BALBIANO, Vincenzo, viceré di Sardegna
Nato a Chieri il 15 marzo 1729, primogenito di Ludovico Alberico, marchese di Colcavagno e governatore di Susa, e di Irene Luserna Bigliori, dama d'onore delle principesse piemontesi, seguendo la tradizione della famiglia intraprese la carriera militare, arruolandosi in marina. Fece il tirocinio sulle galere di Malta, poi, nel 1759, divenuto uno dei migliori ufficiali della marina di Savoia, fu nominato capitano della galera "S. Barbara". Per la sua esperienza fu inviato, nel 1762, a Marsiglia e a Londra per trattare l'acquisto di nuove navi per la piccola flotta piemontese.
Nel 1764 fu nominato tenente colonnello di fanteria, ed alla fine dei '66 governatore in seconda del R. Convitto di Torino. Lo svolgimento della carriera avvenne senza difficoltà: il 14 ag. 1774 fu nominato comandante di Savigliano; l'11 settembre gli fu conferito il grado di colonnello; il 29 apr. 1779 gli fu affidato il governatorato del Castello di Casale e il comando di Casale e del ducato di Monferrato; un provvedimento regio del 17 giugno 1780 lo destinò infine in Sardegna quale governatore provvisionale della città di Sassari, in sostituzione del marchese Claudio Alli di Maccarani cacciato a seguito di una rivolta popolare, e nella stessa occasione gli fu concesso il grado di brigadiere di fanteria.
I responsabili del tumulto contro il Maccarani furono processati e giustiziati sotto il governo del B., tenuto dal 12 luglio 1780 all'ottobre 1781 tra rivolte e torbidi popolari, che egli tentò di domare con durissime repressioni.
Chiesto il ritorno in Piemonte, e sostituito dal conte di Belvedere, il B. riprese la carriera militare. Il 18 dic. 1785 fu nominato maggior generale, e il 27 marzo 1789 tenente generale; da tempo, inoltre, era cavaliere gerosolimitano e balì di Malta. Il 9 sett. 1789 fu nominato governatore del Monferrato ed il 6 ag. 1790 gli venne affidato il viceregno di Sardegna.
L'incarico, onorifico ed ambito, era però di particolare responsabilità a causa della situazione dell'isola: oppressa da una secolare miseria, funestata dalla piaga del banditismo, sfruttata da una esosa e parassitaria classe feudale, la Sardegna da anni era agitata da un diffuso malcontento e da un endemico stato di rìvolta, soprattutto dopo che l'ascesa al trono di Vittorio Amedeo III aveva segnato un arresto nell'introduzione delle riforme propugnate da Carlo Emanuele III e dal Bogino.
La situazione quindi, estremamente difficile e delicata, era in fondo condizionata dall'indirizzo generale della politica piemontese. Ovvìamente, al viceré si richiedevano tatto, chiaroveggenza e duttilità, tutte doti che difettavano al B., uomo onesto ma di ristrette vedute, buon militare ma mediocre politico (già a Sassari aveva dato prove poco brillanti per la durezza e la testardaggine che erano i tratti più salienti del suo carattere), imperioso e taciturno, soprannominato spregiativamente dai Sardi, poiché era monocolo, "su visurrey baiocu", il viceré orbo.
Il B. incontrò subito l'antipatia dei governati, escludendo dalla cerchia degli intimi gli esponenti locali e scegliendo come unici consiglieri il fratello Giacomo, il segretario di stato, ed il maggiordomo della sua casa, certo Gamba, e riducendosi quindi in un relativo isolamento. Ciononostante, egli, sotto la guida intelligente e moderatrice del segretario Silvestro Borgese, e riallacciandosi in un certo senso alla politica boginiana, propose, per sbloccare i problemi dell'isola e le cause del malcontento, alcune iniziative amministrative, economiche e giudiziarie, tra cui l'ammissione dei Sardi ai pubblici impieghi, l'introduzione nell'isola di nuove imprese manifatturiere e un decentramento dell'amministrazione giudiziaria, con un magistrato indipendente a Sassari ed uffici di prefettura in altre località minorì, mediante i quali combattere più efficacemente il banditismo.
Le proposte del B. non trovarono favorevole accoglienza a Torino e, in parte, neppure a Cagliari, ove si temeva una diminuizione del prestigio della capitale, con l'attuazione del disegno di decentramento giudiziario. Il ministro Graneri, più o meno larvatamente, si oppose, e il B. non ebbe la forza o la capacità di insistere per il loro accoglimento. Non riuscì neanche ad impedire che nel 1792 venisse nominato, in sostituzione del Borgese, anziché un nativo dell'isola come egli aveva proposto, il Valsecchi, uomo mediocre ed intrigante, ma assai vicino al Graneri, che di lui si servì per controllare l'opera dei B. ed influenzarla in un senso giudicato unanimemente negativo.
Peso decisivo ebbero, indubbiamente, i suggerimenti del Valsecchi sul comportamento tenuto dal viceré durante il fallito tentativo francese di invasione dell'isola, avvenuto tra la fine del '92 e l'inizio del '93, a seguito della guerra franco-piemontese. Il B., in violento contrasto con gli Stamenti, anziché prepararsi alla difesa, si mostrò incredulo dell'imminente attacco, titubante sul da farsi, ambiguo negli atteggiamenti, tanto da essere accusato, a torto, di tradimento dalla voce pubblica.
Dopo l'attacco francese, respinto dalla coraggiosa resistenza sarda animata da G. Pitzolo e dal marchese di Neoneli, la posizione del viceré divenne molto difficile. Il suo comportamento apparve contraddittorio (propose ricompense per il valore dei Sardi, e di nuovo l'apertura per essi delle pubbliche carriere, mantenendo nello stesso tempo un'altezzosità di contegno che fu interpretata come segno di disprezzo e disinteresse), mentre il successo nella lotta riportato dai Sardi stava dando vastità e unità al moto politico isolano, con un carattere antipiemontese sul quale se ne veniva innestando un secondo, sociale e antifeudale.
Si acuì, così, il dissidio tra il B. e gli Stamenti circa l'istituto parlamentare, sospeso da un secolo e il cui ripristino era stato chiesto al re da questi ultimi, contro il parere del B. che lo riteneva ormai desueto e non rispondente alle necessità dell'isola. Le more dilatorie opposte alle richieste isolane (apertura delle pubbliche carriere ai Sardi; ripristino dell'istituto parlamentare; creazione di un ministero per la Sardegna in Torino e di un Consiglio di Stato a Cagliari), presentate a Torino da una rappresentanza degli Stamenti capeggiata dal Pitzolo, e lo scioglimento delle assemblee stamentarie, disposto dal Graneri, sollevarono un'agitazione unanime. Fu ordita una congiura in Cagliari; il viceré ne ebbe sentore e tentò di prevenirla, facendo imprigionare due avvocati, universalmente stimati, il cui principale torto era l'amicizia verso il Pitzolo. Ne seguì una rivolta generale, in conseguenza della quale i Piemontesi furono cacciati dall'isola. Il B. lasciò la Sardegna su una nave veneta, due giorni dopo la sommossa, il 30 apr. 1794, mentre il potere pubblico veniva assunto dalla Reale Udienza e dagli Stamenti.
In Piemonte, il B. fu in disgrazia presso la corte, che lo riteneva in parte responsabile dei torbidi avvenuti, e si ritirò a Chieri. Qui, verso la fine dell'anno, lo raggiunse il perdono regio con la nomina, meramente onorifica, a governatore di Saluzzo.
Morì a Torino il 12 febbr. 1799.
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