LONGHENA, Baldassare (Baldisera, Baldi)
Figlio primogenito di Melchisedech e di Giacomina, nacque probabilmente a Venezia alla fine del 1596, oppure all'inizio del 1597.
La sua data di nascita può essere calcolata approssimativamente sia sulla base della registrazione della sua morte (Tassini, 1887, p. 525), in cui si allude ai suoi "anni 85", sia sulla base della sua registrazione all'età di settantacinque anni nell'arte dei tagliapietra nel 1672 (Puppi, 1984, p. 387). Non è possibile essere più precisi perché i documenti relativi a quegli anni della parrocchia di S. Provolo, dove egli quasi certamente nacque, sono andati perduti. Il L. ebbe tre fratelli, Decio, Medea e Giovanni.
Fu architetto di Stato di Venezia dal 1640 al 1682; e la sua carriera coincise con quella dei suoi tre grandi contemporanei di Roma: G.L. Bernini, F. Borromini e Pietro Berrettini da Cortona, ma la sua vasta attività riguardò esclusivamente l'architettura.
La più accurata descrizione del carattere del L. fu tracciata negli anni Settanta del XVIII secolo dall'architetto Tommaso Temanza (1738, p. 34): "Baldassare visse vecchissimo. Era uomo piccolo di statura, vestiva sempre di nero, e sosteneva la professione con molto decoro. Era di una maniera assai dolce e di uno civile costume. Aveva in sua confidenza alcuni operarj di molta esperienza con li quali consigliava le cose sue. Aveva poi un costume di ascoltare tutti, anzi quando andava a visitare le sue fabbriche, chiamava a sé li capi mastri, e molte volte anco li più inesperti giornalieri, et con essi discorreva di ciò che emergeva nell'opera; poi raccoglieva il parere di ciascuni, e con tali lumi si determinava a quello le pareva migliore. Era molto stimato, e guadagnò gran summe".
Tuttavia, il giudizio di Temanza (1778, pp. 461 s.), secondo il quale il L. "dal basso mestiere di scarpellino senza studio, era salito al grado di Architettore", fu influenzato dalle osservazioni dispregiative di Francesco Milizia (1768, p. 310). E queste considerazioni negative perdurarono nel XIX secolo (Cicogna, III, pp. 402 s.), fino agli anni Cinquanta del Novecento (Semenzato, pp. 9 s.); mentre un'accurata analisi della vita e dell'opera del L. ha portato a una revisione del giudizio, a partire dalla sua educazione come tagliapietra e proto nella bottega del padre Melchisedech, il quale aveva stretti rapporti tra gli altri con A. Vittoria (Puppi, 2001, pp. 25 s.) e V. Scamozzi di cui il L. fu allievo (Temanza, 1738, p. 35). La bottega paterna dunque gli consentì non solo di ricevere un'adeguata educazione tecnica, ma fu anche l'ambiente giusto per un proficuo apprendistato. La vicinanza con Scamozzi e la conoscenza del suo trattato, oltre che di quelli di A. Palladio e soprattutto di S. Serlio, insieme con il mecenatismo della famiglia Contarini (Lewis, 1996, p. 627), dovettero essere di grande importanza per l'educazione architettonica del Longhena.
Il ruolo del L. nella bottega del padre è attestato da due lettere che egli scrisse per conto di Melchisedech a Girolamo Paliari a Udine nel febbraio del 1614 a proposito dell'erezione della colonna della Giustizia. Questa documentazione fornisce la prima dimostrazione della sua duplice formazione di tecnico, per quanto riguarda l'attività della bottega, e di segretario abile nella preparazione di lettere, gare d'appalti e contabilità, capacità congiunte che fecero del L. una delle prime figure di architetto professionista.
In seguito alla morte del padre e di Scamozzi, avvenute entrambe nel 1616, il L. si mise a capo della bottega familiare (Puppi, Nuovi documenti, 1983, p. 181), realizzando sia piccole opere per committenti privati, come per esempio la famiglia Pisani (Vio, 1986, p. 225), sia lavorando nell'importante cantiere delle prigioni nuove tra il 1617 e il 1628, inizialmente sotto la direzione del proto Bortolo Manopola, e a partire dal 1624 con Piero Bettinelli (Frank, 1999, pp. 325 s.). La prima commissione di rilievo gli giunse dai greci ortodossi di Venezia nel 1619 per progettare e realizzare un cenotafio commemorativo dell'arcivescovo di Filadelfia, Gabriele Seviros (Severo), nella loro chiesa di S. Giorgio dei Greci, dove suo padre aveva costruito l'altare maggiore nel 1604 (Veludo).
Fu Giovanni Lollin, un erudito in contatto con la comunità greca, che commissionò al L. la prima opera importante intorno al 1620: la ristrutturazione del suo palazzo sul Canal Grande a S. Vitale (Bassi, 1976, pp. 104-109; Puppi, La vera origine…, 1983, p. 1288).
La facciata di questo palazzo, realizzato in età giovanile, dimostra l'accurata scelta dei mezzi espressivi e la consapevole rinuncia a numerose forme architettoniche allora in voga, allo scopo di calibrare sensibilmente il linguaggio impiegato, adattandolo ai desideri e alla posizione sociale del committente, dando prova fin dall'esordio di quel metodo di progettazione che il L. avrebbe utilizzato per tutto il corso della sua carriera. Altri lavori della prima decade della maturità del L. sono il palazzo per Giovanni Da Lezze, adiacente alla Scuola della Misericordia nel sestiere di Cannaregio, cominciato verso il 1620 ma completato soltanto negli anni Quaranta, con un cortile decorato con busti alla romana (Mason, 1996, pp. 76-84), e i restauri cominciati intorno al 1627 del palazzo Serotti poi Widmann (Magani) a S. Canciano. Il L. potrebbe aver fornito disegni per il palazzo Marcello a rio S. Marina, una piccola parte dei quali fu probabilmente realizzata su suo disegno da altri tagliapietra alla fine degli anni Venti (Romanelli, p. 32). Inoltre, la paternità della facciata anteriore e di quella posteriore del palazzo di Pietro Basadonna nella parrocchia di S. Trovaso nel 1626-27 indica la sua precoce posizione di architetto progettista non esecutore: in questo caso il progetto fu infatti realizzato da Pietro Antonio Bettinelli, proto al magistrato del Sal (Frank, 1990, pp. 124 s.).
Già nel 1621 il L. come capomastro impiegava nella sua fiorente bottega familiare il primo di una lunga schiera di garzoni, in aggiunta ai suoi giovani fratelli Giovanni e Decio, entrambi tagliapietre (Vio, 1986, p. 225). Tra il 1622 e il 1627 il L., con Giovanni Grapiglia, realizzò l'altare maggiore della cattedrale di S. Stefano a Lesina (Hvar) in Dalmazia, per la costruzione del quale suo padre aveva stipulato un contratto nel 1615 (Fisković, pp. 161-163).
Nel 1624 il L. ricevette la sua prima importante commissione, la ricostruzione della cattedrale di S. Maria Assunta a Chioggia, un progetto che continuò fino agli anni Settanta (Hopkins, 1994).
Nonostante l'esplicita richiesta da parte dei committenti di realizzare una copia della cattedrale veneziana di S. Pietro di Castello, le forme architettoniche dell'interno sono più vigorose. Inoltre, la decisione da parte del L. di ruotare la facciata di 180 gradi, in modo da volgerla verso la piazza principale della città, è uno dei primi esempi che dimostrano la sua abilità nella pianificazione urbana.
Il 28 ag. 1625 il L. firmò un contratto che prevedeva il progetto e la realizzazione dell'altare di S. Caterina da Siena a S. Domenico di Castello; ma, non avendo egli compiuto quanto previsto, il committente si rivolse a un altro tagliapietra. Nel 1628 dovette intervenire la Giustizia vecchia quando il committente accusò il L. di aver mandato "Decio tagliapietra suo fratello il quale […] cacciò mano ad un pistolese che teneva a canto, e mi tirò un colpo nella spalla diritta" (Puppi, Nuovi documenti…, 1983, p. 183). Probabilmente, per evitare una condanna, Decio andò in esilio volontario in Dalmazia dove nel 1628 lavorava e riceveva denaro per conto del L. (Fisković).
A partire dal 1629 le qualità di architetto del L. furono riconosciute da committenti sia ecclesiastici, sia pubblici, come è dimostrato dal completamento dell'altare maggiore (distrutto) per la cattedrale di Torcello, S. Maria Assunta (Hopkins, 1995), dalla commissione pubblica di un progetto per un monumento in S. Stefano in onore di Bartolomeo d'Alviano (Niero, 1975) e, a seguito della peste del 1630, dalla commissione da parte del Maggior Consiglio di Chioggia di progettare e realizzare un altare dedicato all'apparizione della Beata Vergine nella chiesa tardocinquecentesca della Madonna della Navicella alla periferia della città (Tiozzo, 1930), significativo preludio alla partecipazione del L. al concorso alla fine del 1630 per il progetto e la realizzazione della chiesa di S. Maria della Salute, commissione pubblica che egli si aggiudicò e della quale fu da allora in poi supervisore (Hopkins, 2000).
Nel corso degli anni Trenta, in qualità di proto della chiesa della Salute, il titolo e l'impiego che definirono il resto della sua vita e della sua carriera, il L. poté conoscere molti dei suoi futuri committenti privati appartenenti al patriziato, man mano che costoro diventavano deputati sovrintendenti alla costruzione della chiesa della Salute. Per esempio, Girolamo Soranzo che era deputato nel 1635 e, dopo la sua morte avvenuta nel 1636, i suoi eredi si rivolsero al L. per progettare la nuova facciata di S. Giustina (1636-40), la sua prima importante commissione privata in ambito ecclesiastico (Gaier, pp. 263-270). Negli anni Trenta il L. portò a termine numerose piccole commissioni ed eseguì perizie per committenti ecclesiastici a S. Fantin (Vio, 1977), per i procuratori di S. Marco (Gallo, 1958-59, p. 199), per il duomo di Palmanova (Timofiewitsch), per la Scuola del Rosario a S. Domenico di Castello, e fu per molti anni supervisore alla ricostruzione di S. Antonino (Vio, 1976), dove fungeva sia da proto sia da procuratore.
Dopo una serie di significative commissioni minori, private ed ecclesiastiche, negli anni Trenta arrivarono le opere maggiori nelle quali il L. si impegnò negli anni Quaranta: nella chiesa di S. Giorgio Maggiore, contigua al monastero benedettino nel quale avrebbe progettato la biblioteca e una scala monumentale, il L. progettò il Monumento Michiel nel 1635 e il Monumento Civran nel 1638 (Damerini, p. 27). Nel 1637 ristrutturò un'abitazione per Giovanni Pesaro (Biadene, 1982-83), il quale successivamente gli commissionò il palazzo più grandioso eseguito dal Longhena. Le perizie ufficiali, insieme con i lavori privati come la stima del 1638 per il procuratore di S. Marco de supra Francesco Molin (Lewis, 1973, p. 309; sul retro della quale stima si trova un disegno del L. per una loggia di due piani), gli consentirono di ottenere il 5 apr. 1638 la nomina ad "adjutante" del proto ai Procuratori di S. Marco, Marco della Carità (Gallo, 1958-59, p. 199). Nel 1639 il L. fu supervisore del progetto di ricollocamento delle Beccarie in piazza S. Marco ed eseguì una perizia sulle condizioni di S. Basso, fino a essere nominato, il 16 dic. 1640, dopo la morte del titolare, "proto ai procuratori", l'equivalente di architetto di Stato (ibid.), una carica che il L. ricoprì per oltre quaranta anni, fino a poche settimane prima della sua morte.
In tale veste, oltre alla costante gestione di tutte le ingenti proprietà dei Procuratori, il L. si dedicò a una grande quantità di opere: completò l'architettura monumentale delle Procuratie nuove cominciate dal suo maestro Scamozzi (Hopkins, 2003), progettò nuovi arredi cerimoniali per S. Geminiano nel 1659 (Cicogna, IV, pp. 9 s.), nel 1669 realizzò le nuove Beccarie dietro le Procuratie nuove in piazza S. Marco (Hopkins, L. proto…, 2005) e disegnò l'elegante catafalco per le esequie celebrate nella cappella ducale di S. Marco in memoria di François de Beaufort, duca di Vendôme, riprodotta in una stampa da Antonio Bosio nel 1669 (Cicogna, IV, pp. 642 s.). L'ultimo rilevante lavoro del L. per i Procuratori fu la ricostruzione, a partire dal 1671, della piccola chiesa di S. Basso, la cui classica facciata domina la piazzetta adiacente a S. Marco (Gallo, 1958-59).
I grandi progetti degli anni Quaranta cominciarono nel 1641 con la biblioteca benedettina di S. Giorgio Maggiore posta sopra la scenografica loggia tra i due cortili (anch'essa opera sua), per la quale il L. disegnò anche gli scaffali, seguita nel 1643 dal monumentale scalone a due rampe (Damerini, pp. 99 s.). Il L. riproporrà in vario modo l'impianto di questi suoi due lavori su richiesta di altri numerosi committenti ecclesiastici (Beldon Scott). Si vedano in particolare la scala e la biblioteca dei Ss. Giovanni e Paolo, cominciate rispettivamente nel 1664 e nel 1669, sebbene il primo progetto della biblioteca, del quale si conservano cinque disegni, non fu realizzato, oltre alla splendida scala e alla biblioteca per il cenobio dei somaschi adiacente alla Salute cominciata negli anni Settanta (Niero, 1977). È possibile che il L. negli anni Sessanta lavorasse anche al progetto delle biblioteche nell'edificio conventuale contiguo agli Scalzi e a S. Nicolò da Tolentino (Hopkins, L., 2005).
Nel 1646 e nel 1651, mentre stava realizzando ambiziosi e ben remunerati progetti, il L. acquistò la maggior parte delle proprietà in cui visse (Vio, 1986, p. 226). A funestare questo fiorente periodo concorsero nel 1652 la morte della sorella Medea e l'anno successivo quella del fratello Giovanni, suo braccio destro fin dagli anni Venti. Il L., che aveva bisogno di collaboratori fidati per i suoi importanti progetti, si rivolse così a Girolamo Garzotto che aveva già lavorato con lui e con suo fratello nel 1653 (Id., 1976, pp. 231-233) e il cui figlio sarebbe divenuto suo erede e avrebbe assunto il nome di Baldassare.
Negli anni Quaranta il L. cominciò anche a dedicarsi a una serie di prestigiose commissioni nella cattedrale di S. Pietro di Castello, a cominciare dall'altare Morosini nel 1641 (Rossi, 1988) per Gianfrancesco, fratello maggiore di Alvise che era stato podestà di Chioggia nel 1633.
Per entrambi il L. a partire dal 1645 avrebbe restaurato il palazzo Morosini dal Giardin a S. Canciano (distrutto intorno al 1840), famoso per la collezione di animali esotici nel cortile (Bassi, 1964). Nella cattedrale il L. progettò anche l'altare maggiore dedicato a S. Lorenzo Giustinian nel 1648 (Vio, 1981). Questo appartiene a una serie di altari maggiori isolati con figure scolpite, spesso realizzati con il fiammingo Juste Le Court, tra cui l'altare maggiore di S. Nicolò da Tolentino iniziato nel 1661 (Ivanoff, 1945 e 1948), quello di S. Daniele (distrutto) cominciato nel 1662-63, che ospitava l'enorme tela Daniele tra i leoni di Pietro da Cortona (Zorzi; Bassi, 1997), e quello nella chiesa della Salute cominciato nel 1670 che, con Venezia e la Vergine che scacciano la peste dalla città di Le Court, è uno dei due più importanti gruppi scultorei veneziani del XVII secolo, entrambi concepiti dal Longhena. Di eguale importanza e anche di maggiore bellezza è la cappella Vendramin che il L. realizzò sempre nella cattedrale nel 1654 (Mason, 2000). Al suo interno si trovano una pala d'altare dipinta da Luca Giordano e un ciclo di sculture di Michele Fabris (detto Ongaro); opere sistemate all'interno di una cornice architettonica e spaziale concepita dal L., che dimostra la sua grande capacità di progettare e di guidare la realizzazione di progetti di collaborazione sia di piccole dimensioni, ma di alto pregio come in questo caso, sia di dimensioni maggiori come nel caso della chiesa della Salute o nel caso dei grandi palazzi coevi.
A partire dalla metà degli anni Quaranta con il completamento del corpo principale dell'edificio, l'importanza dello straordinario progetto della chiesa della Salute divenne sempre più evidente e fu celebrato nel 1644 in una stampa di Marco Boschini, fatto che contribuì ad accrescere ulteriormente la fama del L. a Venezia. Gli commissionarono infatti una serie di ambiziosi progetti, tra cui il restauro del palazzo Morosini iniziato nel 1645 e del palazzo di Bortolo e Diana Belloni nel 1648 sul Canal Grande, con la sua facciata riccamente decorata, iniziato subito dopo che i committenti acquisirono la nobiltà veneziana nel 1646. Quasi in risposta alle pretese di questi "nuovi" nobili, nel 1649 Giovanni Pesaro gli chiese di progettare un palazzo ancora più imponente sul Canal Grande a S. Stae (Fiocco, 1925); probabilmente negli stessi anni, l'illustre patrizio Filippo Bon commissionò al L. il più sobrio, ma egualmente grandioso palazzo sul Canal Grande a S. Barnaba (Bassi, 1961).
Sia il palazzo Pesaro, sia quello Bon sono eccezionali per le loro dimensioni e per il fatto di essere stati concepiti come enormi masse scultoree nelle quali la tradizionale disposizione architettonica tripartita veneziana della facciata è regolata da una disposizione quasi continua delle finestre poste tra ordini riccamente articolati. Inoltre, la disposizione interna rivela l'intenzionale enfasi posta dal L. nell'accurata successione delle sale e del grandioso scalone (Lewis, 1982, pp. 24-26) per ospitare importanti cerimonie secondo i nuovi costumi in voga nell'Italia dell'epoca.
Il L. fu occupato dal 1649 in poi nel progetto del monastero carmelitano e nella chiesa degli scalzi a Venezia, S. Maria di Nazareth, con un progetto definitivo del 1654 (Montibeller) che è particolarmente innovativo per l'uso della navata unica con le cappelle laterali, di cui le due mediane in sostituzione del transetto, e per la volta che unifica visivamente lo spazio interno, il cui effetto è accentuato dallo scenografico altare maggiore progettato e realizzato in seguito da Giuseppe Pozzo (Lewis, 1979).
Fu il suo metodo di procedere professionale, consistente nel fornire disegni e modelli insieme, descrizioni dettagliate e valutazione dei costi del lavoro da eseguire per ogni progetto, che consentì al L. di impegnarsi simultaneamente in tanti cantieri a partire dalla fine degli anni Quaranta a Venezia. Il L. era comunque così ricercato che per alcuni lavori il suo coinvolgimento si limitò alla realizzazione di alcuni schizzi o semplici disegni, abbozzati talvolta senza neppure visitare il sito: spesso questi erano semplicemente consegnati al committente che avrebbe fatto realizzare l'opera da artigiani locali.
Così successe per il progetto della loggia nel giardino Valmarana a Vicenza eseguito per Gian Luigi nel 1649, a proposito del quale il L., in una lettera al committente del 22 apr. 1649, chiedeva scusa per il ritardo facendo riferimento agli altri suoi impegni (Lewis, 1996, p. 629). Nel caso delle nuove prigioni di Vicenza, il L. visitò il sito nel 1656 e consegnò dei progetti che furono realizzati dal proto locale (Bortolan; Mazzi). Tra gli altri lavori realizzati in modo simile ci sono il progetto per la villa di Castelfranco Veneto nel 1648 per i Soranzo, a lungo suoi committenti (Vio, 1986, pp. 225 s.), e il campanile della rotonda della Beata Vergine del Soccorso a Rovigo nel 1655. Questo modo di operare spiega molte delle anomalie di S. Maria Assunta, l'arcipretale di Loreo, tra Chioggia e Rovigo, costruita a partire dal 1658 (Tiozzo, 1939-40), che nella progettazione dimostra la mano del L., ma nell'esecuzione manifesta quella di artigiani locali poco esperti, fatta eccezione per i due altari laterali principali che furono probabilmente realizzati nella bottega del L. a Venezia e successivamente portati sul posto.
Pare che il L. sia stato più direttamente coinvolto nel progetto e nella realizzazione di numerose ville in Veneto: verso il 1648 una villa a Treville (distrutta nel 1820 circa), nei pressi di Castelfranco Veneto, per il procuratore Alvise Priuli (Lewis, 1996, p. 629); la villa a Paluello sul Brenta per Vincenzo Viaro nel 1657 (Frank, 1994); un progetto iniziale intorno al 1656 per la villa Da Lezze (distrutta nel 1815 circa) a Rovarè di San Biagio di Callalta, presso Treviso (Bassi, 1965, pp. 42-53; Azzi Visentini); e l'importante villa Contarini delle Torri sul Brenta a Mira Taglia, costruita tra il 1661 e il 1668 per Pietro Contarini, che trasse ispirazione direttamente dal trattato di Serlio (Bassi, 1987). In quest'opera il L. accentuò gli effetti scenografici previsti da Serlio, in modo che l'edificio potesse essere visto e ammirato da lontano come poi effettivamente accadde alle generazioni successive di architetti in viaggio per il Veneto.
Alla fine degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta la sua bottega assunse impegni più assidui; e il 26 apr. 1660 il L. richiese e ottenne dalla Giustizia vecchia di essere esentato dal ruolo di gastaldo dell'arte dei tagliapietra per via del suo incarico di proto della chiesa della Salute (Vio, 1986, p. 225). Nel 1661 il L. risultava essere ancora affittuario della famiglia Zane (Bassi, 1961), ma dichiarava la proprietà della casa in cui viveva e di altre abitazioni dalle quali riceveva una rendita di 50 ducati l'anno (Puppi, 1984, p. 391).
Negli anni Cinquanta e Sessanta fece perizie e interventi limitati in opere di piccole e grandi dimensioni di cui nella maggior parte dei casi erano responsabili altri. Insieme con l'ingegnere Sebastiano Roccatagliata il L. fu invitato a fornire una consulenza a proposito della facciata del duomo di Milano nel 1653 (Schofield - Repishti). Inoltre, pare che il L. desse utili consigli alla comunità ebraica di Venezia (Zanotto, p. 334) e che, probabilmente, la sua bottega fornisse direttamente il bema della Scuola spagnola negli anni Cinquanta e Sessanta (Concina). Sono anche documentati il coinvolgimento del L. nella Scuola di S. Teodoro negli anni 1657-68 (Gallo, 1962; Colusso) e l'invito, in virtù della sua carica, a fornire una consulenza e a realizzare un modello per la Scuola Grande dei Carmini nel 1668, a proposito del quale i committenti scrissero: "modello fatto dal S. Baldisera Longano Protto di questa città" (Fontana). Tuttavia anche in questo caso l'opera fu compiuta da altri.
Eseguì poi un gran numero di lavori nei tardi anni Cinquanta e negli anni Sessanta a S. Giorgio Maggiore, a Ca' di Dio dove seguì le orme di Iacopo Sansovino (Pilo, pp. 104 s.), a partire dal 1658, e negli anni Settanta quando fu impegnato nel progetto dell'ospedale di Gesù Cristo presso S. Antonio di Castello (distrutto). Nel 1668 il L. fu chiamato a Padova presso la chiesa di S. Antonio per eseguire una perizia sul lavoro che si stava compiendo sull'altare maggiore (Sartori), e continuò a lavorare presso tre istituzioni adiacenti ma contigue, centrate su Ss. Giovanni e Paolo, la sua scuola e l'albergo: il monastero benedettino di S. Domenico, dove egli decorò i corridoi del dormitorio a partire dal 1666 e progettò la biblioteca nel 1674; l'ospedale di S. Lazzaro dei Mendicanti con lavori nel secondo chiostro e la realizzazione di un archivolto, della scala per la sezione maschile nel 1656 e del pozzo nel chiostro nel 1678 (da Portogruaro; Aikema - Miejers, pp. 197 s.); l'ospedale di S. Maria dei Derelitti, detto l'Ospedaletto, dove lavorò dapprima ai locali di servizio e poi, a partire dal 1670, in seguito al cospicuo lascito di Bartolomeo Cargnoni, alla facciata, arricchita da una esorbitante decorazione plastica (Gaier, pp. 315-322). Inoltre è documentato l'intervento del L. sull'altare maggiore della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.
Del 1673 è il progetto della nuova Cavallerizza (Biadene, 1982, p. 137; Mancini et al.) adiacente al teatro di Ss.Giovanni e Paolo, cominciato nel 1660, ciò che dimostra gli importanti cambiamenti sociali che si verificarono a Venezia tra l'inizio del secolo, quando c'erano pochissimi cavalli, e la metà del secolo, quando cominciò a diffondersi una moda aristocratica "francese" e fu fondata una scuola di equitazione ai Mendicanti. L'attività del L. per Ss. Giovanni e Paolo permette di analizzare a fondo le sue relazioni personali: nel 1674 il L. lavorò senza ricevere denaro, rinunciando al compenso di 600 ducati, e aggiunse egli stesso 300 ducati per avere allo stesso tempo assunto un giovane domenicano figlio di Girolamo Girotti, il quale gli aveva affidato la moglie e i figli (Fogolari, p. 482).
In qualità di architetto più rinomato di Venezia, negli anni Sessanta e Settanta il L. progettò e realizzò la maggior parte delle grandi tombe monumentali del periodo, compresi il monumento pubblico al principe Almerico d'Este di Modena del 1666 ai Frari; al principe Orazio Farnese di Parma dello stesso anno nella chiesa dei gesuiti; al procuratore Lorenzo Venier del 1667 a S. Giorgio Maggiore; al capitano Cattarino Cornaro del 1674 nella basilica del Santo a Padova; al procuratore Giorgio Morosini del 1678 a S. Clemente all'Isola (Lewis, 2000).
Tutte queste tombe, a eccezione del monumento a Lorenzo Venier, si distinguono per la presenza della statua dell'effigiato a grandezza naturale, stante o in ginocchio. Tuttavia, il più spettacolare saggio del L. in questo genere di opere, il mausoleo del doge Giovanni Pesaro (morto nel 1659) ai Frari, fu realizzato dal nipote ed erede Leonardo, che portò anche a termine la costruzione del palazzo dei Pesaro a S. Stae sotto la direzione del L., e fu eretto tra il 1665 e il 1669. Esso rappresenta il doge sul trono sorretto da draghi e circondato da figure allegoriche sovrastante quattro mori in marmo nero che sorreggono una trabeazione e sono affiancati da due scheletri di bronzo che sostengono l'iscrizione commemorativa progettata dall'erudito piemontese abate Emanuele Tesauro e testimoniata dall'incisione del 1669 di Giambattista Finazzi (Rossi, 1990). Lo stile del L. dominò nettamente il XVII secolo veneziano; e le opere realizzate autonomamente dai suoi collaboratori si avvicinano talmente al suo linguaggio espressivo che spesso è difficile attribuire la paternità di alcuni lavori, come nel caso del Monumento della famiglia Paruta a S. Spirito (Zanotto, p. 549). Il L. inoltre progettò e realizzò, spesso in collaborazione con scultori tra i quali Juste Le Court, importanti altari, come quelli della Crocifissione del 1658 (distrutti) per S. Ternità e per la cappella del capitolo del 1676 a S. Clemente in Isola in collaborazione con Michele Fabris (Nacamulli, 1985, p. 96; Lewis, 1996, p. 630), quello del 1669 per la chiesa della Madonna del Carmine, per la chiesa di S. Francesco a Zara (Vio, 1986, pp. 226 s.), per S. Maria delle Vergini a Venezia nel 1674 (Cicogna, V, p. 14), e ovviamente quello per la chiesa della Salute, ancora con Juste Le Court nel 1670, anno in cui cominciò anche a lavorare all'adiacente cenobio dei somaschi.
Un altro progetto, successivo alla progressiva trasformazione e al rinnovamento dell'"isola della Salute", fu la ricostruzione dei magazzini della dogana da mar per la quale il L. realizzò tre progetti distinti, presumibilmente per non ostacolare la vista della sua chiesa. Tuttavia i progetti del L. furono rifiutati perché i procuratori, in veste di committenti, desideravano qualcosa di più spettacolare e simbolico e alla fine scelsero il progetto presentato da Giuseppe Benoni (Hopkins, 2002).
Verso la fine della sua vita il L. ritornò ai suoi antichi committenti, i membri della comunità greca, per i quali nel 1658 aveva iniziato la costruzione di alcune abitazioni nella calle della Madonna secondo un progetto del 1640 (Cristinelli). Nel 1676 il L. cominciò i progetti per la Scuola di S. Nicolò e per l'adiacente collegio Flangini a S. Giorgio dei Greci (entrambi portati a termine da un altro collaboratore, Alessandro Tremignon, proto dell'Arsenale), che dimostrano il suo talento nella pianificazione urbana per aver posizionato questi due edifici in modo tale da creare un piccolo grazioso campo tra essi e il canale (Romanelli, 1982, p. 32; Calabi). Un'altra indicazione dei suoi legami con la comunità greca risale al 1678, quando il L. si associò con il capitano Pietro Greco per acquistare una marsiliana chiamata "Madonna di Loreto e San Giuseppe", destinata al trasporto di pietra istriana a Venezia (Vio, 1986, p. 228).
Il L. lavorò fin quasi alla fine della sua vita dedicandosi a molte opere minori, come per esempio il progetto degli "armadi della sagrestia della chiesa parrocchiale di S. Martino nel 1673" (ibid.), il progetto per case in affitto nella parrocchia di S. Fantin attorno al 1680 (Lewis, Una decina di documenti…, 1973), il progetto esecutivo per l'ospizio delle "muneghette" nella parrocchia di S. Martino il 23 ag. 1681 (Bassi, 1965). Il 7 dic. 1681 il L. autorizzò il suo assistente Domenico Marguti, che in seguito lo sostituì nella carica di proto, ad accordarsi con le autorità di Chioggia per erigere un altare nella cattedrale (Vio, 1986, p. 227), seguendo il progetto del pulpito che lo stesso L. aveva lì realizzato nel 1677 (Pregnolato). Di sicuro i documenti più rilevanti sono quelli del 28 nov. 1679 nei quali il L., al termine della sua vita, indicava ciò che ancora bisognava completare nella chiesa della Salute (Hopkins, 2000, pp. 205-207) e presentava la sua richiesta di dimissioni dalla carica di proto ai procuratori poche settimane prima della morte.
Il L. morì a Venezia il 18 febbr. 1682.
Aveva fatto testamento il 15 maggio 1681 (Puppi, 1984, p. 391), lasciando a Baldassare Garzotto, figlio di Girolamo, le case in "contrà San Severo e San Giovanni Novo".
Consapevole del fatto che la chiesa della Salute fosse il suo capolavoro e l'opera più importante della sua vita, nei documenti a partire dal 1631 il L. si firmò sempre "protto alla nuova chiesa della Salute". Negli anni Settanta del Seicento, quando la chiesa stava per essere completata, la sua fama aveva cominciato ad attrarre l'attenzione dei visitatori di Venezia, come la gentildonna Sofia Opalinski che, in viaggio dalla Polonia a Roma, si fermò a Venezia nel 1676 e chiese al L. di realizzare un progetto per la chiesa della Congregazione dell'Oratorio dedicata all'Immacolata Concezione, costruita a Gostyn a partire dal 1677-82 (Kowalczyk). Un abbozzo e una planimetria della chiesa della Salute eseguiti dal L. sono venuti recentemente alla luce (Hopkins, L.s second sanctuary…, 1994, e 1997) con altri disegni (Schulz) che vanno ad aggiungersi a quelli della Raccolta Gaspari conservati al Museo Correr di Venezia. Questi ultimi stimolarono il pionieristico lavoro di Elena Bassi, complementare alla brillante coeva analisi della natura scenografica di S. Maria della Salute compiuta da Wittkower (1957 e 1963), che a sua volta stimolò l'analisi sociopolitica di Muraro (1973 e 1977).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Milizia da Mar, b. 553; Venezia, Arch. stor. del Patriarcato, Parrocchia di S. Zaccaria, Parrocchia di S. Severo, Morti, 31 ott. 1664 - 13 febbr. 1690 (alla data 18 febbr. 1682); Udine, Biblioteca civica, Archivio storico, X, lettera C, cc. 232r-233r; T. Temanza, Zibaldon (1738), a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, pp. 31-37; F. Milizia, Le vite de' più celebri architetti d'ogni nazione e d'ogni tempo…, Roma 1768, p. 310; T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani… nel secolo decimosesto, Venezia 1778, pp. 461 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, II, Venezia 1827, p. 127; III, ibid. 1830, pp. 402 s.; IV, ibid. 1834, pp. 9 s., 642 s.; V, ibid. 1842, p. 14; G. Veludo, Cenni sulla colonna greca orientale, in Venezia e le sue lagune, Venezia 1847, I, App., pp. 86 s.; F. Zanotto, Nuovissima guida di Venezia e delle isole della sua laguna, Venezia 1856, pp. 334, 549; D. Bortolan, Supplizi e prigioni, Vicenza 1886, p. 27; G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1887, p. 525; G. Fiocco, Palazzo Pesaro, in Riv. mensile della città di Venezia, IV (1925), pp. 377-403; Id., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 353-355; I. Tiozzo, Alcune lettere di B. L., in Archivio veneto, s. 5, IV (1930), pp. 180-191; G. Fogolari, L'opera del L. per il convento e la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, in Riv. mensile della città di Venezia, XI (1932), pp. 475-484; D. da Portogruaro, Un'opera ignota di B. L., ibid., XII (1933), pp. 25-30; P. Guerrini, Famiglie nobili bresciane: i Longhena ora Romei-Longhena (1936), in Araldica: famiglie nobili bresciane, Brescia 1984, pp. 203-213; I. Tiozzo, Lorea e la sua arcipretale, in Atti dell'Istituto veneto di scienze lettere e arti, C (1939-40), p. 802; N. Ivanoff, Una ignota opera del L.: l'altar maggiore dei Tolentini, in Ateneo veneto, CXXXVI (1945), pp. 94-100; Id., Monsu Giusto ed altri collaboratori del L., in Arte veneta, II (1948), pp. 115-126; C. Montibeller, La pianta originale inedita della chiesa dei padri carmelitani scalzi di B. L., ibid., VII (1953), pp. 172 s.; C. Semenzato, L'architettura di B. L., Padova 1954; G. Damerini, L'isola e il cenobio di San Giorgio Maggiore, Venezia 1956, pp. 27, 99 s.; R. Wittkower, S. Maria della Salute: scenographic architecture and the Venetian baroque, in Journal of the Society of architectural historians, XVI (1957), pp. 3-10; E. Bassi, Episodi dell'edilizia veneziana nei secoli XVII e XVIII: palazzo Pesaro, in Critica d'arte, n.s., VI (1959), pp. 240-264; R. Gallo, La loggia e la facciata della chiesa di S. Basso e B. L., in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXVII (1958-59), pp. 179-202; E. Bassi, Un episodio dell'edilizia veneziana nel secolo XVII: i palazzi Zane a San Stin, in Arte veneta, XV (1961), pp. 155-164; R. Gallo, La Scuola grande di S. Teodoro di Venezia, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXVIII (1961-62), pp. 476-479; E. Bassi, Architettura del Sei e Settecento a Venezia, Napoli 1962, ad ind.; R. Wittkower, S. Maria della Salute. Saggi e memorie di storia dell'arte, III (1963), pp. 33-54; E. Bassi, Episodi dell'architettura veneta nell'opera di A. Gaspari, ibid., pp. 88-93, 99-101; Id., Palazzo Morosini dal Giardin, in Critica d'arte, n.s., XI (1964), 65-66, pp. 31-39; Id., Le muneghette, ibid., XII (1965), 70, pp. 43-46; Id., La villa Lezze, ibid., 73, pp. 42-53; G. Cristinelli, B. L.: architetto del '600 a Venezia, Padova 1972, pp. 167-172; E. Bassi - J. Kowalczyk, L. in Polonia: la chiesa dei filippini di Gostyn, in Arte veneta, XXVI (1972), pp. 250-262; D. Lewis, Una decina di documenti del L., ibid., XXVII (1973), pp. 309-317; Id., B. L., ibid., pp. 328-330; M. Muraro, Il tempio votivo di S. Maria della Salute in un poema del Seicento, in Ateneo veneto, n.s., XI (1973), pp. 87-119; A. Niero, Un'ignota opera di B. L. a S. Stefano di Venezia, ibid., XIII (1975), pp. 55-60; E. Bassi, Palazzi di Venezia. Admiranda urbis Venetae, Venezia 1976, pp. 104-109; C. Fisković, Hvarska katedrala (La cattedrale di Hvar), Split 1976, pp. 161-165; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 142 s.; G. Vio, Il L. e la chiesa di S. Antonin in Venezia, in Arte veneta, XXX (1976), pp. 228-232; M. Muraro, Iconografia e ideologia del tempio della Salute a Venezia, in Barocco fra Italia e Polonia, a cura di J. Slaski, Warsawa 1977, pp. 71-78; A. Niero, Episodi della scultura barocca del Seicento veneziano: lo scalone del seminario patriarcale, in Ateneo veneto, n.s., XV (1977), pp. 15-28; G. Vio, I "Mistri" della chiesa di S. Fantin in Venezia, in Arte veneta, XXXI (1977), pp. 225-231; W. Timofiewitsch, Ein Beitrag zur Baugeschichte des "Duomo" in Palmanova, ibid., pp. 250-259; G. Mazzi, Rifunzionalizzazione della basilica di Vicenza allo scorcio del '600, in Controspazio, IX (1977), 3, pp. 38-43; D. Lewis, The late baroque churches of Venice, New York-London 1979, pp. 59-67; G.M. Pilo, J. Sansovino, B. L., M. Lucchesi, B. Maccanuzzi: interventi edilizi di tre secoli alla Ca' di Dio di Venezia…, in Notizie da palazzo Albani, VIII (1979), pp. 100-112; G. Vio, L'altare di S. Lorenzo Giustiniani in S. Pietro di Castello, in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 209-217; M. Colusso, La Scuola grande di S. Teodoro, Dolo 1981; B. Aikema - D. Meijers, S. Lazzaro dei Mendicanti: the Venetian beggars' hospital and its architects, in Boll. del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio, XXIII (1981), pp. 189-202; D. Lewis, in Macmillan Encyclopedia of architects, III, New York-London 1982, pp. 24-27; J. Beldon Scott, Allegories of divine wisdom in Italian baroque art, Ann Arbor, MI, 1982, pp. 205-259; M. Gemin, La chiesa di S. Maria della Salute e la cabala di Paolo Sarpi, Abano Terme 1982; L. Puppi, in L. (catal., Lugano), Milano 1982, pp. 15-30; G.D. Romanelli, ibid., pp. 31-56; S. Biadene, ibid., pp. 57-178; Id., B. L. proto, tesi di dottorato, facoltà di lettere, Università di Padova, 1982-83; L. Puppi, La vera originedella famiglia Longhena e Melchisedec "Tagliapietra", in Studi in onore di Gino Barbieri, III, Pisa 1983, pp. 1269-1289; Id., Nuovi documenti sul L., in Notizie da palazzo Albani, XII (1983), pp. 181-188; Id., Le case, e il testamento, di B. L., in Interpretazioni veneziane. Studi di storia dell'arte in onore di Michelangelo Muraro, a cura di D. Rosand, Venezia 1984, pp. 387-391; A. Zorzi, Venezia scomparsa, Milano 1984, pp. 219 s.; F. Nacamulli, Michael Fabris Ongaro, in Arte veneta, XXXIX (1985), pp. 87-100; G. Vio, Nella cerchia del L., ibid., XL (1986), pp. 225-229; E. Bassi, Ville della provincia di Venezia, Milano 1987, p. 334; P. Rossi, L'altare di F. Morosini di S. Pietro di Castello… qualche precisazione… per il catalogo di F. Cavrioli, in Arte veneta, XLII (1988), pp. 163-169; F. Magani, Il collezionismo e la committenza artistica della famiglia Widmann, patrizi veneziani, dal Seicento all'Ottocento, Venezia 1989, pp. 13-18; M. Frank, B. L. e il palazzo Basadonna a S. Trovaso, in Annali di architettura, II (1990), pp. 121-125; P. Rossi, I "Marmi loquaci" del monumento Pesaro ai Frari, in Venezia Arti, IV (1990), pp. 84-93; E. Concina, Parva Jerusalem, in La città degli ebrei: il ghetto di Venezia, architettura e urbanistica, Venezia 1991, pp. 130-133; M. Pregnolato, Alcune opere scultoree seicentesche della cattedrale clodiense: notizie d'archivio e riflessioni, in Venezia Arti, VII (1993), pp. 172-178; M. Frank, L. in Brenta, in Annali di architettura, VI (1994), pp. 158-163; A. Hopkins, L. before Salute: the cathedral at Chioggia, inJournal of the Society of architectural historians, LIII (1994), pp. 199-214; Id., L.s second sanctuary design for S. Maria della Salute, in The Burlington Magazine, CXXXVI (1994), pp. 498-501; Id., B. L., S. Maria della Salute, and the influence of ducal ceremony on architectural design, tesi di dottorato, Courtauld Institute of Art, London 1995; E. Bassi, Il Seicento. L'architettura, in Storia di Venezia. L'arte, II, Roma 1995, pp. 3-61; V. Fontana, L. e la Scuola grande dei Carmini, in Venezia Arti, IX (1995), pp. 45-50; F. Mancini et al.,I teatri di Venezia: teatri effimeri e nobili imprenditori, I, Venezia 1995, pp. 429 s.; D. Lewis, in The Dictionary of art, XIX, New York-London 1996, pp. 627-631; S. Mason, Questioni di buon vicinato: Ca' da Lezze e la Scuola grande della Misericordia, in Arte veneta, XLIX (1996), pp. 76-85; E. Bassi, Tracce di chiese veneziane distrutte: ricostruzioni dai disegni di A. Visentini, Venezia 1997, pp. 122-137; A. Hopkins, Plans and planning for S. Maria della Salute, Venice, in The Art Bulletin, LXXIX (1997), pp. 440-465; M. Azzi Visentini, Architettura, giardino e paesaggio nelle ville venete, in Il tempo di Dario Varotari: pittore e architetto. Atti del Convegno…, …1997, a cura di E. Castellan, Selvazzano Dentro 1997, p. 119; P. Rossi, Bernardo Falconi collaboratore del L. negli altari dei Ss. Giovanni e Paolo e di S. Pietro di Castello, in Studi in onore di Elena Bassi, Venezia 1998, pp. 41-49; M. Frank, B. L. (1597-1682), tesi di abilitazione, Wien Universität, 1999; A. Hopkins, S. M. della Salute: architecture and ceremony in baroque Venice, Cambridge 2000; D. Lewis, Three State tombs by L., in The Burlington Magazine, CXLII (2000), pp. 763-769; S. Mason, Il patriarca F. Vendramin committente e collezionista d'arte, in L'arte nella storia. Contributi di critica e storia dell'arte per G.C. Sciolla, Milano 2000, pp. 243-257; L. Puppi, Alessandro Vittoria, il Greco, i Greci: con alcune brevi stravaganze, in Alessandro Vittoria e l'arte veneta della maniera, a cura di L. Finocchi Ghersi, Udine 2001, pp. 25 s.; A. Hopkins, La dogana da mare e l'isola della Salute: da zona industriale a zona di rappresentanza, in Architettura: processualità e trasformazione, a cura di M. Caperna - G.F. Spagnesi, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, Università di Roma La Sapienza, 2002, nn. 34-39, pp. 405-416; M. Gaier, Facciate sacre a scopo profano: Venezia e la politica dei monumenti dal Quattrocento al Settecento, Venezia 2002, pp. 263-270, 315-322; D. Calabi, L'insediamento greco e il contesto urbano, in I Greci a Venezia, a cura di M.F. Tiepolo - E. Tonetti, Venezia 2002, pp. 555-568; A. Hopkins, V. Scamozzi e B. L., in Vincenzo Scamozzi 1548-1616 (catal., Vicenza), a cura di F. Barbieri - G. Beltramini, Venezia 2003, pp. 120-127; R. Schofield - F. Repishti, Architettura e Controriforma: i dibattiti per la facciata del duomo di Milano, 1582-1682, Milano 2004, pp. 405-407; J. Schulz, La Fabrica Nova a S. Silvestro di B. L., in Per F. Barbieri. Studi di storia dell'arte e dell'architettura, a cura di E. Avagnina - G. Beltrami, Venezia 2005, pp. 403-417; A. Hopkins, L., Milano 2005; A. Hopkins, L. proto e architetto: disegni e documenti per le aree attorno alla piazza, in Arte veneta, LX (2005), pp. 199-206.