FRANCESCHINI, Baldassarre detto il Volterrano
, Baldassarre Figlio dello scultore Gaspare, nacque a Volterra nel 1611.
Gaspare è l'autore della statua di S. Francesco, in tufo, per la chiesa eponima di Volterra, probabilmente databile ante 1601, e di altri lavori in tufo, crocifissi in legno, "statuette e gruppi d'alabastro", come ricorda il Baldinucci (p. 142), che è la fonte diretta sul Franceschini.
Avviato alla pittura dal padre, il F. fu poi apprendista del fiorentino C. Daddi a Volterra: qui attirò l'attenzione dei suoi primi protettori, L. Guarnacci e, soprattutto, C. Inghirami, per interessamento del cui fratello, Giulio, segretario della granduchessa Cristina di Lorena, nel 1628 fu posto a bottega da M. Rosselli a Firenze, ove rimase per un anno prima di tornare a Volterra per sfuggire alla pestilenza. La formazione volterrana, temperata dalla lezione del Rosselli, emerge nelle opere eseguite in patria fra il 1630 e il 1631: LaPurificazione in S. Agostino (1630), L'Assunta, già nella congregazione dei cappellani della cattedrale e ora nell'oratorio di S. Antonio abate, firmata e datata 1631 (F. Lessi - U. Bavoni, Arte a Volterra, Pisa 1980, n. 43), e il superstite affresco col Sogno di Elia nell'abbazia di S. Giusto (1631; sono perduti gli ulteriori affreschi nella volta e nel coro compiuti nel 1632).
Tornato a Firenze, il F. fu aiuto di G. Mannozzi (Giovanni da San Giovanni) sia nell'affresco dell'altare di G. Parigi in S. Felice in Piazza, sia, per cinque mesi, nella decorazione a fresco della sala degli Argenti in palazzo Pitti nel 1635. Alla morte del Mannozzi, nel 1636, per il tramite di G. Inghirami, ricevette da Lorenzo de' Medici la commessa del ciclo degli affreschi celebrativi della casata nelle logge del cortile della villa della Petraia, ai quali lavorò dall'ottobre del 1637 per circa dieci anni.
Come ha rilevato M. Gregori (1986), nel corso dell'esecuzione del ciclo - il cui programma si deve forse a L. Incontri o a P.F. Rinuccini - è evidente l'evoluzione dello stile del F., che, dagl'iniziali retaggi rosselliani, si arricchì della tecnica mannozziana, per sfociare infine, dopo l'acquisizione di tratti fiamminghi per influsso di G. Sustermans, in un complesso cromatismo di segno emiliano che affiora dopo i viaggi intrapresi a spese di don Lorenzo, fra il 1640 e il 1641, tra Bologna, Ferrara, Venezia e Parma. Il F. fu anche a Mantova, Modena e Novellara, ove lavorò per Alfonso Gonzaga, e probabilmente a Roma. I lavori alla Petraia, interrotti a causa dei viaggi nell'autunno del 1639, ripresero all'inizio del 1642, per chiudersi alla fine del 1646 (l'ultimo pagamento noto data al 14 novembre): gli emolumenti del F., che ammontavano a 1.304 ducati, risultano superiori alla media dell'epoca.
Il F., approfittando delle pause invernali, aveva frattanto compiuto importanti opere pubbliche a Firenze, fra cui l'affresco ancora rosselliano dell'oratorio di S. Francesco dei Vanchetoni (1639-40), il più tardo ciclo a fresco e a stucco della cappella Orlandini in S. Maria Maggiore (databile al 1642 in base all'iscrizione sull'altare) e la Gloria di s. Cecilia nell'omonima cappella della Ss. Annunziata (1643-44 circa), commissionata da G.F. Grazzi, giureconsulto apostolico. Queste ultime due prove, assai lodate dal Baldinucci (pp. 158-160), sono la summa delle esperienze pregresse del F. e riflettono l'ampliamento della sua iniziale cultura toscana, nonché il suo esordio in chiave barocca. A questo periodo si assegna l'affresco con La Vigilanza e il Sonno nella villa medicea di Castello, eseguito per Lorenzo.
La chiusura del cantiere della Petraia consentì al F. di porre mano ad una serie di opere che ne fanno il più significativo artista del momento a Firenze: le principali sono le commesse di tema religios0, che riflettono una sfera di sentimenti a lui più consona, nel segno di un intimismo antimonumentale di stampo neocorreggesco, come nel Cristo confortato dagli angeli, la sua opera preferita, per il refettorio di S. Teresa (firmato e datato 1650, ora a Prato, Museo di pittura murale). A questo periodo, contrassegnato da un'incerta cronologia, M. Gregori (1986) data inoltre gli affreschi del palazzo Galli Tassi. Intorno al 1650 il F. fu al servizio, come pittore e segretario, dei conti Della Gherardesca, eseguendo l'affresco (La Cecità illuminata dalla Verità, 1651-52: Privitera, 1993) e alcune soprapporte (Ewald, 1973) nel palazzo in Borgo Pinti e quattro rimarchevoli dipinti ricordati dal Baldinucci (p. 163), dei quali soltanto due sono oggi noti: il S. Michele arcangelo (Nancy, Musée des beaux-arts) e l'Angelo custode (Stoccarda, Staatliche Museen). In questo periodo l'artista produsse forse le sue maggiori pitture da cavalletto, fornendo verso il 1650 al marchese F. Ridolfi quadri mitologici e galanti (Venere e Cupido, Perseo, Orfeo ed Euridice: rintracciati da Ewald, 1973), allegorici (La Frode), storici (Cleopatra morente: del quadro, citato dal Baldinucci, p. 160, e non rintracciato, esiste forse un disegno: Cortona - Jona, 1980, n. 19).
Fra l'inizio del 1650 e il novembre dello stesso anno, anche se probabilmente i progetti furono tracciati già dallo scorcio del 1649, si colloca l'affresco dell'Eterno in gloria, con Cristo, la Vergine e s. Andrea nella cupola della cappella Colloredo alla Ss. Annunziata, progettata e costruita da M. Nigetti fra 1642 e 1649; il modesto compenso di 240 scudi richiesto dal pittore fu elevato a 400 da una stima eseguita nell'aprile 1651 da I. Vignali e V. Dandini. I pennacchi con le Virtù cardinali vennero compiuti nel corso del 1651 e la cappella fu aperta nell'agosto 1652. Influssi di opere berniniane e lanfranchiane nelle Virtù fanno supporre che il F. si recasse a Roma tra il 1650 e il 1651 (M.C. Fabbri, Cappella Colloredo nella Ss. Annunziata, in Cappelle barocche…, 1990, pp. 79-98). I più importanti viaggi di studio del F., entrambi finanziati dal marchese F. Niccolini in previsione dell'allogamento della decorazione della sua cappella in S. Croce, si svolsero nell'agosto 1651 in Emilia e nel 1653 a Roma, ove il F. soggiornò tra febbraio e aprile (R. Spinelli, Cappella Niccolini in S. Croce, ibid., pp. 114-134). Nel primo viaggio toccò Bologna, ove gli fu cicerone il Malvasia e ove peraltro rivide e apprezzò i Carracci e F. Torri (C.C. Malvasia, Felsina pittrice [1678], Bologna 1841, I, p. 351; II, p. 383), e poi Modena, Sassuolo e Parma.
Benché il frutto della nuova esperienza emiliana sia ben visibile nei due affreschi della Virtù che scaccia l'Ozio e del Tempo che lacera la Bellezza in palazzo Niccolini, compiuti fra il dicembre 1651 e il settembre 1652, il marchese ritenne necessario che il F. si aggiornasse sulle grandi decorazioni romane prima di metter mano all'impresa in S. Croce.
Affrescata un'Aurora nel palazzo Del Bufalo a Roma in cambio dell'ospitalità, il F. tornò a Firenze nell'aprile 1653 e, dedicando l'estate alla preparazione degli schizzi e dei modelli, avviò in autunno la decorazione della cupola col complesso affresco ovale dell'Incoronazione dell'Assunta, compiuto fra il 1658 e il 1659. Fra il marzo 1659 e il gennaio 1660 completò tre dei quattro peducci con le Sibille, poi, dopo alcuni ritocchi apportati ai guasti subiti dalla cupola per il cattivo drenaggio, terminò entro l'aprile 1661 la quarta Sibilla e la doratura degli stucchi, da lui come al solito progettati; nel corso dei lavori gli fu corrisposta la somma di 1.400 scudi, saldata il 21 settembre (la cronologia dei lavori è definita da Spinelli in Cappelle barocche, 1990). Ammirata dalla critica, la cupola certifica non solo l'avvenuta assimilazione della lezione di Lanfranco, di P. Berrettini e di G.L. Bernini, ma anche che la sintesi di quegli stilemi approntata dal F. procedeva di pari passo con la coeva evoluzione della decorazione romana, tanto che la Gregori (1965) vi ha scorto cromatismi anticipatori di G.B. Gaulli.
Altri affreschi realizzati in quel decennio dal F., che nel 1652 fu immatricolato in Accademia e nel 1654 divenne accademico effettivo, sono le allegorie nel palazzo dei conti Della Gherardesca (La Virtù e La Cecità), l'importante Carità di s. Martino nel palazzo di S. Clemente (già palazzo Guadagni) e l'affresco col Re Davide in palazzo Giraldi (ora Taddei).
Non si erano frattanto interrotti i rapporti con gli antichi patroni Inghirami: il 26 giugno 1655 il F. adempì, con una pala per l'altare maggiore della chiesa del monastero di S. Chiara a Volterra (Madonna e santi, ora al Museo di Volterra), a una commissione, del 1639, della badessa Marzia, che apparteneva a quella famiglia e che fu particolare benefattrice dell'artista. Mecenate del F. fu anche il cardinale Giovan Carlo de' Medici, figlio del granduca Cosimo II e fratello del granduca Ferdinando II, che fu da lui ritratto poco prima della morte (1663: Firenze, Galleria Palatina; Firenze, palazzo Martelli) e che dell'artista possedeva altri dipinti, fra cui il ritratto, d'impronta veneziana, dello Staffiere liutista col moro Giovannino (1662 circa: coll. privata) e la celebre Burla del vino (Firenze, Galleria Palatina), dipinta verso il 1640 (Gregori, 1984) per F. Parrocchiani e acquisita verso il 1660 dal cardinale, che commissionò al F. gli altri episodi, oggi perduti, della Burla a ser Ventura e della Burla all'osteria della Consuma (M.C. Fabbri, in Il Seicento fiorentino, 1986, I, pp. 409 s.; II, nn. 2301, 2307, 2311-2313).
Riferita a C. Ferri, la tela con La gloria di Luigi XIV che trionfa sul tempo (1664: Versailles, Musée du Château) è stata correttamente attribuita al F. (Rosenberg, 1976); tuttavia è evidente come ancora a quella data questi guardasse a P. Berrettini e al Ferri, i cui affreschi nella sala di Saturno (1663-65) ne costituiscono compositivamente il precedente diretto.
Il dipinto fu commissionato nel 1664 dall'abate L. Strozzi, emissario fiorentino del potente ministro francese J.-B. Colbert, per farne offerta a Luigi XIV; la tela tuttavia non dové incontrare il favore del sovrano (infatti rapidamente ne cadde in oblio il nome dell'autore), sicché lì terminò la breve carriera internazionale dell'artista (Baudequin, 1988).
Numerosi furono gli altri prestigiosi committenti del F. a partire dal settimo decennio come L. Incontri, per cui fece una Elemosina di s. Luigi dei Francesi nella chiesa dell'ospedale di S. Maria Nuova; il marchese C. Gerini, che possedeva un'Andata al Calvario e un Riposo durante la fuga in Egitto (Firenze, palazzo Gerini); il cardinale Lorenzo de' Medici, figlio di Cosimo II, per cui realizzò per la chiesa dell'Annunziata a Firenze un'Assunzione e, nel 1671, la pala d'altare di S. Filippo Benizzi; il granduca Cosimo III, committente della Madonna in gloria di S. Lucia alla Castellina (1682).
Il F. realizzò inoltre il S. Carlo Borromeo che comunica gli appestati per la Ss. Annunziata di Pescia, databile alla fine del settimo decennio (Gregori, 1986), e La Vergine in gloria e santi del 1681 per l'altar maggiore della certosa di Calci; contemporaneamente aprì l'ennesimo - e ultimo - cantiere nella Ss. Annunziata di Firenze, di cui fra settembre 1680 e agosto 1683 (ma la commessa del granduca Cosimo III risaliva al 1676) decorava con non pochi stenti, e con l'aiuto dell'allievo C. Ulivelli, la cupola con la Gloria della Vergine.
Apprezzato ritrattista, il F. eseguì anche gli smarriti ritratti di Cosimo de' Medici (poi Cosimo III granduca di Toscana) e del papa Alessandro VII; il ritratto a pastello di A. Baldinucci, figlio del biografo, è nella Galleria Palatina (1680 circa: Gregori, 1984).
Come pittore devozionale, diffuse in dipinti e stampe la nota iconografia del "Cristo passo" che ostenta, aprendone i lembi, la ferita nel costato. Va forse attribuita al F. anche l'ideazione di una diffusa immagine di S. Caterina da Siena in preghiera (M. Chiarini, Tableaux italiens. Catalogue raisonné de la collection de peinture italienne…, Musée de Grenoble, Grenoble 1988, n. 86).
Soprattutto nelle opere pubbliche degli ultimi due decenni, mise in evidenza le strategie più efficaci della retorica figurativa barocca, con l'uso di composizioni in prevalenza basate su direttrici ascensionali e sulla visione scorciata dal sotto in su, considerata dal Baldinucci (p. 196) il miglior pregio stilistico del F. e lodata anche dal Lanzi (p. 244).
In molti si valsero dell'esperienza del F. in campo artistico: fu consulente prospettico di G. Cinelli per le sue Bellezze di Firenze, scritte con G. Bocchi (Firenze 1677, p. 410); come restauratore lavorò ad alcuni dipinti per il principe Ferdinando de' Medici nella villa di Pratolino nel 1683 (Baldinucci, p. 189); come conoscitore esercitò mansioni di perito al servizio dell'arciduca Ferdinando Carlo d'Austria, che lo condusse in Italia settentrionale fra il 1662 e il 1663 (si vedano gli Scritti originali del conte C.C. Malvasia spettanti alla sua Felsina pittrice, a cura di L. Marzocchi, Bologna s.d., p. 93).
Al culmine della fama l'artista, ormai anziano e malato, portò a compimento le opere estreme: in particolare per Vittoria Della Rovere, per la quale aveva già eseguito la tela del Matrimonio mistico di s. Caterina, eseguì la tempera della Maddalena innalzata dagli angeli nel soffitto della villa di Poggio Imperiale, ora a palazzo Pitti, e gli affreschi della sala delle Allegorie nel palazzo; realizzò inoltre una Madonna che appare a s. Luca di cui restano solo due studi grafici preparatori all'Albertina di Vienna.
Morì a Firenze il 7 genn. 1690 e fu sepolto in S. Benedetto Bianco (Gregori, 1986).
Come il Mannozzi, anche il F. dipinse affreschi portatili su terracotta, il più famoso dei quali, la "cesta o paniera portabile" realizzata per G. Inghirami (Baldinucci, p. 146), raffigurava Iacopo Inghirami condotto all'immortalità dalla Fede cattolica (ne resta oggi un disegno agli Uffizi); nella Galleria Palatina si trova L'Amore dormiente, realizzato a fresco su intonaco su stuoia (c. 1650).
Molto denso è il corpus grafico del F., che va annoverato fra i massimi disegnatori della sua epoca e che ha lasciato una cospicua documentazione sulle fasi preparatorie della sua produzione, peraltro riusando frequentemente, a distanza di anni, per altri schizzi i medesimi fogli già disegnati. Importanti disegni del F. possedevano il Baldinucci, il Gabburri, i conti Della Gherardesca, che da soli ne conservavano ben quattrocento.
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