RAVASCHIERI, Baldassarre
RAVASCHIERI, Baldassarre (in religione Baldassarre da Chiavari). – Nato a Chiavari nel 1419 da Giorgio di Rubaldino, olim Fulcone, secondo un albero genealogico manoscritto – figlio di Cattaneo, secondo un’altra tradizione agiografica –, Ravaschieri era esponente di un’antica famiglia separatasi intorno alla metà del XII secolo dalla stirpe dei conti di Lavagna e insediatasi insieme con i Fieschi (sempre discendenti dai conti lavagnesi) nel borgo di Chiavari rifondato dai genovesi. Resta al momento ignoto il nome al secolo di Baldassarre, così come il nome e il casato della madre. Il luogo di nascita di Ravaschieri è tradizionalmente identificato, senza supporto documentario, nel palazzo dai portici neri nella strada di Chiavari ancora chiamata via Ravaschieri.
Pur non tralasciando la vocazione commerciale degli avi, tra il XIV e il XV secolo, molti esponenti della famiglia si impegnarono nelle carriere militari servendo, tra gli altri, i Visconti e stringendo forti legami con il partito dei Fregoso durante tutto il XV secolo. Dalle case sotto la cittadella di Chiavari, nella platea familiare, alle sepolture e giuspatronati di S. Giovanni Battista e S. Francesco, sempre nel borgo di Levante, senza dimenticare le case genovesi, i Ravaschieri estendevano la loro influenza sulle valli a nord di Chiavari e Lavagna (Fontanabuona, Graveglia, Sturla), fino alla Val di Taro attraverso vasti possedimenti terrieri, patronati e benefici, controlli signorili dei passi viari. Benché successivamente in declino, specie nel controllo della Val di Taro, la famiglia rientrava ancora nel XVI secolo entro il rabelaisiano catalogo di nobiltà delle Novelle di Matteo Bandello, il quale non mancò di ricordare come gli uomini del casato fossero i «primi di Chiavari», né di menzionare i parentadi con i Fieschi e l’affinità con i Fregoso, registrando anche l’annoso scontro tra Manfredo Ravaschieri e il conte Agostino Landi, ricomposto provvisoriamente nel 1545, per «la giurisdizione d’un castello a le confini del Piacentino» (M. Bandello, Novelle, II, 38). Il crollo della potenza dei Fieschi nel 1547 segnò anche il tramonto delle fortune politiche liguri della casata, mentre il testimone del prestigio sociale della dinastia si spostò verso un ramo familiare trasferitosi per via di mercatura a Napoli e presto insignito di una serie di baronie nel Regno fino a rivestire i titoli di principe di Sartiano e duca di Cardinale; spettò a questo ramo meridionale del casato la tutela dei parenti rimasti a Chiavari e la conservazione delle memorie dell’antico prestigio genovese.
La vocazione religiosa di Ravaschieri, pare rimasto orfano di padre in giovane età, fu probabilmente alimentata dalle prozie Ginevra e Tobiola, rispettivamente guardiana e vicaria delle terziarie francescane riunite nella Casa della Misericordia, l’ospedale poi (1520 circa) trasformato nel convento delle clarisse di S. Bernardino, cenobio sempre legato alle sorti di casa Ravaschieri. Invece di perseguire le strategie religiose familiari di controllo dell’abbazia benedettina di S. Andrea di Borzone, Ravaschieri entrò come frate minore nel convegno di S. Francesco di Chiavari, un cenobio prossimo alle dimore del casato, con chiesa consacrata nel 1258, che fu probabilmente il primo dei luoghi francescani liguri a passare all’osservanza (almeno dal 1429) a seguito delle prediche di Bernardino da Siena.
Una fonte seicentesca (B. Tatti, Genealogia Seraphica, 1680 circa) tramandava la tradizione che Ravaschieri avesse vestito il saio in giovane età dopo un periodo di travaglio spirituale e che durante il noviziato avesse concentrato i propri studi sulla figura di s. Francesco e dei suoi primi seguaci. Lo stesso testo tramanda l’indicazione che presso il convento di S. Giacomo alla Vernavola di Pavia si trovasse un’effigie di Ravaschieri con l’indicazione «doctor Parisiensis» a indicare, sempre non si sia trattato di una lettura affrettata su un più consueto «doctor Papiensis», un suo percorso di studio parigino non attestato da altre fonti. Pure incerta la sua ascesa alla guida della provincia genovese dell’Ordine che potrebbe collocarsi tra il 1451 e il 1455, significativamente in alternanza al ruolo ricoperto nella medesima carica da Ambrogio Fieschi.
Primo vero dato certo della biografia di Ravaschieri è il suo approdo in S. Maria in Campo a Binasco il 27 maggio 1456 all’età di trentasette anni. In questo luogo egli passò il resto della sua esistenza e a questo sito della campagna tra Pavia e Milano risulta legata la sua fama.
Il convento di Binasco era stato fondato nel 1387, su un oratorio dedicato a S. Rufo già sorto nel luogo del ritrovamento di un pilastro miliare romano, sul quale, come di consueto, era stata dipinta la figura di una vergine. La fondazione di S. Maria in Campo era dovuta a Bianca di Savoia vedova di Galeazzo II Visconti, signore di Milano, poi sepolta presso le clarisse di Pavia e particolarmente legata ai minori. La presenza dei francescani nel piccolo centro di Binasco era dunque relazionata alla corte viscontea che risiedeva saltuariamente nel castello posto a dominio dell’abitato; una dimora fortificata che fu per diversi anni (ancora fino all’epoca di Francesco Sforza) una delle residenze dei signori, poi duchi, di Milano. In particolare, dal 1375, le fertili terre attorno al castello erano state assegnate in appannaggio a Bianca di Savoia. Fortilizio escluso, nel 1396, la grande possessione viscontea di Binasco fu destinata da Gian Galeazzo Visconti in dotazione alla costruenda Certosa di Pavia. Nell’ottica della fondazione dei signori di Milano, l’attività dei francescani di S. Maria in Campo avrebbe dovuto sopperire all’insufficiente rete del sistema parrocchiale locale. Inserito nella provincia di Genova, il cenobio doveva essere da poco passato all’Osservanza, particolarmente favorita dalla nuova duchessa Bianca Maria, quando nel 1456 vi giunse Ravaschieri.
Egli divenne famoso proprio per l’intensa opera pastorale intrapresa nelle campagne tra Milano e Pavia, divenendo un punto di riferimento per la spiritualità delle comunità locali. Nel 1478, il convento contava 22 frati e 6 professi, con Giovanni Pietro Migliavacca di Binasco che ricopriva il ruolo di guardiano e Ravaschieri quello di confessore; egli era peraltro l’unico religioso del cenobio di estrazione non autoctona. Nello stesso anno, durante il Capitolo generale dell’osservanza cismontana tenuto a Pavia in S. Giacomo, Ravaschieri si distinse per le prediche accorate che tenne alternandosi ai frati Pacifico da Novara, Cherubino da Spoleto, Marco da Bologna, Matteo da Novara, Francesco Trivulzio, Apollonio da Piacenza, Antonio da Monza, Giacomo da Rosate e Bernardino da Feltre. Stando a Luca Wadding, Ravaschieri divenne in questa occasione familiare di Bernardino da Feltre, più volte impegnato a Pavia, dove morì nel 1494, tra l’altro nella donazione del locale Monte di Pietà. A testimonianza del prestigio del centro francescano di S. Maria in Campo nelle campagne circostanti, nel 1479, mentre Ravaschieri proseguiva la sua opera pastorale nel vicariato di Binasco, il convento fu ampliato e si raddoppiarono le cappelle della chiesa su intervento del castellano ducale Angelo Contuzzi (poco dopo caduto in disgrazia a seguito dell’arresto di Cicco Simonetta).
A partire dal 1486 lo zelo pastorale di Ravaschieri fu ostacolato dalla podagra, che progressivamente ridusse le sue capacità di movimento fino a ridurlo alla totale infermità. A questo periodo della sua vita gli agiografi fanno risalire alcuni eventi miracolosi che indussero le popolazioni locali ad accorrere ancora più numerose presso il cenobio di S. Maria in Campo.
Tra questi il più noto è il cosiddetto miracolo della neve, più volte rappresentato nei dipinti che tramandano la memoria del religioso fin da un primo affresco perduto del 1540 che doveva trovarsi nel chiostro inferiore del convento di Binasco: il frate paralizzato sarebbe stato condotto dai confratelli per svagarsi e contemplare la natura in un boschetto incluso nel perimetro del cenobio e lì dimenticato durante una nevicata; ricordatisi di lui, i frati erano rapidamente accorsi nel giardino del convento temendo per la sua salute e lo avrebbero trovato in estasi nemmeno sfiorato dall’abbondante nevicata e circonfuso da un inspiegabile chiarore e calore.
Morì il 17 ottobre 1492 e fu subito oggetto di una devozione locale.
Non fu inumato nella tomba comune dei religiosi, ma per lui fu costruito quello che Wadding definì un «nobile marmoreum sepulcrum» sul quale era apposta un’aulica iscrizione. Di questo imponente monumento forse sopravvivono tracce in un’effigie marmorea di Ravaschieri seduto e in una Madonna con il Bambino attualmente conservati presso la chiesa parrocchiale di Binasco, ma provenienti da S. Maria in Campo e tradizionalmente attribuiti allo scultore Giovanni Antonio Amadeo. Più difficile che la sua effigie compaia invece nell’ancona del 1524 commissionata dalla comunità di Besate alla bottega di Marco da Oggiono (dove accanto alla Vergine in trono e s. Girolamo sono invece più canonicamente rappresentati i santi Francesco e Bernardino) per lo scampato pericolo dalla terribile peste che devastò il Ducato di Milano in quell’anno. Credibile è invece che in quell’occasione l’intercessione del frate fosse invocata dagli abitanti del luogo come protezione dalla pestilenza attraverso una processione e l’esposizione di un dipinto.
La santità della vita di Ravaschieri fu evidenziata per primo da frate Mariano da Firenze e poi ribadita da tutti gli storiografi dell’Ordine: Marco da Lisbona, Pietro Rodolfi da Tossignano, che lo definivano beato, come pure fece Francesco Gonzaga rammentandone anche l’illustre ascendenza. Durante il quarto decennio del XVI secolo il corpo fu tolto dalla sepoltura marmorea e posto su un altare della chiesa di S. Maria in Campo, esposto alla devozione dei fedeli. Oggetto di costanti rifacimenti durante i secoli, il sepolcro fu meta continua del culto locale, pare accompagnato da eventi miracolosi. Con la soppressione di S. Maria in Campo, nel 1805, le spoglie furono trasportate nel convento francescano di S. Croce di Pavia, dove, provenienti da S. Giacomo alla Vernavola, furono deposte anche le reliquie di Bernardino da Feltre. Con la soppressione di S. Croce (1811) i resti di Ravaschieri e di Bernardino furono trasportati alla chiesa del Carmine di Pavia. Nel 1812 gli abitanti di Baselica Bologna ottennero infine le spoglie di Ravaschieri per la loro chiesa parrocchiale in nome di un ricordo, mai sopito, dell’attività locale del religioso.
Solo nel 1909 fu avviato un regolare processo per la beatificazione, conclusosi con esito positivo nel 1930 (7 gennaio). L’apertura e la chiusa del processo furono l’occasione per una rivisitazione in chiave agiografica della biografia di Ravaschieri, così come per un rinnovamento del suo culto. I testi prodotti in questi anni sul religioso riproducono meccanicamente una serie di dati legati alla tradizione ingenerando una serie di miti legati alla figura del frate, come quello dei suoi presunti contatti con Veronica Negroni da Binasco (1455-1497), una delle sante vive lombarde di epoca sforzesca, monacata nel convento agostiniano osservante di S. Marta a Milano.
Fonti e Bibl.: Pavia, Archivio storico vescovile, Mss.: B. Tatti, Genealogia Seraphica Provinciae Genuensis (1680 circa); Biblioteca del seminario vescovile, Mss.: E. Casorati, Dissertazione cronologica ed historica intorno alla fondazione, traslazione ed altre annose materie del convento di S. Maria di Binasco, e specialmente intorno alla vita, morte, miracoli, venerazione del b. Baldassarre da Chiavari (1753-54 circa); F. Gonzaga, De origine Seraphicae Religionis Franciscanae eiusque progressibus, Romae 1587, p. 336; P. Brizio, Seraphicae Subalpinae d. Thoma provinciae monumenta, Torino 1637, p. 307; L. Wadding, Annales minorum, seu trium Ordinum a s. Francisco institutorum, Ad Claras Aquas 1933, IX, pp. 28 s.; XV, p. 112.
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