DOLFIN, Baldovino (Baldoin, Balduin, Bolduin)
Figlio di Renier di Giacomo di Gregorio, nacque a Venezia intorno al 1275 nella parrocchia dei Ss. Apostoli dove risiedeva il suo ramo della nobile famiglia. Entrò a far parte del Maggior Consiglio per la prima volta il 27 ott. 1294, elettovi per il sestiere di Cannaregio. Partecipò al sovrano consesso di nuovo nel 1296 e nel 1297.
Al di là del felice esordio sulla scena politica veneziana le fonti sono avare di notizie sul primo periodo della sua vita. Non sappiamo se e quali incarichi egli abbia ricoperto, mentre è certo che - come caratteristico della nobiltà veneziana in quest'epoca - coniugò l'interesse politico a quello economico. Nell'ottobre del 1304 figura ad Alessandria tra i mercanti che, assieme al console in quella città, Pancrazio Venier, e all'ambasciatore veneziano in Egitto, Giovanni Soranzo, il futuro doge, promettono con atto solenne al genovese Ottobuono Della Volta e a Iacopo da Parma, il risarcimento dei danni arrecati dal duca di Candia col sequestro degli schiavi di loro proprietà. Trascorrono alcuni anni durante i quali le fonti veneziane tacciono sul conto del Dolfin. Ciò induce a pensare che egli non venisse investito di poteri pubblici in questo periodo, forse trascorso all'estero occupandosi della propria fortuna economica.
Il 15 giugno 1310 assieme con Antonio Dandolo il D. venne nominato dal doge Pietro Gradenigo capitano contro Baiamonte Tiepolo ed i rivoltosi da lui capeggiati, che, dopo un primo sfavorevole scontro in piazza S. Marco con i sostenitori del doge, si erano asserragliati in un edificio del Comune in Rialto. Li sconfisse con l'aiuto anche di 1.000 chioggiotti convenuti a Venezia al comando del loro podestà Ugolino Giustinian. La notizia è contenuta in una serie di litterae ducales inviate da Pietro Gradenigo a pubblici rappresentanti veneziani, con cui comunicava loro la notizia del fallito colpo di Stato. Questo successo, oltre a proiettare il D. alla ribalta della politica veneziana - la vittoria su Baiamonte e quella successiva su Zara sono infatti gli episodi di gran lunga più noti e citati della sua vita -, lo coinvolse direttamente nel controllo accanito esercitato da quel momento dallo Stato veneziano sul capo della congiura per prevenirne ogni mossa.
Nel luglio del 1310 il D. venne nominato dal Maggior Consiglio podestà di Giustinopoli (Capodistria). L'anno seguente, il 22 giugno, fu autorizzato a lasciare la carica e a rientrare a Venezia dopo la metà di agosto. Il primo settembre figura infatti tra i consiglieri che assistono il doge nell'elezione ed approvazione di Giuliano de Curlo a gastaldo di S. Marco. Ben presto dovette però di nuovo lasciare la città. Nella primavera del 1313 fu inviato a Zara, in qualità di capitano generale da Mar, a seguito della sollevazione ivi promossa da Baiamonte Tiepolo. Si trattò di un altro successo personale, suggellato il 23 sett. 1313 dalla stipulazione del "pactum novum Iadrae". In quest'occasione il D. funse anche da "sindico" (rappresentante) del doge e della Repubblica assieme ai provisores exercitus Vitale Michiel e Fantino Dandolo.
In precedenza, mentre il D. era ancora impegnato a sedare la rivolta di Zara, il doge ed il Minor Consiglio avevano riconosciuto il suo diritto di regresso sui beni della società de' Macci di Firenze, per aver pagato 1.000 lire in forza di una malleveria da lui prestata al Comune di Venezia per la somma di 2.000 lire della stessa moneta. Notizia, questa, che unitamente ad altre analoghe getta qualche luce sull'entità del suo patrimonio. Ancora, il 6 maggio 1313, il D. otteneva dai consiglieri e dagli ufficiali super publicis il permesso di ampliare una costruzione di sua proprietà ai Ss. Apostoli, pagando al Comune la somma di 100 soldi.
Il 7 nov. 1315 il D. assistette a Venezia alla presentazione al doge della propria elezione a conte di Zara da parte dello zaratino Candi de Ragno, procuratore del conte uscente Vitale Michiel e del Comune di Zara. Il doge, poiché l'eletto accettava la carica, la confermò. L'incarico aveva la durata di due anni ed era rinnovabile. Il D. restò a Zara quasi quattro anni. La carica gli venne evidentemente rinnovata, anche se non si trova traccia di un provvedimento del genere. Numerose sono invece le testimonianze dell'attività amministrativa svolta dal D. in questo e nel successivo periodo trascorso nella città dalmata. La presentazione al doge del suo successore, designato nella persona di Gabriele Dandolo, avvenne il 4 luglio 1319, e sappiamo con certezza che il 26 di quel mese il D. si trovava ancora a Zara. Durante tutto il periodo passato a Zara come conte, il D. ottenne licenza di far rientro a Venezia solo per due mesi, tra la metà di ottobre e la metà di dicembre del 1317.
Nel 1321 il D. esercitò la carica di podestà a Chioggia. Lo stesso anno, a conferma indiretta del ruolo di profondo conoscitore delle vicende politiche della città dalmata che ormai doveva rivestire agli occhi del governo, lo troviamo testimone alla presentazione al doge del nuovo conte di Zara Francesco Dandolo. I legami del D. con Zara non dovettero venir meno neanche in seguito se, nel novembre del 1323, il Senato deliberò di scrivere "Iadrensibus quod satisfaciant domino Balduyno". Non è possibile determinare con maggior esattezza la natura della vertenza, poiché i registri delle deliberazioni del Senato di questo periodo sono andati perduti e del contenuto delle deliberazioni sussiste soltanto una sommaria traccia contenuta nella prima rubrica che serviva per la consultazione dei medesimi. Né diminuiva nel frattempo il prestigio politico del Dolfin. Benché in quel momento non ricoprisse nessuna carica ufficiale, il 23 ag. 1322 il doge sentì la necessità di consultarlo assieme ai procuratori di S. Marco - la massima dignità dello Stato dopo quella ducale - per una questione insorta con il primicerio ed i cappellani della chiesa di S. Marco, circa l'elezione e la conferma dei custodi di essa. Vertenza, in apparenza priva di importanza, ma che in realtà investiva i diritti e i poteri ducali regolati dalla promissio, e dunque di rilevanza costituzionale.
Il 27 ag. 1324, in qualità di consigliere ducale, il D. figura tra i componenti della Signoria che, in unione con gli ufficiali al Sale da mar, cedeva a privati, a nome del Comune di Venezia, il terreno detto Foresto, sito in prossimità di Cavarzere. Quasi certamente risalgono a questo secondo incarico di consigliere ducale le sue numerose sottoscrizioni autografe - in cui si qualifica come "consiliator" - in calce a diverse deliberazioni del Maggior Consiglio (in tutto sessantacinque) cancellate nel registro originale (Presbiter). Era d'uso infatti a Venezia che una apposita commissione provvedesse a depennare i testi delle deliberazioni ormai decadute nella loro efficacia pratica. Le deliberazioni cancellate abbracciano un periodo che va dal 15 sett. 1308 al 4 apr. 1315, ed è giocoforza pensare che la loro cessazione non risalga al 1311, epoca del primo incarico di consigliere ricoperto dal D., ma piuttosto al secondo, quando i termini di decadenza erano ormai scattati.
Il 20 genn. 1326 il D. venne eletto nuovamente conte di Zara, carica che egli accettò e che ricoprì fino al gennaio 1328. Di qui, con ogni probabilità senza soluzioni di continuità, passò a Ragusa, sempre col titolo di conte. Fece ritorno a Venezia nell'autunno del 1330.
Non cessò nel frattempo l'attività economica, se non sua, della famiglia. Il 20 febbr. 1332 il Senato accordò infatti al D. di pagare solo la quarta parte della multa inflittagli dagli ufficiali super navigantibus per la somma di 2.981 lire di grossi. Egli era riconosciuto innocente del fatto che suo figlio Giacomo, valendosi del nome del padre, aveva condotto fuori di Venezia merci per complessive 8.943 lire di grossi più di quanto aveva di prestiti. Mentre, sul versante dell'attività politica, il 2 apr. 1334 il Senato con proprio decreto accolse la proposta avanzata dal D. unitamente a Filippo e Bertucci Gradenigo, per l'aumento di assegno ai futuri podestà di Capodistria nella misura di 20 lire di grossi l'anno.
Il 14 novembre 1334 il Senato elesse una commissione di cinque savi incaricata di prendere in esame le questioni inerenti la flotta, da guerra e commerciale, le merci ed i mercanti, l'armata del Golfo e la lega contro i Turchi, col mandato di riferire anche singolarmente per iscritto al Consiglio entro quindici giorni, ad eccezione dell'armata del Golfo e della lega, per le quali il termine era di soli otto giorni. Veniva vietato ai savi di occuparsi dei luoghi interdetti al traffico e delle merci vietate. I consiglieri ducali dovevano restare a disposizione dei savi per ogni schiarimento necessario e, su richiesta di questi, dovevano convocare il Senato. Il D. fu eletto a far parte di questa commissione, insieme con Bertucci Gradenigo, Nicolò Morosini e Marco Vitturi. Il quinto membro, Giovanni Dandolo, venne designato dalla Signoria.
Il 28nov. 1334, nel termine prescritto, i savi proposero l'armamento di dieci galee per la "muda" (convoglio) dell'anno con il duplice compito di assolvere alla custodia del Golfo e della Romania (Peloponneso) e di partecipare alle manovre navali contro i Turchi. Delle dieci navi sei dovevano essere destinate alla lega e le rimanenti a custodia del Golfo. Queste non potevano oltrepassare Capo Malea, salvo non paresse al capitano in Golfo di doverle inviare oltre a sicurezza della navigazione veneziana o se sembrasse altrimenti al governo d'accordo col Senato. Si caldeggiava la nomina di un capitano generale dell'armata, con gli assegni ed i poteri dati in precedenza a Pietro Zen, e di quattro sopracomiti alle stesse condizioni di quelli nominati nella precedente "muda", a condizione però che ciascuno potesse scegliere un comito e i nocchieri. Si rimetteva al giudizio del Senato di stabilire la data di partenza del convoglio, ma ciò doveva avvenire al più tardi entro il 1º gennaio o anche prima, se fosse sembrato opportuno al capitano in Golfo. La proposta della commissione ebbe l'approvazione del Senato. Alla stessa data, su proposta dei medesimi savi, vennero decretate le condizioni dell'incanto di otto galee da armarsi per la "muda" di Fiandra, affidate in gestione a privati.
L'anno successivo, nel 1335, il D. fu chiamato, come esperto di cose zaratine, a far parte di una commissione di tre savi eletti dalla Signoria con il compito di prendere in attento esame i fatti narrati nei dispacci del conte di Zara e fornire un parere entro otto giorni. Nella città dalmata erano stati commessi alcuni furti, male parole erano state pronunciate contro il conte Giovanni Marino Zorzi, al quale era stata negata anche la restituzione di alcune lettere pubbliche. Tutto ciò contrastava con le clausole del patto sancito vent'anni prima e negoziato dallo stesso Dolfin. Il quale, assieme a Fresco Querini e Federico Dandolo, stabilì che gli Zaratini si dovevano assoggettare all'autorità comitale, altrimenti avrebbero dovuto inviare due o tre persone edotte dei fatti e incaricate di conferire con le autorità veneziane per poter decidere secondo giustizia. Tale parere fu accolto con voto favorevole del Senato l'11 settembre 1335.
Dopo questa data il D. non compare più sulla scena politica veneziana. Da quel momento sia le fonti pubbliche sia le cronache tacciono su di lui. L'unico elemento in nostro possesso è il testo della lapide mortuaria che esisteva una volta nella chiesa di S. Maria dei Servi a Venezia, tramandato dal Cicogna, comprendente l'indicazione: "Fuit factum hoc opus anno Domini MCCCXLIII". La lapide del D., come quelle di tanti altri personaggi conservate nella chiesa, è andata perduta nella pressoché totale demolizione e spoliazione dell'edificio dopo le indemaniazioni napoleoniche del 1806, mentre le sue spoglie sono finite nell'isola ossario di S. Ariano. Il dubbio però che la data del 1343 indicata nella lapide corrisponda a quella della morte che probabilmente va retrodatata di alcuni anni, visto il silenzio delle fonti, dopo il 1335.
Scarsissime sono infine le notizie sulla famiglia del D., in mancanza di un suo testamento, mancanza abbastanza strana per un personaggio della sua levatura, che parrebbe avvalorare l'ipotesi di una morte repentina. Conosciamo solo i nomi dei suoi figli maschi: Dolfin, Giacomo, Nicolò, Renier e Vettor.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Collegio, Lettere, reg. aa. 1308-1310, c. 91; Ibid., Commemoriali, reg. I, cc. 71v, 190v, 199, 262; reg. II, cc. 50v, 110, 123, 182, 190; Ibid., Maggior Consiglio, reg. 10 (Presbiter), cc. 44, 95; reg. 13 (Clericus et civicus), c. 167v; Ibid., Miscellanea codici, I, Storia veneta, 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, c. 267; Ibid., 26: G. Priuli, Genealogie delle famiglie nobili, III, c. 2101; Ibid., 51: G. G. Caroldo, Historia di Venetia, I, a. 1312 (in fine); Ibid., III, Codici Soranzo 32: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 66; Ibid., Pacta, reg. II, cc. 72v-73; Ibid., Senato, Deliberazioni miste, reg. 15, c. 59v; reg. 16, cc. 56v, 88, 90v; reg. 17, cc. 22v-23; Ibid., Deliberazioni miste, Rubriche, reg. 1, c. 123; Ibid., Materie miste notabili, n. 179: P. Dolfin, Cronaca, c. 326; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Lat., cl. XIV, 71, n. 23; A. Dandolo, Chronicon Venetum…, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XII, Mediolani 1728, col. 487; M. Sanuto, Vitae ducum venetorum, ibid., XXII, ibid. 1733, coll. 585, 589; L. de Monacis Veneti Cretae cancellarii chronicon de rebus venetis, a cura di F. Corner..., Venetiis 1758, p. 276; Monumenta spectantia ad historiam Slavorum meridionalium, a cura di S. Ljubič, I, Zagrabiae 1868, pp. 255, 266-271, 287, 303 s., 326, 361 s., 381; Documenta ad Ferrariam Rhodigium Policinium ac marchiones Estenses spectantia, a cura di A. S. Minotto, Sectio II…, Venetiis 1874, p. 88; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, I, Venezia, 1876, pp. 42 n. 187, 121 n. 538, 129 n. 573, 151 n. 665, 205 n. 168, 233 s. n. 292, 244 n. 334, 258 n. 407, 273 n. 466; Diplomatarium Veneto-Levantinum, a cura di G. M. Thomas, I, Venetiis 1880, pp. 32, 90, 93; Monumenti della università di Padova (1222-1318), a cura di A. Gloria, Venezia 1884, p. 341; G. Giomo, Lettere di Collegio rectius Minor Consiglio 1308-1310, in Miscellanea di storia veneta, s. 3, I (1910), pp. 376 s. nn. 630-637; Codex diplom. regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, a cura di T. Smičiklas, VIII, Zagrabiae 1910, pp. 423, 431, 433, 436, 444, 448-451, 486 s., 502, 515, 526 s., 538; IX, ibid. 1911, pp. 288, 290, 34 s., 319 s., 327-329, 334 s., 344, 361, 370, 376, 446; R. Cessi, Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, Bologna 1950, pp. 349, 359 s.; Le deliberazioni del Consiglio dei rogati (Senato) serie "Mixtorum", I, a cura di R. Cessi - P. Sambin, Venezia 1960, pp. 276, 430, 451; II, a cura di R. Cessi - M. Brunetti, ibid. 1961, pp. 294, 366, 371 s.; Cassiere della bolla ducale. Grazie. Novus liber (1299-1305), a cura di E. Favaro, Venezia 1962, p. 115; Consiglio dei dieci. Deliberazioni miste. Registri I-II (1310-1325), a cura di F. Zago, Venezia 1962, p. 250; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, Venezia 1964, pp. 211, 279, 283, 299; C. Freschot, La nobiltà veneta…, Venezia 1707, p. 49; G. A. Sagredo, Serie de' podestà di Chioggia, Venezia 1767, p. 34; C. Tentori, Saggio sulla storia civile, politica, ecclesiastica e sulla corografia e topografia degli Stati della Repubblica di Venezia, VI, Venezia 1786, p. 42; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane..., I, Venezia 1829, p. 75, n. 131; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1855, pp. 34, 91 s.; G. A. Avogadro, La congiura Tiepolo-Querini, in Archivio veneto, II (1871), pp. 24, 217; E. Musatti, Venezia e le sue conquiste nel Medio Evo, Verona-Padova-Lipsia 1881, pp. 270, 287; F. Cotterell Hodgson, Venice in the Thirteenth and Fourteenth Centuries, London 1910, p. 340; B. G. Dolfin, I Dolfin (Delfino) patrizii veneziani nella storia di Venezia dall'anno 452al 1923, Milano 1924, pp. 109 s.; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, p. 302; A. Zorzi, Venezia scomparsa, II, Vicenza 1972, p. 355.