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BALDASSARRE da Fossombrone

di Giuseppe E. Sansone - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)
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BALDASSARRE da Fossombrone

Giuseppe E. Sansone

Scarsissime le notizie su questo segretario e cancelliere del marchese di Mantova Lodovico III, il quale, in una lettera del 2 luglio 1452, lo chiama "dilectum familiarem secretarium nostrum". Dové essere abile e saggio negoziatore se gli fu afflidata la cura di un trattato del 1451, le cui clausole dovevano salvaguardare gli interessi del marchese. Ciò nonostante, nel 1459 fu imprigionato, per ragioni a noi ignote; venne liberato, forse nel corso dell'anno, per interessamento di Iacopo Piccinino e, probabilmente, recuperò il favore del suo signore.

Un incunabolo del 1475, stampato presso Severino da Ferrara, ci conserva l'unica opera di B., il Menzoniero o Bosadrello,raccolta di cinquantasette sonetti caudati, composti a richiesta della sposa di Ludovico, Barbara Hohenzollern.

Lo stesso B. rivela tale circostanza all'inizio della sua raccolta: "Quivi comincia l'opra intitulata el menzoniero, overamente bosadrello, facta e componuta per lo eloquente e famosissimo messer Baldessaro da Fossombruno, Canciliero e secretario de lo Illustre Marchese di Mantoa. Nel qual si dimostra la volubilità de' tempi e quanto pocho si usa el vero. Composta a petition de la illustre Marchesana di Mantoa".

Sembrerebbe, a ben leggere il titolo, che ambizione del parto poetico di B. sia stata quella di un ragionamento didattico in versi: un'opera gnomica o moraleggiante intesa a dimostrare "la volubilità de, tempi e quanto pocho si usa el vero". Se questo fu l'intento del poeta, si deve dire subito che esso è rimasto completamente sepolto dal prevalere della sua immaginazione grottesca e ridanciana, amante del paradosso, del faceto, dell'assurdo. Non si può escludere, peraltro, che dietro la girandola di fantasie capricciose si celi un velato proposito didattico: forse contro certi costumi cortigiani, o anche contro un certo tipo di poesia che qui sembra volutamente portata alle sue formulazioni estreme.

I cinquantasette sonetti appaiono disposti senza un ordine interno. Ognuno di essi, però, è perfettamente compiuto in quanto a narrazione di vicende e episodi del tutto inverosimili e assurdi, intesi essenzialmente a suscitare il riso. Basterà citare qualche esempio a documentazione delle tematiche che il poeta mostra di prediligere. Appare tradizionale il motivo dell'accostamento di concetti e termini antitetici, presente, per es., nel verso "coriva come el vento, andando piano"; mentre meno comune sembra l'uso di attribuire a personaggi storici origini e vicende in netto contrasto con la tradizione, apertamente derisa: Orlando era ortolano, Alessandro Magno subisce l'attacco di migliaia di rane, Sansone viene ucciso da un'oca. Ovviamente, i fatti prodigiosi, contro natura, abbondano in queste rime non sempre felici nelle saldature metriche e nella fluidità dei nessi, tutte volte al gioco paradossale e smisuratamente immaginoso: nascono buoi con calze e stivali; un ortolano semina gemme e fioriscono rose; gli alberi si nutrono di fagiani; le vacche volano; le civette, le formiche, gli asini suonano strumenti musicali; le lumache corrono. E ancora, uomini e animali compiono atti di forza incredibili: come quel facchino che era capace di porsi in spalla mezza Brindisi; o come quei due ghiottoni che si divisero una torta per la quale, solo di zafferano, s'erano spesi settemila ducati; o come lo struzzo che aveva tali dimensioni da poter tenere fra le zampe tutta Milano; o come ancora quella gallina che aveva sul capo una mostruosa costruzione barocca: una vasca con dentro Diana e le sue ninfe, un campanile alto fino alla luna e, su esso, un cavallo che recava una scimmia in groppa.

Tra fantasie macabre talora, talaltra un po' grossolane, più spesso semplicemente divertite, in un gioco lepido, vivace, ma privo di satira, grottesco, faceto, paradossale, il rimatore trova la sua esile vena di originalità, fatta di un certo garbo nonostante l'invadenza delle immagini bizzarre. Ma nei confronti di Burchiello e dei burchielleschi ha almeno il merito di farsi intendere nel suo esterno barocchismo e di comporre sonetti ben coordinati sotto il profilo espositivo. In lui trovano eco ancora viva modi e forme della frottola e dello strambotto, della farsa e della "canzone rovescia", dei componimenti medievali de impossibilitate e de oppositis, nonché certe dimensioni dei trecentisti e della cultura classica. Il tono, quindi, non è quello di uno scrittore privo d'esperienza letteraria.

L'opera del rimatore ebbe singolare sorte - pur se egli fu "famosissimo" - giacché la sua raccolta fu più nota in un testo, stampato dopo ottanta anni circa (Venezia s. d.), in cui era italianizzato il titolo (Bugiardello) ed era passato sotto silenzio il nome dell'autore. Questa stampa, che comprendeva solo cinquantacinque sonetti (disposti in ordine diverso) editi con qualche libertà e qualche errore, fu tanto nota quanto ignota l'altra, presso i posteri: il che valse a relegare il nome del poeta fra quelli dei meno noti, se non proprio ignoti. Per lungo tempo, infatti, il nome di B. fu completamente estraneo al Bugiardello, non identificato con il Bosadrello,e solo di recente all'autore è stata restituita (Crocioni) la proprietà della sua opera, che, fra i non molti meriti, ha almeno quello di distinguersi nell'ambito della rimeria burchiellesca per organicità di dettato e per accessibilità.

Bibl.: V. Rossi, Le lettere di messer Andrea Calmo,Torino 1888, pp. 449-63; A. Vernocci, Fossombrone da' tempi antichissimi ai nostri, I,Fossombrone 1914, pp. 178-180; G. Crocioni, B.da F. e il suo "Menzoniero" o "Bosadrello" alla corte dei Gonzaga,in La Rinascita,VI (1943), pp. 224-57.

Vedi anche
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