Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’Ottocento si verifica una rivoluzione decisiva nella pratica dei balli da sala, vale a dire la progressiva crisi dei tradizionali balli figurati senza contatto fisico tra i ballerini che, ancora all’inizio del secolo, contraddistinguono la vita di società in ambiente aristocratico e borghese, e si assiste al diffondersi di nuovi balli – quali la polca, la mazurca e il valzer – caratterizzati dalla danza di coppia con i ballerini allacciati, in un contatto fisico prima d’allora inimmaginabile. Anche nella danza da sala si manifesta così la profonda rivoluzione della mentalità, e quindi dei comportamenti, che investe tutta la società europea nel XIX secolo.
La polca e la mazurca
La polca è una danza in 2/4 e, nonostante il nome che sembrerebbe suggerire una provenienza polacca, si tratta di una danza boema di origine contadina. Viene introdotta a Praga nel 1837 e nel 1839 viene portata a Vienna dalla banda di un reggimento boemo; lo stesso anno raggiunge anche San Pietroburgo, mentre l’anno successivo appare a Parigi, diventando presto di gran moda. Nel 1844 viene introdotta in Gran Bretagna dalla grande ballerina Carlotta Grisi in coppia con Jules Perrot (al Her Majesty’s Theatre) e da qui la polca passerà, con grande successo, negli Stati Uniti.
La mazurca è invece una danza di origine polacca (mazur), in 3/4, con forte accento o sul secondo o sul terzo tempo. La mazurca, già largamente popolare in Polonia, viene introdotta alla corte di Augusto II, principe elettore di Sassonia e re di Polonia all’inizio del XVIII secolo. Un secolo dopo la mazurca è già diffusa nelle società parigina e viennese; nel 1830 fa la sua comparsa a Londra e, negli stessi anni, a San Pietroburgo.
Per sua natura la mazurca presenta una grande libertà ritmica.
Anche se negli anni che precedono la prima guerra mondiale l’irruzione in Europa – dall’Argentina attraverso la Francia – del contestato tango e poi, nel dopoguerra, l’affermazione dei balli americani (in primo luogo il foxtrot, ma anche la rumba) segnano un ulteriore distacco dai modelli della danza figurata, il principio del ballo a coppia allacciata rimane a caratterizzare la danza da sala. Soltanto in anni recenti, con l’affermarsi dei nuovi modelli genericamente rock (con tutte le infinite varianti, evoluzioni, creazioni più o meno effimere e le intrusioni “primitive”), nella pratica del ballo si determina una nuova “rivoluzione” che, come quella che nell’Ottocento aveva portato al trionfo del valzer, della mazurca e della polca, è riflesso di un mutamento profondo della società contemporanea.
Il valzer
Il valzer è certamente il più “innovativo” dei nuovi balli e anche quello che caratterizza maggiormente i nuovi tempi.
Non è quindi un caso che del valzer esistano “interpretazioni nazionali” ben differenziate, così da poter riconoscere un modello viennese, uno francese – più sofisticato e complesso – oltre a un “submodello” italiano e a un modello inglese. Il modello inglese, tuttavia, non deriva da quello viennese ma dal “boston” – importato dagli Stati Uniti verso il 1874 – e diventerà popolare nel resto d’Europa soltanto nel Novecento.
Il valzer è la musica per danza che ha lasciato un segno profondo in tutta la storia della musica, sia colta sia popolare, con un’incidenza forse paragonabile soltanto a quella del minuetto.
A partire da Castil-Blaze, i Francesi hanno sostenuto che il valzer sarebbe derivato dalla volte (o volta), già presente in Francia nel XVI secolo e descritta nella famosa Orchésographie (1589) di Arbeau come una danza lasciva che, imponendo, in un tempo di 3/4, veloci giravolte alla ballerina poteva determinare un sollevamento della lunga gonna fino a scoprire le ginocchia. Nel XVII secolo, la volte sarebbe passata in Germania e qui si sarebbe sviluppata nel valzer. Tuttavia, l’opinione più accreditata è quella che vede l’origine del valzer nella pratica di vari balli popolari dell’area alpina dell’Austria e della Baviera. Già alla fine del Settecento è possibile individuare il carattere popolare del valzer; nel Don Giovanni di Mozart, ad esempio, gli ospiti aristocratici ballano il minuetto, Don Giovanni e Marcellina una contre-danse, cioè un ballo non propriamente aristocratico ma neppure paesano, mentre Leporello e Masetto, cioè i rappresentanti del livello più basso della società, eseguono un ballo in 3/4 che ha già molti caratteri del valzer.
L’origine del valzer va ricercata quindi nei balli popolari e paesani austro-tedeschi, quali lo Steirer (ballo della Stiria, Austria) e i vari balli austro-tedesco-bavaresi chiamati Länderli, Ländrer, Ländler (tutti nomi che indicano chiaramente una collocazione genericamente “paesana” e forse specificamente Land ob der Enns, Alta Austria). Il nome valzer deriva dal tedesco “walzen” (dal latino “volvere”) che significa “ruotare, girare”.
Il fatto che forme di danza popolari e paesane diventino, con ovvie trasformazioni ed evoluzioni, balli aristocratici è largamente documentato in tutta Europa anche prima del Settecento e non deve quindi stupire che fra XVIII e XIX secolo il “passaggio” dall’ambito popolare a quello aristocratico (e poi borghese) si determini specialmente nel territorio austro-ungarico. L’Impero asburgico, feudale e plurietnico, è il luogo ideale per l’assunzione a livello aristocratico di modelli propri delle differenti province e dei differenti popoli. Nuovi balli di matrice popolare si impongono così nelle varie corti locali, per poi raggiungere la corte e la società viennese, una realtà vivace dal punto di vista culturale e particolarmente dedita al ballo e alla festa. Vi sono, del resto, specifiche occasioni per il “trapianto” a Vienna di modelli di danza popolare tipici delle varie province e nazioni dell’Impero.
Per esempio, in occasione del carnevale è la stessa corte imperiale a promuovere grandi azioni drammatiche, sia all’interno dei palazzi sia nelle piazze, che vengono significativamente chiamate Landschaften o Bauernhochzeiten, nelle quali hanno luogo manifestazioni di musica e di ballo provenienti da tutte le parti dell’Impero.
La fortuna del valzer sta nella sua capacità di poter esprimere, anche nella semplice forma di un ballabile, sentimenti, emozioni ed evocazioni assai diversi. Un esempio illuminante di questa capacità ci è offerta dalla composizione di Johann Strauss figlio dal titolo I quattro temperamenti (op. 59), nella quale quattro valzer rappresentano rispettivamente il sanguigno, il melanconico, il collerico e il flemmatico.
Il valzer scandaloso
Come è già accaduto al diffondersi di nuovi balli, anche il valzer suscita giudizi scandalizzati da parte delle fasce più conservatrici e, a causa del contatto fisico tra i ballerini, viene giudicato sfrenato e immorale. Nel 1797 un pamphlet contro il nuovo ballo, che incomincia ad aver fortuna in Germania, afferma che il progressivo degradarsi morale della nuova generazione deriva proprio dal valzer e che l’autorità dovrebbe intervenire per frenare il diffondersi della nuova pericolosa moda.
Le osservazioni più caustiche e sarcastiche sul carattere plebeo e sgraziato del valzer – che, nei primi 20 anni dell’Ottocento ha già conquistato larga fortuna nella buona società inglese vengono espresse da Lord Byron: nel suo poema The Waltz: an Apostrophic Hymn (1813), pubblicato sotto lo pseudonimo di Horace Hornem, egli descrive il triste destino di un’aristocratica signora costretta a piroettare senza garbo e senza grazia fra le braccia di un ussaro, e rimpiange che l’Irish Jig e il vecchio Rigadoon stiano cedendo il posto a questa barbara danza importata dalla Germania.
Queste scandalizzate proteste, tuttavia, non impediscono al valzer di imporsi rapidamente in tutta Europa e di entrare anche nelle opere di musicisti che utilizzano questo modello non per fornire musica alle orchestre da ballo, ma come “forma” da concerto. Si pensi a Beethoven, Hummel, Schubert (i cui valzer sono certo il più seducente e illuminante documento del valzer viennese da “ascolto” della prima metà dell’Ottocento), a Weber, Schumann, Chopin, Brahms, Liszt e perfino a Wagner (i Dodici Längler op. 171).
Il trionfo del valzer viennese arriva con gli Strauss e con Joseph Lanner i quali impongono, con una creatività melodica straordinaria e una maestria “costruttiva” d’eccezionale efficacia, un modello che sarà difficilmente eguagliato.
Il “liscio” nuova musica popolare per il ballo
Per singolare destino, i nuovi balli che si fanno strada nel corso dell’Ottocento costruiscono la loro fortuna passando dal mondo popolare e paesano a quello aristocratico e borghese, per poi tornare all’ambiente popolare e paesano, in quei Paesi dove i modelli originari non sono conosciuti. Così, nelle campagne francesi della seconda metà dell’Ottocento, si diffondono il valzer, la polca, la mazurca sul modello del bal musette parigino, mettendo in crisi i vecchi balli tradizionali; altrettanto avviene in Italia, dove l’aspirazione degli abitanti delle campagne di fruire degli stessi balli in voga nella città emargina le vecchie gighe e le vecchie monferrine consentendo l’affermarsi di quel genere che (proprio per distinguere le nuove danze dai vecchi balli “saltati”) sarà genialmente definito “liscio”.
Proprio dalla pratica del “liscio” emiliano, così come viene attestato in vecchie incisioni degli anni Venti e da alcuni anziani esecutori, possiamo avere un’idea di come questa musica fosse suonata nelle campagne alla fine del XIX secolo, secondo un nobile stile ben lontano da quello per lo più volgare, banale e contaminato di oggi. Dai Carpi, una grande famiglia di violinisti di Santa Vittoria, una frazione di Gualtieri (Reggio Emilia), ci giungono dei Balli di gara, momento centrale delle feste da ballo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, nella classica “trinità” valzer-mazurca-polca.