Vedi BAIA dell'anno: 1958 - 1973 - 1994
BAIA (v. vol. I, p. 960)
Gli studi del D'Arms hanno illuminato, in modo penetrante, la «vita di villa» che si svolgeva, nella tarda età repubblicana, sulle coste flegree, e le vicissitudini dei suoi protagonisti. In campo più strettamente archeologico, la recente fase di ricerca si caratterizza in primo luogo per un riesame analitico delle evidenze monumentali a terra (un importante regesto ne è il volume Baiae-Misenum della Forma Italiae), indi per gli apporti dell'archeologia sottomarina. Quanto al comprensorio monumentale già in luce, le c.d. Terme di B., è stata giustamente respinta l'immaginifica interpretazione (Paget, Hardie) oracolare-cultuale di un lungo cunicolo con vani sotterranei, riconosciuto infine dal Castagnoli come un apprestamento per la captazione di acque e vapori termali.
In campo architettonico, gli studi hanno tentato di scendere dalle definizioni d'insieme del complesso, enunciate più che dimostrate («terme»; oppure «paladum imperiale»), a proposte di lettura differenziate e articolate, anche cronologicamente, in adesione alla realtà architettonica dei singoli edifici. Si è così posto in evidenza come la natura composita del monumento sia la risultante non solo di interventi edilizi successivi, ma, in primo luogo, dell'aggregazione di nuclei originariamente indipendenti, correlati a lotti di terreno tendenzialmente regolari, orientati longitudinalmente sul pendio, con il lato breve verso mare. Questa lettura, in sé convincente, incontra naturalmente difficoltà quando si estende a un'interpretazione puntuale; nel settore meridionale delle c.d. Terme di Mercurio è stata riconosciuta con sicurezza una villa tardo repubblicana a terrazze («Villa dell'ambulation), un impianto sostanzialmente non dissimile (in cui il De Angelis d'Ossat riconoscerebbe uno degli hebetèria creati da Nerone - secondo quanto dice Dione Cassio, LXI, 17 - nelle proprietà ereditate dalla zia Domizia; ma la cronologia non sembra convincente); inoltre, veri impianti termali (Terme di Mercurio, di Venere), fino a edifici destinati alla celebrazione della casa imperiale, come il tardoseveriano Tempio di Diana. Sotto altro riguardo, lo studio delle cupole baiane, ora rilevate fotogrammetricamente, ha ribadito le relazioni formali e strutturali fra la rotonda di Venere e la Villa Adriana, che denotano comunanza di tecniche e di ispirazione progettuale; e l'originalità costruttiva (ma anche le irregolarità e le incertezze di esecuzione) del Tempio di Diana, accertando, tra l'altro, come sia in realtà assai meno pronunziato di quanto sembra l'andamento ovoidale della cupola, per il quale erano stati richiamati anche modelli sasanidi. Anche le decorazioni in stucco dei varí complessi baiani mostrano una pluralità di rifacimenti tra l'età giulio-claudia e i Severi, che rispecchia la persistente vitalità di Baia.
Di grande importanza è, al riguardo, la pubblicazione completa dei gessi trovati, purtroppo in condizioni di estrema frammentarietà, nel corso del grande scavo degli anni '50 delle Terme della Sosandra. Sono calchi di opera nobiltà bronzee, che, tratti direttamente dall'originale, ne conservano l'aspetto con maggior fedeltà di ogni copia fin qui conosciuta. Dei circa trecento frammenti classificati, una settantina è stata riconosciuta da C. Landwehr come pertinente a opere databili tra lo stile severo e il pieno IV see., quali l'Aristogitone, la Persefone Corinto-Mocenigo, le Amazzoni di Efeso, l'Efebo Westmacott, la Hera Borghese, la Pallade di Velletri, l’Eirene e Ploutos, l'Apollo del Belvedere, ecc. Questa straordinaria serie di calchi, oltre a gettare luce sul gusto artistico romano di età imperiale, postula l'esistenza a B. di un'importante officina di copisti, di cui indagini appena iniziate vanno rivelando la produzione.
Un'intensa attività si è rivolta all'esplorazione e al rilievo della parte sommersa di Baia. Il problema dei tempi della progressione bradisismica, ridiscussi da M. Frederiksen partendo da un ignorato testo altomedievale, ha conosciuto un'impostazione nuova a seguito dei fenomeni di crisi verificatisi nel 1969-70 e nel 1984, che, più sensibili sulla costiera puteolana, hanno però provocato anche a B. un rilevante innalzamento del fondale. Rilievi accurati della situazione batimetrica, archeologicamente preziosi perché rivelatori delle antiche linee di costa, sono stati effettuati nel 1970; esplorazioni recenti hanno contribuito a riconoscere l'originaria insenatura di B. (il Baianus lacus di Tacito, Ann., XIV, 5) che comunicava col mare aperto mediante un lungo canale provvisto di banchine, visibile anche in fotografie aeree. Il primo scavo sottomarino, con finalità scientifiche, venne condotto dal Lamboglia nel 1959-60; preceduto da un'ideale quadrettatura di tutta l'insenatura baiana, interessò allora parte di un grande ambiente a nicchie al piede della Punta Epitaffio, verso cui convergevano due bracci di strada basolata; al di là di questa, verso N, si individuò un impianto termale, la cui esplorazione è stata proseguita in anni recenti. Tali ultime indagini hanno integrato nelle planimetrie, ma soprattutto drasticamente corretto nel posizionamento, un altro grandioso edificio solo parzialmente visto dal Lamboglia; situato a c.a 130 m a SE di Punta Epitaffio, esso mostra una vastissima corte rettangolare, recinta su uno dei lati brevi da un corridoio chiuso con prospetto esterno a semicolonne laterizie, e su altri due lati da un corridoio o criptoportico in reticolato con nicchie quadrangolari e curvilinee alternate; un portico a pilastri, lungo m in, terminante a un estremo a ridosso di vasche termali, accompagna parallelamente verso monte tale complesso, di cui una fistula plumbea in situ, iscritta L. Pisonis, ha suggerito l'identificazione con la villa di C. Calpurnio Pisone, teatro della congiura antineroniana del 65. Le fasi costruttive, accertate dalla diversità delle tecniche edilizie, vanno dall'età augustea almeno al III sec. d.C.
Risultati rilevanti sono stati conseguiti con lo scavo sistematico dell'ambiente a nicchie sotto Punta Epitaffio, integralmente esplorato con quattro campagne di scavo negli anni 1981-82, rivelatosi come un grande ninfeo a destinazione tricliniare, certo pertinente alle proprietà imperiali. L'ambiente, che misura c.a m 18 X 9,50, è rettangolare, terminato però sul lato breve a monte da una grande abside semicircolare, destinata ad accogliere un gruppo scultoreo di tema odissiaco: già nel 1969 infatti (in concomitanza con l'innalzamento bradisismico del fondale) un travamento casuale aveva consentito il recupero di due statue, ancora erette agli estremi della curva absidale e per questo danneggiate nella parte superiore dai litodomi, raffiguranti Ulisse che porge al ciclope la coppa di vino e il compagno che porta l'otre; della figura del Polifemo che, come suggeriscono i confronti iconografici (Andreae), doveva sedere al centro occupando il catino dell'abside, non si è trovata traccia, e occorre concludere che già in età imperiale essa sia stata prelevata e riutilizzata altrove.
La diversità di proporzioni fra le due figure recuperate è stata spiegata come dovuta alla risistemazione, in chiave puramente ornamentale e subordinata all'architettura, di un gruppo a molte figure, concepito, a somiglianza di quelli di Sperlonga con cui presenta rilevanti affinità anche stilistiche, per popolare il cavo di una grotta, disposto perciò su più piani sfalsati e con ricorso a scorci e calcolate prospettive; in effetti le statue di B. vennero adattate successivamente a statue-fontana zampillanti dall'otre e dalla coppa, dopo avervi praticato brutali solchi per il passaggio delle fistule. L'atmosfera di grotta-ninfeo era accentuata dalla finta roccia che rivestiva l'abside, le nicchie laterali, l'arcone di ingresso. L'acqua scorreva in un profondo canale rivestito di marmo che girava tutt'attorno alle pareti, mentre al centro dell'ambiente si approfondiva un bacino rettangolare profondo c.a m 1,70, dotato di apprestamenti lignei di/incerta funzione (una macchina?), che si prolungava oltre il basso arcone di ingresso verso l'esterno, apparentemente per consentire l'accesso anche con un'imbarcazione; la piattaforma a U tra il canale e la vasca centrale accoglieva le klìnai conviviali, scompartite da canalini e desinenti simmetricamente con due spalliere marmoree decorate. Le pareti laterali dell'ambiente recavano ciascuna quattro nicchie destinate ad altrettante statue; delle otto originarie, quattro, abbattute forse deliberatamente entro il riempimento artificiale al momento della dismissione dell'edificio, sono state trovate in ottimo stato di conservazione: due sono sculture decorative in carattere con la destinazione tricliniare dell'ambiente (figure di Dioniso giovinetto con chiaro richiamo al gruppo odissiaco dell'abside), le due altre sono statue- ritratto, raffiguranti Antonia Minore come Augusta, diademata e sorreggente sul braccio un fanciullo alato, forse un Eros funerario; e una bimba dalle delicate fattezze, la cui acconciatura ricorda i ritratti giovanili di Nerone, con ricco ornato di gemme sul capo e pesante panneggio, in cui dovrà riconoscersi non Ottavia futura sposa di Nerone, come è stato proposto, ma forse una delle figlie di Claudio morte in tenera' età. Delle altre statue, come per il Polifemo, non si è trovato alcun resto (gli ipotizzati Britannico e Druso costituiscono un'arbitraria ricostruzione) e probabilmente vennero prelevate al momento dell'abbandono del ninfeo.
Nonostante l'apparente unità dell'insieme, la sistemazione di tale grotta-ninfeo odissiaca, che, risalendo ai primi anni di Claudio, viene a occupare un posto intermedio tra Sperlonga e la Domus Aurea, non rappresenta la fase originaria dell'edificio, ma è il prodotto di una serie di aggiustamenti in una compagine architettonica la cui storia, forse, risale fino all'età augustea.
L'edificio dovette rimanere sostanzialmente integro fino al III sec., quando (forse già in presenza di incipienti fenomeni bradisismici ?) venne abbandonato previa asportazione degli elementi di metallo, di una parte dei rivestimenti marmorei, oltre che, come detto, di alcune statue, e riempito con gettate di materiale di rifiuto. Una sepoltura infantile in anfora, forse del V sec., nell'abside al posto del Polifemo, e altre tombe povere all'esterno del ninfeo mostrano che, in completo abbandono, l'ambiente era però in quel tempo ancora accessibile e almeno parzialmente praticabile. È possibile ipotizzare che la dismissione del ninfeo, con tutta la proprietà imperiale baiana, risalga al tempo in cui Roma cessò di essere capitale dell'Impero.
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