo svolgimento delle funzioni più intime rappresentava un momento di socializzazione da poter compiere in comune senza scandalo: le latrine pubbliche di Ostia Antica, assai ben conservate, erano costituite da una serie di sedili in marmo affiancati e collegati attraverso scarichi a un unico collettore.Con la caduta dell'Impero e la decadenza delle opere preposte al rifornimento idrico della città, si abbandonarono anche gli impianti termali. Le comunità cristiane delle origini rinunciarono al culto del corpo in nome di un ideale di vita contemplativa che tendeva inizialmente a escludere anche alcune consuetudini igieniche legate, nell'immaginario collettivo, al costume pagano. Il rigore dei primi divieti smorzò nel tempo i propri toni, e nell'Alto Medioevo furono proprio i monasteri a includere norme sanitarie nelle regole della vita comunitaria. Nel 6° secolo, s. Benedetto considerava la pratica del bagno una concessione riservata al ristoro dei malati, e solo eccezionalmente dei giovani sani, mentre nel 7° secolo papa Gregorio Magno, proveniente da un'esperienza monastica, raccomandava un sobrio bagno domenicale.
Nei monasteri inglesi dell'11° secolo vennero introdotte alcune semplici norme di igiene personale, affidate alla cura e alla responsabilità dell'elemosiniere. Questi provvedeva al riscaldamento del locale per il bagno periodico dei monaci e alla dotazione dell'acqua, versata entro robuste tinozze di quercia o noce; il rituale igienico, che si svolgeva non più di quattro volte l'anno, era completato dalla tonsura ogni tre settimane e dal lavaggio dei piedi il sabato. Al frate incaricato del refettorio era invece demandata la manutenzione del lavatorium, un lavandino utilizzato prima e dopo ogni pasto e dimensionato per le esigenze contemporanee di tutti. Anche la distribuzione dei servizi igienici rispondeva a precisi requisiti di ordine funzionale: alle spalle del dormitorio, e a esso collegato tramite un ponticello, era generalmente situato l'edificio delle latrine, provvisto di numerosi sedili affiancati. I singoli posti, debitamente arieggiati e separati da paretine più per ragioni climatiche che per motivi di riservatezza, scaricavano direttamente in un corso d'acqua, a volte appositamente deviato allo scopo.
Nell'Europa del Primo Medioevo, martoriata dalle invasioni barbariche, l'igiene personale restava appannaggio delle classi egemoni, che mantenevano nelle loro dimore alcuni usi romani. Echi di tali consuetudini sono evidenti nelle strutture del palazzo imperiale di Aquisgrana, una delle sedi itineranti della corte di Carlo Magno, dove l'imperatore e i suoi dignitari usufruivano di impianti termali con una piscina alimentata da sorgenti di acque sulfuree, presenti in abbondanza nella zona.
Dopo l'anno Mille, l'Oriente musulmano, che aveva assimilato alcuni criteri e accorgimenti costruttivi delle terme romane - come per es. le modalità di riscaldamento degli ambienti -, diffuse nell'Europa cristiana, attraverso i crociati, una versione rielaborata di questo momento di socialità: i bagni turchi, costituiti da ambienti fastosi, rivestiti di ceramiche colorate, coperti a volta. Essi proteggevano un riposo passivo, isolato dal mondo esterno, piacevolmente cadenzato da pratiche di massaggio e raramente coronato da un'immersione completa. Presso i popoli dell'islam, anche l'abluzione, che riveste un preciso significato religioso, è solamente accennata prima di ogni preghiera: il rituale di purificazione, così stilizzato, non richiede che un modesto quantitativo d'acqua, raccolta in fontane poco profonde e in piccoli canali incavati nel pavimento in prossimità della moschea. Nei grandi impianti, di cui la moschea reale di Isfahan costituisce uno splendido esempio, l'acqua è invece una parte integrante della scenografia dell'insieme, raccolta in ampi bacini spesso chiusi da porticati riccamente decorati, essa è la prefigurazione in terra del mondo ultraterreno, immagine speculare del paradiso: "Coloro che rispetteranno il Signore avranno in paradiso un luogo circondato da splendide arcate, sulle quali sorgeranno altre arcate e potranno specchiarsi in limpide acque" (Corano, 39, 21). La consuetudine dei bagni pubblici all'orientale, detti stufe, fu nelle città d'Europa di breve durata: le epidemie falcidiarono a più riprese la popolazione nel corso del 14° secolo, provocando un calo dei frequentatori. Il clero, che nella sua opera di moralizzazione dei costumi demonizzava la promiscuità di questi luoghi pubblici, trovò un alleato nelle autorità civili, inducendole in molti casi a disporne la chiusura.
Nelle città, alcune abitazioni disponevano di pozzi neri periodicamente sottoposti a laboriose operazioni di pulitura, ma generalmente l'eliminazione dei rifiuti domestici e dei liquami delle latrine pubbliche e private era affidata a un corso d'acqua. L'ambivalenza dei fiumi come fonte di approvvigionamento idrico e veicolo di smaltimento era motivo di frequenti epidemie: nel caso di Londra, l'inquinamento del Tamigi indusse assai precocemente a predisporre per gli usi della corte reale alcune opere di canalizzazione delle acque di adduzione, captate da sorgenti lontane, consentendo alla cittadinanza di utilizzarne l'eccedenza. Il primato igienico della capitale inglese doveva resistere nei secoli, se ancora nel 1756 un visitatore affermava con ammirazione: "non esiste una strada importante di Londra che non sia fornita di acqua in tale abbondanza da poter servire con l'acquedotto comune persino i piani superiori delle case".
Nei castelli medievali, come più tardi nei palazzi, l'acqua era attinta da un pozzo, posto nel cortile o in una torre apposita, e sollevata a braccia tanto per gli usi di cucina quanto per le pratiche igieniche del signore e dei suoi ospiti, sia pure sommarie e non rigorosamente ritmate come nei monasteri. Spesso il cilindro del pozzo si elevava ben oltre il livello della corte, per consentire il rifornimento anche in caso di invasione dei piani inferiori.
A partire dal 13° secolo, un vero rituale cortese prese a scandire i ritmi dei banchetti ufficiali: donner à laver era la locuzione con cui si designava l'atto eseguito all'inizio e alla fine dei pasti da un servitore incaricato di versare acqua profumata sulle mani dei commensali, che si usavano cortesie condividendo la stessa bacinella e lavandosi reciprocamente. Questa pratica era ben diversa dalla consuetudine di pulizia igienica vera e propria - se décrasser - che, invece, veniva di norma eseguita in privato o al cospetto di un pubblico informale. Le tinozze per il bagno erano generalmente in legno e la loro forma era cilindrica o allungata in modo da consentirne l'uso a più persone contemporaneamente, in considerazione della difficoltà di provvedere all'approvvigionamento e allo scarico del prezioso liquido. In questa fase storica, all'immersione si accompagnano svariati rituali che conoscono diverse sfumature: il bagno degli amanti rappresenta il preliminare di un incontro amoroso; se esteso al gruppo familiare e, talvolta, all'ospite di riguardo, attesta una pratica che, pur riferibile in origine al carattere eccezionale dell'intera operazione, si va caricando di nuovi significati. La rappresentazione in alcune antiche incisioni di una tavola imbandita posta a cavallo della capiente tinozza messa in comune sottolinea un momento di intima convivialità, al di fuori di ogni protocollo.
Nel Basso Medioevo, l'uso di raffinati accessori mobili, che era inizialmente circoscritto al ceto aristocratico, si estese anche alle classi borghesi: brocche e catini ornamentali, spesso realizzati in materiali pregiati, costituivano non di rado il corredo più prezioso di un legato testamentario. Più tardi, nelle dimore abbienti trovarono collocazione i lavatoria, vale a dire lavabi in pietra infissi al muro alimentati da serbatoi riempiti a mano, spesso mobili in maniera tale da consentire il riscaldamento dell'acqua su una fiamma, e muniti di rubinetto.
Con il Rinascimento, la nuova concezione antropocentrica del mondo diede impulso alla ricerca di soluzioni razionali per le esigenze funzionali di una società finalmente affrancata dal pregiudizio dell'ignoranza. Nelle Proposte per dieci città nuove, Leonardo da Vinci immaginò un sistema di smaltimento delle acque e dei rifiuti attraverso canalizzazioni sotterranee che si immettevano in un fiume. Per i reali d'Europa, egli si misurò con ipotesi meno ardite, ma altrettanto innovative: tra queste, il progetto di una sala da bagno per Isabella di Aragona, dotata di un impianto in cui l'acqua calda poteva miscelarsi alla fredda a seconda della temperatura desiderata. O ancora quello di un ambiente igienico ricavato nel castello di Amboise, residenza di Francesco I, provvisto di un sedile mobile per gabinetti "che deve girare in tondo come la tramoggia dei monasteri ed essere riportato alla posizione originale da un contrappeso". Altri contrappesi avrebbero provveduto alla chiusura automatica delle porte del locale, dotato di acqua corrente e di sfiatatoi prolungati sino al tetto. Se tali prodigiose idee rimasero sulla carta, il gusto rinascimentale, che trovò un terreno fertile presso l'aristocrazia europea più in vista, si cimentò con invenzioni molto raffinate e confortevoli per le pratiche del corpo. A Roma, in Castel Sant' Angelo, si conserva la sala da bagno di Clemente VII de' Medici, risalente al 1530: si tratta di un locale splendidamente decorato con marmi e affreschi e provvisto di un sistema di riscaldamento ad aria sul modello di quelli già sperimentati dai Romani nelle terme e in alcune residenze private; la vasca, incassata in una nicchia, è alimentata da due rubinetti per l'acqua calda e fredda.
Se la moda dell'immersione inaugurò presso gli ambienti delle corti una stagione di sfrenata inventiva, essa non incontrò mai il favore della classe media, e non soltanto per motivazioni di ordine economico. La scarsa praticità delle vasche di marmo o di porcellana delle regge e degli hôtels particuliers, o delle più tradizionali tinozze in legno spesso foderate internamente con stoffe preziose, contribuì ad alimentare l'opinione dell'eccentricità della pratica. Del resto, il bagno per scopi di igiene che, solo, avrebbe potuto vincere le riluttanze di una società fortemente orientata all'utile e alla produttività, non aveva ancora ricevuto la propria sanzione. E proprio alla luce di una dimensione utilitaria si spiega, invece, il successo di un'altra innovazione, introdotta già dalla fine del 15° secolo sia nelle dimore signorili sia nelle abitazioni dei ceti artigiani in sostituzione delle latrine esterne agli alloggi: si trattava di un particolare tipo di sedile forato, dall'apparenza discreta e provvisto di un contenitore asportabile, detto chaise percée, chaise nécessaire o selle, che fu noto in Italia anche con il nome di comoda o seggetta. Questo gusto della metafora verbale, che trovava corrispondenza nella fattura mimetica dell'oggetto, spesso rifinito con tessuti preziosi e nelle versioni più nobili sormontato da baldacchini, coronava una consuetudine di lunga durata che sin dal Medioevo si era esercitata nel coniare alcuni curiosi eufemismi, come necessarium, oppure garde-robe, per indicare la latrina.In seguito, numerosi oggetti del corredo intimo parteciparono di un analogo gioco di metafore allusive: accanto ai più tradizionali lavamani e catini su elaborati treppiedi e ai primi bidè in porcellana imperniati su supporti di metallo (18° secolo), si diffusero, soprattutto in Inghilterra, eleganti mobili dall'apparenza severa, i cosiddetti abbigliatoi, che, una volta aperti, rivelavano una serie di scomparti scorrevoli e pieghevoli contenenti gli apparecchi sanitari. Il livello di perfezionamento degli incastri è testimoniato dalla descrizione di uno stipo nel catalogo Shearer del 1788: "Due cassetti veri e due cassetti finti davanti a un bidet quadrato, sorretto da due piedi ribaltabili; una cornice con specchio incardinata a un'asta scorrevole e quattro coppe; un piano mobile per coprire il catino, fissato con cerniere al retro del cassetto; dietro, un secchio per ricevere l'acqua del catino; un bidet girevole".
La riservatezza di questo mobilio, già contraddetta nell'intimità domestica da un uso tutt'altro che riservato, tendeva a contrastare ancor di più con la pratica sociale del bagno pubblico, rinnovata in Inghilterra dal primo Settecento: intorno al rituale dell'abluzione vera e propria si imperniarono numerose altre 'splendide sregolatezze' a costi contenuti, come affermò con entusiasmo G. Casanova in visita agli stabilimenti del Covent Garden nel 1756. In sostanza, nel secolo dei lumi, l'opinione corrente continuava ad associare il costume del bagno tiepido a stravaganti e disdicevoli mollezze. Gli ultimi timori e resistenze nei confronti di un'acqua calda, suscettibile di attraversare i pori e di invadere le carni fiaccando l'organismo, incominciarono a svanire soltanto all'inizio dell'Ottocento, con l'introduzione di alcuni precetti d'igiene per fare fronte alle ricorrenti epidemie di colera. L'ipotesi di una trasmissione del male attraverso odori e miasmi indusse i responsabili sanitari a prescrivere un lavaggio integrale del corpo.
L'insistenza sull'importanza dell'acqua e delle pratiche igieniche connesse con il suo impiego favorì nuovamente la diffusione dei bagni pubblici anche nell'Europa continentale: Parigi, che nel 1816 contava ben pochi stabilimenti, prevalentemente installati lungo il corso della Senna per facilità di approvvigionamento, ne registrava un centinaio nel 1839, distribuiti in tutti i quartieri della metropoli, grazie alle canalizzazioni che trasportavano per gravità l'acqua da sorgenti lontane.
Al principio del 19° secolo, nella capitale francese fece la sua comparsa il servizio del 'bagno a domicilio', fornito inizialmente dalla categoria degli acquaioli e, successivamente, dagli stabilimenti pubblici dietro speciale licenza. Come è logico, la domiciliazione della pratica anticipò la codificazione di un ambiente preposto allo scopo: l'operazione si svolgeva da principio nei cortili delle abitazioni, dove risultavano più agevolmente trasportabili, spesso solo con carretti a mano, il recipiente dell'acqua calda e, su richiesta dei clienti, anche le vasche da bagno. In seguito, l'introduzione di un procedimento di 'evacuazione meccanica' dell'acqua utilizzata favorì la diffusione del servizio e la sua penetrazione negli interni borghesi ormai provvisti di vasche discretamente occultate dal mobilio o addirittura camuffate: vasche divani, vasche letti, vasche tavoli, vasche su ruote invasero le stanze destinate provvisoriamente alla funzione igienica. Una pompa eliminava "in un minuto tutta l'acqua, rovesciandola all'esterno del fabbricato mediante tubi impermeabili fatti passare sopra l'appoggio delle crociere delle finestre".
L'affermazione di una dimensione domestica dell'igiene individuale coinvolse inizialmente soltanto i ceti medio-alti. Le cifre registrate nel corso dell'anno 1838 da due stabilimenti installati in un quartiere borghese e in uno popolare di Parigi sono esplicite a questo proposito: le consegne di bagni a domicilio per gli utenti del primo si attestavano intorno alla metà delle richieste totali, mentre quelle del secondo raggiungevano appena un sesto.
Ben presto, la valorizzazione igienica dell'acqua produsse effetti sulle modalità della sua distribuzione: la rete idrica, completata per il suo funzionamento da serbatoi di ritenuta nelle zone più alte della città, raggiunse i grandi quartieri borghesi in costruzione sin dal 1852.
In questo clima di rivoluzione tecnologica, che perfezionava contemporaneamente una rete cittadina per lo smaltimento delle acque reflue, anche il termine gabinetto registrò un nuovo significato: non più locale destinato alle frivolezze della toilette, non solo salottino intimo o studiolo. Esso finì per designare prevalentemente il nuovo ambiente riservato all'igiene personale elevato al rango di gabinetto da bagno. Collocato in una prima fase accanto alla cucina per comodità di installazione, migrò più tardi accanto alla camera da letto appropriandosi degli spazi e degli oggetti tradizionalmente destinati alla cura personale. Questo luogo appartato, di intimità assoluta grazie all'autosufficienza finalmente raggiunta dal bagnante, si è radicato nell'alloggio più stabilmente delle altre stanze, facendo valere la propria specializzazione funzionale: prima e più ancora della cucina, la sala da bagno è divenuta la sede di arredi fissi, ancorati attraverso propri condotti agli elementi terminali delle reti urbane (1880-1900). La procedura di riscaldamento dell'acqua, inizialmente affidata a una caldaia a legna o a carbone spesso disposta in un locale attiguo al bagno, è stata semplificata mediante l'introduzione di recipienti mobili, contenenti quantitativi di acqua assai più limitati, alimentati dal gas di città (1900) e installati direttamente al di sopra della vasca: gli scaldabagni. Il risultato consiste in un'integrazione spaziale, un'articolazione di flussi (acqua e gas) che contribuisce ad alimentare la felice retorica del progresso: "L'evocazione della città è ormai impregnata di riferimenti biologici. Esaurisce tutte le metafore dei circuiti organici, della digestione, dell'assimilazione" (Vigarello 1986, p. 159).
Quando il rifornimento idrico cittadino consentì l'abbandono dell'approvvigionamento attraverso pozzi, anche le abitazioni per i ceti popolari, sorte rapidamente nelle periferie, poterono disporre di acqua corrente: dapprima si trattava di un unico rubinetto, nel cortile, e successivamente di un lavandino in corrispondenza di ogni pianerottolo, dove trovava collocazione anche una latrina in comune. Molti anni, però, dovranno ancora trascorrere perché i servizi igienici raggiungano capillarmente, a partire dagli inizi del nostro secolo, anche gli alloggi abitati dagli strati sociali più disagiati come necessità irrinunciabile.
La sala da bagno, nota inizialmente a una cerchia ristretta di curiosi e successivamente al vasto pubblico delle esposizioni internazionali, era, a fine Ottocento, un ambiente perfettamente connotato, impreziosito da un ricco corredo di accessori e prodotti da toilette, e generalmente separato dalla latrina, alloggiata in un piccolo ambiente attiguo. Prosaiche maioliche di rivestimento, finemente decorate da piacevoli disegni, sostituivano gli stucchi precari in omaggio alle norme dell'igiene, mentre una concessione alla pruderie o al gusto dell'epoca tendeva a mimetizzare i sanitari in mobili di legno, provvisti di alzate con specchiere che occultavano le condutture idriche.I procedimenti di lavorazione della ghisa affiancarono alla produzione tradizionale in stile, appannaggio dei ceti alto borghesi, un tipo di prodotto più economico, su scala industriale, che si affermò nel pieno rigoglio dello stile déco, contrassegnando gusti e capacità di spesa dei ceti medi.Il programma funzionalista, che prese vigore a partire dagli anni Venti, proponeva una rifondazione dei criteri distributivi dell'alloggio all'insegna della razionalizzazione dello spazio abitabile, esplorando diverse soluzioni planimetriche e codificando alcune disposizioni possibili degli ambienti igienici. La fusione del bagno strettamente inteso e della latrina e la standardizzazione dimensionale dei sanitari costituirono gli esiti più importanti di tale ricerca. L'introduzione di cavedi per la ventilazione rese superflua la predisposizione di un'apertura esterna del locale, mortificando un luogo di relax come la stanza da bagno nel settore più oscuro dell'appartamento: di breve durata era stata la tradizione di fasto tardo-ottocentesca, presto soppiantata da varie esigenze di economia.
La meccanica e riduttiva definizione di bagno come ambiente dove l'igiene è prevalentemente legata all'acqua e dove è possibile assolvere i problemi dell'evacuazione ha lasciato il posto, dal secondo dopoguerra, a una rivalutazione generalizzata. Pur limitato dimensionalmente, il bagno tende sempre più a imporsi come spazio privilegiato di rappresentazione dell'individualismo domestico, in virtù di un'offerta assai vasta e diversificata di sanitari e accessori disponibili sul mercato. Le fiere campionarie che si tengono periodicamente, le riviste specializzate e la promozione pubblicitaria richiamano una clientela variegata in termini di preferenze e di potere di acquisto, alimentando ogni anno un volume di affari considerevole.
La ricerca tecnologica insiste oggi sull'approfondimento di due distinti programmi, che sembrano rinviare alla dialettica continua tra istanze di praticità e principi di igiene cui ci ha abituati la tradizione funzionalista. Il primo programma, che si esercita sull'ambiente bagno come spazio domestico, esplora le possibilità espressive del disegno industriale per esaltare le caratteristiche ergonomiche degli arredi fissi e mobili, anche per il piacere dell'occhio e del tatto. Il secondo, circoscritto prevalentemente alla dimensione pubblica del bagno, tende a eliminare - mediante l'impiego di cellule fotoelettriche e comandi a distanza - ogni forma di contatto dell'utente con maniglie, rubinetterie, elementi asciuganti, proponendo un ambiente elementare e sguarnito. Ma anche senza spingere la ricerca sui binari dell'intransigenza del design più avanzato o su quelli di un'osservanza igienica che rasenta l'ossessione, la produzione edilizia, contrassegnata altrove da una pratica omologante, sembra investire le proprie riserve di duttilità e fantasia negli spazi dell'igiene e del relax, all'insegna di un servizio che coniuga sempre più spesso fornitura del prodotto e consulenza progettuale.
Nelle proposte più ricercate, il progetto si apre alle suggestioni di altre culture dell'abitare, in particolare di quella proveniente dal Giappone, dove la stretta correlazione tra pratica del bagno e socialità è da sempre assicurata attraverso la realizzazione di ambienti intimi e accoglienti, in grado di contribuire al benessere psicofisico della persona. Se anche in questo lembo d'Oriente i ritmi della modernità sembrano incalzare imponendo nuovi stili di vita, la tradizione antica continua a permeare sia la sfera privata sia quella pubblica: non diversamente dalle terme, diffusissime e spesso a cielo aperto, anche altri locali pubblici sono attrezzati per offrire agli avventori una piacevole immersione in capienti piscine di acqua calda. Così, in alcuni ristoranti è consuetudine che i commensali prendano insieme un bagno prima di consumare il pasto.
Nelle abitazioni tradizionali giapponesi la stanza da bagno, separata dal gabinetto, era in passato collocata in un padiglione appartato nel giardino. La pratica igienica del quotidiano e prolungato rituale, generalmente svolto in compagnia, avveniva ai bordi della vasca come atto preliminare all'immersione vera e propria: i bagnanti si aspergevano con acqua molto calda raccolta in un recipiente e convogliata all'esterno da canalette alloggiate nel pavimento. Il bagno propriamente detto era tradizionalmente inteso, tanto nelle ricche dimore di città quanto nelle modeste case rurali, come una pratica di distensione nell'intimità domestica, condivisa da tutti i familiari. Nelle case moderne la stanza da bagno, ridotta al minimo ingombro, contiene una vasca incassata nel pavimento, mentre il gabinetto, originariamente alloggiato in un padiglione provvisto di una piccola apertura sul giardino privato in omaggio a una celebrata tradizione di penombra, è ingentilito nella sua versione contemporanea da davanzali ricoperti di ghiaia o di muschio. Gli elementi più promettenti di questa concezione, nella sua traduzione occidentale, sono, per l'appunto, i temi dell'illuminazione naturale e della definitiva separazione spaziale tra le diverse funzioni igieniche.Se non è possibile una casa a misura dell'individuo, è tuttavia possibile, con una spesa generalmente accessibile, un ambiente intimo a misura dell'individuo. Se la dilatazione dello spazio intimo non sempre è praticabile e la vasca a idromassaggio rimane un remoto riferimento, la disponibilità di acqua calda in abbondanza ha generalizzato l'impiego di un suo surrogato meno lussuoso ma altrettanto funzionale, la cabina per la doccia, vero e proprio abitacolo accessoriato e dotato di comandi in grado di generare getti d'acqua potenti e differenziati.
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