Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Grande maestro della narrazione realistica, Balzac utilizza meccanismi come l’intreccio, la suspense, la tensione melodrammatica, il climax, lo scioglimento catartico, che vengono a tal punto perfezionati da conferire al genere romanzesco una pienezza assoluta, dopo la quale si avvia il lento processo di dissoluzione del genere.
Il rapporto conflittuale con la madre
Primogenito di quattro figli, Honoré de Balzac (la particella nobiliare del cognome fu aggiunta dallo scrittore per civetteria) nasce a Tours nel 1799 da Bernard-François Balzac, direttore della sezione viveri della divisione militare di stanza nella città, e da Anne Sallambier, figlia di commercianti; bella e volitiva, più giovane del marito di trentatré anni, amante di un castellano dei dintorni da cui avrà un figlio illegittimo, Henry Balzac, ultimogenito della famiglia, Anne diviene presto per Honoré una presenza ostile: "Se sapeste che donna era mia madre. Un mostro e insieme una mostruosità. Mi odiava per mille ragioni. Mi odiava ancor prima che nascessi. – scrive Balzac a Mme Hanska – Per me è stata come una ferita incurabile. Pensavamo che fosse pazza, perciò abbiamo consultato un medico che la conosceva da anni, e lui ci ha detto: ’Ma no, non è pazza. È solo cattiva’". E in un’altra lettera, alla stessa destinataria: “Non ho mai avuto una madre. Appena venuto al mondo fui messo a balia da una specie di gendarme e fino a quattro anni sono rimasto con lei. Dai quattro ai sei anni ho vissuto a mezza pensione. Quando mia madre mi riprese, mi rese la vita così dura che a diciott’anni, nel 1817, ho abbandonato la casa dei miei e a Parigi ho preso alloggio in una soffitta in rue Lesdiguières, vivendo come ho raccontato nella Pelle di zigrino. Da allora sono stato, come Laurence [la sorella minore], oggetto del suo odio. Laurence è morta, uccisa da lei, ma io vivrò”. Segnato in profondità da quel rifiuto affettivo, il giovane Balzac non tarda a proiettare il desiderio su figure materne sostitutive: come Laure de Berny, di ventitré anni più anziana di lui, che diverrà a un tempo amante, amica, genio tutelare e gli offrirà il modello per il personaggio di Laure de Mortsauf, ne Il giglio nella valle. Insieme alla ripetuta inclinazione per la donna matura, è attraverso un complesso meccanismo di rivalsa sul riconoscimento negatogli dalla madre che il futuro scrittore si prepara a divenire Balzac.
Gli studi e le prime prove di scrittura
Dopo un’adolescenza trascorsa in collegi severi e malinconici, dove divora i volumi della biblioteca e scrive, a tredici anni, un Trattato sulla volontà andato perduto, a quindici anni per un eccesso di attività mentale – o per una "combustione di idee", come lui stesso dichiara –, cade in uno stato di coma e viene ritirato dalla scuola; ripresosi, è inviato a Parigi dove, terminati gli studi secondari, frequenta la facoltà di giurisprudenza ed è accolto come praticante da un notaio. Di questo primo contatto ravvicinato col mondo degli affari e degli intrighi finanziari più di un romanzo della futura Commedia umana porterà il segno; nel Colonnello Chabert (1832), per esempio, si legge: “Noialtri avvocati vediamo di continuo trionfare i peggiori sentimenti, i nostri studi sono delle fogne impossibili da arginare. Nel corso della mia carriera non so dirle che cosa ho visto. Ho visto dei crimini contro i quali la giustizia è impotente. Tutti gli orrori che i romanzieri credono di inventare restano sempre al di sotto della realtà”.
Nel 1819, abbandonata la carriera giuridica, Balzac chiede ai genitori due anni di tempo per inseguire la sua vera vocazione, quella di scrittore. Ma il futuro astro del romanzo avanza a stento: dopo una pessima tragedia in versi, Cromwell, nella sua modesta soffitta Balzac si volge alla narrativa e si guadagna da vivere scrivendo, spesso in collaborazione con altri aspiranti scrittori, dei romanzi commerciali alla maniera di Walter Scott – tra cui Clotilde di Lusignan, Il Centenario, L’ultima fata. Tuttavia, la trilogia costituita dal Vicario delle Ardenne, Wann-Chlore e Annette e il criminale è stata di recente rivalutata dalla critica, che vi ha visto il germe della futura opera maggiore, per la spiccata capacità dell’apprendista romanziere di amalgamare tra loro tematiche e generi diversi, e per l’amara dimensione autobiografica che affiora in Wann-Chlore, come in altri romanzi della futura Commedia umana: in particolare, attraverso il personaggio della perfida Mme d’Arneuse non è difficile riconoscere una sinistra proiezione romanzesca della madre dell’autore. In queste prime prove è inoltre già in atto quel frenetico lavoro di autocorrezione sulle bozze, che per la disperazione dei tipografi Balzac non abbandonerà più.
Intanto è entrata in scena la già ricordata Laure de Berny, una figura centrale nella vita dello scrittore. Sarà lei nel 1825 ad aiutarlo a lanciarsi negli affari: improvvisatosi editore, stampatore, socio in una fonderia di caratteri tipografici, lo scarso spirito pratico e la prodigalità eccessiva (vizio inguaribile di questo dandy attratto sia dal lusso più chiassoso che da una spirituale, monastica solitudine) lo conducono presto al fallimento.
D’ora in poi la vita di Balzac sarà un lungo corpo a corpo coi debiti: ma, da vero maestro nell’arte del travestimento, degli incontri segreti, delle parole d’ordine e dei nomi falsi, nella nuova casa di rue Cassini egli dispone di più ingressi, grazie ai quali si eclissa facilmente quando a bussare alla porta è un creditore.
Il successo letterario
I primi lussi, raggiunti indebitandosi, coincidono anche con la sua metamorfosi da anonimo autore in "Balzac": nel 1829 egli firma con questo nome alcuni romanzi che incontrano un certo successo, tra cui La fisiologia del matrimonio, dove si parla con arguta lucidità di temi scottanti come l’adulterio femminile e l’amore nel matrimonio. Ribattezzato dalla critica scrittore di costume, Balzac si lancia nel 1830 nella stesura de La vendetta, La casa del gatto che gioca, Una doppia famiglia, Il ballo di Sceaux, Gobseck, Sarrasine, La pace domestica e altre novelle raccolte col titolo collettivo di Scene della vita privata , che più tardi, insieme ad altri romanzi e racconti, costituirà la prima sezione della Commedia umana. Ma è La pelle di zigrino, un intenso romanzo insieme fantastico e realista, a segnare nel 1831 il passaggio dalla letteratura di costume (e di consumo) a una produzione d’indiscutibile livello letterario. Sperimentando in ogni nuova opera nuovi soggetti, temi, ambientazioni, e dispiegando un’energia fuori misura che resterà una sua cifra inimitabile, Balzac si getta nella composizione parallela di più romanzi, dotati tutti di una straordinaria potenza narrativa. E in ogni opera c’è lui, l’autore polimorfico, il grande "visionario", come lo definì Baudelaire: in assoluta simbiosi con la propria scrittura, egli dà luogo a un fenomeno di trasmigrazione dell’io autoriale nella finzione narrativa quale non s’incontrerà mai più in letteratura. Come ha scritto Marcel Proust solo Balzac è riuscito a costruire "esattamente alla stessa maniera la sua vita e i suoi romanzi". Chiuso nella sua stanza da lavoro, vestito con il celebre saio bianco, nutrendosi di caffè, senza distinguere la notte dal giorno, egli alimenta con le sue ossessioni personali un’opera totale, in cui si riflette la realtà sociale e storica del suo tempo.
Nello stesso anno, il successo del Colonello Chabert e di Louis Lambert, due romanzi una volta di più diversi per argomento – storico il primo, filosofico e in parte autobiografico il secondo –, gli apre le porte del bel mondo e lo trasforma con sua somma soddisfazione in oggetto del desiderio femminile. All’insaputa di Laure de Berny, che pure resterà fino alla morte (1836) la sua compagna elettiva, "Honoré de Balzac", come ora si firma, frequenta la duchessa d’Abrantès e più tardi la marchesa de Castries, creature irresistibili per questo giovane che, malgrado la particella nobiliare aggiunta al proprio cognome, è rimasto al fondo un provinciale.
Gli anni dei capolavori
Dal 1833 al 1835 – lavorando senza concedersi riposo, dissipando le forze, vegliando di notte tra "torrenti di caffè" – pubblica tra l’altro Papà Goriot, Il giglio nella valle, Séraphîta, La ragazza dagli occhi d’oro, Eugénie Grandet, Storia dei tredici, Un medico di campagna.
Un giorno, nel 1834, annuncia alla famiglia di essere "né più né meno in procinto di diventare un genio": è infatti di quell’anno l’idea di far riapparire gli stessi personaggi da un romanzo all’altro, a imitazione di quanto avviene nella realtà e in un medesimo ambito sociale: i personaggi di Vautrin e Rastignac, per esempio, esordiscono in Papà Goriot e ritornano nelle Illusioni perdute, in Splendori e miserie delle cortigiane, nella Casa Nucingen, nel Ballo di Sceaux, nell’Interdizione. Nel 1836, ha la notizia della morte di Laure de Berny e, disperato, scrive alla sorella: “Ho perso più di una madre, più di un’amante, più di quanto una creatura possa rappresentare. Nelle mie peggiori tempeste lei mi ha sostenuto con le parole, con i fatti, con la devozione. Se vivo, lo devo a lei. Era tutto per me”.
L’amore per Mme Hanska
Dal 1832 Balzac intrattiene una fitta corrispondenza con la "Straniera", ossia Madame Hanska, una nobildonna polacca, sposata con figli, che si era rivelata a lui attraverso un appassionato messaggio, colmo di ammirazione; i due si incontreranno per la prima volta a Ginevra soltanto nel 1834 per poi rivedersi nel 1843, e il lungo intervallo sarà colmato da un vorticoso scambio di lettere.
In questo decennio l’attività del Balzac romanziere si moltiplica: egli pubblica tra l’altro La zitella, César Birotteau, Gli impiegati, Gambara. Parallelamente, si getta in imprese fallimentari come l’acquisto d’un giornale o lo sfruttamento di antiche miniere d’argento in Sardegna. Fin dal 1834 ha intuito l’unità latente della sua opera, da lui raccolta con l’intento di presentare, scrive a Mme Hanska, "tutte le situazioni sociali, senza che trascurare nessuna condizione di vita, fisionomia, carattere umano, maschile o femminile, stile di vita, professione, ambito sociale, luogo di Francia, e tutto ciò che attenga all’infanzia, alla vecchiaia, all’età matura, alla politica, alla giustizia, alla guerra […] Così l’uomo, la società, l’umanità saranno descritti e analizzati senza ripetizioni, in un’opera che sarà come Le Mille e una Notte occidentale". Mentre la salute comincia a dare segni di cedimento, firma il contratto con l’editore Furne per la pubblicazione delle sue opere – saranno in tutto 94, tra romanzi e racconti – che egli riunisce sotto il titolo generale di Commedia umana, distribuendoli in tre sezioni – Studi di costume, Studi filosofici, Studi analitici – e corredandoli di un’introduzione. Nel 1842 muore il marito dell’Hanska e l’anno successivo, malgrado le precarie condizioni fisiche, Balzac si reca a San Pietroburgo per rivedere la "Straniera", con la speranza di un matrimonio. La raggiunge un’altra volta a Dresda, nel 1845, e con lei viaggia in Italia, in Olanda, in Belgio. Dalla loro relazione, nel 1846, a Parigi, nasce un bambino che muore dopo poche ore: Balzac è alla disperazione. Intanto la Hanska, che esita a sposarlo, pone come condizione al matrimonio che Balzac paghi prima tutti i debiti: ma la casa sontuosa che lui le sta preparando, a Parigi, non farà che moltiplicarli.
La fine
Tra il 1847 e il 1850, sdoppiandosi con disperata volontà nello scrittore dalla produzione vertiginosa e nel viaggiatore pazzo d’amore, pubblica tra l’altro Il rovescio della storia contemporanea, Il cugino Pons, La cugina Bette – “un romanzo terribile, con una protagonista ugualmente terribile, un misto di mia madre, di Madame Valmore e della zia Rosalie” scrive Balzac alla sorella; a rendere ancora più enigmatico il ruolo della madre nella vita dello scrittore, va detto che da anni i due convivono nella stessa casa, dove lei assolve funzioni di portiera, governante, amministratrice, vigilando senza concessioni sulla vita pubblica (e privata) del figlio. Nel 1849, malato e senza denaro, lo scrittore parte per la Russia, dove rivede la Hanska: quando finalmente la donna accetta di sposarlo, Balzac è l’ombra di se stesso. Tornati a Parigi poco dopo il matrimonio, nel luglio del 1850, lo scrittore ha un grave attacco di cuore. La leggenda biografica vuole che, udita la gravità del suo stato, Balzac moribondo abbia supplicato i presenti di cercare il dottor Bianchon – un’illuminata figura di medico presente in più d’un romanzo della Commedia umana. Balzac sopravvive qualche giorno e muore nella sua casa, nella notte del 18 agosto, assistito dalla madre (la Hanska si era ritirata nella sua stanza già da qualche ora).
"Balzac era un genio" dirà Victor Hugo alla folla presente ai funerali dello scrittore, al cimitero del Père-Lachaise. In un moto d’ammirazione per la tensione romanzesca che percorre l’esistenza balzachiana, Baudelaire ha rivolto allo scrittore quest’elogio: “Honoré de Balzac, lei è il più eroico, il più singolare, il più romantico e poetico di tutti i personaggi usciti dal suo cuore”.
La commedia umana : realismo e visionarietà
Venerato dal gruppo romantico, amico di Victor Hugo e Théophile Gautier, Balzac è figlio della sua epoca per l’acceso individualismo, la tensione verso l’ideale, l’attrazione per il mistero e per l’occulto – elementi che torneranno in molti suoi personaggi. Tuttavia, messa da parte dopo le prime prove la ricetta di gusto romantico più consumistica – una miscela di frenetiche passioni e tragici amori –, egli si volge a rappresentare in romanzo la realtà francese, storica e sociale, sostenuto dalla fiducia nell’analogia tra le specie zoologiche e quelle sociali. Con la Commedia umana lo scrittore si lancia dunque in un’impresa titanica, "più vasta di una cattedrale gotica"; e il sentimento dell’inevitabile incompiutezza che insidia il progetto non gli impedisce di dar prova di una straordinaria profondità di analisi a ogni romanzo, sempre redatto a ritmi frenetici. Dispiegando una sterminata strumentazione tecnica, scientifica e artistica, Balzac alimenta il portato oggettivo della sua realtà romanzesca con le risorse di un’immaginazione inesauribile.
Cornice storica della Commedia umana è la Francia della Restaurazione e di Luigi Filippo d’Orléans, ossia gli anni che vanno dal 1815 al 1840 circa, ma con alcuni flashback in età napoleonica – come accade nel bellissimo Colonello Chabert. A un livello superficiale di lettura, la Commedia può definirsi una grandiosa restituzione romanzesca dell’imperativo "Arricchitevi", indirizzato negli anni Trenta alla borghesia rampante dal ministro Guizot. L’opera infatti pullula di banchieri, politicanti, notabili, commercianti, inventori, artisti e studenti di provincia, abbagliati dalla capitale: tutta una società eteroclita, frammista a un’aristocrazia già in declino, si confronta in una logorante guerra di posizione il cui teatro d’elezione è il salotto – o il boudoir – e la cui posta in gioco sono il denaro e il potere; indimenticabile è, al riguardo, la cinica lezione di vita impartita da Vautrin a un ancora inesperto Rastignac, la cui ascesa sociale sarà favorita in primo luogo dalle donne.
Né cornice né tela di fondo, ma materia viva della narrazione, la realtà storico-sociale è responsabile di un fitto tessuto di rapporti pubblici, avviati sempre all’ombra di un "privato" dove si decidono strategie matrimoniali e si stringono alleanze politiche, commerciali, bancarie. Se il "privato" è dunque per Balzac il luogo dove la storia di continuo si riflette e si modifica, anche i personaggi in gioco sono responsabili della dinamicità della rappresentazione romanzesca: spesso pervasi da una febbre esaltante che impone loro di raggiungere a ogni costo lo scopo prefisso, ossia la concupiscenza materiale – in Eugénie Grandet, l’avaro Grandet in punto di morte bacia il crocefisso d’argento solo perché è d’argento – per alcuni di essi, come Louis Lambert nel romanzo eponimo, sono unicamente congeniali le altissime temperature spirituali: opposti climax brucianti di desiderio e d’energia, in cui affluiscono i fantasmi di una mitologia personale, restituiti dall’autore con un’intensità di partecipazione come non s’incontrerà mai più nella letteratura europea. Non "segretario" né "copista" della società – come Balzac si definisce –, ma sanguigno padre di ogni suo personaggio, con cui ogni volta vive, lotta, soffre, trionfa o cade, nel simbiotico rapporto che egli instaura con la mimesi romanzesca, Balzac appartiene – ben più di Stendhal – alla grande stagione romantica. Il realismo balzachiano è infatti il prodotto di una strenua volontà referenziale, condotta con la certezza che la scrittura possa sostituirsi alla realtà, sovrapporsi ad essa e proporsi in termini di illimitata conoscenza del reale. Per questa fiducia nella scrittura romanzesca è stato anche definito "l’ultimo scrittore felice, l’ultimo scrittore innocente" (Robbe-Grillet). Si pensi, per contrasto, allo snervato languore dei personaggi di Flaubert (Madame Bovary esce solo sette anni dopo la morte di Balzac), per il quale la rappresentazione romanzesca proviene dalla coscienza – già postromantica – dell’illusorietà del reale scelto a oggetto.
Il "realismo atmosferico"
La tecnica balzachiana è altresì debitrice delle scoperte scientifiche coeve: applicando le teorie del naturalista Geoffroy de Saint-Hilaire, secondo cui le specie animali si diversificano a seconda dell’habitat che le accoglie, Balzac attribuisce la massima importanza alla descrizione d’ambiente, che precede e prepara l’apparizione dei personaggi. Si tratta di una forma particolare di realismo – da Auerbach ribattezzato "realismo atmosferico" –, ottenuto mediante una tecnica per quell’epoca innovatrice, che sottrae la descrizione a meri intenti ornamentali per dotarla di una forte valenza simbolica: un narratore "onnisciente", ossia provvisto della conoscenza totale dei fatti narrati e da narrare, interviene nel racconto con commenti e giudizi di ordine estetico e morale, volti a penetrare al cuore della rappresentazione per portare ogni volta alla luce la verità ontologica che vi è celata. Celeberrima è al riguardo, nell’apertura di Papà Goriot, la presentazione della "Pensione Vauquer", una modesta abitazione parigina dove alloggiano i maggiori protagonisti del romanzo – Rastignac, il giovane ambizioso; Vautrin, l’ambiguo fuorilegge; Goriot, il martire della paternità. Nel percorrere le due squallide sale della pensione, lo sguardo narrante va oltre la superficie del visibile: attraverso acutissime notazioni psicologiche, sensoriali, olfattive legate ai nudi oggetti che si offrono alla vista, la scrittura riesce ad anticipare, in una scena ancora senza attori, l’atmosfera del futuro dramma, carica di umori lividi, antagonismi di classe, pulsioni affettive calpestate. Grazie a Balzac, la descrizione si trasforma da attributo narrativo accessorio a strumento privilegiato di significazione.
Realtà e visione
Se niente è più lontano di questi romanzi dall’arido intento classificatorio enunciato da Balzac nell’introduzione, la ragione risiede nello "specchio magico" che lo scrittore volge verso la società rappresentata: uno specchio fedelissimo nel riprodurre quel che tutti possono vedere – ossia "realista" –, ma capace altresì di cogliere e raccontare l’invisibile. Per questo "appassionato visionario" (Baudelaire), scrupoloso nel documentarsi prima di ogni romanzo ma al tempo stesso affascinato dalle dottrine spiritualiste, dalla fisiognomica, dall’occulto e dal magnetismo, il mondo è infatti un immenso sistema di segni da decifrare avvalendosi di una eccezionale capacità intuitiva, o divinatoria, e che egli chiama il "dono della seconda vista". Come il naturalista Cuvier, che in quegli anni riesce a ricostruire da pochi resti fossili la forma di specie animali scomparse, così Balzac, quando elabora la descrizione dei suoi personaggi, mette in atto le proprie doti percettive, penetrando attraverso un dettaglio oltre l’apparenza fisica, fin "nell’intimo dell’anima".
Romantico per la sua prossimità alla nozione di "genio", questo aspetto visionario del temperamento di Balzac è determinante per attivare la cosiddetta "trasmigrazione" del romanziere nei suoi personaggi, compiuta al fine di dotarli del suo stesso appassionato ardore. Ciò ha luogo anche in una più vasta sfera vitalistica: l’energia di quest’epoca di grande progresso scientifico è fatta da Balzac confluire sulla metropoli che fa da cornice a molte sue storie – quella Parigi che sotto la sua penna diviene la grande generatrice simbolica di vita/morte, l’antropomorfica protagonista dalle mille tenebrose fisionomie.
Il progetto di offrire con la Commedia una sintesi dell’umano in un sistema di romanzi, viene dunque a vivificarsi attraverso una facoltà narrativa che impronta di sé ogni elemento del reale, arrivando ad animare l’inanimato; come ha scritto Curtius, l’arte di Balzac "offre un’immagine del reale, sempre permeata dal fluido di una poesia visionaria".