BALLETTO (v. ballo, V, p. 989; App. II,1, p. 352)
La danza d'arte occidentale si presenta verso la metà del nostro secolo in una fase di assestamento: esauritasi la vasta e profonda rivoluzione dei Ballets Russes di Djagilev dopo aver operato i più benefici effetti, cioè la fondazione o il rinnovamento delle scuole, dei teatri, delle compagnie di b., si cominciano a delineare i caratteri che sono alla loro base e ne determinano ormai la fisionomia. La nazione che più d'ogni altra ha risentito, ben più della stessa Russia che si è chiusa gelosamente nel culto del più puro e tradizionale classicismo, vivo e morto Djagilev (1929), è stata la giovane America: giovanissima nel campo della danza teatrale ad essa quasi ignota, è riuscita a maturare splendidamente, tra il 1930 e il 1940, grazie al lavoro di dissodamento di Fokin e Massine, e alla nascita, in chiave davvero yankee, di poderose compagnie (Ballets russes de Montecarlo, Ballet Caravan, American Ballet) e soprattutto di complesse ed efficientissime istituzioni didattiche e teatrali (School of American Ballet, Ballet society, Ballet theatre). Queste sono peraltro le sue radici europee: accanto ad esse, altre ne erano sorte alla fine dell'Ottocento dalla rivolta di I. Duncan contro la danza classica e dal conseguente indirizzo di quella che sarà detta modern dance attraverso la nuova scuola di R. St. Denis e T. Shawn (i Denishawn) e le istituzioni didattiche e teatrali apparse in quel decennio grazie ai cosiddetti "big four" - M. Graham, D. Humphrey, C. Weidman, H. Holm - e ai formidabili organizzatori del b. interamente e genuinamente americano: L. Kirstein e R. Pleasant.
La modern dance, diffusasi rapidamente negli Stati Uniti e in parte anche in Europa soprattutto col trionfo della scuola e della compagnia della Graham - le cui opere, tecnicamente libere dalle leggi accademiche, imperniate su intuizioni filosofiche e sociali e sviluppate nei due sensi dai maggiori esponenti dell'una e dell'altra (Butler, Ross, Taylor, Tetley, Ailey, Cunningham) hanno profondamente influito sul mondo ballettistico euro-americano - è assurta in breve tempo a protagonista di un'estetica assai vicina ai più arditi movimenti delle arti figurative contemporanee.
L'inevitabile scontro col mondo tradizionale del b. risulta qua e là violento o meno, a seconda delle reazioni dell'uno o l'altro artista, o maestro o coreografo o spettatore. Mentre infatti negli Stati Uniti si è risolto in un sereno incontro e in una sorta di osmosi stilistica più o meno valida e armonica - il problema estetico e critico del ballo teatrale odierno è tutto qui - come si rileva nell'opera del maggior coreografo nordamericano, J. Robbins, che è riuscito a fondere danza classica e moderna, folclorica e jazzistica, altrove ha dato luogo o, come s'è detto, alla più completa indifferenza, se non opposizione (URSS, Austria, Jugoslavia, Danimarca, Polonia) o a un certo limitato interesse (Francia, Inghilterra, Germania, Italia) o a un'intesa proficua e profonda (Svezia, Olanda, Belgio, Israele). Vero è che, esaurita in gran parte la sua carica aggressiva, la modern dance è venuta svelando le carenze della tecnica sia nei confronti di quella classica - fattasi, al contrario, più fluida e limpida nell'emulazione, come è sempre avvenuto nella sua plurisecolare evoluzione - e sia nel continuo travaglio che è necessariamente comune alle varie tendenze più o meno operose in un nuovo sistema, il quale ha accolto le più varie ispirazioni e suggestioni non soltanto dal ballo accademico e dall'espressionismo tedesco del Freier Tanz, ma è venuto rivelando nel suo stesso impianto dinamico e figurativo una notevole difformità perfino nei principi ("First movement-sequential movement" della Duncan, "Visualization" dalcroziana nella St. Denis, "Fall and recovery" della Humphrey, "Contraction-release" della Graham, ecc.). D'altra parte la stessa tematica espressiva - sociologica, psicologica, psicanalitica, misterica, astrattistica e, in genere, provocatoria - se ha colpito violentemente nei primi attacchi, ha perduto di vigore e di originalità non solo presso il gran pubblico, sempre incantato dai miti del ballo tradizionale, ma anche presso larghi strati della "intellighentsia" internazionale.
Sia nell'uno che nell'altro il prestigio della vecchia danza accademica, ancorata alle grandi scuole europee, è rimasto pressoché intatto, grazie soprattutto alla sua inespugnabile roccaforte che, dalla fine dello scorso secolo, quando in Italia e in Francia ha cominciato a deteriorarsi, è divenuta da prima la Russia degli zar e dei granduchi ballettomani e poi, per il più strano fenomeno che registri la storia di un genere aulico e fastoso come il b., l'URSS, dove, accanto alla meravigliosa fioritura della danza di popolo, esemplarmente tutelata ed esaltata dall'Organum diretto da I. Moiseev, si è sviluppato il più perfetto magistero del classicismo coreico: dal teatro alla scuola, ovvero da Gerdt, Gorskij, Goleizovskij, ad A. Vaganova, A. Messerer, V. Chabukiani, V. Burmeister, G. Ulanova. Il fenomeno diviene anche più strano ove si tiene conto che, in perfetta antitesi con le forme di questa danza severamente conservatrice, sono i temi del b. sovietico, accesamente rivoluzionari, patriottici, satirici, o vivamente romantici, nella ripresa dei balli ottocenteschi o nella creazione di antiche e nuove, passionali vicende, nelle quali spesso la danza classica si sposa armonicamente con la danza popolare.
Più o meno la stessa fedeltà stilistica ed estetica all'accademismo vige in questo periodo presso le grandi istituzioni didattiche e teatrali, sia europee - alcune delle quali secolari (Opéra, Scala, Kongelike, Het National Ballet, Staatsoper, Kungliga Teatern, Royal Ballet) - e sia americane (Ballet Theatre), australiane e perfino asiatiche (Tokyo Ballet). Dentro e fuori queste e altre istituzioni hanno a lungo lavorato, e qualcuno ancora vi opera, i vecchi e grandi maestri della coreografia classica euro-americana: Massine, Lifar, Tudor, Dolin, Rambert, Landler, De Mille, De Valois.
Soprattutto importanti si levano i due maggiori esponenti dell'evoluzione neo-classica e classico-moderna: G. Balanchine e A. Milloss. Russo-americano l'uno, ha compiuto la più pura, lirica e geniale stilizzazione della danse d'école attraverso una tecnica translucida, una prestigiosa fantasia e uno strumento incomparabile d'interpretazione coreica come la sua compagnia (New York City Ballet), con la quale ha creato il genere "concertante" e i suoi più memorabili capolavori, senza trascurare, da buon musicista e direttore d'orchestra, la musica e la danza jazzistica, elettronica e perfino giapponese (Bugaku). Magiaro italianizzato l'altro, è riuscito a compiere in oltre 170 b. e in mezzo secolo di evoluzione, quella che O. F. Regner ha definito la "grosse Synthèse" della coreologia moderna, dalla danza pura, con o senza musica, a quella accademica, espressionista, concertante, astratta o concreta, epica o lirica, in perfetta collaborazione coi maggiori artisti della pittura e della scultura contemporanea. Coltissimo e versato sia nelle lingue e letterature, che, soprattutto, nelle arti figurative e musicali, ha potuto e saputo compiere un vasto lavoro di assimilazione e integrazione coreolirica, aprendo nuovi orizzonti alla drammatugia ballettistica, in Germania, in Francia, in Svezia, in Austria, in Sudamerica e, soprattutto, in Italia. In alcuni b. di Milloss, l'apertura dai moduli classici verso gli altri, di cui s'è detto, liberi o moderni, si fa già sensibile, specie in quelli degli anni Sessanta, verso una sintesi, appunto, dei più vari elementi e, soprattutto, dei neologismi più o meno vicini alle forme classiche, in modo che essa avvenga nel seno stesso della danza tradizionale, senza che la grande armonia di fondo ne venga minimamente turbata.
Pertanto il problema che si è imposto ai coreografi, nella seconda metà del secolo, è caratterizzato anzitutto da un'ampia cadenza libero-accademica che sta dando i suoi frutti migliori, come s'è detto, in Olanda (Van Dantzig, Van Manen, Sanders), in Belgio (Leclair, De Brabants) e, soprattutto, in Francia, con Béjart. Accanto infatti ai vecchi rappresentanti della coreografia europea e alle antiche e nuove istituzioni del teatro di danza, si sono messi in luce da vari anni alcuni artisti che, insieme ai maturi, hanno dato vigore sia alla tradizione accademica che al rinnovamento del ballo teatrale: così F. Flindt a Copenaghen, Ju. Grigorovič a Mosca, E. Feld a New York e M. Béjart a Parigi (1953-58) e a Bruxelles. È appunto a costui e, in parte, all'impegno giovanile di F. Blaska che si deve la energica ripresa della coreografia francese, già sensibilmente avviata negli anni 1940-50 da R. Petit con le sue compagnie (Ballets des Champs-Elysées, Les Ballets de Paris) e con le sue opere umorose e spregiudicate. Grazie a una felice iniziativa del Théâtre de la Monnaie, il marsigliese Béjart ha potuto creare un moderno teatro di danza a Bruxelles, con l'istituzione di un'esemplare compagnia, il Ballet du XXe Siècle che dal 1960 ha trionfato nel mondo con le sue opere ispirate al più vasto e libero eclettismo e rappresentate non solo nei teatri, anche i più esoterici (Bayreuth), ma anche nelle piazze, nei circhi, nelle arene, su musiche d'ogni genere e i temi più eclettici e attuali, nello spirito della contestazione etica e giovanile, suscitando vasti consensi e aspre polemiche. Né vanno dimenticate nel generale risveglio del b. francese le iniziative provinciali e regionali, come il Ballet Théâtre Contemporain di Amiens (1968), la compagnia di A. Béranger, il balletto dell'Opéra nouveau di Lione (1969) diretto da V. Biagi e il Ballet di Nancy (1973), direttamente influenzato, come del resto gli altri, dalla grande maestra americana, già danseuse étoile del Grand ballet del marchese de Cuevas, R. Hightower, che da una quindicina d'anni dirige il Centre International de Danse a Cannes. Anche in Germania qualcosa si è mosso, alla metà del secolo, ma non più esclusivamente nel solco della libera danza e dell'espressionismo mitteleuropeo. Già nel 1932 un grande coreografo come C. Jooss aveva tentato col suo celebre b. satirico Der grüne Tisch la fusione di danza libera e classica, che ha continuato fin oltre gli anni Cinquanta. Da quest'anno e in seguito una decisa direzione verso il classicismo era stata assunta da una coppia di ottimi maestri-coreografi, V. e T. Gsovsky, l'uno a Monaco e Düsseldorf, l'altra a Berlino Est (fondazione del Berliner Ballett 1953). Ma dal 1959 al 1962 Milloss ha portato la sua arte a Colonia, facendone un centro d'importanza europea con la creazione di un'eccellente compagnia (Ballett der Bühnen der Stadt Köln). Subito dopo J. Cranko operava alla stessa maniera a Stoccarda con lo Staatstheaterballett, perfezionando l'opera di N. Beriosov e iniziando con esso lunghe tournées all'estero.
L'esempio è stato seguito anche in altre città - ad Hannover da Y. Georgi, ad Amburgo da P. van Dijk, a Bonn da G. Urbani - sicché la Germania figura ormai tra le nazioni in cui più sviluppata è l'arte del ballo. Su questa linea si sono posti nel secondo Novecento - come s'è già accennato - il Belgio, che, oltre al già citato Ballet du XXe Siècle a Bruxelles, dispone ad Anversa, dal 1970, del Ballet des Flandres (Teatro Reale) e dal 1966 del Ballet de Wallonie nelle città dell'Hainaut (Mons, Liège, Verviers) e l'Olanda con altrettante compagnie stabili (Amsterdam e l'Aia): quella, originalissima e didattica pei giovani, Scapino Ballet istituito nel 1945 il Nederlands Danstheater fondato nel 1947 da Maschalter Weeme e l'Het National Ballet, sorto nel 1952 per merito di S. Gaskell.
Anche in Iugoslavia il ballo accademico è attivissimo, sia a Zagabria che a Belgrado, al Teatro nazionale, dove dal 1921, in mezzo secolo, sono apparsi grandi artisti della danza, grazie all'apostolato coreico di M. Froman e di altri ben noti artisti (M. Slavenska, la Roje, i fratelli Mlakar, B. Markovič, M. Miskovič e il coreografo D. Parlič).
Poco si può dire, specie nei confronti delle piccole nazioni di cui sopra e per ciò che riguarda complessi e teatri autonomi di danza, del b. in Italia, che pure è qui nato cinque secoli or sono e dove ciò che si è fatto è assai poco e si deve in gran parte all'opera di A. Milloss. Eppure non mancano, come è sempre avvenuto nella sua storia, eccellenti ballerini; due, anzi, sono da vari anni di fama internazionale: C. Fracci e P. Bortoluzzi (notevole è l'attività di L. Cosi e, soprattutto, di E. Terabust). Ma la vita ballettistica nei teatri lirici è assai grama: le sovvenzioni statali assorbite quasi completamente dalla musica; le condizioni delle scuole del tutto insufficienti o dilettantistiche per l'assoluta carenza di veri maestri, al passo con le moderne concezioni didattiche, estetiche, artistiche.
Sempre ad alto livello è invece in Spagna la grande arte del baile del flamenco che vanta in J. Greco, in P. Monleon, in R. de Core dova, nel maturo ma ancora grandissimo Luisillo e, soprattutto, in A. Gades - un incomparabile e acclamatissimo danzatore-coreografo - elementi d'altissima classe; mentre, dopo l'eclisse dell'indimenticabile dominatrice della scena iberica, P. Lopez, nessuna interprete femminile è apparsa a continuarne degnamente l'esempio.
Accanto alle compagnie più o meno stabili dei teatri nazionali di cui s'è discorso, fin qui, vanno ricordate le grandi compagnie internazionali o di giro che sia in Europa (importantissime, oltre le già citate, le tre britanniche - il Royal Ballet (già Sadler's Wells Theatre) di altissimo prestigio - il London Festival Ballet, fondato nel 1950 da A. Dolin e da A. Markova, inesausto vivaio d'artisti, e l'originale Rambert ballet attivo dal 1930; e quella danese, il Kongelike Danske Ballet, emanazione di uno dei più vecchi e gloriosi centri della danza accademica, il Kongelike Teatre che rimonta al 1748) e sia in America (Harkness Ballet, American Dance Theatre (Alvin); American Ballet, Dance Theatre of Harlem (Mitchell) e soprattutto l'incomparabile compagnia di Balanchine, il New York City Ballet diffondono ovunque la cultura ballettistica attraverso lo stile di tanti coreografi. Se poi, alle compagnie euroamericane, pioniere della danza classica e moderna occidentale, si aggiungono le molte e varie di tanti paesi del mondo - generalmente folcloriche e, quindi, mezzi tra i più suggestivi per conoscere la civiltà di un popolo - come quelle indiane, birmane, coreane, giapponesi, giavanesi, balinesi, filippine o, in genere, africane (Guinea, Senegal, Congo) o latino-americane (Messico, Brasile, Argentina) tutte, più o meno, ben note agli amatori ed esperti di danza; e se, dicevamo, con le compagnie, e, per esse e coi valori che le distinguono, si passa al festival, lieu de rencontre dei danzatori d'ogni genere o paese (Mosca, Edimburgo, Copenaghen, Nervi, Spoleto ecc.) si comprende l'immenso sviluppo ai nostri giorni della danza, oltre che del balletto.
Bibl.: J. Gregor, Kulturgeschichte des Ballet, Vienna 1944: M. Armitage, Dance memoranda, New York 1946; G. Amberg, Ballet in America, ivi 1949; M. Lloyd, The Borzoi book of modern dance, ivi 1949; B. de Rothschild, La Danse artistique aux USA, Parigi 1949; R. Lawrence, Ballets and ballet music, New York 1950; S. Lifar, Histoire du ballet russe, Parigi 1950; S. L. Grigoriev, The Diaghilev ballet, Londra 1953; R. Burkle, In searce of Diaghilev, ivi 1955; Dictionnaire du ballet moderne, Parigi 1957; G. B. L. Wilson, A dictionary of ballet, Londra 1957; J. Winearls, Modern dance, ivi 1958; F. Hall, Modern English ballet, ivi 1960; O. F. Regner, Das neue Ballettbuch, Francoforte sul Meno 1962; M. Winkler-Betzendahl, Ballett in Stuttgart, Stoccarda 1964; M. F. Christout, Histoire du ballet, Parigi 1966; A. Goléa, Histoire du ballet, ivi 1967.