CITO, Baldassarre
Nacque a Napoli il 1º febbr. 1695 da Carlo, nobile originario di Rossano Calabro e reggente del Consiglio collaterale, e da Anna De Maio, di famiglia nobile ascritta al "seggio" di Montagna. Rimasto orfano di padre nel 1712 si dedicò agli studi di giurisprudenza e intraprese la carriera forense. Nel 1730 fu nominato uditore nei tribunali militari; quindi, dopo un breve ritorno all'avvocatura, durato circa sette mesi, giudice della Gran Corte della Vicaria per le cause civili. Il cambio di regime, nel 1734, non intaccò la sua posizione, ma, anzi, la migliorò. Durante il regno di Carlo di Borbone e quello di Ferdinando IV il C. giunse fino ai più alti gradi della carriera di magistrato.
Nominato caporuota della Vicaria per le cause penali, fu poi consigliere del Sacro Regio Consiglio nel 1735, avvocato fiscale della Giunta di Stato istituita nel 1737, presidente della Sommaria e presidente del tribunale della Dogana di Foggia per sei anni. "Frutto e risultamento de' suoi consigli e delle sue operazioni - afferma il Gatti - lasciò egli pure in quell'archivio molti volumi da servire di norma nel governo di quegli affari". Successivamente, nel 1754, fu nominato luogotenente della Sommaria, carica che ricoprì per circa dieci anni. In quello stesso arco di tempo fu insignito anche del titolo di marchese. Nel 1760 entrò a far parte della giunta istituita dal Consiglio di reggenza allo scopo di studiare e di risolvere gli annosi problemi finanziari dei comuni del Regno. Nel 1763 fu nominato presidente del Sacro Regio Consiglio e della Camera di S. Chiara con uno stipendio di 4.000 ducati annui carica che tenne fino al 1795, quando, ormai centenario, chiese al re di essere esentato dai suoi impegni. Accordatagli l'esenzione, Ferdinando IV lo nominò, tuttavia, consigliere di Stato con esercizio. Intanto, nel gennaio 1776, aveva assunto la presidenza della Giunta di Stato e, in tale qualità, egli prese parte al processo contro i liberi muratori e, successivamente, nel 1794, a quello contro i giacobini.
Definito dal Tanucci, nel 1763, quando assunse la carica di presidente del Sacro Regio Consiglio, "uomo fermo, onesto, sano, diligente e molto attaccato alla giurisprudenza" (Lettere, p. 159), il C. non sembra aver riscosso successivamente l'approvazione del Tamicci stesso. Fermo restando il giudizio sulla sua probità, il C., che era entrato a far parte della Giunta dei grani, istituita nel 1764 per affrontare le questioni annonarie di Napoli e che nella sua casa si riuniva, avrebbe tenuto, secondo il Tanucci, un atteggiamento troppo favorevole alla nobiltà e agli organi del governo cittadino, che di essa e dei suoi interessi erano, per larga parte, espressione. In questo senso avrebbero giocato un ruolo non secondario anche i legami di parentela che il C. aveva con la nobiltà di "seggio". Nel 1768la Camera di S. Chiara, da lui presieduta, viene giudicata dal Tanucci "debolissima", composta di vecchi magistrati, molto parziale verso la città, nelle cui cause era organo giurisdizionale, guidata da un uomo che "non è altro che un onesto, ma puro e duro criminalista, [che] nulla sa di cose giurisdizionali" (Lettere, p. 447).
Quanto il giudizio di Tanucci fosse esatto è difficile dire. Va, infatti, tenuto presente che il ministro tendeva a sottolineare nella sua corrispondenza gli intralci e gli impedimenti incontrati nella sua azione di opposizione agli antiquati privilegi della Città di Napoli. Dallo stesso Tanucci il C. era poi considerato "portatissimo per li gesuiti" (ibid., p. 388), in considerazione anche del fatto che aveva un fratello gesuita, confessore a Vienna dell'imperatrice Amalia. Certamente egli godeva larga fama tra la popolazione napoletana per la sua disponibilità a sovvenire poveri e sofferenti. La tradizione ne dà peraltro, il ritratto di persona molto pia e molto rispettosa della religione.
Il C. morì a Napoli il 5 genn. 1797; i solenni funerali furono celebrati nella chiesa di S. Chiara, dove la famiglia Cito aveva una cappella gentilizia. Erede del titolo marchionale, che il C. aveva ricevuto con facoltà di trasferirlo su un feudo che egli stesso o i suoi eredi avessero acquistato, fu il nipote Carlo, al quale il C. lo aveva refutato fin dal 1788.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Cedolari, 72, f. 341; Lettere di B. Tanucci a Carlo di Borbone(1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, ad Indicem; N. Valletta, Elogio funebre del marchese B. C., Napoli 1797; S. Gatti, B. C., in Biogr. degli uomini illustri del Regno di Napoli, XII, Napoli 1827, s. v.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittorinati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 102; V. Florio, Memorie storiche ossiano annali napoletani dal 1759 in avanti, in Arch. stor. per leprov. napol., XXXI (1906), p. 245; R. Trifone, Le Giunte di Stato a Napoli nel sec. XVIII, Napoli 1909, pp. 91, 149, 157 s.; M. Vinciguerra, La reggenza borbonica nella minorità di Ferdinando IV, in Arch. stor. per le prov. napol. n. s., III (1917), p. 207; B. Croce, Aneddoti di varialetter., II, Bari 1953, pp. 295 s.