DRACHIO QUINZIO, Baldassarre (Baldissera)
Nacque nel 1532, probabilmente a Venezia, dal momento che in un tardo scritto di memorie (l'Apologia, del 1608) afferma di avere iniziato a soli quattordici anni a servire nella Casa dell'Arsenale. Lì egli avrebbe trascorso gran parte della sua lunga esistenza, così da divenire uno dei massimi esperti nel campo delle costruzioni marittime della Repubblica, pur senza riuscire mai a superare i limiti derivanti da una competenza poggiante soprattutto sulla pratica e da una cultura da autodidatta, non priva di ambiziose velleità, ma lacunosa e superficiale.
Dapprima lavorò come carpentiere alle dipendenze del "proto dei marangoni" Francesco Bressan, parente di quel Matteo che era stato ideatore e sostenitore del galeone in opposizione alla quinquereme progettata nel 1527 da Vettor Fausto, lodatissimo dagli umanisti nonostante la sua nave facesse pessima prova al largo di Candia, dove - come il D. ricorda polemicamente in uno scritto - un fortunale decimò i rematori stipati in troppo angusto spazio, trasformando il vascello in "un hospital, et uno lazareto"; poi, alcuni anni più tardi (1555), fu assunto nel Collegio della milizia navale, e si imbarcò nelle galere ed in altre navi della flotta militare, secondo quanto egli stesso riferisce sia nell'Apologia, sia in uno scritto di poco precedente, L'ammiraglio del mare, dedicato al doge Marino Grimani (1595-1605).
Qui il D. delinea con ampiezza di dettagli la figura ideale del comandante marittimo, cui tocca ad un tempo provvedere alla disciplina e al vettovagliamento degli equipaggi, all'efficienza delle artiglierie, alla sicurezza della navigazione, come pure organizzare il combattimento e le incursioni nei porti nemici; il modello cui il D. si ispira è chiaramente costituito dalla Milizia marittima di Cristoforo Canal, "ancora che io mai vedessi le sue regole, né le sue ordinanze marittime", ma lo scritto appare ben altra cosa rispetto a quello del patrizio: disorganico, approssimativo, non di rado oscuro per le pesanti incrostazioni letterarie che qui - come in ogni sua opera - riescono soprattutto a disturbare il lettore. Donde il ricorso a faticosi esempi mutuati dalla storia greca, cartaginese e romana sulla scorta di Machiavelli, ma con frequenti ricorsi a Dante e Tasso: l'"ottimo Ammiraglio" dovrà "sempre filosofare nelli stratagemmi militari", e rifarsi ad Alessandro Magno, a Cesare, a Scipione, "servendosi sempre delle due nature del centauro Chirone, et avvertire che l'una senza l'altra non è durabile, et a questo modo non gli mancherà mai d'ingannare chi si lascerà ingannare": eviterà anche di ricorrere alle milizie mercenarie, sarà generoso con i suoi sottoposti, ma "feroce con gli stranieri, et in occasione di far preda di alcun corsaro, subito e prima che il sol tramonti l'habbi a uccider con tagliargli la testa, o affogarlo nel mare, et essendo christiano donargli uno solo giorno di vita, affine di riconcigliarsi con Dio"; infine, questo esemplare comandante "molto maraviglioso, et eccellente riuscirebbe, se dell'astrologia fosse in parte dotato".
Velleità teoriche e molta, molta pratica: su questo binomio si incentra tutta l'attività del D. nei trent'anni che seguirono, invero assai parchi di informazioni circa la sua vita, e sembra incredibile che un uomo che tanto scrisse, e il cui nome non è ignoto ai registri del Senato Mar e dei Patroni e provveditori all'Arsenal, non risulti mai accompagnato da alcuna qualifica; la stessa redecima del 1582 non ci fornisce notizie.
Per certo, sappiamo che lasciò il mare e riprese a lavorare a terra: il 9 ag. 1571 effettuò come "gastaldo dei marangoni" la stima, di una macchina per estrarre il fango dai canali, per ordine dei savi alle Acque; ma, dopo l'esaltante prova di Lepanto, la riduzione dell'armata marittima, dei progetti ad essa collegati, degli effettivi stessi operanti nell'Arsenale dovette costituire per lui una forzata rinunzia a molti sogni ed ambizioni.
A Venezia, ora, non trovavano spazio disegni di sviluppo e innovazioni tecniche: le principali iniziative riguardavano solo la conservazione del materiale, mentre si era ormai rinunciato al progetto - fervidamente sostenuto dallo stesso D. - di unificare sotto la direzione di un unico proto ed in base a un solo modello le nuove costruzioni, realizzando in tal modo una autentica rivoluzione nel meccanismo produttivo del cantiere. Il quale costituiva per il D. lo scopo stesso della vita: né riuscì a farsi una ragione del progressivo restringersi delle antiche funzioni. Inaccettabile dunque, per lui, il concetto che la flotta da guerra dovesse segnare il passo; la crisi dell'Arsenale, allora, non poteva, non doveva discendere dalla congiuntura politica, ma semmai dalla scarsa efficienza dell'immenso complesso, cioè dall'abulia dei capi, dal disordine delle strutture, soprattutto dall'incapacità e malizia delle maestranze: dagli uomini insomma. Divenne un feroce accusatore di sottoposti e colleghi, rivolgendosi direttamente al principe con una serie di scritti dove, dietro l'apparente costruttività delle proposte, possiamo facilmente cogliere censure e riserve circa l'operato dei patroni e provveditori, i diretti responsabili della gestione del cantiere.
Nacquero così i Ricordi (1586), dedicati ai problemi dello stoccaggio del legname per le costruzioni navali e all'organizzazione delle maestranze, che il D. proponeva di dividere in sette corpi distinti; di particolare importanza l'ultimo capitolo ("Della elletione delli Reformatori, et creation di uno sopra intendente, et conoscitor universal dell'Arsenale"), dove viene suggerita la creazione di una commissione straordinaria, col compito di operare una radicale ristrutturazione del cantiere.
Era un'aperta denuncia di malcostumi e disservizi che nessuno aveva osato combattere e contro di lui insorsero dipendenti, colleghi e superiori: dovette lasciare l'impiego e l'Arsenale, come ricorda nell'Apologia: "Molte volte son statto villaneggiato per le pubbliche stradde, et fin alla propria casa in Chioza fui ricercato da certi sopra una barca armati per darmi la morte; ond'io non era sicuro di caminar per la terra. Sette anni son andato errando fuori dell'Arsenale, et m'ha convenuto condurre la vita a guisa di bandito".
Tali vicissitudini ebbero termine il 10 maggio 1594, allorché un decreto della Signoria impose la riassunzione del D., in considerazione del "molto disservitio" patito dall'Arsenale a motivo dell'esser venuta meno "la molta sua peritia et intelligenza". Principale ispiratore del provvedimento era stato il conservatore e filospagnolo Giacomo Foscarini, del ramo ai Carmini, per due volte capitano generale da Mar e provveditore alle Artiglierie nel biennio 1588-89, al quale il D. dedicò nel '95 i Pensieri, in cui ribadiva la sua convinzione circa la necessità di una guida autorevole per l'Arsenale: esso infatti "delira in mille sue attioni oblique e torte; è in confusione et disordine per causa che in lui non si ritrova né chi ordinarlo in parte, non che in tutto il sappi; né chi parola degna di esser obedita intendi".
Ancora in quegli anni il D. stese la sua opera più famosa: la Visione del Drachio, sorta di memoria didascalica nella quale immagina che il 21 dic. 1593 gli fosse apparso in sogno il vecchio maestro Francesco Bressan, "in habito d'eremita vestuto", per insegnargli, in un immaginario Arsenale coperto di rovi e arbusti a somiglianza della selva dantesca, la tecnica di costruir galere e raccomandargli l'educazione delle future maestranze.
Continuò a prestare la sua opera sino al 1607: il 10 settembre, infatti, risultava far parte di una commissione incaricata di scegliere un nuovo modello di galeone, ma l'anno dopo doveva aver lasciato il servizio attivo, come possiamo ricavare dalla coeva Apologia, una specie di testamento spirituale scritto di seguito ad una stucchevole Vecchiezza dedicata al doge L. Donà. Nell'Apologia il D. difendeva ancora una volta la sua azione, improntata per il lungo corso di sessantadue anni a tre costanti: fedeltà, intelligenza, ragione, e forniva un elenco delle sue opere di carattere tecnico, solo in parte conservate. Ad esse va aggiunto il prodotto delle aspirazioni poetiche del D., in particolare un lunghissimo Hinno volgare in lode della beatissima Vergine Maria ed un lacrimoso Cantico dell'autore innanzi Giesu Christo.
Morì a Venezia nel 1616, come si ricava dall'iscrizione latina di una tomba alla Celestia che riunisce il suo corpo insieme con quello della moglie, Giacoma Mazza, dei figli Gian Francesco e Marcantonio, e di alcuni membri della famiglia Canton.
Nel febbraio dello stesso anno il S. Uffizio aveva divulgato la censura contro le opinioni galileiane sulla stabilità del Sole e sul moto della Terra; niente più che suggestiva coincidenza la conclusione dell'epitaffio, voluta dallo stesso D.: "Spero videre aliquando solem egredi e sua longa ecclyptica"?.
Opere. All'infuori dell'Hinno volgare in lode della beatissima Vergine Maria... e del Cantico dell'autore innanzi Giesu Christo, stampati assieme con l'indicazione Vinegia 1606, le opere del D. ancora reperibili sono tutte manoscritte: i Ricordi intorno la Casa dell'Arsenale (1586), all'Archivio di Stato di Venezia, Patroni e provveditori all'Arsenale, b. 533, cc. n.n.; L'ammiraglio dil Mare e l'ammiraglio di Baldissera Drachio Quintio (si tratta dell'ammiraglio dell'Arsenale, ossia del responsabile dello stoccaggio dei materiali e dell'allestimento delle navi), in Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. IV, cod. 177 (= 5155), rispettivamente alle cc. 4r-31v., e 35r-41v; ancora alla Marciana, Mss. It., cl. IV, cod. 16 (= 5567): Discorso opportuno in tempo di pace per preparar uno deposito di roveri per la fabricatione di 25 galee sottile, et il differir esser cosa pericolosa, cc. 30r-34r; La vecchiezza et l'apologia di Baldissera Drachio Quintio, in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 901, nell'ordine cc. 1r-11r, e 12r-16v; Ipensieri, in Vienna, Oesterreichische Nationalbibliothek, ms. 6379; la Visione, in Arch. di Stato di Venezia, Patroni e provveditori all'Arsenale, b. 1 (altra copia: Ibid., Archivio proprio Contarini, b. 25).
Fonti e Bibl.: La deliberazione per la riassunzione del D. nel 1594 è in Arch. di Stato di Venezia, Senato. Mar, reg. 55, c. 66r; Ibid., Patroni e provveditori all'Arsenale, b. 13, c. 42v; per l'elezione alla commissione giudicatrice del galeone, nel 1607: ibid., reg. 137, c. 115r. Sulla figura e l'attività del D., cfr.: E. A. Cicogna, Delle iscrizioni venez., III, Venezia 1830, p. 227; IV, ibid. 1834, pp. 702 s.; L. Fincati, Le triremi, Roma 1881, p. 79; U. Tucci, Architettura navale venez. Misure di vascelli della metà del Cinquecento, in Boll. dell'Atlante linguistico medit., V-VI (1963-64), pp. 277, 279 ss.; F. C. Lane, Navires et constructeurs à Venise pendant la Renaissance, Paris 1965, pp. 62, 87, 151, 159, 198 s., 221, 242, 259, 268; Id., Venice and history, Baltimore 1966, pp. 165, 171; U. Tucci, Bressan, in Diz. biogr. d. Ital., XIV, Roma 1972, pp. 192 ss.; M. Aymard, L'Arsenale e le conoscenze tecnico-marinaresche. Le arti, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, III, 2, Vicenza 1980, pp. 302 s.; E. Concina, L'Arsenale della Repubblica di Venezia, Milano 1984, pp. 110, 124 ss., 134, 169, 174 s., 179.