BALLATA
(fr. ballade; sp. balada; ted. Ballade; ingl. ballad).
La ballata antica. - In Italia. - La ballata è un componimento poetico d'origine popolare, collegato con il canto e la danza (detto anche canzone a ballo), e perciò costruito metricamente in modo che le sue parti corrispondano ai movimenti di questa e ai motivi di quello. Dallo schema primitivo, quale ci appare dalle poche ballate popolari antichissime del sec. XIII, comune alle laudi sacre dello stesso tempo, si giunse per vario svolgimento a quello che, nonostante alcune varietà, fu e rimase sempre il tipico, già determinato nei poeti d'arte dell'Italia centrale, nella seconda metà del Dugento. Esso è costituito di versi o tutti endecasillabi o endecasillabi misti con settenarî, così: XY.YX // AB.AB.BC. C.X + ritornello. In questo schema i primi quattro versi rappresentano il ritornello (che alcuni trattatisti chiamano ripresa e a cui corrisponde la prima frase musicale); gli altri otto che formano la stanza, sono distribuiti in tre parti, ossia 1° (A B) e 2° (A B) piede (ai quali corrisponde la seconda frase musicale, ripetuta due volte) e volta (a cui corrisponde la terza frase musicale). La volta, come si vede dallo schema, si allaccia ai piedi per mezzo della rima del primo verso, e ha la stessa struttura del ritornello a cui pure è legata con la rima dell'ultimo verso. Dopo la prima stanza si ripete il ritornello; ad esso segue la seconda stanza, che ha l'identica struttura della prima, e così di seguito sempre con lo stesso procedimento. Il numero delle stanze è generalmente di quattro. Quanto al canto e alla danza, formato il cerchio delle danzatrici, queste aprivano il ballo cantando in coro il ritornello e compiendo un giro intero; poi una di esse (solista) cantava la prima stanza e tutte compivano mezzo giro in un senso (1° piede) e mezzo giro nell'altro (2° piede), e infine un terzo giro intero (volta). Dopo, il coro intonava di nuovo il ritornello, la solista la seconda stanza e così via per tutte le altre. Poiché il numero dei versi del ritornello poteva variare ed essere di 4, 3, 2, si ebbe rispettivamente la ballata grande, mezzana, minore, e anche piccola, se il ritornello era di un solo verso endecasillaho, minima se di un solo settenario. Qualche esempio raro ci offre la ballata detta stravagante, in cui il ritornello è di cinque versi
Dalla bocca del popolo la tolse per primo, forse, fra Guittone (v. Vegna vegna - chi vole giocundare - E a la dansa se tegna; e cfr. la più popolaresca lauda già attribuita a Iacopone: Ciascuno amame che ama il Signore - Venga a la dansa cantando d'amore), e d'allora in poi fu, per più di due secoli, una delle forme predilette dalla poesia d'arte. Per la grazia ingenua dell'intonazione, che sempre le rimase della prima origine, e per la musicale leggiadria della figurazione ritmica, essa si prestò squisitamente ad accogliere i sospiri d'amore dei poeti del dolce stil novo; e la ballatetta di Dante Per una ghirlandetta - Ch'io vidi, mi farà - Sospirare ogni fiore (fra le altre ballate dantesche v. quella inserita nella Vita nuova: Ballata, i' voi che tu ritrovi Amore) e alcune delle ballate di Guido Cavalcanti (Fresca rosa novella; In un boschetto trova' pasturella; Era in penser d'amor; Perch'i' no spero di tornar giammai) sono fra le più fresche poesie della letteratura italiana. Da Lapo Gianni a Gianni Alfani, a Cino da Pistoia, tutti i poeti del tempo vi si compiacquero; e più tardi il Petrarca l'adornò di tutte le vaghezze della sottile ed esperta sua arte (bellissima è la prima del Canzoniere: Lassare il velo o per sole o per ombra). La riprese poi anche il Boccaccio, e, colorendola col suo caldo e pastoso realismo, secondo il ritmo delle sue movenze regolò il passo alle danze nel Decameron (v. fra le altre, quella assai gustosa: I' mi son giovinetta, e volentieri); e nella realtà, per tutto il secolo, amò ancor sempre di accompagnare ad essa le sue danze il popolo. Vicina al tono popolare la lasciò ser Giovanni, ravvivandone le novelle del Pecorone; tale la serbò in seguito nelle sue tenui, qualche volta bizzarre fantasie, anche il Sacchetti (notissima è la più gentile di tutte: O vaghe montanine pasturelle), e dalla fresca sorgente del popolo l'attinsero spesso anche i poeti del secolo seguente, sebbene a poco a poco s'andasse allentando la fissità del primitivo vincolo metrico, con un frequente uso di ottonarî e con una sempre maggiore libertà nella struttura strofica. L'ultima fioritura si ebbe nelle corti italiane del '400, e specie presso i Medici: per giocondare feste e conviti, molte ne compose lo stesso Lorenzo, ispirate alla sua incontenibile gioia di vivete (v. ad es. il delizioso Trionfo di Bacco e di Arianna), e molte altre il Poliziano, fra cui una (I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino), che è pura di melodia, e fresca di colori come un pastello. Ma le forme poetiche vivono in quanto vive l'atteggiamento spirituale che da sé le espresse; e in mezzo agli splendori del pieno Rinascimento, la gentilezza della ballata non poteva trovare più un clima adatto: presso Lorenzo medesimo e presso il Poliziano, non solo (v. per es. Donne mie, voi non sapete - Ch'l'ho il mal ch'avea quel prete) il tono burlesco risolve di frequente la composizione in un echeggiar continuo di grasse risate, ma la prorompente vitalità ne frange spesso il delicato congegno, conducendo a nuove varietà metriche, come la barzelletta e la frottola (v.).
Soltanto alla fine del sec. XIX, per breve tempo, la ballata rinacque: nel suo entusiasmo per il puro Trecento, se ne invaghì il giovane Carducci, e altri poeti della sua scuola seguirono poi il suo esempio; ma né presso il Carducci stesso, né presso il Marradi (Ballate, 1894), né presso il "gentil Severino", essa fu qualcosa di più di un'elegante esercitazione letteraria. Ne ritrovò la ritmica leggiadria il D'Annunzio nelle note ballate dell'Isotteo.
Consideriamo ora il lato specificamente musicale dell'antica ballata italiana. - "Le ballate - dice Dante (De Vulg. El., II, 3) - hanno bisogno di sonatori ai quali sono fatte" e il Boccaccio alla fine, p. es., della seconda giornata: "Come alla reina piacque mandando Emilia la carola, la seguente canzone da Pampinea, rispondendo le altre, fu cantata...". Dunque sin dalle origini la ballata era accompagnata da strumenti e da voci.
La musica delle ballate e dei canti carnascialeschi, come quella delle frottole, era radicata nella consuetudine popolare, tanto che le laudi spirituali dei secoli XIV, XV e XVI, composte in gran parte sugli stessi metri, si servirono della stessa musica di canzoni a ballo in voga. In testa alla lauda vediamo spesso scritte le parole: "Cantasi come...", seguite dal primo verso della canzone.
Per questa consuetudine ci è dato di poter conoscere le arie di molte ballate antiche, apparse nelle raccolte di laudi del '500 e del '600, di cui la prima è quella del padre Serafino Razzi, pubblicata a Venezia nel 1573.
Così per es., la lauda di Madonna Lucrezia dei Medici che comincia:
Ecco il Messia
E la madre sua Maria
si cantava probabilmente sull'aria della ballata Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio del Poliziano, "la quale s'avea a cantare per donne nell'entrare dei giostranti in campo, et coronandogli, per loro amore giostravano" come è detto nella rubrica di un antico codice citato dal Carducci nell'ed. delle rime del Poliziano. (V. il primo esempio della p. seg.).
Nelle frottole e nei canti carnascialeschi, intanto, si trovano alcune licenze, che però non mutano la struttura fondamentale della ballata. Spesso, quando la volta è letterariamente del tutto simile alla ripresa (come nella lauda di cui diamo nella pagina seguente la melodia), musicalmente è diversa, poiché la melodia della ripresa non riappare uguale nella volta. Talora nella volta sono incorporati gli ultimi due versi della ripresa. Così sono composti molti canti di Lorenzo il Magnifico.
In alcuni casi non si ripete la ripresa, ripetendosi nella volta il motivo musicale della ripresa. Parimenti nelle ballate non destinate al canto, bensì alla lettura, come la maggior parte di quelle di Dante, di Guido Cavalcanti e del Petrarca, non si ripete la ripresa.
Infine nelle ballate monostrofe, la volta chiude la composizione ripetendo il motivo della ripresa. Riferendosi a questo tipo, Gidino di Sommacampagna (Trattato dei ritmi volgari, ed. Giuliari, Bologna 1870) dice: "La volta ee de uno medesimo sono et de uno medesimo canto, come ee la risposta osia represa". Il che spiega come nei manoscritti manchi la musica degli ultimi versi che costituiscono la volta.
A riprova di quanto diciamo riportiamo la musica d'una ballata di Ser Lorenzo da Firenze (Cod. Laur. 87), che manca appunto della musica della volta, da noi integrata con quella della ripresa (v. il secondo esempio della p. seg.).
Abbiamo dato per esempio il canto del Maggio. Crediamo interessante riportare anche la musica d'una lauda già citata, poiché, adattandosi al ritmo della danza popolare detta trescone, da l'idea di quello che doveva essere la ballata popolare danzata del sec. XiV, di cui non ci restano esempî (v. l'ultimo esempio della p. seg.).
La ballata propriamente detta ebbe il suo massimo fiorire nel Quattrocento; nei secoli successivi decadde. In Italia si estinse del tutto: le sopravvissero la lauda e specialmente la frottola, che ebbe per la parte musicale una notevole importanza durante tutto il Rinascimento (v. frottola).
In Francia. - Diversa vicenda ebbe invece la ballata in Francia. Ma ebbe anche una forma diversa, con una diversa struttura metrica, fin da quando dalla poesia provenzale - di cui ci restano alcuni esempî anonimi e di Guillaume d'Espagna - passò nella Francia del Nord, dove ricevette la sua elaborazione definitiva. Consiste normalmente di tre strofe, costruite con versi di egual misura, di egual numero e con identiche rime, e di un "congedo" (envoi), più breve: alla fine di ogni strofe e del congedo ricompare sempre il medesimo verso (refrain, ritornello) e coi suoi ritorni lega musicalmente la composizione. Fu tra i primi a scriverne Guillaume de Machaut, il quale di varie ballate a una e due voci lasciò anche un interessantissimo testo musicale (v. l'ediz. di F. Ludwig, in Publikationen älterer Musik, I, musica, 1926; II, testo, 1928); e ne dettò per primo le leggi metriche l'amico suo e conterraneo Eustache Deschamps (L'art de dictier et fere ballades et chants royaux, 1392), che in una commossa ballata pianse la morte di Machaut, e molte altre ne compose, d'ogni argomento, anche politico (v. Ballade de la prophétie de Merlin sur la destruction de l'Angleterre). Di avere da lui appreso, sotto quest'aspetto, la propria arte, confessa Christine de Pisan, fra le cui Cent Ballades una (Seulete suy) è squisita per semplicità e tenerezza; e per più di un secolo e mezzo, dallo storico Froissart a Alain Chartier a Clément Marot, quasi non ci fu poeta che della leggiadria un poco artificiosa del complicato metro non abbia fatta la sua delizia. Particolarmente graziose sono alcune delle ballate scritte da Charles d'Orléans, dove la lieve sensualità e la dolcezza del tono e gli sparsi residui di medievali finzioni allegoriche dànno talvolta allo stile un sapore, quasi, di poesia moderna, simbolista; ma il più grande nel genere fu François Villon, che vi portò l'eco del disordinato tumulto della sua vita, e, spontaneamente piegando alle delicate ma ferme leggi della poesia la sua natura ribelle, ne trasse composizioni di un fascino raro, nelle quali la grazia armoniosamente si congiunge alla passione (v. nel Grand Testament la Ballade des dames du temps jadis col celebre ritornello Mais où sont les neiges d'antan?; i maliziosi Regrets de la belle heaulmière; la soave ballata alla Vergine, con le commoventi parole messe in bocca a sua madre: Femme je suis, povrette et ancienne - Qui riens ne såay, oncques lettres ne leuz; ecc.; e v. anche, fra il resto, la cosiddetta Ballade des Pendus e il Debat du cøur et du corps de Villon).
Più tardi, il gusto classicheggiante, presso i poeti della Pléiade fece cadere la ormai vecchia e un po' abusata forma in disuso. Poi il "prezioso" gusto dominante alla corte di Luigi XIV la fece risorgere, per opera di Sarrazin, Voiture, Lafontaine. Se non che fu breve risurrezione: il preziosismo che l'aveva richiamata in vita presto la trasse nuovamente con sé a morte, quando una nuova arte si affermò, più vicina al mondo della realtà. E morta essa già appariva non soltanto al gusto di Boileau, ma anche a quello del molieresco Trissottino, che constata nelle Femmes savantes:
La ballade, à mon goüt, est une ehose Iade,
Ce n'en est plus la mode, elle sent son vieux temps.
Appunto perché "elle sent son vieux temps" e questo "vieux temps" non poteva non esser caro all'estetismo dei tempi nuovi, essa poté invece risorgere a vita più durevole nella seconda metà del sec. XIX, non soltanto in Francia, dove la ripresero Théodore de Banville (Trente-six ballades joyeuses, 1873) e Coppée (Les sept ballades de bonne foi), ma anche in Inghilterra, dove già era stata importata nel sec. XV, coltivata fra altri dal Chaucer, e ora ritornò in fiore con A. Lang (Ballads and lyrics of old French, 1872; Ballads on blue China, 1880) e Swinburne e A. Dobson e E. Henley.
I poeti del simbolismo ne serbarono di rado fedelmente la struttura (v. ad es. Verlaine); ma tutti, da Samain a Dehmel a Hofmannsthal, ne trassero esperienza nella scelta dei loro ritmi; presso di essi tuttavia e, in generale, nella più recente letteratura, la parola ballata è venuta spesso assumendo un significato molto più lato (v. ad es. i molti volumi delle Ballades Franåaises di P. Fort, The ballad of Reading Gaol di O. Wilde, The ballad of the white Horse di Chesterton; le terzine Die Ballade von Äusseren Leben di Hofmannsthal; Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke di Rilke), adoperata per designare composizioni varie, ora lunghe ora brevi, ora in versi ora in prosa, in cui la ricchezza del colore e l'intima struttura tematico-musicale dànno alla narrazione, sempre soffusa d'un vago senso di mistero, un andamento libero e immaginoso, liricamente appassionato.
Bibl.: Antonio da Tempo, Trattato delle rime volgari, pubbl. da G. Grion, Bologna 1869, p. 117 segg.; Gidino di Sommacampagna, Trattato dei ritmi volgari, ed. da G. B. Giuliari, Bologna 1870, p. 69 segg.; G. Carducci, Intorno ad alcune rime dei secoli XIII e XIV, in Opere, XVIII, p. 180 segg.; E. Monaci, Per la storia della ballata, in Rivista crit. della lett. ital., I (1884), p. 89 segg.; F. Flamini, Per la storia di alcune antiche forme poetiche italiane e romanze, in Studi di storia letteraria italiana e straniera, Livorno 1895, p. 109 segg.; id., Notizia storica dei versi e metri italiani dal Medioevo ai tempi nostri, Livorno 1919, p. 21 segg.
Per la ballata musicale: D. Alaleona, Le laudi spirituali dei secoli XVI e XVII, nei loro rapporti coi canti profani, in Riv. musicale ital., 1909; P. M. Masson, Chants du Carnaval florentin, Parigi 1914.
Per la ballata in Francia: C. Asselineau, Histoire de la ballade, introd. alle Trente-six ballades joyeuses di Th. de Banville, Parigi 1873; F. Champion, Fr. Villon, Parigi 1913; H. Chamard, La poésie française de la Renaissance, Parigi 1920.
La Ballata romantica. - Non ha nulla a che fare con la precedente. A chi e a quale tempo risalga l'uso del termine ballad per designare gli "antichi canti popolari scozzesi", da cui la ballata romantica ha avuto origine, non si può dire con precisione: già l'usa lo Shakespeare (Winter's Tale, IV, sc. 3) e al principio del sec. XVIII tale uso è comune. Anche la data di composizione è incerta, fra il sec. XI, quando venne introdotto nella poesia inglese l'uso della rima, e, salvo eccezioni singole, il sec. XV. Gli autori sono ignoti; il testo attuale è il risultato evidente di una lunga elaborazione popolare attraverso la tradizione orale. La materia è diversissima: residui di antiche leggende epiche, leggende cavalleresche, episodi storici, leggende locali, motivi varî, comuni alla poesia popolare universale; taluni motivi si riscontrano anche nella poesia popolare italiana (v. C. Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino 1888). Ciò che vi è invece di peculiare, condiviso soltanto dagli analoghi e affini canti scandinavi (v. S. Grundtvig e A. Olrik, Danmarks gamle Folkeviser, Copenaghen 1853-1919), è la visionarietà della poesia, il naturalismo mistico dell'immaginazione nordica, che, fondendo nell'immediatezza di un'unica emozione la vita degli uomini e delle cose, ne suscita, con istintiva sintesi, immagini di elementare potenza (v. il ciclo di Robin-Hood, Chevy-Chase, Lady Isabel, Edward, ecc.). Giunti in Germania con la raccolta del Percy (Reliques of ancient English poetry, 1765), in un momento in cui si chiedeva alla poesia la spontaneità di un "grido del cuore", e i Volkslieder di Herder (1774-78; più noti come Stimmen der Völker in Liedern, titolo premesso da J. v. Müller all'edizione del 1807) s'offrivano alla nascente letteratura come un tesoro inesauribile di ispirazioni, quegli old Scottish songs, che già all'orecchio "arcadico" del Sidney in pieno Cinquecento avevano risuonato come "uno squillo di tromba", parvero una rivelazione.
Fin dal 1758 il Gleim aveva regolato sulla ballata Chevy-Chase l'andatura dei suoi Preussische Kriegslieder von einem Grenadier (1758); nel 1773 il Bürger, ispirandosi direttamente alla raccolta del Percy (la chiama mein Handbuch "il mio manuale"), compose la Lenore. E il notturno galoppo della fanciulla e della morte nel bianco chiaror lunare, col realismo delle sue onomatopee e con i freddi brividi della sua terribilità spettrale - die Todten reiten schnelle - ossessionò per quasi un secolo le fantasie romantiche di tutta Europa. Con la Lenore (altre ne aggiunse in seguito il Bürger, ma non di uguale potenza, se non, forse, Der wilde Jäger) la ballata romantica, come forma di poesia culta, era nata. Pochi anni dopo, il Goethe ne traeva alcune delle sue più alte espressioni di poesia.
Con la potenza semplificatrice che è propria dei grandi, il Goethe intuì, e rivisse in sé, la liricità ingenua ma profonda da cui la forma poetica era sorta; soltanto la chiarì con la sua arte in una sovrana purità di linea e di melodia. Il re che dal suo alto castello getta per sempre nei flutti la coppa dell'amore e della vita (Der König von Thule), la ninfa che sorgendo dalle onde attira il pescatore stanco nella fresca pace delle acque silenziose (Der Fischer), le figlie del re degli Elfi, che, danzando nelle grigie nebbie notturne, attirano il bimbo dalle calde braccia paterne verso i regni del mistero e della morte (Der Erlkönig), sono tutte visioni che sorgono dalla mistica profonda semplicità umana da cui sorgono i miti; e sempre, dal Sänger fino allo Zauberlehrling, Goethe rimase fedele a questo atteggiamento: anche le cosiddette "grandi ballate", Die Braut von Corynth e Der Gott und die Bajadere, rappresentano il "demonico" della natura e della vita, che irrompe nella concretezza della realtà. La forma della ballata vi compare non come un generico "componimento lirico-narrativo, di tono popolare e di libero fantastico volo", ma come una realtà di poesia che tali elementi formali porta in sé impliciti nella natura stessa dell'ispirazione.
Verso altre mete piegò la ballata lo Schiller, verso l'esemplificazione eloquente d'una verità morale o verso la sapiente elaborazione drammatica di un motivo di storia o di leggenda (Der Handschuh, Der Taucher, Die Burgschaft, Der Ritter Toggenburg, Die Kraniche des Ibykus, Der Ring des Polykrates, ecc.), e per l'idealità del pensiero e per la sonante bellezza del verso trovò larga risonanza in Germania e fuori di Germania; ma solo nella forma ricevuta dal Goethe la ballata è, in realtà, rimasta veramente viva.
Fra le centinaia, anzi, migliaia di ballate composte dai romantici - una nuova miniera di motivi era stata dischiusa dallo Arnim e dal Brentano, con la pubblicazione del Wunderhorn (1806) - moltissime sono nostalgiche evocazioni o fantasie di soggetto medievale, secondo la moda del tempo; e alcune anche son ricche di colore (come ad es. Des Sängers Fluch o Bertran de Born, o le Rolandsballaden di Uhland) o intessute con grazia su un motivo gentile (v. ad es. Das Schloss Boncourt e Das Riesenspielzeug di Chamisso) o commoventi nel loro semplice pathos (v. Uhland, Der Wirtin Töchterlein) o bonarie e cordiali nel loro tono ridente (v. Uhland, Schwäbische Kunde o Chamisso, Der rechte Barbier); e si possono leggere e si leggono anche oggi con piacere; ma quando, seguendone la storia - dal Tieck all'Arnim, al Brentano, al Fouqué, all'Eichendorff, al Kerner, allo Schwab e a tutti gli altri minori - s'incontra uno schietto e ampio respiro di poesia, è sempre, in nuovi modi e toni, la forma goethiana che ricompare. In custodia alla natura madre riconsegnano il loro duce morto gli eroi di Alarico, facendo scorrere sopra di lui le onde del Busento, e intorno al curvo e stanco Carlo V che batte alla porta del convento di S. Giusto ruggono tempestosi gli elementi (v. Das Grub in Busento e Der Pilgrim vor St. Just del Platen). Nella sua ingenua ispirazione, la più bella delle ballate di Eichendorff (Es ging Maria in den Morgen hinein) ha un popolare candor di fiaba cristiana della primavera. Si confrontino le elaborazioni che della leggenda di Loreley hanno dato il Brentano, l'Eichendorff, il Heine: soltanto nel mistico naturalismo da cui la visione del Heine sorge, come immagine del mistero in cui la bellezza e la morte sono eternamente congiunte, il motivo si è sviluppato in perfetta coerenza di spirito e di forme, in purità di canto. E dallo stesso senso del mistero hanno tratto la loro forma lirica, pur nel loro tono nuovo, realistico, anche le altre ballate heiniane: Die Wahllfahrt nach Kevlaar, dove con religiosa incredula anima è toccato il problema sacro dell'umana fede che splende sopra l'umano dolore; Karl V, dove l'avanzare della rivoluzione sociale è sentito con la terribilità di emozione con cui l'uomo assiste all'avanzare inarrestabile di un fenomeno cosmico; in Ritter Olaf, il luminoso canto del cavaliere che "con divina ebbrezza" benedice alla vita pur sulla soglia della morte; o, nella Battaglia di Hastings, la visione di Edith Schwanenhals che, sola, ha riconosciuto sul campo di battaglia, dopo vent'anni di abbandono, lo sfigurato volto del suo amante regale, e pallida e curva incede, fra il salmodiare sommesso dei frati, "dietro il cadavere del suo amore".
Dalla Lenore del Bürger (nella versione di W. Taylor) e dalla raccolta del Percy nacque anche la ballata romantica inglese. Rinnovò la raccolta del Percy, con nuove indagini e raffronto di testi e con l'aggiunta di composizioni proprie, Walter Scott in The Minstrelsy of the Scottish Border (1802-03); e sulla Lenore segnalata al giovane Coleridge dal Lamb s'esaltarono gli entusiasmi del Coleridge e del Wordsworth, nel tempo della loro vita in comune, quando nacquero le Lyrical Ballads (1798). E ballate su ballate composero tutti i poeti del principio del secolo, il Lamb e il Coleridge e il Wordsworth e il Southey e il Cowper e il Campbell; ma con il fastoso colorismo del Byron e con i toni estatici dello Shelley e del Keats, il romanticismo inglese si volse presto verso vie nuove e diverse. Vive rimangono oggi essenzialmente alcune ballate dello Scott, specialmente quelle più lievi di tocco e più delicate nella loro romantica trama (v. Ballads and Poems, 1806, ma anche quelle inserite nella Minstrelsy o sparse nei poemi, come l'impetuoso Albert Graeme, in The Lay of the last Minstrel, 1808): poesia veramente grande s'incontra soltanto nelle composizioni del Coleridge, in Kubla Kan, in Christabel, e, soprattutto, in The ancien Mariner, dove la visionaria evocazione del marinaio errante con la sua colpa e con la sua pena per le "morte solitudini oceaniche" trae dall'impressionismo del colore una tal forza allucinante, che l'anima, vinta da pietà, ci si smarrisce e ci si spaura.
Nulla di simile offrono le letterature dei paesi romanzi. Nella Francia stessa, malgrado gli entusiasmi di Madame de Staël nell'Allemagne, la ballata restò sempre una forma di poesia importata, poco sentita, estranea. Molte traduzioni furono fatte, soprattutto dallo Schiller, dal Goethe, dal Bürger, da Walter Scott; e forme diverse di ballate furono tentate, secondo i gusti varî dei varî poeti, dal composto e dignitoso Delavigne, e dal romanticissimo Gérard de Nerval e dal gentile Émile Deschamps; ma chi diede il tono fu, con le Odes et Ballades (1826; nella prima ediz. 1822, il titolo è Odes et Poésies diverses), Victor Hugo. Malgrado singoli versi di stupenda potenza e singole felicissime intuizioni (v. ad es. il celebre ritornello Enfants, voici les bøufs qui passent - Cachez vos rouges tabliers), la ballata vi si risolve in un'impetuosa ebbrezza di ritmi e di immagini, in un abbagliante fuoco d'artificio; e lo stesso Hugo, in seguito, quasi non vi ritornò più. Però l'effetto fu immenso, non solo in Francia, ma anche in Spagna e in Italia.
In Spagna aveva risuscitato, con le sue ricerche, l'antica romanza nazionale il Böhl de Faber; e, nello spontaneo rifiorire di essa, mescolandovisi anche influenze varie, dal poemetto byroniano al romanzo dello Scott, l'esempio dell'Hugo fuorviò la poesia verso il caldo e straricco e convenzionale color pittoresco, che s'incontra in talune ballate dell'Espronceda, del duca di Rivas, e, specialmente, dello Zorrilla. Una più semplice adesione alla sostanza umana o religiosa del motivo leggendario conservò la ballata, dal Piferrer al Balaguer all'Aguiló (Balades fantàstiques), soltanto in Catalogna, sotto l'influsso della iniziatasi "Rinascenza catalana", e, in particolar modo, del Romancerillo raccolto da Milá y Fontanals.
In Italia il più vivo impulso venne - più che dal Romanziere inglese del conte Benincasa - dalla Lettera semiseria di Grisostomo sul Cacciatore feroce e sulla Eleonora; ma il Berchet medesimo nel comporre le sue Romanze - anche se in talune, come nel Trovatore, si possa notare qualche affinità con la maniera patetica dello Uhland - mirò soprattutto, ed efficacemente, a intenti civili. E i numerosi cullori della ballata che seguirono, dal Biava al Capparozzo al Parzanese, la considerarono essenzialmente come un'occasione per dar fondo al repertorio d'immagini romantiche, care al sentimentalismo dell'epoca: si che è più che giustificata la riuscitissima caricatura del Prode Anselmo, scritta dal Visconti-Venosta. Anche il Carrer (Ballate, 1834), se ebbe qualche spunto felice (La vendetta, Il cavalio d'Estremadura, ecc.), non uscì - e ben lo sentì il Mazzini - da questo tono più di letteratura amena che di poesia. Soltanto il Prati, con la sua nativa, turbolenta ma spontanea vena di canto, riuscì talvolta a rompere la convenzionalità della composizione, come nel verdiano impeto di melodia che ha reso celebre la Cena d'Alboino re e in alcune potenti strofe del Delitto e - soprattutto - in Galoppo notturno, con la geniale contrapposizione fra la cavalcata di Ruello e la dolce immagine della morente che nell'attesa "i bellissimi capelli ricomincia a inanellar".
Nata dallo spirito germanico, la ballata romantica ha avuto, così, solamente nella poesia germanica una vera vitalità. E solamente nei paesi germanici essa ha potuto perciò sopravvivere anche al Romanticismo. In Italia la riprese il Carducci ne La leggenda di Teodorico, e altrove, ma come una forma che con il solo suo uso sembra ricondurre a un tempo lontano. Nella stessa Inghilterra il bene educato gusto borghese dell'epoca vittoriana non le fu più propizio; e, se taluni motivi ne ritornano, ad es., ancora nel Rossetti, l'estetismo della nuova poesia fece loro assumere un tutt'altro accento. In Germania invece, dallo Strachwitz al Wildenbruch, a L. F. Meyer, essa si rinnovò in nuovi atteggiamenti, con nuovo indirizzo d'arte: chiarì anzi la sua indole, più nettamente individuandosi rispetto alla romanza (v.) - dalla quale né il Herder, né il Goethe né lo Schiller né il Bürger in origine l'avevano distinta e con la quale, nell'epoca romantica, dal Brentano all'Uhland al Heine (v. ad es. Jaufré Rudel), essa era venuta più d'una volta a confondersi - e tornò decisamente alla sua forma originaria. In talune ballate della Droste-Hülshoff (v. Der Heidmann, Der Knabe im Moor) sembra veramente che il paesaggio stesso, nella favolosa intensità con cui è sentito, esprima da sé le figure di cui si anima. Sentita come un naturalistico mito è, nel Mörike, la "terra di Orplid che da lungi splende". Direttamente attinte alle antiche fonti scozzesi sono le prime ballate del Fontane. Nell'organismo congenito della ballata l'impressionista Liliencron ha trovato la sorgente alle sue impetuose composizioni. E altrettanto è accaduto nei paesi scandinavi, dove, dall'Oehlenschläger all'Ingemann, al Blicher, al Fröding, tutti i maggiori lirici vi hanno trovato fino all'età presente la naturale espressione di un "modo di sentire" che è rimasto sempre vivo e spontaneo nelle coscienze.
Bibl.: Per i canti popolari scozzesi v. la monumentale opera di F. J. Child, English and Scottish Popular Ballads, voll. 5, Boston 1882-98, da completarsi per la teoria della ballata con l'articolo che il Child stese per la Johnson's Universal Cyclopaedia; F. T. Henderson, introduzione alla Minstrelsy dello Scott, Londra 1902, e The ballad in Literature, Londra 1910. Per la Lenore del Bürger e la sua influenza v. E. Schmidt, Charakteristiken, II, Berlino 1902; F. Baldensperger, Études littéraires, Parigi 1907 (anche nei suoi scorci offre la migliore indagine per la storia della ballata in Francia); A. Galletti, introduzione alla Lettera di Grisostomo del Berchet, Lanciano 1913. Per la ballata in Italia, v. L. Cecchini, La ballata romantica in Italia, Siena 1901. Per la Germania, v. F. Goldschmidt, Die deutsche Ballade, Lipsia 1891; L. Bianchi, Novelle und Ballade in Deutschland, Lipsia 1922. Buone raccolte sono quelle del Benzmann, Deutsche Balladen, voll. 2, Lipsia 1913, e del Münchhausen, Meisterballaden, Lipsia 1922.
La ballata musicale romantica. - Sulla base di quelle poetiche, è naturale che anche la musica abbia assunto, nella ballata moderna, forme chiare, semplici e strofiche. Carlo Loewe, vissuto nella prima metà del secolo scorso, ha il merito di aver creata la forma musicale della ballata moderna, adoperando replicatamente un motivo principale di carattere ben definito e riuscendo a dargli, con mezzi semplici ma incisivi, un andamento epico; e, per mezzo di opportune varianti (se proprio non è il caso di parlare di variazioni), riuscendo anche a farlo sufficientemente aderire ai rudimenti e alle particolarità salienti del testo. Ma anche Johann Rudolf Zumsteeg (nato a Sachzenflur nel 1760; morto a Stoccarda nel 1802) merita di essere ricordato come precursore del Loewe per avere, primo fra tutti i moderni, tentato il genere "ballata" musicando i testi Ritter Toggenburg, Leonora, ecc.; senza per altro raggiungere i risultati attinti più tardi dal Loewe stesso, e poi dallo Schubert e dallo Schumann, e finalmente dal Brahms che ha portato il genere alla maggior perfezione. Questo appoggiare tutta la composizione su uno o più temi essenziali trattati però con grande libertà (secondo i procedimenti formali adottati dai suddetti restauratori della ballata e anche da nostri contemporanei, i quali hanno potuto valersi naturalmente delle più recenti conquiste in fatto di variazioni melodiche, ritmiche e armoniche) hanno indotto alcuni teorici a trovare rapporti fra questi ritorni e queste variazioni, e le riprese e i ritornelli delle ballate antiche.
Per ballata s'intende dunque oggi una composizione per una voce e pianoforte od orchestra, su un testo che sia anch'esso definito come ballata; naturalmente, anche composizioni corali, o per soli e cori, possono rientrare in questo genere. Se l'opera è poi puramente strumentale, è necessario che alla composizione sia mantenuto un certo carattere narrativo, e che l'atmosfera leggendaria sia in qualche modo espressa. Le quattro Ballate per pianoforte di Chopin, e specialmente la 1ª (in sol min.) e l'ultima (in fa min.) possono far testo in materia, ed esser considerate come meravigliosi modelli del genere. Ispirate al musicista da poemi del Mickiewicz, esse hanno veramente il carattere di grandi racconti-leggenda; il genio del compositore le ha materiate d'impeto, di passione, di eroismo.
Brahms ha portato, come s'è detto, un notevolissimo contributo alla formazione del tipo moderno di ballata; Liszt ha coltivato anch'esso questo genere componendo due notissime Ballate per pianoforte solo; Vieuxtemps ha scritto una Ballata e Polacca per violino e pianoforte assai ripetuta, fino a pochi anni or sono, dai concertisti di violino. Anche la letteratura modernissima ha qualche esempio di ballate; ma in complesso non sono molto numerosi i musicisti che si sentano attratti verso questo genere di composizione. La ballata, dovendo distinguersi nettamente dalla romanza, dal lied, dalla canzone, presenta alcune particolari difficoltà non soltanto per ciò che riguarda la forma; ma anche per quel che è il contenuto ideale che più la caratterizza e differenzia dalle altre forme ricordate: un certo senso di misticismo che dev'essere nella sua atmosfera, e di intima drammaticità, costituita dall'intervento di forze soprannaturali nelle vicende cantate dal poema, se si tratta di musica vocale; o formanti il "programma" della composizione, la quale ha sempre un più o meno larvato carattere descrittivo, se si tratta di musica puramente strumentale.
Bibl.: Ph. Spitta, Ballade, in Musikgeschichtl. Aufs., 1894, p. 403; A. König, Die Ballade in der Musik, in Blätter f. Haus- und Kirchenmusik, Langensalza 1904, 5; H. Kleemann, Beiträge zur Ästhetik und Gesch. d. Loeweschen Ballade, Halle 1913.