LONGHENA, Baldassare
Architetto e scultore, nato a Venezia nel 1598, ivi morto il 18 febbraio 1682. Fu certo il più grande architetto veneziano; inteso questo nel senso di architetto pittorico. Figlio di Melchisedech, originario di Maroggia, e come lui dapprima modesto scultore (la sua opera iniziale è l'insignificante monumento all'arcivescovo Severo in San Giorgio dei Greci, del 1619), ebbe la fortuna di crescere sotto la direttiva di Vincenzo Scamozzi (morto nel 1616), che ebbe importanza capitale per gli sviluppi del suo stile, sapientissimo eppure regolarissimo, rimasto fino all'ultimo, vera oasi anche a Venezia entro al barocco, ligio alla tradizione del Rinascimento. Il L. rappresenta in fondo lo sviluppo tardivo, ma necessario, delle tendenze sansovinesche, che il Sammicheli e specie il Palladio avevano soffocato sul nascere, sviluppo di cui lo Scamozzi fu piuttosto la vittima che l'eroe. Temperamento positivo, pacato e pratico, rappresentò nella realtà, che più conta, quello che l'iracondo suo maestro aveva rappresentato appena nella teoria.
L'attività del Longhena pertanto, non fu rivoluzionaria, ma semplice, rettilinea, e solo a grado a grado più conscia e perfetta. Nelle costruzioni civili, a cominciare dal palazzo Giustinian Lolin all'Accademia, forse del 1623, seguiti da quelli Da Lezze (Misericordia), Papadopoli (S. Marina), Zanne (S. Stin) giù giù sino al palazzo Widman a San Canciano, che è del 1630 circa; e poi quale proto per le Procuratie Nuove (aiuto nel 1638, in carica dal 1640) si attenne strettamente allo Scamozzi; ma illuminando i suoi progetti di una scienza dei rapporti mirabile, che ci fa subito capire come egli fosse dei pochi che hanno "le seste negli occhi". Subito poi, nel palazzo Battagia, presso il Fondego del Meio, la sua visione si arricchisce, accogliendo motivi del Vittoria, e sviluppando con i modi del Sammicheli la solidità del primo piano, tanto necessaria e tanto trascurata per l'innanzi. Questo nuovo rapporto trionfa nel palazzo Rezzonico, mirabilmente e praticamente sviluppato per acqua e per terra, dove riprende le grandiose idee del Sansovino, ma foggiando il primo piano con forza quasi militaresca, senza dargli quella sperticata altezza che ha nel palazzo Corner (oggi Prefettura). Possiamo così arrivare al monumentale palazzo Pesaro (1679-1710), ove la vigoria del piano terra (per intenderci) è moltiplicata dal potente bugnato e dallo sporgere sugli altri piani, sorretti regalmente e senza sforzo, nella loro ricchezza di risalti e innestati sul vecchio prototipo della Libreria.
Da questo spregiudicato eclettismo (si giova nella ghiera bassa del palazzo Pesaro persino di protomi mostruose, di gotico ricordo) nasce la chiesa più originale di Venezia, ritta quale stupenda vela dietro la gran prora della Dogana: la Salute. Chiesa iniziata nel 1630 e durata nella costruzione per tutta la vita del suo inventore. L'architettura, con senso nuovo, il L. non la vede solo in sé, ma organizzata sino dalle fondamenta entro all'ambiente, venezianissima nel trionfo delle cupole emisferiche (quindi senza slancio gotico, ma trionfanti per il sapiente gioco del tamburo altissimo) irrobustita dai contrafforti a orecchioni, di sangallesca memoria, tratti da un progetto di Antonio Labacco. Nell'interno è il ritmo limpido del Palladio che domina, sia nella rotonda, sia nell'abside. Sarebbe inopportuno ricordare qui tutte le sue opere chiesastiche (duomo di Chioggia; cappella Vendramin in S. Pietro di Castello; interno degli Scalzi; S. Maria del Pianto, ecc.); basti accennare a S. Giustina, originalmente con fastigio arcuato, di tradizionale memoria, e alla facciata, oggi troppo rinchiusa, dell'Ospedaletto. Alle quali connettiamo, oltre alla Sinagoga, le due bellissime scuole di S. Giorgio dei Greci e dei Carmini. Non vanno poi dimenticate le opere della terraferma (lavorò parecchio per Padova e per Vicenza), e specie le ville, spesso corrispondenti ai palazzi in città: quella Rezzonico di Bassano, per lo più creduta settecentesca; quella Widman (oggi Borletti) a Bagnoli; quella Da Lezze, oggi distrutta, a Rovere, sansovinesche al possibile, al pari della luminosissima dei Lippomano presso Conegliano.
E abbiamo parlato solo delle opere maggiori. Ma il L. rifulse (e gli studî lo dimostrano sempre più) in tutte, anche nelle modeste, dall'acquasantiera e dall'altar maggiore della Salute, al fastoso monumento Pesaro ai Frari, dal Campanile della Madonna del Soccorso di Rovigo, sino alla scala della Libreria di San Giorgio, dal convento dei Ss. Giovanni e Paolo, al pulpito del duomo di Chioggia, e al modesto puteale dei Mendicanti. Dovunque conclusivo rappresentante in architettura della grande tradizione veneziana, che ha quindi in lui, in questa branca, il campione che era stato, un secolo innanzi, per la pittura, Iacopo Tintoretto.
V. tavv. CIX e CX.
Bibl.: G. Fiocco, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIII, Lipsia 1929; I. Tiozzo, Chioggia, Chioggia 1926; G. Fogolari, L'opera del L. per il convento e la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, in Riv. di Venezia, XI (1932), pp. 475-84; P. Davide M. da Portogruaro, Un'opera ignorata di B. L., ibid., XII (1933), pp. 25-30.