BALDACCIO d'Anghiari
D'umili condizioni, nacque a Ranco presso Anghiari attorno al 1400; servì alungo specialmente i Fiorentini, quale condottiero di fanti, e nel 1437 ottenne la cittadinanza fiorentina. Nel febbraio 1438 sposò Annalena Malatesta, avendo come testimone alle sue nozze Neri Capponi, che contendeva a Cosimo il Vecchio de' Medici il primato in Firenze. Ma la sua importanza emerse quasi all'improvviso nel 1440 durante la guerra del 1439-41 condotta da Filippo Maria Visconti contro Venezia Firenze e il papa, soprattutto nelle ripercussioni che essa ebbe in Toscana.
Nell'aprile 1440 Niccolò Piccinino tenta infatti dalla Lombardia una grande diversione in Toscana, riesce a superare l'Appennino e si spinge fin presso Arezzo, quindi cerca di sollevare l'Umbria e di legare a sé i Senesi; richiamato quindi in Lombardia dal Visconti dopo la rotta di Soncino, vuol prima dar battaglia ed è vinto ad Anghiari il 29 giugno. In questo periodo B. non è più al servizio dei Fiorentini, mentre Anghiari fornisce altri quattro condottieri a Firenze, e precisamente Angelo Pieri, con una condotta di 300 cavalli, Gregorio Vanni, a capo di 300 fanti, Leale di Cristoforo, con 60 fanti, e Piero d'Anghiari, tornato dal reame di Napoli.
Il 12 maggio 1440 B. è nell'Umbria meridionale, a Collelungo, presso Todi; appare in buoni rapporti col Piccinino e col conte d'Urbino, Guidantonio da Montefeltro, alle cui dirette dipendenze si trova; sembra che abbia ottenuto dall'uno e dall'altro licenza d'andarsene e d'agire per conto proprio; infatti in questo stesso tempo mostra di voler essere in buone relazioni con Firenze. Dopo quasi un mese B. lascia Collelungo e si porta a Fighine, fra Chiusi e Acquapendente, e pare che voglia molestare questa cittadina e Orvieto; ma il 27 giugno parte da Fighine con 50 cavalli e 500 fanti, finge d'andare verso il Patrimonio, poi piega a destra, traversa il territorio senese meridionale, tocca Istia d'Ombrone presso Grosseto, passa al sud di Massa Marittima e il 1° luglio è presso Suvereto, terra del principato di Piombino; la prende e la mette a sacco: le sue masnade, salite, pare, a un migliaio d'uomini, devastano e depredano il territorio del principato. Il signore di Piombino, Iacopo II Appiani, così brigantescamente assalito, chiede soccorso a Siena, a Firenze, al cognato Rinaldo Orsini conte di Tagliacozzo, per un intervento presso il papa, e prega Niccolò Piccinino di richiamare Baldaccio. Ma a Firenze, dopo la vittoria d'Anghiari e la ritirata del Piccinino dalla Toscana, riprende il sopravvento il partito della politica forte, che mira a rafforzare ed estendere il dominio fiorentino su tutta quanta la Toscana e a ristabilire il protettorato su Piombino, conseguito nel 1419 e perduto quattordici anni dopo; perciò la Signoria appoggia segretamente B., mentre il papa appoggia Piombino e i Senesi non osano intervenire. I richiami del Piccinino restano quindi lettera morta. Passa così l'estate, mentre da Suvereto B. continua le scorrerie e i ricatti. Nella seconda metà di novembre Firenze sembra voglia agire energicamente, sostenendo le bande di B. con proprie schiere e allegando il pretesto che la protezione fiorentina è desiderata dalla popolazione stessa di Piombino. Ma la mossa non è simultanea; il tentativo insurrezionale dei partito fiorentino si manifesta in Piombino la sera del 21 novembre, e Iacopo II riesce a domarlo, mentre B. colle sue schiere è sotto le mura di Piombino il mattino del 22, quando tutto è tornato tranquillo. E non basta che con lui sia il capitano generale dei Fiorentini, Pier Giovanni Paolo Orsini, con alcune sue schiere e con lo stesso Neri Capponi. Tuttavia il 26 novembre, Iacopo accetta la perpetua accomandigia di Firenze, e B. abbandona Suvereto dietro un compenso di 8500 fiorini sborsatigli dal signore di Piombino (24 genn. 1441).
Il 27 dic. 1441 Iacopo II veniva a morte e la madre di lui donna Paola (dei Colonnesi) prendendo a governare il piccolo stato dichiarava di non riconoscere la capitolazione con Firenze; d'altro lato, però, il genero Rinaldo Orsini pretendeva pure alla successione, e così pure lo zio dell'estinto, Emanuele Appiani, da vent'anni esule nel Regno di Napoli. Firenze, però, ove riprendeva il sopravvento il partito mediceo contrario a una politica di continue guerre e avventure, non pareva volersi più mescolare nella questione di Piombino.
Il 23 apr. 1441 B. passava al servizio del papa, con 700 soldati fra cavalieri e fanti, e combatteva in Romagna contro Francesco Piccinino. Ma il 17 luglio Filippo Maria Visconti intavolava improvvisamente trattative di pace, e il 14 agosto cessavano le ostilità anche sull'Appennino emiliano. B. mal si adattò alla nuova situazione. Una settimana prima egli si era recato a Firenze, ma non sappiamo per quale motivo.
La fine della grande guerra in Lombardia faceva affluire verso la Toscana frotte di mercenari disoccupati; entravano in Firenzuola 200 cavalli e 700 fanti (e una fonte parla di 1200 tra cavalli e fanti, mentre altri ancora erano attesi), tutti tremendi saccheggiatori.
B. intanto da Firenze correva in Umbria, al castello di Fighine da lui conquistato l'anno prima. Il papa, in urto con Siena, che aveva ospitato i profughi Vitelleschi, aveva permesso che l'11 - 12 agosto il suo condottiero Simonetto entrasse saccheggiando nel territorio senese; B. chiese e ottenne una licenza dal papa, forse per unirsi a Simonetto. Ma eccolo il 17 agosto con una piccola schiera davanti a Suvereto, d'accordo con Emanuele Appiani, per avere di nuovo la forte base d'operazione contro Piombino. Il castello però si difende, i partigiani d'Emanuele non si muovono, B. deve retrocedere. Il condottiero si reca tosto a Prato, dove da Firenzuola sono venute calando le sue schiere, quindi si muove con loro verso Serravalle e prosegue poi fino al piano di Lucca, dove lo troviamo il 25 agosto. Già il 21 la Signoria di Firenze ha espresso al B. disappunto per il fatto che le sue schiere siano scese nel territorio fiorentino intimandogli di non molestare i Senesi. Il condottiero risponde che i suoi soldati in quel di Lucca si sono comportati come frati, che lui sta per fare cosa grata alla Signoria, e poi riscrive di ritenere che "le Signorie Vostre siano di quella volontà" e che del resto ha qualche intesa coi Genovesi. Egli pensava forse di poter passare al servizio di Genova. In realtà il governo fiorentino aveva dissuaso B. dal molestare Siena e Lucca, e il condottiero aveva dovuto abbandonare il piano, forse concertato col papa, d'andare contro Siena partendo dal contado pisano mentre Simonetto teneva impegnati i Senesi nella Maremma meridionale. Ricomincia a pensare a Piombino: il 26 agosto, lasciato il pian di Lucca, è a Vicopisano con 300 cavalli e un migliaio di fanti in attesa di altri 200 cavalli; passa quindi l'Arno e procede oltre Rosignano e Cecina; a Giovanni da Lignano, fuoruscito bolognese, scrive: "Io andrò in luogo che se 'l pensiero mi riesce io sarò mio uomo e potrò andare ove vorrò". La sera del 28 è sotto le mura di Piombino, avendo presso di sé Emanuele Appiani. Ma il partito legittimista non osa muoversi; la città è preparata alla difesa: come prima davanti a Suvereto, così ora davanti a Piombino il colpo di mano fallisce.
Del resto la marcia delle schiere di B. era stata accompagnata dalle solite ruberie, e ormai Firenze non voleva che il condottiero irrequieto molestasse neppure Piombino, mentre il papa era probabilmente irritato con lui che, anziché molestare i Senesi, moveva contro lo staterello di Rinaldo Orsini, nel frattempo salito al potere, suo protetto.
B., fallito il colpo di mano su Piombino, retrocesse verso la Valdarno inferiore, pensando ora d'andare in Garfagnana, territorio estense; ma da Firenze i Dieci gli scrissero d'abbandonare l'impresa ed egli allora lasciò partire 300 suoi fanti rimasti a Vicopisano, che il 3 settembre occuparono e saccheggiarono Castelnuovo, indirizzando il grosso verso San Miniato. Egli si affrettò verso Firenze, dove giunse il 4 settembre e qui, lo stesso giorno, pare che, d'accordo col papa, passasse al servizio di Guidantonio da Montefeltro. Ormai B. diventava sempre più pericoloso e molesto per Firenze, proprio quando il partito mediceo avrebbe voluto una politica di raccoglimento: padrone di Fighine, in Umbria, di Ranco, Sorci e Borgo alla Collina nel contado aretino, con le sue schiere in continuo aumento, e ingrossate anche da fuorusciti aretini e pistoiesi, avvezzo a non obbedire più a nessuno e bramoso di farsi uno stato, era motivo di preoccupazione continua per la Signoria di Firenze, che dapprima non aveva sdegnato di servirsi di lui nelle sue mire sopra Piombino. Il 1° settembre era entrata in carica una nuova Signoria, presieduta da Bartolomeo Orlandini, ostilissimo a B., mentre Neri Capponi, suo protettore, era da una quindicina di giorni partito da Firenze per trattare con Venezia della pace generale. Lo stesso giorno il gonfaloniere accennò, parlando coi priori, alla necessità di severi provvedimenti contro B. e non trovò opposizione fra i colleghi. Ma la decisione di toglierlo di mezzo fu presa la sera del 5, allorché si seppe ch'era passato di nuovo al servizio del conte d'Urbino, del quale si diffidava. Il 6 sett. 1441il "villano" d'Anghiari era chiamato a Palazzo Vecchio dal gonfaloniere, e quivi veniva aggredito, ferito e gettato da una finestra. La sua testa mozza fu esposta a truce esempio per il popolo.
B. è rimasto nella storia soprattutto perché legato alla politica di Cosimo il Vecchio, e perché posto accanto alla maggiore schiera dei condottieri finiti tragicamente per i sospetti dei governi che se n'erano serviti. Non si può negare tuttavia che in un'epoca in cui la fanteria era in Italia, e si può dire in Europa, tanto scaduta, egli ci appare soprattutto come un temuto condottiero di fanti. Ma sebbene Antonio Petrucci scrivesse al governo senese il 5 luglio 1440: "Baldaccio è uomo delli Fiorentini et è delli famosi connestabili che sieno in Italia", in realtà il suo nome non appare legato a nessuna delle imprese di grido del tempo, né ad alcuna innovazione tattica. E in un periodo in cui gli Stati tendevano a legare a sé e fissare al suolo, attraverso infeudazioni, condottieri e compagnie di ventura, in una risorgente forma di feudalismo guerriero, le milizie di B., formate soprattutto da ribaldi d'ogni specie, rappresentavano una forma sempre più anacronistica. In Francia più che mai in questo periodo la monarchia tendeva a sterminare tali residui della guerra dei Cento anni; e qualche cosa di analogo ci sembra aver fatto Cosimo, sebbene all'opera negativa di distruzione non si accompagnasse quella positiva della ricostruzione militare delle forze dello Stato.
Bibl.: Si vedano specialmente: L. Passerini, B. d'A.,in Arch. stor. ital.,s. 3, III, 2 (1866), pp. 131-166, e R. Cardarelli, B. d'A. e la Signoria di Piombino nel 1440 e 1441,Roma 1922, lavoro accuratissimo, basato su indagini d'archivio. Cfr. anche O. Berti, Carta degli sponsali di Annalena Malatesta con B. d'A.,in Giorn. stor. d. Archivi toscani, I(1857), p. 42; D. Secchioni, B. d'A. "uomo di guerra eccellentissimo",in Atti e Memorie dell'Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze,n. s., XXVIII-XXIX (1940), pp. 313-318; L. Simeoni, Le Signorie, II, Milano 1950, pp. 664 s., 680, 689; Encicl. Ital.,V, p. 940.